“Tu
non stavi forse
morendo?” ringhiò
mio zio con il viso
bordeaux per la rabbia, indicando Patroclo con un gesto secco del mento.
E in
quel capii che non
avevo scelta: dovevo affrontare mio
zio e questa volta non avrei dovuto lasciarmi prendere dal se tenevo
alla vita
di Patroclo.
Si,
perché mio zio non
avrebbe ucciso me, visto che ero troppo prezioso per la sua fama, ma
verso
Patroclo, che non era altro che un servo molto bello; prima lo avrebbe
usato in
tutti i modi possibili ed immaginabili ( e il solo immaginare mi faceva
uno
schifo immenso) e poi lo avrebbe ucciso dopo aver soddisfatto i
suoi… interessi.
Non
potevo proprio
permetterlo, non sapendo che ciò che sarebbe successo a lui
sarebbe stato persino
peggio di ciò che poteva capitare a me… al
diavolo la mia paura, era il momento
di comportarsi veramente come un invulnerabile eroe acheo. Infondo,
è da quando
sono bambino che mi alleno per questo!
“Vattene!”
urlai ancora
prima di formulare una frase completa, o almeno sensata:
“Lasciaci stare! Lui.
Non. E’. Tuo. Non lascerò che te lo tenga per
farci… Zeus solo sa cosa passa
per quella tua testa vuota e malata!”
Vidi
con una certezza
snervante la furia montare in lui e crescere a dismisura, indomabile e
terribile.
Era
sempre stata quella
furia animalesca e decisamente non frutto di qualche
divinità a me favorevole
che mi aveva terrorizzato; quando la vedevo, di solito, mi cominciavano
a
tremare le ginocchia la mente smetteva di funzionare, paralizzata come
il
corpo.
Ma
non quella volta: “Urla,
se vuoi. Picchiami, insultami, fa quello che vuoi! Non mi
tirerò indietro!”
“Stupido,
Achille, sei uno
stupido! Pensi davvero di poterti mettere contro di me?!”
ecco che cominciava
la sua tortura: conosceva ogni mio punto debole e non aveva paura di
ritorce meli
contro: “Non saresti nulla senza di me!”
“Si,
hai ragione.”
risposi, mantenendo una freddezza che non credevo di avere:
“Ma ormai sono ciò
che sono e visto tutto ciò che mi hai fatto passare non
credo di dover nulla a
te: tutti i debiti che avevamo li ho già pagati sputando
sangue nelle stupide
guerre a cui tu mi hai costretto a partecipare! Quindi, non ho
più nessun
legame con te.” Sentii quelle parole rimbombarmi nella mente
con una forza
quasi sovrannaturale: era vero, quindi… potevo finalmente
essere libero da mio
zio. Perché più nulla mi teneva legato a lui.
“Rimani
sempre mio nipote…”
disse lui con un ghigno malefico, come leggendo i miei pensieri e,
ovviamente,
cercando di distruggermi con ogni appiglio possibile.
Rimasi
un attimo in
silenzio, senza parole, non sapendo cosa rispondere, ma nel momento
stesso in
cui la mano di Patroclo strinse maggiormente la mia, calda, tremante,
vidi con
chiarezza la via che dovevo seguire: la verità.
“Si,
hai ragione.” dissi
infatti con tranquillità: “E tu rimani mio zio.
Ma, sai, conosco una persona
che non ha avuto paura di affrontare il padre, con tutta la sua
cattiveria. Il
padre, capisci? Nemmeno lo zio! Questa persona… mi ha
insegnato il vero
coraggio: se qualcuno sbaglia, devi fermarlo; non importa se la
ami… anzi,
proprio perché la ami devi impedirgli di sbagliare
maggiormente e cercare di
non lasciare che si rovini la vita. Quindi, anche se sei mio zio, non
è la
parentela che seguo, ma l’onore e la giustizia. Come un vero guerriero. Come che sono
veramente.”
Dopo
quelle mie saggissime
parole, che, ammetto, non credevo nemmeno sarei stato in grado di
pensare, calò
il silenzio più totale (nemmeno i grilli ebbero il coraggio
di cantare).
Io
stavo lì, fermo, e
quasi non credevo essere veramente io il ragazzo che aveva finalmente
reagito
alle ingiustizie di un uomo che mi aveva sempre terrorizzato; mio zio,
da parte
sua, sembrava perfino più incredulo di me visto che era
abituato ad avere
sempre il controllo totale su di me.
“Sapevo
che ci saresti
riuscito; sapevo che eri forte…”
Patroclo:
lui mi
sorprendeva sempre. Lui credeva in me più di quanto io
credessi in me stesso…
Spalancai
gli occhi
riconoscendo in quel pensiero una frase che gli avevo detto quella
notte,
mentre gli promettevo che lo avrei fermato se fosse impazzito e
diventato come
suo padre: “Io credo in te...”
Glielo
avevo detto proprio
mentre lui piangeva, ammettendo di non fidarsi di se stesso…
eravamo molto più
simili di quanto pensassi sotto certi aspetti, anche se in altri fronti
eravamo
diversissimi.
Sorrisi
e, sotto lo
sguardo truce e schifosamente geloso di mio zio, mi voltai verso il mio
piccolo
angelo dagli occhi grigi, stringendo fra le braccia, quasi possessivo,
e
baciandolo; lui non esitò, strusciandosi in modo quasi
scandaloso e rispondendo
con forza.
Beh,
stronzo era stronzo e
quello lo sapevo: non avrebbe mai perso un’occasione per far
mangiare le mani a
mio zio, soprattutto dopo quello che gli aveva fatto.
Quel
pensiero mi fece agire
istintivamente e sollevai una mano fino al suo viso sfiorando i lividi
violacei
che lo rovinavano, lentamente, per far capire a chi interessato che ci
saremmo
vendicati anche di quelli, in modo o nell’altro; e il modo
migliore, in quel
momento, era il nostro amore, così vero ed inteso da
eliminare tutte le
ingiustizie che si sforzavano di non essere cancellate colorando quel
visino
perfetto.
Sentii
Patroclo sorridere
sulle mie labbra, senza allontanarsi, anzi, ranicchiandosi maggiormente
fra le
mie braccia come un gattino in cerca di coccole.
Quando
ci separammo eravamo
entrambi accaldati ed a corto di fiato, ma sorridevamo entrambi,
complici,
quindi ci voltammo contemporaneamente verso mio zio con identiche
espressioni
di sfida.
“Vuoi
due, stupidi
ragazzini, non avete idea di ciò che avete scatenato: la mia
furia vi inseguirà
fino a quando i vostri corpi non verranno martoriato da mani
vendicative!”
Rabbrividii:
dopotutto,
sapeva sempre essere minaccioso e la fifa non è che mi fosse
proprio sparita,
solo che ora sapevo affrontarla.
“Io
vi esilio! Andatevene,
seguendo la legge, ma sappiate che vi ucciderò
entrambi!”
Afferrai
Patroclo per un
braccio, trascinandomelo dietro mentre cominciavo a correre alla
velocità del
vento, sfrecciando accanto a mio zio e raggiungendo a
velocità lampo le stalle,
dove afferrai un cavallo a caso e, dopo aver messo su di peso Patroclo,
ci
salii a mia volta spronandolo.
Non
so bene come facemmo,
ma in pochi minuti eravamo già nel bosco, oltre il confine
di Ftia. Era stato
tutto troppo veloce per essere capito bene e soprattutto per essere
normale:
inviai un ringraziamento mentale a mia madre, che, nonostante tutto,
sapevo mi
aveva aiutato anche quella volta, dotandomi di una velocità
sovrannaturale,
rendendomi il piè veloce. (EPITETO!! Ndme)
Aiutai
Patroclo a scendere
da cavallo, vedendo così che piangeva:
“Cos’hai piccolo?” chiesi, stringendolo
con dolcezza.
“Ti
ho messo veramente nei
guai alla fine, vedi? Avresti dovuto lasciarmi andare questa
notte… ti ho detto
che porto solo problemi!”
Cercò
di allontanarsi da
me, forse per scappare, ma io lo tenevo stretto e non avevo la minima
intenzione di allentare la presa: “Sei mio,
piccolo.” sussurrai: “E io tengo
alle mie cose… io tengo a te.
Tu non
mi hai portato problemi, ma la gioia: non sapevo cosa fosse veramente
l’amore e
la felicità prima di conoscerti… Tu mi hai
salvato, portando la pace in un
mondo di guerra.”
Lui
rimase in silenzio,
quindi sussurrò un tenerissimo “Ti amo”,
rilassando e lasciandosi abbracciare,
finalmente.
Ero
in esilio. Mio zio mi
aveva cacciato. Il mio popolo molto probabilmente avrebbe creduto che
fossi un
criminale. Rischiavo di essere ucciso da un momento
all’altro… bella sfiga!
Ma
ero felice: Patroclo
era ancora con me. Mi bastava quello per essere felice… per
stare bene. Al
diavolo tutto il resto, almeno per il momento.
Poi,
avremmo affrontato
tutto.
Ma
ciaoooo!!! Allora, il
precedente capitolo non ha avuto recensioni, ma non importaJ
Spero che almeno in
questo mi lasciate qualche commentino!!!! Mi sento solo se no!!!! In
ogni caso
spero che vi piaccia… in caso contrario fatemi sapere,
accetto sempre sia
consigli che critiche! Un bacio a tutti, a presto!