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Autore: Alexandra e Mac    09/06/2012    3 recensioni
La storia, quella con la “S” maiuscola, a volte riserva grandi sorprese. Fra le pieghe di un libro può capitare di trovare le cose più strane, o fra le sue righe captare qualcosa che non è detto esplicitamente ma che è volutamente lasciato intuire dall’autore o dall’autrice.
Sono specialmente le biografie del “grandi” quelle che riservano le maggiori meraviglie, e occorre un occhio attento per saper cogliere quello che, in superficie, non compare.
Questo racconto è nato così, cercando i messaggi nascosti che la Storia ha disseminato lungo il suo cammino e che alcuni più perspicaci hanno saputo cogliere e che hanno poi elaborato offrendoli al lettore.
Siamo certe che adesso anche voi cercherete fra il detto e il non detto di un volume quella zona grigia che vi spalancherà le porte di un altro mondo.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XXV

Immersi nel bianco



Da tre giorni stavano cavalcando ininterrottamente, fermandosi solo per cambiare i cavalli, per mangiare e per dormire. La notte precedente l’avevano trascorsa in una locanda poco fuori Innsbruck: avevano cenato in una saletta privata che il Conte aveva richiesto appositamente per loro e poi si erano ritirati nelle rispettive camere. Quella mattina, prima dell’alba, erano ripartiti, diretti verso le montagne.

Il Conte D’Harmòn le aveva detto che da quel punto in poi avrebbero faticato parecchio e ci sarebbero voluti giorni prima che potessero fermarsi nuovamente in una locanda, al di là delle Alpi. Per questo motivo aveva fatto scorta di cibo e liquori, prima di partire: dovevano affrontare il freddo e la neve e non era certo di riuscire sempre a trovarle un riparo per la notte.

Lady Sarah gli aveva risposto che non avrebbe dovuto preoccuparsi per lei, che ce l’avrebbe fatta, ma ora, dopo una giornata al freddo e sotto la neve, cominciava a dubitare della sua resistenza. Si sentiva congelata, nonostante il pesante mantello che l’avvolgeva, e anche molto stanca. La ferita le faceva ancora un po’ male, ma era certa che se avessero potuto fermarsi per qualche giorno a riposare, si sarebbe sentita meglio.

Era esausta. Nonostante l’allenamento costante e il suo fisico sportivo, non aveva mai affrontato tanto a lungo temperature così rigide ed estenuanti ore a cavallo. Una cosa era galoppare ogni giorno per un paio d’ore al massimo nei boschi o attraverso i prati, altra cosa era stare in sella per tre giorni di seguito, fermandosi solo per poche ore la notte, sotto il freddo polare dell’inverno sulle Alpi.

Nonostante tutto si guardò attorno, affascinata dal paesaggio che le si presentava davanti agli occhi.

Le Dolomiti innevate erano uno spettacolo da mozzare il fiato: attorno a loro solo silenzio, interrotto esclusivamente dal fruscio della neve che cadeva ogni tanto da qualche albero; neanche il rumore degli zoccoli, poiché i cavalli non calpestavano il terreno, ma affondavano nella coltre bianca che ricopriva ogni cosa.

Durante la mattinata una bufera di neve li aveva accompagnati per diverse ore, ma finalmente nel primo pomeriggio era riapparso il sole. Non era servito granché a scaldarli, tuttavia aveva regalato un paesaggio da fiaba. Anche in quel momento, mentre stava calando la sera, sembrava di essere in un mondo incantato e lei si era innamorata rapidamente delle montagne del Tirolo.

Lady Sarah non aveva paura. Da quando aveva affrontato Von Webb ed era uscita viva grazie all’intervento di André D’Harmòn, si era affidata completamente a lui, docile come non era mai stata. In quei tre giorni avevano parlato poco e lei non riusciva a spiegarsi l’umore del Conte: era molto premuroso con lei, ma si manteneva sulle sue. Non aveva più scherzato, non l’aveva più guardata come lo aveva sorpreso fare il primo giorno, dopo che le aveva medicato la ferita.

Ogni volta che ripensava a quel momento, all’attimo in cui aveva ripreso conoscenza e lo aveva visto chino su di sé, con lo sguardo offuscato e le sue mani che le sfioravano la pelle in zone sensibilissime, si scopriva a desiderare spasmodicamente che quelle mani la toccassero ancora.

Eppure non era proprio lei la donna che si era imposta di non innamorarsi mai? Di non cedere alla passione? Di non regalare il suo cuore ad un uomo?

Ma André D’Harmòn era un’altra cosa. Lui era come il frutto proibito, che attraeva irresistibilmente a sé. E ora, che sembrava più distante, era ancora più irresistibile…

“Ci fermeremo qui per la notte” la sua voce le giunse improvvisa e la riscosse da pensieri troppo pericolosi per il suo cuore.

Si guardò attorno e notò che lui aveva individuato un piccolo chalet immerso nel bianco. Lo seguì sul retro della costruzione in legno, osservando che aveva trovato l’entrata per una stalla, ormai disabitata da tempo, probabilmente dall’estate precedente, ma dove vi era ancora del fieno per nutrire gli animali. Fecero entrare i cavalli e poi si diressero all’ingresso principale.

Con un calcio ben assestato, André aprì la porta ed entrò in un locale ampio: al centro di una parete c’era un camino e dal lato opposto una scala in legno appoggiata ad una specie di soppalco, probabilmente l’unico letto del rifugio. Di fronte al camino c’era un vecchio divano e davanti ad esso un folto tappeto. Alle spalle del divano si trovava un piccolo tavolo con due sedie.

Non era granché come luogo, ma a Lady Sarah sembrò il paradiso su questa terra, tanto era stanca e infreddolita.

Rapidamente il Conte accese un fuoco con la legna accatastata che trovò in un angolo e poi legò con una robusta corda la porta che aveva scardinato, affinché non si aprisse. Lady Sarah lo osservava in silenzio svolgere quei compiti: si era tolto il pesante mantello che lo copriva e ora si stava togliendo anche la giacca. A quanto pareva il movimento lo aveva riscaldato alla svelta, mentre lei non riusciva ancora a muoversi per il freddo, nonostante il tepore del fuoco.

Anche lui la osservava di sottecchi. Erano giorni che la osservava, che non si perdeva nulla di quella donna. Si limitava ad osservarla, perché se si fosse abbandonato al suo istinto, non sarebbe stato in grado di controllarsi. Proprio per quel motivo, dalla prima notte trascorsa in camera con lei a vegliarla, per le altre due notti  aveva richiesto due camere separate, altrimenti non sarebbe più riuscito a dormire. Già così aveva faticato parecchio a prendere sonno sapendola distante solo pochi passi, nonostante il viaggio avesse stancato anche lui.

Continuava a meravigliarsi della resistenza di Lady Sarah: in tre giorni non l’aveva sentita lamentarsi una sola volta. Eppure sapeva che doveva essere parecchio stanca e infreddolita. Probabilmente aveva anche male al braccio, ma mai una volta lo aveva pregato di fermarsi. Obbediva docile e sottomessa ad ogni suo ordine ed egli si stava domandando se per caso l’aver visto la morte in faccia con Von Webb non l’avesse traumatizzata eccessivamente.

Avrebbe voluto parlarle; desiderava spasmodicamente stringerla a sé, come durante le prime ore della loro fuga, quando erano in sella allo stesso cavallo: in quel momento l’aveva sentita completamente sua. Ma aveva paura a farlo. Qualunque gesto, qualunque parola, l’avrebbe condotto inesorabilmente verso di lei, e lui non sapeva come fare per trattenersi dal baciarla, se non come stava facendo, ossia quasi ignorandola.

E quella notte si sarebbe presentato anche il problema del letto: era impensabile che potessero dormire assieme in quell’unico giaciglio lassù! La sola idea di averla tanto vicina, con il corpo illuminato dalle stelle che si vedevano attraverso la piccola finestra al soffitto, lo faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a resistere senza toccarla. Guardò il divano di fronte al camino con aria desolata: mancavano come minimo una ventina di centimetri perché potesse riuscire ad allungare completamente le gambe, ma sarebbe stata una tortura più sopportabile che non quella di averla accanto senza poterla avere.

Nell’ispezionare con lo sguardo la stanza, posò gli occhi su di lei e si accorse che era ancora in piedi, completamente avvolta dal mantello. Vide il volto pallido e le labbra bluastre e si rese conto che era quasi assiderata, eppure non aveva detto nulla. Preoccupato, scordò i buoni propositi di mantenere le distanze e si avvicinò, prendendole una mano tra le sue: era freddissima.

“Ma voi state tremando…” disse, spezzando il silenzio che si era creato tra loro ormai da giorni.

“Non è nulla… ho solo freddo…” rispose lei, ritraendo lentamente la mano. Era più facile tenere a bada le proprie emozioni se lui non la toccava.

“Venite qui” ordinò dolcemente lui, attirandola a sé. Le tolse il mantello e la giacca e lei lo lasciò fare. Poi la condusse davanti al fuoco scoppiettante e la strinse tra le braccia, per scaldarla anche con il calore del proprio corpo. Da principio lei rimase rigida, poi lentamente si rilassò e appoggiò il capo sulla sua spalla.

Era esausta per il freddo e la fatica. Ma a poco a poco il contatto con il corpo di lui la fece sentire meglio; il Conte aveva iniziato a frizionarle le braccia e la schiena, per riscaldarla, e le sue mani le stavano regalando sensazioni bellissime.

“Vi fa ancora male la ferita?” domandò lui, continuando quella dolce tortura.

“No…” rispose, ma poi aggiunse, “solo un poco…”

“Perché non mi avete chiesto prima di fermarmi? Avrei trovato un altro riparo per la notte”.

“Potevo continuare ancora, se fosse stato necessario…”

“No che non avreste potuto! Poco fa eravate quasi assiderata… Perché non avete detto nulla?”

Lei sollevò lo sguardo verso di lui e si perse in quegli occhi chiari che brillavano alla luce del fuoco.

“Credevo non voleste più parlarmi…” si decise a confessargli, con un mezzo sorriso.

Lui si rese conto che sarebbe arrivata al punto di stare male, pur di non contrariarlo e provò disgusto per se stesso: per non sapersi trattenere dal desiderarla, l’aveva quasi uccisa.

“Mi dispiace… non volevo darvi l’impressione di non volervi parlare…” le disse, mentre dolcemente le faceva scorrere un dito su una guancia, in una lenta carezza che voleva essere di conforto, ma che si rivelò diventare un’arma pericolosissima. Lei, inconsciamente, stava assecondando con il volto la sua mano e lui si sentì assalire di nuovo dalla voglia di averla. Quando poi sollevò il viso e lo guardò negli occhi, André fu perduto…

Si chinò sulle sue labbra, sfiorandogliele con brevi e rapidi tocchi delle proprie, in un dolcissimo invito a socchiuderle. Una mano scivolò tra i suoi capelli, cercando alla cieca il fermaglio che li tratteneva e, non appena lo ebbe trovato, lo aprì, lasciando che la cascata delle sue morbide onde gli nascondesse la mano che aveva iniziato ad accarezzarle la nuca. L’altra, invece, la stringeva alla vita, trattenendola il più possibile contro il proprio corpo eccitato. Quando comprese che lei non gli poneva ostacoli, gemette dal desiderio e s’impossessò della sua bocca con un bacio disperato.

Si lasciò guidare esclusivamente dall’istinto, dall’intenso desiderio che provava per lei e da tutte le sensazioni che stava assaporando nell’averla finalmente tra le braccia, dolce e arrendevole. Continuò a baciarla finché non sentì una sua mano sfiorargli il volto e l’altra accarezzargli lentamente, dolcemente le spalle; solo allora si rese conto che avrebbe perso rapidamente il controllo e si staccò dalle sue labbra per mormorarle:

“Fermatemi… Fermatemi ora, Sarah…” era una supplica disperata quella che le rivolse, perché sapeva che da solo non sarebbe riuscito a farlo.

Ma era troppo tardi anche per lei.

“Fermatemi, ve ne prego… altrimenti non sarò più in grado di farlo quando me lo chiederete…” mormorò di nuovo sulla sua bocca, prima di baciarla ancora.

E di nuovo lei rispose al bacio con tutta la passione che quell’uomo era riuscito a suscitarle.

“Non voglio fermarvi, Conte…” rispose con il fiato corto e il cuore che le batteva furioso nel petto.

Lui la guardò negli occhi: “André. Chiamami André, ti prego… voglio sentire il mio nome sulle tue labbra…”

“Non voglio fermarti, Andrè…” ripeté lei, accontentandolo. “Baciami… Baciami ancora…”.

Obbedì senza indugio alla sua richiesta, sopraffatto dall’intensità delle emozioni che stava provando, ma ancora incapace di credere che lei gli stesse concedendo libero accesso al proprio corpo.

 “Voglio fare l’amore con te, Sarah. Lo sai questo, vero? Ti desidero come non ho mai desiderato una donna in tutta la mia vita…”.

“Voglio che continui… voglio provare cosa significa essere posseduta dall’unico uomo che sia riuscito a risvegliare in me un desiderio tanto forte…”

“Non voglio possederti, Sarah. Io desidero fare l’amore con te. Lo desidero disperatamente” volle precisare lui. Poi aggiunse: “Sono innamorato di te da mesi, forse fin dalla prima volta che ti ho vista…” 

La sentì irrigidirsi per un attimo, a quelle parole.

“Cosa succede?” domandò.

“Nulla… ma non parlare d’amore.”

“Perché? Perché non devo farlo se è ciò che provo?”

“Perché io non ti amo” rispose decisa.

André sentì come una stilettata al cuore, ma non si fermò: proseguì ad accarezzarla dolcemente, lasciando che le sue labbra le sfiorassero la pelle sensibile del collo fino ad arrivare alla scollatura della camicia che lei indossava.

“Come non amavi Von Webb quando ti sei concessa a lui?”

A quelle parole fu lei a ricevere la stilettata al petto. Ma le sue mani continuavano a toccarla, slacciando ad uno ad uno i bottoni fino a sfilarle la camicia dalle spalle, lasciandola con solo la biancheria intima a coprirle il seno.

“L’ho fatto per un unico motivo…” ammise lei, col fiato corto per l’eccitazione. Non aveva mai provato nulla di simile con un uomo, prima di allora. Le poche volte che si era concessa a qualcuno era accaduto sempre per lo stesso motivo, perché aveva bisogno d’informazioni in cambio e non era riuscita ad evitarlo. Quella era l’unica volta in tutta la sua vita che stava per permettere ad un uomo di possederla solo perché voleva scoprire cosa si provava con qualcuno che le procurava sensazioni tanto appaganti semplicemente baciandola.

“E ti è piaciuto?” stava domandando lui, fermandosi per un attimo a guardarla negli occhi.

“Con Von Webb? No, neppure per un momento. Ho provato solo disgusto, così com’è sempre successo quando ho concesso ad un uomo il mio corpo…”

“Mi stai dicendo che non hai mai provato piacere nel fare l’amore?” domandò incredulo.

Lei annuì, incapace di capire cosa lo turbava tanto.

“Voi uomini siete esseri strani, avete bisogno di soddisfare il vostro corpo, lo so. Noi donne ve ne diamo la possibilità, tutto qui. L’amore non c’entra in tutto questo… si tratta semplicemente di un bisogno fisiologico e io concedo il mio corpo, che sembra destare tanto interesse tra voi maschi, solo quando mi serve farlo… Le informazioni che ne ricavo sono un giusto prezzo per sopportare il vostro corpo addosso e dentro al mio, non credete Conte?”

Egli la fissò in silenzio, profondamente scosso da quelle parole. Ora capiva meglio come la pensava e si domandava cosa l’avesse spinta a tanto. Quel discorso forniva anche una spiegazione al suo comportamento con Von Webb: per lei non aveva significato nulla, anzi, era stato un motivo in più per disprezzare gli uomini.

Eppure…

Eppure quel discorso, tanto cinico quanto convinto, contrastava con il modo in cui stava rispondendo ai suoi baci e alle sue carezze.

“Vi ho scandalizzato, Conte? E’ per questo che non rispondete? Vi avevo detto di non parlarmi d’amore…”

“Non mi avete scandalizzato, Sarah. Stavo semplicemente pensando… mi stavo chiedendo come mai, se per voi gli uomini sono solo mezzi per ottenere informazioni, avete deciso di concedere a me, proprio a me, il vostro corpo per soddisfare… com’è che li avete chiamati? Ah, sì! I miei bisogni fisiologici senza che in cambio io vi dia alcunché…”

“Ve l’ho detto: desidero provare ad essere posseduta da un uomo che mi suscita sensazioni piacevoli quando mi bacia”.

“Giusto… scordavo la questione. Però c’è un problema, Milady” disse il Conte, con aria divertita, senza smettere di stringerla a sé. “Vedete, Lady Sarah, io non desidero possedere il vostro corpo. Non solo quello, almeno.”

“Cosa volete d’altro?” domandò ingenuamente lei, senza capire ancora dove lui voleva andare a parare.

“Io voglio il vostro cuore” rispose André D’Harmòn, prima di sollevarle il viso e baciarla di nuovo. La baciò a lungo, intensamente, esigendo dalle sue labbra una risposta appassionata.

“E’ impossibile…” disse lei, quando finalmente la lasciò andare.

Lui osservò sul suo volto gli effetti del bacio che le aveva appena dato e sorrise.

“Vedremo…” sussurrò al suo orecchio, prima di inebriarsi delle sensazioni stupende che stava per regalare ad entrambi.

Lentamente la spogliò dei pantaloni che indossava e della biancheria, lasciando scorrere lo sguardo sul suo corpo: era stupenda! Aveva un seno rigoglioso e morbido, talmente invitante da farlo quasi star male, che risaltava sul suo corpo snello e le donava un aspetto sensuale e seducente. Mentre si appagava di quell’immagine meravigliosa, osservò anche con attenzione la sua reazione: la semplice passione che traspariva dai suoi occhi al solo guardarla, aveva suscitato in lei un’emozione intensa, che faticava a nascondere e André si rese conto che sarebbe stato più facile di quello che temeva conquistare il cuore di quella splendida donna.

Era perduta, e lo sapeva!

Nessuno l’aveva mai guardata a quel modo… nessuno l’aveva mai fatta sentire tanto bella. Nessun uomo, fino a quel momento, l’aveva mai spogliata completamente. Si erano accontentati di entrare in lei frettolosamente, sollevandole appena le vesti quel tanto che bastava per raggiungere lo scopo. Al limite le avevano scoperto il seno, per baciarglielo avidamente al solo fine di eccitarsi meglio.

Quando lui si tolse la camicia e la fece stendere sul tappeto davanti al fuoco, lei capì che non avrebbe più avuto scampo e che il suo cuore sarebbe appartenuto a lui per sempre. Era così bello da farle perdere la testa e l’intimità che stavano condividendo, pelle contro pelle, stava distruggendo lentamente le barriere con le quali aveva cercato disperatamente di difendersi.

“Sei stupenda…” mormorò André, mentre accarezzava con le labbra il suo seno, torturandola con insistenza. Lei non riuscì a resistere a quel dolce assedio e fece scorrere le mani sul suo torace muscoloso, assaporando sotto le dita il contatto con la sua pelle.

“Baciami… Ti prego, baciami anche tu…” la implorò, quando sentì le sue mani su di sé.

Sarah si lasciò guidare dal desiderio che provava per lui e per la prima volta sfiorò con le labbra il corpo di un uomo. Scoprì che le piaceva molto e proseguì con l’esplorazione, mentre lui continuava a toccarla…

Era quello fare l’amore?

Quel lasciarsi andare alle sensazioni, ricercandone di nuove in continuazione?

Quell’abbandonarsi con fiducia nelle mani di un uomo, permettendo al proprio corpo di plasmarsi fino a fondersi con il suo?

Quel desiderare intensamente di averlo dentro di sé, per raggiungere un piacere che solo lui avrebbe potuto darle e al tempo stesso volergli regalare le stesse emozioni?

Quel volere il contatto con la sua pelle, con le sue mani, con le sue labbra, senza riuscire a fare a meno di toccarlo, baciarlo e accarezzarlo?

Se tutto quello era fare l’amore, a Sarah piaceva tantissimo… ed era qualcosa di talmente intenso che non sapeva se sarebbe più riuscita a farne a meno, ora che lo aveva scoperto.

Si rese conto di volerlo dentro di sé e fu lei a slacciargli i pantaloni che ancora indossava; non appena se li fu tolti, André si abbandonò completamente all’istinto e la trascinò sopra di sé, perché voleva regalarle la sensazione di essere lei a possederlo.

Quando comprese la sua intenzione, a Sarah vennero quasi le lacrime agli occhi… se quell’uomo non l’avesse già conquistata da tempo, l’avrebbe amato solo per quello.

Assecondando il suo volere, si regalò per la prima volta un piacere che non aveva mai sperimentato, un piacere che la fece sentire intimamente donna. Quindi si lasciò possedere da lui, abbandonandosi alla sua passione e al suo desiderio di averla…

E mentre André la stava amando con tutto se stesso, ottenne ciò che desiderava di più: nell’attimo in cui lei gli sussurrò “Ti amo”, ottenne finalmente il suo cuore.

 


  
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