Capitolo XXV
Immersi nel bianco
Da
tre giorni stavano cavalcando
ininterrottamente, fermandosi solo per cambiare i cavalli, per mangiare
e per
dormire. La notte precedente l’avevano trascorsa in una locanda poco
fuori
Innsbruck: avevano cenato in una saletta privata che il Conte aveva
richiesto
appositamente per loro e poi si erano ritirati nelle rispettive camere.
Quella
mattina, prima dell’alba, erano ripartiti, diretti verso le montagne.
Il
Conte D’Harmòn le aveva detto che da quel
punto in poi avrebbero faticato parecchio e ci sarebbero voluti giorni
prima
che potessero fermarsi nuovamente in una locanda, al di là delle Alpi.
Per
questo motivo aveva fatto scorta di cibo e liquori, prima di partire:
dovevano
affrontare il freddo e la neve e non era certo di riuscire sempre a
trovarle un
riparo per la notte.
Lady
Sarah gli aveva risposto che non avrebbe
dovuto preoccuparsi per lei, che ce l’avrebbe fatta, ma ora, dopo una
giornata
al freddo e sotto la neve, cominciava a dubitare della sua resistenza.
Si sentiva
congelata, nonostante il pesante mantello che l’avvolgeva, e anche
molto
stanca. La ferita le faceva ancora un po’ male, ma era certa che se
avessero
potuto fermarsi per qualche giorno a riposare, si sarebbe sentita
meglio.
Era
esausta. Nonostante l’allenamento costante
e il suo fisico sportivo, non aveva mai affrontato tanto a lungo
temperature
così rigide ed estenuanti ore a cavallo. Una cosa era galoppare ogni
giorno per
un paio d’ore al massimo nei boschi o attraverso i prati, altra cosa
era stare
in sella per tre giorni di seguito, fermandosi solo per poche ore la
notte,
sotto il freddo polare dell’inverno sulle Alpi.
Nonostante
tutto si guardò attorno, affascinata
dal paesaggio che le si presentava davanti agli occhi.
Le
Dolomiti innevate erano uno spettacolo da
mozzare il fiato: attorno a loro solo silenzio, interrotto
esclusivamente dal
fruscio della neve che cadeva ogni tanto da qualche albero; neanche il
rumore
degli zoccoli, poiché i cavalli non calpestavano il terreno, ma
affondavano
nella coltre bianca che ricopriva ogni cosa.
Durante
la mattinata una bufera di neve li
aveva accompagnati per diverse ore, ma finalmente nel primo pomeriggio
era
riapparso il sole. Non era servito granché a scaldarli, tuttavia aveva
regalato
un paesaggio da fiaba. Anche in quel momento, mentre stava calando la
sera,
sembrava di essere in un mondo incantato e lei si era innamorata
rapidamente
delle montagne del Tirolo.
Lady
Sarah non aveva paura. Da quando aveva
affrontato Von Webb ed era uscita viva grazie all’intervento di André
D’Harmòn,
si era affidata completamente a lui, docile come non era mai stata. In
quei tre
giorni avevano parlato poco e lei non riusciva a spiegarsi l’umore del
Conte:
era molto premuroso con lei, ma si manteneva sulle sue. Non aveva più
scherzato, non l’aveva più guardata come lo aveva sorpreso fare il
primo
giorno, dopo che le aveva medicato la ferita.
Ogni
volta che ripensava a quel momento,
all’attimo in cui aveva ripreso conoscenza e lo aveva visto chino su di
sé, con
lo sguardo offuscato e le sue mani che le sfioravano la pelle in zone
sensibilissime, si scopriva a desiderare spasmodicamente che quelle
mani la
toccassero ancora.
Eppure
non era proprio lei la donna che si era
imposta di non innamorarsi mai? Di non cedere alla passione? Di non
regalare il
suo cuore ad un uomo?
Ma
André D’Harmòn era un’altra cosa. Lui era
come il frutto proibito, che attraeva irresistibilmente a sé. E ora,
che
sembrava più distante, era ancora più irresistibile…
“Ci
fermeremo qui per la notte” la sua voce le
giunse improvvisa e la riscosse da pensieri troppo pericolosi per il
suo cuore.
Si
guardò attorno e notò che lui aveva
individuato un piccolo chalet immerso nel bianco. Lo seguì sul retro
della
costruzione in legno, osservando che aveva trovato l’entrata per una
stalla,
ormai disabitata da tempo, probabilmente dall’estate precedente, ma
dove vi era
ancora del fieno per nutrire gli animali. Fecero entrare i cavalli e
poi si
diressero all’ingresso principale.
Con
un calcio ben assestato, André aprì la
porta ed entrò in un locale ampio: al centro di una parete c’era un
camino e
dal lato opposto una scala in legno appoggiata ad una specie di
soppalco,
probabilmente l’unico letto del rifugio. Di fronte al camino c’era un
vecchio
divano e davanti ad esso un folto tappeto. Alle spalle del divano si
trovava un
piccolo tavolo con due sedie.
Non
era granché come luogo, ma a Lady Sarah
sembrò il paradiso su questa terra, tanto era stanca e infreddolita.
Rapidamente
il Conte accese un fuoco con la
legna accatastata che trovò in un angolo e poi legò con una robusta
corda la
porta che aveva scardinato, affinché non si aprisse. Lady Sarah lo
osservava in
silenzio svolgere quei compiti: si era tolto il pesante mantello che lo
copriva
e ora si stava togliendo anche la giacca. A quanto pareva il movimento
lo aveva
riscaldato alla svelta, mentre lei non riusciva ancora a muoversi per
il
freddo, nonostante il tepore del fuoco.
Anche
lui la osservava di sottecchi. Erano
giorni che la osservava, che non si perdeva nulla di quella donna. Si
limitava
ad osservarla, perché se si fosse abbandonato al suo istinto, non
sarebbe stato
in grado di controllarsi. Proprio per quel motivo, dalla prima notte
trascorsa
in camera con lei a vegliarla, per le altre due notti
aveva richiesto due camere separate,
altrimenti non sarebbe più riuscito a dormire. Già così aveva faticato
parecchio a prendere sonno sapendola distante solo pochi passi,
nonostante il
viaggio avesse stancato anche lui.
Continuava
a meravigliarsi della resistenza di
Lady Sarah: in tre giorni non l’aveva sentita lamentarsi una sola
volta. Eppure
sapeva che doveva essere parecchio stanca e infreddolita. Probabilmente
aveva
anche male al braccio, ma mai una volta lo aveva pregato di fermarsi.
Obbediva
docile e sottomessa ad ogni suo ordine ed egli si stava domandando se
per caso
l’aver visto la morte in faccia con Von Webb non l’avesse traumatizzata
eccessivamente.
Avrebbe
voluto parlarle; desiderava
spasmodicamente stringerla a sé, come durante le prime ore della loro
fuga,
quando erano in sella allo stesso cavallo: in quel momento l’aveva
sentita
completamente sua. Ma aveva paura a farlo. Qualunque gesto, qualunque
parola,
l’avrebbe condotto inesorabilmente verso di lei, e lui non sapeva come
fare per
trattenersi dal baciarla, se non come stava facendo, ossia quasi
ignorandola.
E
quella notte si sarebbe presentato anche il
problema del letto: era impensabile che potessero dormire assieme in
quell’unico giaciglio lassù! La sola idea di averla tanto vicina, con
il corpo
illuminato dalle stelle che si vedevano attraverso la piccola finestra
al
soffitto, lo faceva impazzire. Non sarebbe riuscito a resistere senza
toccarla.
Guardò il divano di fronte al camino con aria desolata: mancavano come
minimo
una ventina di centimetri perché potesse riuscire ad allungare
completamente le
gambe, ma sarebbe stata una tortura più sopportabile che non quella di
averla
accanto senza poterla avere.
Nell’ispezionare
con lo sguardo la stanza, posò
gli occhi su di lei e si accorse che era ancora in piedi, completamente
avvolta
dal mantello. Vide il volto pallido e le labbra bluastre e si rese
conto che
era quasi assiderata, eppure non aveva detto nulla. Preoccupato, scordò
i buoni
propositi di mantenere le distanze e si avvicinò, prendendole una mano
tra le
sue: era freddissima.
“Ma
voi state tremando…” disse, spezzando il
silenzio che si era creato tra loro ormai da giorni.
“Non
è nulla… ho solo freddo…” rispose lei,
ritraendo lentamente la mano. Era più facile tenere a bada le proprie
emozioni
se lui non la toccava.
“Venite
qui” ordinò dolcemente lui, attirandola
a sé. Le tolse il mantello e la giacca e lei lo lasciò fare. Poi la
condusse
davanti al fuoco scoppiettante e la strinse tra le braccia, per
scaldarla anche
con il calore del proprio corpo. Da principio lei rimase rigida, poi
lentamente
si rilassò e appoggiò il capo sulla sua spalla.
Era
esausta per il freddo e la fatica. Ma a
poco a poco il contatto con il corpo di lui la fece sentire meglio; il
Conte
aveva iniziato a frizionarle le braccia e la schiena, per riscaldarla,
e le sue
mani le stavano regalando sensazioni bellissime.
“Vi
fa ancora male la ferita?” domandò lui,
continuando quella dolce tortura.
“No…”
rispose, ma poi aggiunse, “solo un poco…”
“Perché
non mi avete chiesto prima di fermarmi?
Avrei trovato un altro riparo per la notte”.
“Potevo
continuare ancora, se fosse stato
necessario…”
“No
che non avreste potuto! Poco fa eravate
quasi assiderata… Perché non avete detto nulla?”
Lei
sollevò lo sguardo verso di lui e si perse
in quegli occhi chiari che brillavano alla luce del fuoco.
“Credevo
non voleste più parlarmi…” si decise a
confessargli, con un mezzo sorriso.
Lui
si rese conto che sarebbe arrivata al punto
di stare male, pur di non contrariarlo e provò disgusto per se stesso:
per non
sapersi trattenere dal desiderarla, l’aveva quasi uccisa.
“Mi
dispiace… non volevo darvi l’impressione di
non volervi parlare…” le disse, mentre dolcemente le faceva scorrere un
dito su
una guancia, in una lenta carezza che voleva essere di conforto, ma che
si
rivelò diventare un’arma pericolosissima. Lei, inconsciamente, stava
assecondando con il volto la sua mano e lui si sentì assalire di nuovo
dalla
voglia di averla. Quando poi sollevò il viso e lo guardò negli occhi,
André fu
perduto…
Si
chinò sulle sue labbra, sfiorandogliele con
brevi e rapidi tocchi delle proprie, in un dolcissimo invito a
socchiuderle.
Una mano scivolò tra i suoi capelli, cercando alla cieca il fermaglio
che li
tratteneva e, non appena lo ebbe trovato, lo aprì, lasciando che la
cascata
delle sue morbide onde gli nascondesse la mano che aveva iniziato ad
accarezzarle la nuca. L’altra, invece, la stringeva alla vita,
trattenendola il
più possibile contro il proprio corpo eccitato. Quando comprese che lei
non gli
poneva ostacoli, gemette dal desiderio e s’impossessò della sua bocca
con un
bacio disperato.
Si
lasciò guidare esclusivamente dall’istinto,
dall’intenso desiderio che provava per lei e da tutte le sensazioni che
stava assaporando
nell’averla finalmente tra le braccia, dolce e arrendevole. Continuò a
baciarla
finché non sentì una sua mano sfiorargli il volto e l’altra
accarezzargli
lentamente, dolcemente le spalle; solo allora si rese conto che avrebbe
perso
rapidamente il controllo e si staccò dalle sue labbra per mormorarle:
“Fermatemi…
Fermatemi ora, Sarah…” era una
supplica disperata quella che le rivolse, perché sapeva che da solo non
sarebbe
riuscito a farlo.
Ma
era troppo tardi anche per lei.
“Fermatemi,
ve ne prego… altrimenti non sarò
più in grado di farlo quando me lo chiederete…” mormorò di nuovo sulla
sua
bocca, prima di baciarla ancora.
E
di nuovo lei rispose al bacio con tutta la
passione che quell’uomo era riuscito a suscitarle.
“Non
voglio fermarvi, Conte…” rispose con il
fiato corto e il cuore che le batteva furioso nel petto.
Lui
la guardò negli occhi: “André. Chiamami
André, ti prego… voglio sentire il mio nome sulle tue labbra…”
“Non
voglio fermarti, Andrè…” ripeté lei,
accontentandolo. “Baciami… Baciami ancora…”.
Obbedì
senza indugio alla sua richiesta,
sopraffatto dall’intensità delle emozioni che stava provando, ma ancora
incapace
di credere che lei gli stesse concedendo libero accesso al proprio
corpo.
“Voglio
fare l’amore con te, Sarah. Lo sai questo, vero? Ti desidero come non
ho mai
desiderato una donna in tutta la mia vita…”.
“Voglio
che continui… voglio provare cosa
significa essere posseduta dall’unico uomo che sia riuscito a
risvegliare in me
un desiderio tanto forte…”
“Non
voglio possederti, Sarah. Io desidero fare
l’amore con te. Lo desidero disperatamente” volle precisare lui. Poi
aggiunse:
“Sono innamorato di te da mesi, forse fin dalla prima volta che ti ho
vista…”
La
sentì irrigidirsi per un attimo, a quelle
parole.
“Cosa
succede?” domandò.
“Nulla…
ma non parlare d’amore.”
“Perché?
Perché non devo farlo se è ciò che
provo?”
“Perché
io non ti amo” rispose decisa.
André
sentì come una stilettata al cuore, ma
non si fermò: proseguì ad accarezzarla dolcemente, lasciando che le sue
labbra
le sfiorassero la pelle sensibile del collo fino ad arrivare alla
scollatura
della camicia che lei indossava.
“Come
non amavi Von Webb quando ti sei concessa
a lui?”
A
quelle parole fu lei a ricevere la stilettata
al petto. Ma le sue mani continuavano a toccarla, slacciando ad uno ad
uno i
bottoni fino a sfilarle la camicia dalle spalle, lasciandola con solo
la
biancheria intima a coprirle il seno.
“L’ho
fatto per un unico motivo…” ammise lei,
col fiato corto per l’eccitazione. Non aveva mai provato nulla di
simile con un
uomo, prima di allora. Le poche volte che si era concessa a qualcuno
era
accaduto sempre per lo stesso motivo, perché aveva bisogno
d’informazioni in
cambio e non era riuscita ad evitarlo. Quella era l’unica volta in
tutta la sua
vita che stava per permettere ad un uomo di possederla solo perché
voleva
scoprire cosa si provava con qualcuno che le procurava sensazioni tanto
appaganti semplicemente baciandola.
“E
ti è piaciuto?” stava domandando lui,
fermandosi per un attimo a guardarla negli occhi.
“Con
Von Webb? No, neppure per un momento. Ho
provato solo disgusto, così com’è sempre successo quando ho concesso ad
un uomo
il mio corpo…”
“Mi
stai dicendo che non hai mai provato piacere
nel fare l’amore?” domandò incredulo.
Lei
annuì, incapace di capire cosa lo turbava
tanto.
“Voi
uomini siete esseri strani, avete bisogno
di soddisfare il vostro corpo, lo so. Noi donne ve ne diamo la
possibilità,
tutto qui. L’amore non c’entra in tutto questo… si tratta semplicemente
di un
bisogno fisiologico e io concedo il mio corpo, che sembra destare tanto
interesse
tra voi maschi, solo quando mi serve farlo… Le informazioni che ne
ricavo sono
un giusto prezzo per sopportare il vostro corpo addosso e dentro al
mio, non
credete Conte?”
Egli
la fissò in silenzio, profondamente scosso
da quelle parole. Ora capiva meglio come la pensava e si domandava cosa
l’avesse spinta a tanto. Quel discorso forniva anche una spiegazione al
suo
comportamento con Von Webb: per lei non aveva significato nulla, anzi,
era
stato un motivo in più per disprezzare gli uomini.
Eppure…
Eppure
quel discorso, tanto cinico quanto
convinto, contrastava con il modo in cui stava rispondendo ai suoi baci
e alle
sue carezze.
“Vi
ho scandalizzato, Conte? E’ per questo che
non rispondete? Vi avevo detto di non parlarmi d’amore…”
“Non
mi avete scandalizzato, Sarah. Stavo
semplicemente pensando… mi stavo chiedendo come mai, se per voi gli
uomini sono
solo mezzi per ottenere informazioni, avete deciso di concedere a me,
proprio a
me, il vostro corpo per soddisfare… com’è che li avete chiamati? Ah,
sì! I miei
bisogni fisiologici senza che in cambio io vi dia alcunché…”
“Ve
l’ho detto: desidero provare ad essere
posseduta da un uomo che mi suscita sensazioni piacevoli quando mi
bacia”.
“Giusto…
scordavo la questione. Però c’è un
problema, Milady” disse il Conte, con aria divertita, senza smettere di
stringerla a sé. “Vedete, Lady Sarah, io non desidero possedere il
vostro
corpo. Non solo quello, almeno.”
“Cosa
volete d’altro?” domandò ingenuamente
lei, senza capire ancora dove lui voleva andare a parare.
“Io
voglio il vostro cuore” rispose André
D’Harmòn, prima di sollevarle il viso e baciarla di nuovo. La baciò a
lungo,
intensamente, esigendo dalle sue labbra una risposta appassionata.
“E’
impossibile…” disse lei, quando finalmente
la lasciò andare.
Lui
osservò sul suo volto gli effetti del bacio
che le aveva appena dato e sorrise.
“Vedremo…”
sussurrò al suo orecchio, prima di
inebriarsi delle sensazioni stupende che stava per regalare ad
entrambi.
Lentamente
la spogliò dei pantaloni che
indossava e della biancheria, lasciando scorrere lo sguardo sul suo
corpo: era
stupenda! Aveva un seno rigoglioso e morbido, talmente invitante da
farlo quasi
star male, che risaltava sul suo corpo snello e le donava un aspetto
sensuale e
seducente. Mentre si appagava di quell’immagine meravigliosa, osservò
anche con
attenzione la sua reazione: la semplice passione che traspariva dai
suoi occhi
al solo guardarla, aveva suscitato in lei un’emozione intensa, che
faticava a
nascondere e André si rese conto che sarebbe stato più facile di quello
che
temeva conquistare il cuore di quella splendida donna.
Era
perduta, e lo sapeva!
Nessuno
l’aveva mai guardata a quel modo…
nessuno l’aveva mai fatta sentire tanto bella. Nessun uomo, fino a quel
momento, l’aveva mai spogliata completamente. Si erano accontentati di
entrare
in lei frettolosamente, sollevandole appena le vesti quel tanto che
bastava per
raggiungere lo scopo. Al limite le avevano scoperto il seno, per
baciarglielo
avidamente al solo fine di eccitarsi meglio.
Quando
lui si tolse la camicia e la fece
stendere sul tappeto davanti al fuoco, lei capì che non avrebbe più
avuto scampo
e che il suo cuore sarebbe appartenuto a lui per sempre. Era così bello
da
farle perdere la testa e l’intimità che stavano condividendo, pelle
contro
pelle, stava distruggendo lentamente le barriere con le quali aveva
cercato
disperatamente di difendersi.
“Sei
stupenda…” mormorò André, mentre accarezzava
con le labbra il suo seno, torturandola
con
insistenza. Lei non riuscì a resistere a quel dolce assedio e fece
scorrere le
mani sul suo torace muscoloso, assaporando sotto le dita il contatto
con la sua
pelle.
“Baciami…
Ti prego, baciami anche tu…” la
implorò, quando sentì le sue mani su di sé.
Sarah
si lasciò guidare dal desiderio che
provava per lui e per la prima volta sfiorò con le labbra il corpo di
un uomo.
Scoprì che le piaceva molto e proseguì con l’esplorazione, mentre lui
continuava a toccarla…
Era
quello fare l’amore?
Quel
lasciarsi andare alle sensazioni,
ricercandone di nuove in continuazione?
Quell’abbandonarsi
con fiducia nelle mani di un
uomo, permettendo al proprio corpo di plasmarsi fino a fondersi con il
suo?
Quel
desiderare intensamente di averlo dentro
di sé, per raggiungere un piacere che solo lui avrebbe potuto darle e
al tempo
stesso volergli regalare le stesse emozioni?
Quel
volere il contatto con la sua pelle, con
le sue mani, con le sue labbra, senza riuscire a fare a meno di
toccarlo,
baciarlo e accarezzarlo?
Se
tutto quello era fare l’amore, a Sarah
piaceva tantissimo… ed era qualcosa di talmente intenso che non sapeva
se
sarebbe più riuscita a farne a meno, ora che lo aveva scoperto.
Si
rese conto di volerlo dentro di sé e fu lei
a slacciargli i pantaloni che ancora indossava; non appena se li fu
tolti,
André si abbandonò completamente all’istinto e la trascinò sopra di sé,
perché
voleva regalarle la sensazione di essere lei a possederlo.
Quando
comprese la sua intenzione, a Sarah
vennero quasi le lacrime agli occhi… se quell’uomo non l’avesse già
conquistata
da tempo, l’avrebbe amato solo per quello.
Assecondando
il suo volere, si regalò per la
prima volta un piacere che non aveva mai sperimentato, un piacere che
la fece
sentire intimamente donna. Quindi si lasciò possedere da lui,
abbandonandosi
alla sua passione e al suo desiderio di averla…
E
mentre André la stava amando con tutto se
stesso, ottenne ciò che desiderava di più: nell’attimo in cui lei gli
sussurrò
“Ti amo”,
ottenne finalmente il suo cuore.