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Autore: Iurin    10/06/2012    9 recensioni
«Chi credi che siano?» chiese. «Non sono di Hogwarts, vero?»
«Mi sa che vengono da una scuola straniera» disse Ron. «So che ce ne sono altre, ma non ho mai conosciuto nessuno che ne frequenti una. Bill aveva un amico di penna di una scuola in Brasile... è stato tanti anni fa... e voleva fare un viaggio-scambio, ma mamma e papà non potevano permetterselo. Quando gli ha fatto sapere che non poteva andare, il suo amico di penna si è offeso molto e gli ha mandato un cappello stregato. Gli ha accartocciato le orecchie».
(Harry Potter e il Calice di Fuoco - pag. 77)

Storia partecipante al Missing Moment Quest! Volete sapere di che si tratta? Entrate pure, allora!
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Arthur Weasley, Bill Weasley, Molly Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Questa storia, ragazzi, partecipa al Missing Moment Quest!
Vi chiederete: cos'è il Missin Moment Quest?
Ebbene, un gruppo di autori di EFP (me compresa, ovviamente xD) ha deciso di scrivere riguardo alcuni avvenimenti, accaduti all'interno della saga, ma che la Rowling non ha approfondito. Dei missing moment, in sostanza. Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo fatto una lista con vari missing moment, e poi, tirando a sorte, ad ognuno di noi è toccato il piacevole compito di scrivere riguardo uno di essi! :D
Chi siamo? A parte me, giustamente, parliamo di
Charme, ferao, Elos, MedusaNoir, Laelia e dierrevi! ...Che sono tutti più bravi di me, è ovvio, perciò - su, su! - filate a leggere anche il loro missing moment xD
Allora vi lascio con questa one-shot, gente, e... beh, buona lettura! ;)
Ciao, nì!







Bill e il Cappello Arriccia-Orecchie
 

«Chi credi che siano?» chiese. «Non sono di Hogwarts, vero?»
«Mi sa che vengono da una scuola straniera» disse Ron. «So che ce
ne sono altre, ma non ho mai conosciuto nessuno che ne frequenti una.
Bill aveva un amico di penna di una scuola in Brasile... è stato
tanti anni fa... e voleva fare un viaggio-scambio, ma mamma e papà
non potevano permetterselo. Quando gli ha fatto sapere che non poteva
andare, il suo amico di penna si è offeso molto e gli ha mandato un
cappello stregato. Gli ha accartocciato le orecchie».
(Harry Potter e  il Calice di Fuoco - pag. 77)



“George, che hai messo nella minestra di Ron?”
“Ehi! Ma...?!”
“Ginny, fatti un po’ gli affari tuoi!”
“George, sei cattivo!”
“Sì, come no! Ingordo come sei ti saresti mangiato pure un piatto di vermi!”
“Non voglio sentir parlare di queste cose a tavola!”
Era ora di pranzo, alla Tana, e, ovviamente, tutti i Weasley erano riuniti attorno alla grande tavolata. E ovviamente ognuno era indaffarato a mettere in pratica il proprio… hobby preferito: per esempio, Fred e George stavano cercando di mettere qualcosa di indeterminato – e che per fortuna rimase tale – nel piatto di Ron, mentre quest’ultimo si stava praticamente ingozzando di cibo.
Come se non mangiasse da dieci mesi.
Bill alzò appena gli occhi al cielo, guardando la suddetta scena, prima di riabbassare la testa sul proprio piatto.
“Bill, caro, prima che finiscano le vacanze di Pasqua e che tu torni a scuola, voglio tagliarti un po’ quei capelli; stanno diventando un po’ troppo lunghi, per i miei gusti.”
Bill fece una leggera e praticamente invisibile smorfia.
Ma non per i miei.
“Va bene, mamma.”
Molly Weasley sorrise soddisfatta, forse, a detta dello stesso Bill, pregustando già il momento in cui avrebbe dato una netta sforbiciata a ‘quella zazzera che il figlio si ritrovava in testa’.
Chissà che avrebbe detto, allora, se Bill le avesse rivelato di volersi fare un orecchino. Insomma, ne aveva visti alcuni a forma di zanne, o di zampe di scimmia, che erano davvero ganzi!
Diamine, ho quindici anni, non due!

“Cos’è quel coso?” Esclamò improvvisamente Ron, interrompendo il breve – quasi inesistente, in effetti – silenzio che si era creato.
Bill alzò subito la testa dal proprio piatto puntando gli occhi verso i gemelli, immaginando già che fossero riusciti a mettere finalmente qualcosa di schifoso nel piatto del fratello, mentre in realtà, quando li guardò, vide che tutti gli sguardi erano puntati verso la finestra. Anche Bill si girò, allora, notando così un grosso tucano tutto colorato – così come doveva essere – appollaiato sul davanzale della loro finestra.
“E’ per me!” Esclamò proprio Bill, slegando la pergamena dalla zampa del tucano e portando quest’ultimo dentro la cucina, mettendolo al suo posto alla tavolata a offrendogli una fetta di pane.
Insomma, viene dal Brasile, mica da oltre la collina.
“Figliolo, dovresti darti una calmata, con tutte queste lettere.” Disse proprio in quel momento Arthur Wealsey “Un tucano in Inghilterra non passa molto inosservato…”
“Papà, non è colpa mia se lì usano questi, al posto dei gufi.”
“Dico solo che secondo l’Ufficio per la Cooperazione Magica Interna…”
“Sì, sì, sì, io vado un attimo in camera a leggere! Dieci minuti e torno!”
E Bill, schizzò su per le scale, proprio mentre qualcuno borbottava, forse, un flebile ‘sì, come no, dieci minuti’.
Ma Bill non vi fece troppo caso, chiudendosi poi subito in camera e srotolando la pergamena, seduto di già sul proprio letto.

Caro Bill,
come stai? Como està andando nella tua fredda Inghilterra? Piove ancora, sì? Ahah, aqui c’è un sole che sembra la tua estate, di sicuro! Infatti qua da me si è concluso o Carnaval, da un po’, e penso tu possa ver da te che non si indossano né maglioni e né cappelli!

Allegata alla lettera, infatti, c’era una fotografia che Bill all’inizio non aveva neanche notato, ma quando la guardò vi vide una ragazza, Brasiliana senza alcun dubbio, che si muoveva indossando uno dei costumi tipici del loro carnevale. Ridacchiò, pensando che Enrique fosse il solito ragazzino.
Però mise comunque la foto nel cassetto del proprio comodino.

Ma comunque parliamo di cose altrettanto importantes: sono stra- stra- stra- stra- stra-felice que tu possa venire qui da me, quest’estate!! Finalmente la smetteremo di sprecare tutto questo inchiostro e queste pergamene e potremo parlarci por voz!! Non vedo davvero l’ora, caralho!!

Piccolo problema: anche Bill non vedeva l’ora di andare in Brasile a trovare per la prima volta Enrique, il suo amico di penna; difatti aveva detto nella sua ultima lettera che non sarebbe mancato all’appuntamento, scatenando, a quanto pareva, le gioie del suo amico. Solo che… Ancora Bill non aveva avuto una vera e propria conferma dai suoi vecchi. In effetti non è che gliel’avesse proprio ancora… detto.
…Neanche accennato, a dire il vero.
Bill sbuffò.
Vabbè, che sarà mai, un viaggio in Brasile… Per andare a Hogwarts dobbiamo allontanarci per miglia e miglia e miglia ogni anno. Sarà praticamente la stessa cosa!
Più o meno, comunque.
Bill finì di leggere le ultime righe della lettera, in ogni caso, e iniziò da subito a pensare ad una plausibile risposta. Ma no, ci avrebbe pensato di lì a qualche giorno, quando sarebbe tornato ad Hogwarts, e lì avrebbe utilizzato un gufo della scuola, non di certo Errol! Se l’avesse affidata a lui, la lettera, sarebbe arrivata in Brasile dopo mesi e mesi.
Sempre che ci fosse arrivato, in Brasile.
Decise, allora, di posare sul comodino la lettera di Enrique, e di cominciare a pensare a qualcosa di nettamente più importante: come faceva a dire ai suoi che ad appena quindici anni voleva andarsene per diversi giorni dall’altra parte del mondo?
Oh, non sono mica un bambino.
Dopo qualche minuto tornò in sala da pranzo, e non si stupì affatto di scoprire che gli altri stavano appena finendo di mangiare il polpettone.
“Allora? Che ti ha scritto il tuo amico?” Chiese subito Molly.
Bill fece spallucce. “Uhm, niente.” Rispose, mentre faceva volare via dalla finestra il tucano.
Tanto alla lettera ci avrebbe pensato poi.
“Secondo me stanno tramando qualcosa di losco.”
“Non mi chiamo George, fratello.” Rispose nuovamente Bill, con un sorriso tirato, sedendosi a tavola e servendosi di un piatto di patate arrosto.
“Peggio per te!”

“Ah, no, non è proprio caso.” Disse alla fine Molly.
Era stata questa, la prima risposta di sua madre, quando Bill, finito il pranzo e sparecchiata la tavola, aveva preso coraggio ed aveva parlato con i suoi genitori dell’invito che già da tempo gli aveva fatto Enrique.
“Ma… Ma come no?!” Esclamò  Bill, entrando un pochino nel panico.
“Beh, tua madre ha ragione.” Fece allora Arthur “Sai com’è, il Brasile non è proprio dietro l’angolo, e tu hai solo quindici anni. Come ci arriveresti? Con quel… quell’aripleno, che…”
“Io non ho solo quindici anni!” Esclamò però Bill, interrompendo il discorso del padre, ma non appena guardò la faccia della madre, invece, abbassò un po’ il tono di voce “Sì, ok, ho quindici anni, ma sono… maturo, per la mia età! Sono un prefetto, ho il massimo praticamente in tutte le materie…”
“Dov’è il Brasile?” Chiese d’improvviso Ron, seduto al tavolo del salotto, alzando la testa dal proprio album da disegno, ma nessuno gli rispose, per il momento.
“Mi prendete sempre come esempio.” Continuò Bill “E… E mi taglierò i capelli, ok?”
Molly fece un mezzo sorriso, ma Ron si intromise di nuovo:
“Ma è lontano questo Brasile? Ed è dove vive quell’uccello colorato?”
Lo sguardo della signora Weasley si posò sul figlio più piccolo.
“Sì, amore, si chiama tucano, e sì: è davvero troppo, troppo lontano.”
“Ron!” Lo rimproverò Bill per aver distratto la madre persino dalla sua promessa di farsi tagliare i capelli “Pensa ai fatti tuoi!”
Il diretto interessato guardò il fratello con sguardo perso.
“Bill, suvvia, Ron non ti ha fatto niente.” Disse Arthur, girando una pagina del giornale mentre comunque guardava tutta la scena.
Bill sbuffò.
Non stava andando bene per niente.
A quel punto non rimaneva che mettere tutte le carte in tavola.
“Per favore! Ho già detto ad Enrique che ci sarei andato!”
“Potevi prima chiedercelo, no? Ma poi per quando hai detto che ti avrebbe invitato?”
Bill guardò la madre con la fiammella di una flebile speranza ancora accesa.
“Quest’estate…”
“Dopo i G.U.F.O., mi auguro!”
“Sì! Cioè… Sì!” Bill rispose raggiante.
Forse lei aveva semplicemente cambiato idea.
“Ma da solo non puoi certo andare… Arthur, e se andassimo noi, con lui?”
Che cosa?
“E come facciamo?” Chiese allora Arthur “I ragazzi…”
“Potremmo portare anche loro. Certo, si dovrebbe trovare una sistemazione piuttosto economica, ma informarsi non costa nulla…”
“No, no, no, fermi.” Disse allora Bill, bloccando ogni ipotetico tentativo di organizzazione “Voi non… cioè… Enrique ha invitato me, e poi… poi non… andiamo, Fred e George!”
“Sono sempre tuoi fratelli!”
“Sì, ma sono Fred e George!”
Perché era tanto difficile da capire?! Voleva andarci da solo, non con il fiato di altre otto persone sul collo! Non era più un bambino di dieci anni.
“Beh, non si può, così…” Provò a dire Bill.
“E allora niente, Bill, mi dispiace.”
“Ma se solo tu pensassi che…”
“William.” Lo apostrofò Molly, e con quella singola parola il discorso venne praticamente chiuso.
Accidenti, accidenti, accidenti. Per tutti i Troll.
Bill sbuffò ancora, e si girò per andarsene in camera sua, cominciando a salire le scale piuttosto velocemente, e pestando i piedi.
“E comunque non è giusto!” Gridò Bill all’aria, affinché lo sentissero anche quelli al piano inferiore.
E poi sbatté sonoramente la porta della propria stanza.
E ora cosa dico a Enrique?

Bill aveva ovviamente dovuto rispondere alla lettera di Enrique, una volta tornato ad Hogwarts, e dovette pensarci fin troppo, alle parole giuste da utilizzare. Stranamente, ogni frase che gli veniva in mente sembrava voler far passare lo stesso Bill come un perfetto idiota. Come poteva dirgli di non poter più andare a trovarlo? Poteva inventarsi una qualche scusa… Dire però di aver da fare per tutti i tre mesi estivi risultava un po’… forzato. E far ricadere tutta la colpa sui propri genitori, dopotutto, non gli sembrava proprio il caso. Allora decise, alla fine, che la cosa migliore da fare sarebbe stata, semplicemente, raccontare la verità. Sì, molto probabilmente ci avrebbe messo delle ore, a scrivere, per non passare da imbecille.
D’altronde dover dire, in sintesi, di non poter partire perché ‘aveva omesso di chiederlo ai suoi dandolo per scontato, per poi scoprire che in realtà così non era’… non era una gran lode di se stesso.
Ma non poteva fare altrimenti, così, armandosi di pazienza, umiltà e tanta sincerità, iniziò a scrivere.
E poi… Suvvia! Non era  la sincerità e la verità, la cosa più apprezzata? Sì, Enrique se la prenderà un po’, ma non sarà così terribile. Non dopo un po’, almeno. E magari l’anno prossimo potrò anche andarci, in Brasile.
Quell’ultima supposizione sarebbe stata meglio inserirla nella sua lettera, enfatizzando anche il concetto a lei annesso. Almeno creava una sorta di… aura di speranza, no?
Vabbè.

Circa un tre settimane dopo che Bill ebbe inviato la sua lettera di spiegazioni e di scuse, Enrique gli inviò a sua volta una risposta. Quando Bill vide il tucano beccare piano alle finestre del suo dormitorio, ne fu davvero felice. Ciò voleva dire che Enrique, allora, non se l’era presa così tanto! Altrimenti avrebbe semplicemente interrotto qualsiasi corrispondenza, no? E invece… Bill aveva appena ricevuto un’altra lettera, solo che… adesso, insieme alla solita pergamena, vi era anche un pacco. Gli aveva fatto un regalo! Allora non era affatto offeso!
Bill sorrise smagliante, mentre faceva entrare il tucano nella stanza e si affrettava a spiegare la pergamena.

Che questo possa sostituire le mie palavras.
Enrique

L’espressione di Bill assunse una lieve sfumatura di perplessità, ma il sorriso non diminuì, e allora andò ad aprire il pacco. Al suo interno vi trovò un cappello; ed era piuttosto… particolare: sembrava un comune copricapo da mago, leggermente a punta, ma era più corto, e di un colore viola acceso, con dei piccoli pois verde acido che lo ricoprivano interamente.
“Ma che è quel… coso?!” Esclamò, entrando nella stanza, Stanley, uno dei suoi compagni di dormitorio.
“E’ un regalo.” Rispose semplicemente Bill.
In effetti non era uno di quei cappelli che Bill avrebbe indossato tanti volentieri. Era… davvero bizzarro. Insomma, quello sarebbe potuto essere tranquillamente uno dei cappelli che il professor Silente si sarebbe divertito ad indossare durante le feste per puro intrattenimento, ma un ragazzo come lui… oh, per carità. Per quanto potesse apprezzare il regalo di Enrique, lui non se lo sarebbe messo neanche sotto tortura. Non in pubblico, almeno.
Per non parlare che, con i suoi capelli rossi, avrebbe sortito lo stesso effetto di un pugno in un occhio.
“E chi te lo manderebbe, questo… oggetto?” Chiese Stanley, sedendosi con un saltello sul proprio letto ed affondando una mano nel proprio pacchetto di patatine, mentre allo stesso tempo guardava con curiosità Bill.
“E’ un amico di penna, del Brasile.” Rispose sovrappensiero proprio Bill “Magari lì da loro li portano.”
“Ugh. Devono avere uno stile orribile.” Ridacchiò Stanley, sgranocchiando patatine “Avanti, provalo.”
“Che?”
“Eddai, siamo solo io e te!”
Bill alzò gli occhi verso il soffitto, ma poi, effettivamente, pensò che nessuno avrebbe potuto prenderlo in giro per quello – a parte Stanley, ma lui era facilmente gestibile – e così lo indossò.
Quel che accadde negli istanti immediatamente successivi fu ciò che gli fece indubbiamente capire che Enrique, dopotutto, si era ben più che offeso, a dispetto di quanto avesse pensato precedentemente: Bill iniziò a provare uno strano formicolio alla punta delle proprie orecchie, e poi, con sgomento, avvertì come queste si stessero quasi… accartocciando su loro stesse, rattrappendosi, come se il suo padiglione auricolare volesse provare ad entrare nel condotto uditivo. Bill si tolse immediatamente quello stupido ed orribile cappello, lanciandolo praticamente dall’altra parte della stanza; si portò le mani alle orecchie con sgomento, e poi andò allo specchio del bagno, e, quando vide la propria immagine riflessa, cacciò un urlo.

Stanley aveva dovuto accompagnarlo in infermeria, per fargli rimettere le orecchie a posto, e ora Bill sedeva su uno sgabello, proprio lì in infermeria, ad aspettare che la pozione appena ingerita facesse effetto e che le orecchie gli tornassero normali. Come se non bastasse, neanche ci sentiva più, in quello stato. Beh, per un certo verso era anche meglio, dato che sia Stanley che suo fratelo Charlie, che, informato da qualcuno – che lui avrebbe scoperto e ucciso, probabilmente – si era recato anche lui in infermeria, ridevano come dei matti. Bill si limitava a guardarli con sguardo furente. Adesso sarebbe diventato uno zimbello per chissà quanto tempo.
Per non parlare di quando l’avrebbe anche saputo la sua famiglia.
Non voleva neanche pensare a quali epiteti gli avrebbero rifilato i suoi fratelli.
Dannazione, Enrique, questa me la paghi.
“Ehi, Stan. Stan!” Gridò, sovrastando quello che doveva essere il suono delle risate, per attirare l’attenzione.
Non ci sentiva, ma poteva ancora parlare, almeno!
Stanley lo guardò, a quel punto, sempre ridacchiando (ci fosse mancato altro) e attendendo qualche frase.
“Il prossimo fine settimana mi devi accompagnare da Zonko!” Continuò Bill, con un tono di voce forse un po’ troppo elevato “Voglio inviare una risposta al mio carissimo amico di penna!”
Stanley e Charlie risero ancora di più.


FINAL

   
 
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