Capitolo XXVI
Contrasto di sentimenti
Vistosi
perdere la partita a causa
dell’intervento di D’Harmòn, Von Webb si era dileguato nei giardini del
castello, aiutato in questo dalle ombre della notte che ancora
persistevano.
Aveva raggiunto il proprio cavallo ed, eludendo la sorveglianza ai
cancelli
principali, era uscito dal perimetro dello Schonbrunn attraverso una
porta
secondaria poco sorvegliata.
Certamente
l’Imperatore aveva già diramato
l’ordine di catturarlo, e doveva battere tutti sul tempo.
Si
era diretto verso la sua residenza privata a
Vienna.
Non
appena vi era giunto, aveva affidato la
cavalcatura ad un servitore insonnolito e si era rifugiato nel suo
studio
privato. Non aveva molto tempo a disposizione, sapeva ormai che le
guardie
imperiali erano sulle sue tracce, aveva notato, strada facendo un
insolito
dispiegamento di forze: gendarmi e soldati dell’esercito in
mobilitazione che
pattugliavano la città. La sua buona stella, tuttavia, non l’aveva
abbandonato,
e il percorso che l’aveva condotto al palazzo era sgombro. Ma il tempo
scarseggiava.
Doveva
elaborare un piano alla svelta e si era
rallegrato che la casa fosse deserta: sua moglie era dai genitori, dopo
la
festa non se l’era sentita di tornare alla casa coniugale. Era molto
scossa.
Aveva
acceso il camino senza neanche attendere
che qualcuno della servitù lo facesse al suo posto e si era seduto allo
scrittoio.
La
sua mente pensava molto in fretta, cercando
di comprendere non solo dove avesse fallito, ma anche l’itinerario che
Lady
Sarah e D’Harmòn avrebbero potuto seguire.
“Il Conte è francese, quindi
cercheranno scampo
in Francia” si era detto, alzandosi e traendo un grosso
volume dalla biblioteca
alle sue spalle.
Lo
aveva aperto sullo scrittoio. Era un atlante
del Nord Europa e con un dito aveva provato a tracciare il percorso dei
due
fuggiaschi.
Ormai
era inevitabile: avrebbe dovuto
ucciderli. Non poteva permettere che trovassero riparo da qualche parte
e si
mettessero nuovamente in contatto con Francesco Giuseppe rivelandogli i
suoi
piani. Dovevano morire prima, entrambi, così se lui fosse stato
acciuffato
dalle guardie imperiali avrebbe sempre potuto raccontare ciò che più
gli
aggradava e convincere l’Imperatore che si era trattato solo di un
malinteso. A
suo tempo, poi, avrebbe trovato un capro espiatorio e la faccenda si
sarebbe
chiusa.
“Sbarrerò loro l’accesso alla
Francia” si era
detto, “così saranno
costretti a deviare per il Tirolo… ma D’Harmòn ci avrà già
pensato. Sarà anche un francese, ma non è stupido.”
Aveva
fissato l’atlante.
I
secondi correvano e le guardie
dell’Imperatore si avvicinavano. Dopo i suoi appartamenti allo
Schonbrunn
sarebbero certamente arrivate anche lì.
Doveva
sbrigarsi e pensare in fretta.
“Un
momento!” aveva esclamato. “Milady è
inglese, per cui… ma certo come non ho fatto a pensarci prima! Andranno
a
Marsiglia, l’unico porto aperto in questa stagione e per farlo
attraverseranno
le Dolomiti. Li attenderò là e allora…”
Aveva
chiuso il volume ed era uscito a
precipizio dallo studio, lasciando tutto com’era, ci avrebbe pensato la
servitù
a rimettere le cose a posto. Aveva lasciato il palazzo immerso
nell’oscurità,
mentre l’alba del giorno di Natale cominciava a schiarire il cielo
sopra i
tetti di Vienna.
La
città era in subbuglio: la notizia
dell’attentato all’Imperatrice si era sparsa come fuoco nella
sterpaglia. Molta
gente si era riversata nelle strade nonostante l’ora, e in mezzo a
quella folla
che si stava dirigendo verso lo Schonbrunn per apprendere notizie sullo
stato
di salute di Elisabetta c’erano anche molti gendarmi e poliziotti che
sorvegliavano la situazione.
Tutte
le forze di polizia avevano ricevuto un
ordine esplicito: catturare l’aiutante di campo di Sua Maestà vivo.
Ma
la baraonda era davvero imponente e non era
affatto facile tenere sotto controllo tutto quanto.
Von
Webb aveva approfittato di questa
situazione e si era diretto verso il luogo ove abitualmente si
ritrovava con le
sue amanti occasionali e i suoi fedelissimi.
Un
ghigno truce gli era comparso sul volto
tramutandolo in una maschera da Grand
Guignol: aveva un piano e quando fosse
giunto a destinazione, sarebbe stato anche al sicuro dalle guardie
dell’Imperatore.
Avrebbe
obbligato i due amanti a scegliere la
via delle Alpi e del Tirolo, per poi passare nel Lombardo-Veneto e nel
Regno di
Savoia, fino a giungere a Marsiglia e colà avrebbe avuto ragione di
entrambi.
***
Stavi quasi per morire assiderata, pur di non contrariarmi.
Hai capito perché ti tenevo lontano? Hai capito perché evitavo di parlarti, se non lo stretto indispensabile?
Durante i tre giorni a cavallo, diretti verso le montagne del Tirolo, è stata una tortura non prenderti tra le braccia e cercare di scordarmi di te.
Quando ho visto quel piccolo chalet immerso nel bianco il mio primo pensiero è stato: “Non puoi fermarti qui con lei...”. Ma non potevamo proseguire per tutta la notte… già così avevo chiesto uno sforzo eccessivo al tuo fisico. Eri esausta e completamente gelata. Tesa all’inverosimile nel tentativo di resistere e non lamentarti.
Quando ti ho preso tra le braccia, per riscaldarti con il mio corpo, sapevo che per me sarebbe stata la fine.
Il mio desiderio era indescrivibile e quando tu mi hai guardato non sono più stato in grado di resistere.
Nei tuoi occhi ho potuto vedere il riflesso dei miei sogni.
Baciarti, dirti che ti amo, è stato come lasciare andare un respiro trattenuto troppo a lungo: sarei morto, se non lo avessi fatto.
Nei tuoi occhi ho visto che anche tu stavi andando alla deriva… non volevi saperne del mio amore, ma mi desideravi da morire. Io, invece, oltre al tuo corpo, volevo soprattutto il tuo cuore. Il mio già ti apparteneva dal nostro primo incontro.
Ti ho baciata e, finalmente, nei tuoi occhi c’erano le risposte alle mie domande. Ho fatto l’amore con te come non ho mai fatto con nessun’altra donna.
Dopo aver saputo che avevi sempre provato repulsione nel concedere il tuo corpo ma che, nonostante ciò, desideravi che proprio io ti possedessi, senza ricavare alcunché in cambio, ho voluto regalarti le sensazioni più belle che un uomo può donare alla sua donna.
Ora, nei tuoi occhi, posso vedere perché il nostro amore è vivo e penso di avere imparato ad amarti di più.
Hai detto che ti sarebbe stato impossibile concedermi il tuo cuore…
Forse non lo sai ancora ma, mentre tra le mie braccia sussurravi “Ti amo”, il tuo cuore era già mio.
***
Harm terminò
la lettura della giornata del diario che
portava la data del 29 dicembre 1856 e rimase in silenzio.
Accoccolata
tra le sue braccia, come ormai si stava
abituando a fare, anche Mac non disse nulla. Non ci riusciva. Le parole
usate
dal conte per descrivere i suoi sentimenti e ciò che aveva provato nel
far
l’amore per la prima volta con la donna che amava, erano così poetiche,
così
dolci ma al tempo stesso piene di passione, che n’era rimasta
sopraffatta.
Sentirle
pronunciate da Harm, poi, per lei era stato
troppo!
Quante volte
aveva desiderato che lui le dicesse parole
simili?
Osservandolo
di sottecchi mentre leggeva, si era accorta
che anche Harm sembrava emozionato: all’inizio la sua voce aveva il
solito
timbro profondo che tanto le piaceva; ma mentre proseguiva nella
lettura,
l’aveva sentita abbassarsi di un tono, in alcuni momenti addirittura
arrochirsi, come se le parole pronunciate emozionassero anche lui e
faticasse a
proferirle.
Harm
continuava a tenerla tra le braccia e restava in
silenzio.
Chissà quali pensieri stanno
attraversando la sua mente?
si domandò Mac. Incapace di resistere alla curiosità di leggere nel suo
sguardo, alzò gli occhi verso di lui e vide che la stava osservando;
ciò che lesse
le impedì di dire qualunque cosa.
Quegli
stupendi occhi del colore del cielo in tempesta le
stavano comunicando le stesse emozioni che il Conte aveva così ben
descritto
nel suo diario.
Harm continuò
a guardarla sempre in silenzio ma, una volta
tanto, lei si accontentò di quello sguardo e di tutte le parole non
dette.