2.
The Cruelest Month
E dire che le sue gambe erano ancora troppo corte, per
sfiorare quell’acqua.
Forse ci
provava inconsciamente, tendendo appena le punte dei piedi.
Non ci riusciva, e lo specchio d’acqua rimandava severo il suo riflesso.
L’acqua lo guardava dal basso, e lui ricambiava lo sguardo. Oziosamente.
Quell’espressione era troppo pensierosa, per un bambino di quell’età.
E pensare che le sue gambe erano ancora troppo
corte, per sfiorare quell’acqua.
Eppure, quell’espressione adulta era lì, sul viso.
Aveva piantato le tende lì, quell’espressione, ma lui non aveva davvero avuto
né il tempo né la voglia di
rendersene conto. Semplicemente, pensava e
ricambiava il suo stesso sguardo vagamente contrito.
E cercava di incrinare quel riflesso con le punte dei piedi, e non ci riusciva.
Se solo fossi più grande… più adulto… più forte…
Quasi un mese, che andava avanti in questo modo.
Sarebbe stato, forse, più normale piangere. Invece, il bambino rimaneva così.
E Iruka davvero non ne poteva più, di vedere un suo
alunno ridotto a quel modo.
Di vederlo seduto lì, ogni giorno, dopo le lezioni, a qualche
passo dall’Accademia, dove l’acqua del piccolo canale scorreva tranquilla e
senza troppe pretese.
Su quel pontile che, alla fin fine, era sempre bagnato.
Iruka
sapeva affezionarsi ad ogni suo alunno.
E, ormai, non ne poteva più.
“Che cosa stai facendo?”
Fu questa la domanda che, accondiscendente, abbandonò le labbra del maestro.
Domanda che non ottenne risposta, se non una piccola ruga accentuata fra le sopracciglia
del bambino. Con un sospiro, l’uomo gli si sedette accanto, sul pontile. A
gambe incrociate, quasi avesse preso in considerazione i sentimenti dell’altro,
e non volesse fargli vedere quelle gambe adulte
che raggiungevano l’acqua bagnata.
Il bambino non si accorse di quella piccola considerazione, e si limitò a
stringere le labbra.
“Dovresti
andare a casa.”
“Non
ancora.”
Un altro sbuffo sfuggì dalle labbra di Iruka, che
sollevò gli occhi scuri al cielo. Ma non trovò nulla
da ridire – non poteva costringerlo a tornare in quella casa - e si limitò ad
abbozzare un sorriso, nonostante il bambino fosse troppo concentrato sull’acqua
per vederlo.
“Hai
intenzione di rimanere qui a lungo, allora?”
“Perché
non ritorna?”
La domanda era poco più d’un sussurro, senza alcuna inclinazione
particolare della voce.
E non era affatto pertinente alla domanda che lui
stessa aveva rivolto.
Battè ciglio, non riuscendo a capire dove si stava dirigendo il filo dei
pensieri di quella logica infantile.
“Come?”
“Mio
fratello. Perché non torna?”
Ancora quel sussurro. E l’espressione era
talmente abbandonata da stringergli il cuore.
Sapeva che il bambino guardava l’acqua ma non la
vedeva. Nessuno può avere un’espressione così sola, guardando semplicemente una mera
striscia d’acqua.
Iruka non rispose, forse tentando di trovare la risposta più giusta ed
adeguata.
Ma il bambino interpretò male quel silenzio.
“Non mi importa davvero, ecco. Mi basta che torni, posso
perdonarlo, sa? E’ che se n’è andato anche lui. Ma lui
è vivo, no? Può tornare indietro, se è vivo. Perché
non torna?”
Quasi faceva male.
“Perché mi ha lasciato solo, qui?”
“Non può
più tornare indietro, sai.” Ammise a malincuore Iruka, con un sospiro.
“Può
invece. Mi aveva promesso che mi sarebbe venuto a prendere dall’accademia, e mi
avrebbe insegnato… Ha ucciso tutti, e mi ha lasciato
solo. Allora deve
tornare. Lui deve…”
Iruka crucciò appena le sopracciglia, spostando anche lui lo sguardo
sull’acqua.
Disposto a perdonare tutto quel che era successo, pur di non rimanere
solo.
Pur di non
rimanere solo.
Iruka, in fondo, lo sapeva: era orrido, ritrovarsi soli a quel modo, da un
momento all’altro.
E quel bambino, che aspettava di crescere stando
seduto su un pontile bagnato… che aspettava l’impossibile.
Se torna, lo perdono. Torna… per favore? Prometto che non
mi arrabbierò. Davvero.
E le prime giornate passavano tra la più ostinata negazione della realtà, alla
disperazione che solo la solitudine può portare.
Quella realtà e quella solitudine che facevano male.
Iruka lo
sapeva, ci era passato anche lui.
Presto sarebbe cambiato tutto, probabilmente. Avrebbe capito la realtà, e
l’avrebbe distinta dall’illusione.
Crescendo, la solitudine immancabile
– perché non
sarebbe mai tornato -
avrebbe alimentato l’odio.
L’odio e la rabbia. Solo quelle.
Ma per quel momento…
… il primo mese…
… era sempre quello,
il più difficile.
A/N: Quante idee che aspettano solo una
scusa per essere scritte >_>” Un po’ meno Stilosa dell’altra volta, forse. Ma
quest’idea mi piaceva espressa così. Senza troppi fronzoli annessi e connessi
>_< Iruka è un uomo così dolce… chissà me lo vedo un
pochino mamma chioccia, sapete. Vuole un mondo di bene
ai suoi alunni, è così… dolce, appunto. Nulla da dire, va. Spero non sia
troppo OOC. Come avrete inteso, ambientata il primo mese dopo il massacro
Uchiha XD
Buon Anno a tutti! [La mia prima Fic da 16enne *_*]
Prossima: Four rings of light upon the ceiling overhead . Inizio a demordere nel mio intento di farle in ordine. Ma è questione di principio, ora XD