Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: adamantina    06/06/2012    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Vanessa, Damien, Lily, Charlotte, Blake, Arthur e Jonathan si sono separati con l’intenzione di tornare alla loro vita normale. Ma cosa significa normale per chi è dotato di poteri che potrebbero cambiare il mondo? Blake non si è arreso e continua a lottare. Ma anche chi ha da tempo rinunciato a combattere per un mondo più giusto dovrà tornare in campo quando le persone a lui più care saranno minacciate …
«Non puoi biasimarci per averne voluto restare fuori, Blake. Quello che tu stai facendo è fingere di essere ancora al Queen Victoria’s, e ti rifiuti di andare avanti con la tua vita. […]»
«Stavo cercando di impedire un omicidio!»
«Sei un idealista» taglio corto, incrociando le braccia. «Ammettilo, lo sei sempre stato. E credo che il tuo vero scopo sia riportare Lily sulla retta via. Ammettilo, ancora ci speri […].»
Genere: Dark, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Queen Victoria's College'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Solo due note: credo (non ne sono sicurissima, perchè devo ancora scriverli) che a questo capitolo ne seguirà solo un altro, più un epilogo, ma potrebbe essercene anche uno di più. Vedremo.

Per farmi perdonare per le lunghe attese e per ringraziare chi ha continuato a seguire la storia, dopo l'epilogo pubblicherò una one-shot che ho scritto l'anno scorso, a rating rosso, su Arthur e Damien. Altrimenti nota come il-mio-primo-tremendo-tentativo-di-scrivere-una-lemon. Poveri voi!

Buona lettura :)

 

~A RESCUE AND A BIRTH~

 

[Blake]

 

Nel silenzio più assoluto, riesco a sentire ogni singolo battito del mio cuore. La mia schiena è appoggiata contro il muro, la mia fronte sudata.

Vicino a me, Jonathan, in forma di lucertola, è in attesa.

Quando l'uomo si avvicina, Jon striscia silenzioso e lo raggiunge. Non riesco a vedere molto, nella penombra, ma so che si sta arrampicando sulla gamba del terrorista. Su, su fino alla cintola e al mazzo di chiavi.

L'ansia è quasi insostenibile. Se lo scoprisse...

Aspetto immobile, quasi immaginando l'urlo dell'uomo che scopre il tentativo di furto... ma non succede.

Un fruscio sul pavimento, quindi la lucertola (anzi, adesso è qualcos'altro, qualcosa con una coda più lunga, un rettile a cui non so dare un nome) torna umana. Jon mi fa un cenno affermativo: in mano stringe il mazzo di chiavi

Attendiamo che la guardia si sia allontanata, quindi ci dirigiamo verso la zona delle celle.

Jon, tornato dalla sua esplorazione preliminare, mi ha descritto con precisione la planimetria del rifugio, perciò ora sappiamo entrambi dove andare.

Percorriamo un lungo corridoio buio dalle pareti in cemento.

Il buio è quasi totale, l'umidità pesante e il freddo arriva fin nelle ossa. Il silenzio è interrotto solo dallo sgocciolio regolare attraverso il soffitto.

Quando raggiungiamo la porta, Jon si affretta ad inserire la chiave nella toppa e a girarla.

La porta si apre con un cigolio ed entriamo, rapidi.

Quello che vedo è quello che mi aspettavo, solo peggio.

Charlotte ha un taglio evidente sulla guancia e un inizio di occhio nero, e provo una repulsione violenta per quei bastardi che hanno avuto il coraggio di picchiare una ragazza.

Damien è messo peggio: tutto il volto è coperto di escoriazioni e, in generale, sembra pieno di lividi. Devono averlo picchiato a lungo.

Arthur, però, è la vera sorpresa: ero convinto che fosse invulnerabile, e dubitavo che i terroristi sapessero del Pentothal. Invece è pallido e sul suo torace risaltano decine e decine di ustioni, alcune delle quali evidentemente infette.

Deglutisco e sento Jonathan trattenere il fiato bruscamente.

Damien balza in piedi.

«Oh, grazie a Dio» invoca sottovoce.

Mi sforzo di sorridere.

«No, siamo solo noi» replico. «Coraggio,venite. Dobbiamo filarcela prima che si accorgano che siamo qui.»

Charlotte, nel frattempo, è saltata al collo di Jonathan e l'ha stretto con forza. Lui, un po' stupito, la sta tenendo vicina.

«Dobbiamo avvertire il Presidente» dice lei rapidamente. «Abbiamo scoperto delle cose, Blake...»

«Non è il momento. Avanti, andiamo» taglio corto.

Damien aiuta Art ad alzarsi e ci seguono fuori dalla cella.

Riusciamo a percorrere indenni tutto il corridoio, ma non possiamo essere tanto fortunati da raggiungere l'uscita inosservati.

Uno dei terroristi ci vede e lancia un grido d'allarme -giusto un secondo prima che io lo colpisca con una scarica di energia e lo mandi a sbattere contro la parete opposta.

Ma è bastato quello perchè altri venissero avvertiti. Ci troviamo con le spalle contro il muro del rifugio, a pochi metri dalla scala che porta verso la superficie e la salvezza.

«Charlie, Dam, Art» dico a denti stretti, allungando le braccia davanti a me, le mani già vibranti di energia trattenuta, riacquistando il mio consueto ruolo di leader, «Andate verso l'uscita, vi copro le spalle. Jon... come ai vecchi tempi?»

Jon mi sorride in un lampo prima di trasformarsi in un grande felino bianco. Rivedo per un istante il giorno, tanti anni fa, quando Vahel gli aveva lanciato una rete metallica che lo aveva imprigionato: allora aveva assunto la stessa forma. Le cicatrici sono ancora evidenti.

I terroristi arrivano a fiotte con i mitra, ma sembrano incerti sull'usarli davvero. Evidentemente hanno ricevuto istruzioni precise di non fare del male ai mutanti.

Poi, quando io comincio a farli saltare in aria, il loro buonsenso prevale.

Le pallottole cominciano a sibilare. Jon parte all'attacco dei terroristi più vicini, usando zanne e artigli per metterne fuori gioco quanti più possibile.

Io, invece, cerco di deviare la traiettoria di tutte le pallottole che potrebbero ferire i miei compagni, che si stanno faticosamente arrampicando sulla scala.

Quando loro tre sono usciti faccio un fischio a Jonathan, che comincia ad indietreggiare. Poi, però, un terrorista ci coglie di sorpresa arrivando lateralmente e gettando a terra con un calcio la scala che porta verso l'esterno, isolandoci sottoterra.

Impreco mentre lo faccio saltare via, cercando intanto di mantenere uno scudo perenne di energia che respinga le pallottole.

Guardo Jonathan, che sta cercando di raggiungere la scala per rialzarla, ma è troppo lontano e non riesco a proteggerlo adeguatamente dalla raffica di proiettili, ora che quasi tutti gli occupanti del rifugio ci stanno scaricando contro i loro mitra.

«Vola via!» urlo a Jon, cercando di superare il frastuono.

Naturalmente lui non prende neanche in considerazione l'opzione. Torna al mio fianco, le zanne insanguinate scoperte.

Siamo entrambi consapevoli che reggeremo solo per poco: ci attaccano su tutti i lati, eccetto che alle spalle, coperte dal muro, e la mia energia non è infinita, anzi, sta già cedendo.

Deglutisco, cercando disperatamente una via d'uscita, quando qualcosa mi cade sulla testa. Alzo lo sguardo per un istante: è terriccio.

Un rombo profondo scuote l'intero rifugio, e i terroristi cessano di sparare.

Qualcuno urla in una lingua che non conosco, ma ne intuisco il senso.

Crolla tutto.

«Jon! Fuori!» grido.

Lui capisce e si trasforma in un enorme rapace, mi afferra con artigli giganteschi e ci solleva entrambi. Non passeremo mai dal buco che ospitava la scala -è troppo stretto-, perciò Jon si dirige senza esitare verso il soffitto che sta crollando.

Recito mentalmente un paio di preghiere mentre i detriti precipitano addosso a noi, ma io sono quasi del tutto riparato dalle grandi ali da rapace di Jon, che si fa strada a fatica tra i massi in caduta libera attraverso il buco creato dal crollo.

Un attimo dopo, mi ritrovo a rotolare sul terreno, finalmente all'aperto. L'impatto mi toglie il fiato; tossisco, ma mi rialzo.

Jon è tornato umano ed è a terra accanto a me. Gli allungo la mano: lui la afferra e si tira in piedi. Adocchiamo Charlie, Art e Dam poco distante e iniziamo a correre per raggiungerli.

«Sorprendente, vero? Basta trovare il punto giusto su cui fare leva, e qualunque costruzione crolla come un castello di carte» commenta Charlie, solare. Mi prendo un istante per ammirare i calcoli che deve aver fatto per riuscire a far crollare il rifugio.

Poi ci precipitiamo verso la libertà, lontano, prima che i terroristi -almeno, quelli che sono sopravvissuti al crollo- possano inseguirci.

Raggiungiamo la strada e individuiamo un taxi.

Ringrazio di nuovo i soldi del Presidente, perchè dubito che alcun autista avrebbe accettato di portarci in aeroporto in queste condizioni senza la promessa di due centinaia di dollari.

Guardo i ragazzi attorno a me e tiro un sospiro di sollievo. Siamo salvi.

 

In aeroporto cerchiamo di darci una sistemata, come se non ci fosse appena piovuto addosso un intero soffitto.

Quando esco dal mio cubicolo nei bagni, vedo Damien che, con un'espressione concentrata, passa sulle ustioni sul petto di Arthur, appoggiato con la schiena ai lavandini, del disinfettante appena acquistato.

«Tutto a posto?» chiedo. «Charlotte cosa dice?»

«L'infezione non dovrebbe creare problemi, se curata non appena torniamo a casa» replica Art a denti stretti.

Usciamo dai bagni, tutti ripuliti, per ritrovare Charlotte.

Mentre la aspettiamo, compongo il numero di Vanessa. Sono passate oltre due ore dalla partenza di Lily: deve ormai essere arrivata.

Mi risponde Lily.

«Blake? Tutto bene?» mi domanda, ansiosa.

«Sì, tutto a posto. Charlie, Art e Dam sono qui con me. Il prossimo aereo parte tra un'ora, saremo lì tra due ore e mezza circa. Come sta Vanessa?»

«Se continua così, potrai essere presente quando nascerà la bambina» replica Lily. «È in travaglio, ma è ancora alla prima fase. L'ostetrica dice che ci vorranno almeno altre tre, quattro ore. Vanessa sta bene, è solo nervosa, ma sono qui con lei. Chiede... ah, vorrebbe parlare con Charlotte.»

Passo il cellulare a Charlotte.

«Ness? Sono Charlie. Tutto a posto?» ascolto le poche parole di Charlotte con nervosismo. Da una parte vorrei essere al fianco di Vanessa, dall'altra correi egoisticamente voltare la testa dall'altra parte e fingere che non stia succedendo nulla. «Certo, è del tutto naturale. È normale, stai tranquilla. Ricordati di restare calma. Tra poco più di due ore sarò lì, ok? Insieme a Blake. D'accordo. Ciao, tesoro.»

Charlotte chiude la telefonata.

«Allora» esordisce «Devo parlarvi. Abbiamo scoperto una cosa.»

«Se si tratta dell'antidoto per eliminare i poteri, lo sappiamo già» la interrompo.

«Che cosa?»

«Vanessa ha detto di aver sentito i ricercatori alla Casa Bianca parlare di un antidoto per togliere definitivamente i poteri ai mutanti. Pare lo abbiano già somministrato a Julie... la figlia del Presidente.»

«Ma... quello che abbiamo sentito noi dai terroristi» replica lentamente Arthur, «È esattamente l'opposto. Pare che alla Casa Bianca abbiano isolato il gene portatore dei poteri. Ora possono impiantarlo a chiunque, facendogli acquisire poteri personali. E per averlo, loro stanno organizzando un attentato... domani.»

«Non capisco» dico, strofinandomi una mano sulla fronte. «Cosa...?»

«Ma certo!» esclama Charlotte, interrompendomi. La lascio parlare, consapevole che, di certo, ha capito più di me. «Uno dei due deve aver dato un'informazione sbagliata. Chi è più probabile che lo abbia fatto?»

«Il Governo» replica Arthur. «Sapevano che Vanessa li stava ascoltando. Praticamente è un'infiltrata, in contatto con voi fuggiaschi...»

«Esatto» conferma Charlie. «E perchè mentire su una cosa del genere? Perchè se noi avessimo creduto che loro avessero la possibilità di toglierci per sempre i poteri, con un briciolo di buonsenso ci saremmo tenuti alla larga da Washington.»

«Ci volevano davvero lontani da Washington» commenta Damien, incredulo. «Vi hanno lasciati scappare...»

«Non si aspettavano che lasciassimo indietro Vanessa» aggiunge Charlotte, «E hanno fatto in modo che sentisse queste false informazioni per convincerla ad andarsene...»

«Ma perchè chiamarci, allora?» chiedo, sempre più confuso.

«Non è logico? Avevano bisogno di noi, per isolare quel gene! Avevano Julie a disposizione, ma non si può creare una formula solo a partire dai geni di un individuo. Volevano conferme prima di iniettare una formula potenzialmente pericolosa su qualche soldato scelto.»

Finalmente le cose si stanno facendo più chiare.

«Quindi» interviene Jon, «I terroristi volevano impadronirsi della formula per ottenere i poteri, immagino.»

«Già. Se devono combattere soldati selezionati con superpoteri dedicati alla lotta contro il terrorismo, tanto vale avere a propria volta superpoteri» conferma Charlie.

«E quindi... ora cosa facciamo?» domando.

Charlotte sembra pensarci su per un momento.

«Dobbiamo andare a Washington e dire al Presidente che i terroristi stanno progettando un attacco alla Casa Bianca per domani» dice alla fine. «Questo è il piano.»

 

Il volo sembra durare un'eternità, ma in realtà arriviamo a Washington dopo meno di due ore.

«Jon, devi andare tu dal Presidente» decide Charlotte. «Vanessa ha bisogno di me e Blake, e Arthur e Damien hanno bisogno di cure.»

«Io?» replica Jon, incredulo. «Ma non sono neanche sicuro di aver capito cosa sta succedendo!»

«D'accordo» ribatto, fermando la risposta di Charlotte sul nascere, «Credo che la cosa migliore sarebbe che ci andassi tu, Charlie. Ora andiamo in ospedale, tu aiuti Vanessa, ti fai dare una sistemata e poi decidiamo chi verrà con te per aiutarti e proteggerti. Ci stai?»

Lei sospira e annuisce.

«Mi sembra ragionevole» ammette.

Non ci vuole molto per arrivare all'ospedale. Mentre Arthur e Damien si dirigono al pronto soccorso, accompagnati da Jon, io e Charlie saliamo al quinto piano.

Ci indicano la sala parto dove si trova al momento Vanessa. Ci siamo dati una ripulita in aeroporto, perciò io sono presentabile, e Charlie anche, nonostante il suo occhio nero faccia una certa impressione.

Un'infermiera ci blocca prima che riusciamo ad entrare.

«Chi siete?» domanda, sospettosa.

«Io sono il suo... sono il padre del bambino. Della bambina, cioè» dico, impacciato.

«E io sono il medico della signorina Evans, Charlotte Miller. Può controllare la sua cartella clinica, se vuole, o chiederle conferma.»

La donna ci lascia passare.

Vanessa è distesa su un lettino con le gambe sollevate, pallidissima e sudata. Lily le stringe la mano.

«Io me ne vado, Charlie» sussurro.

«Assolutamente no» replica lei, inflessibile, spingendomi in avanti. «È ora che tu ti prenda le tue responsabilità, Blake.»

Vanessa gira la testa e mi vede. Mi aspetto un saluto caloroso, ma ricevo tutt'altro.

«Tu» ringhia. «Brutto stronzo! Sei solo un...» si interrompe e inarca la schiena, gemendo di dolore.

Mi immobilizzo a due passi da lei, sconvolto, mentre Charlotte prende in mano la situazione e si lava le mani, per poi infilare dei guanti sterili.

«A che punto è?» domanda all'ostetrica. «Sono il suo medico.»

«Manca poco» replica lei, una donna sulla cinquantina dall'aria severa. «È già in fase espulsiva.»

«Le avete somministrato dell'ossitocina?»

Smetto di ascoltare Charlotte e mi avvicino a Vanessa con cautela.

«Nessie? Come stai?» chiedo debolmente.

Lily e Vanessa mi lanciano la medesima espressione omicida.

«Domanda sbagliata» replica Vanessa a denti stretti.

«Ness?» interviene Charlotte, prendendo il mio posto accanto a lei. «So che fa male, ma ti prometto che, se fai come ti dico, tra pochissimo sarà tutto finito e potrai vedere la tua bambina. D'accordo?»

«Ok» dice Vanessa, a corto di fiato, «Cosa devo fare?»

«Quando senti arrivare lo stimolo, spingi più forte che puoi. E tu» dice a me, «Restale vicino e tienile la mano. Adesso, Ness, cerca di respirare regolarmente, ok?»

I minuti si susseguono e Vanessa mi stritola la mano, urlando in un modo che mi fa venire voglia da una parte di scappare, dall'altra di starle vicino e aiutarla a far passare tutto in fretta. Per fortuna, do ascolto alla seconda parte.

Vanessa spinge un'ultima volta, incoraggiata da Charlotte, urla forte, mi stringe la mano, inarca la schiena... e poi Charlie, sorridendo, solleva una creatura minuscola e rossastra, che emette uno strillo acuto.

La nostra bambina.

«Vuoi tagliare il cordone ombelicale?» mi propone Charlie, ma, vedendomi impallidire quasi al punto da svenire, decide di lasciare che se ne occupi l'ostetrica.

Poi allunga a Vanessa, che si sta asciugando le lacrime dal viso, la bambina, avvolta in un piccolo asciugamano rosa. Ness allunga le braccia, tremando leggermente, e Charlotte le lascia la creaturina, che smette di piangere.

Gli occhi di Vanessa cercano i miei, e guardiamo insieme quella cosina minuscola e così tremendamente vera, adesso. È qui, è qui davvero, ed è semplicemente...

«Bellissima» sussurro, quasi senza rendermene conto, mentre sfioro, quasi con timore, una delle manine tiepide della bambina.

Vanessa sorride, radiosa nonostante la stanchezza.

«Lo so» dice, «Ha preso tutto da me.»

Poi ride, e ci ritroviamo di nuovo incantati ad ammirare nostra figlia.

Nostra figlia.

«Hai pensato a come chiamarla?» chiedo piano a Vanessa.

«Dawn» risponde, sicura.

«Dawn» ripeto, assaporando il nome. «Alba. Sì, mi piace. È perfetto.»

«Vorresti aggiungere qualcosa? Un secondo nome?» mi domanda Vanessa dopo una breve esitazione.

So che è una grande responsabilità. Ci penso per un momento.

«Emma» rispondo. «Come mia nonna. Ti piace?»

«Dawn Emma Gray» mormora Vanessa. «Sì, è davvero perfetto.»

Spalanco gli occhi. Non pensavo che avrebbe deciso di darle il mio cognome, dopo il litigio. Anche se ora sembra passata un'eternità, e fatico persino a ricordarmi perchè avevamo litigato. Tutto ciò che è successo prima della nascita della bambina -di Dawn- ha perso d'importanza.

Guardo Vanessa e mi chino per baciarla delicatamente sulle labbra.

«Ti amo» sussurro. «Mi dispiace per tutto quello che ho fatto. Sappi che però non potrei mai, mai pentirmi di noi due... tutto ci ha portati a questo momento, a questa bambina.»

«Ti amo anch'io. Non potrei chiedere un padre migliore per lei.»

Charlotte rientra e ci interrompe, scusandosi, per fare alla bambina i primi test e accertarsi che sia tutto a posto. E nessuno si stupisce troppo quando, innervosita dal cambio di posizione, Dawn emette uno strillo di disapprovazione e dà a Charlotte una leggera scossa elettrica.

«Oh, è tutta suo padre» commenta Charlie, divertita.

«Bellissima?»

«In realtà intendevo dire qualcos'altro, ma se preferisci pensarla così...»

Charlotte esce con la bambina e l'ostetrica mi caccia via dalla stanza, borbottando parole spaventose come placenta: sento di non dover ascoltare altro.

Faccio l'occhiolino a Vanessa ed esco. Poco prima di ritrovarmi in corridoio, mi rendo conto di una cosa.

In qualche momento tra la nascita di Dawn e il mio bacio con Vanessa, Lily dev'essersene andata.

E io non me ne sono neanche accorto.

Per un istante mi preoccupo per lei, ma poi mi ritrovo assalito da Jon, Damien e Arthur, che si informano sulla bimba e sulla mamma, e tutto il resto mi passa di mente.

Dopotutto, sono appena diventato padre.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: adamantina