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Autore: Ryoucchi    15/06/2012    4 recensioni
Rin si sveglia una mattina d'aprile e tutto le sembra normale: è una bella giornata, la sua migliore amica, Miku, è in ritardo come al solito e la sua vita non poteva scorrere più naturalmente. Entrata in classe, nota un ragazzo, che non aveva mai visto prima, e che le ruberà il cuore ...
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gumi, Luka Megurine, Nuovo personaggio | Coppie: Kaito/Miku, Len/Rin
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Conflicting Feelings 


Da quel giovedì pomeriggio era trascorsa ormai una settimana, e io non ero mai stata così felice. Mi avvicinai ancora di più a Len: ci fermavamo sempre un po’ di più, dopo la scuola, con la scusa che eravamo i capiclasse, e quando lui provava m’invitava spesso a vederlo mentre suonava (il che accadeva un giorno sì e uno no). Non è che stavamo insieme nel vero senso del termine, forse perché eravamo due timidi (nonostante il mio carattere) e per ora andava bene così. Miku continuava a ripetermi che avevo l’obbligo di far diventare la nostra relazione una cosa seria, altrimenti bastava che “un’oca” qualsiasi lo corteggiasse e lui mi avrebbe piantata in asso senza tanti complimenti, visto che “non stavamo insieme”. Ma io conoscevo Len: non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Intanto anche i rapporti tra Miku e Kaito-kun s’erano fatti interessanti, ed ero convinta che di lì a poco avremmo festeggiato il loro fidanzamento. Era venerdì pomeriggio, quando Miku mi disse: «Senti, visto che domani dobbiamo andare al concerto della band di Kaito, perché non ti fermi a dormire da me, stasera? Così hai una scusa per portarti via i vestiti da casa, senza dover fare avanti e indietro mille volte. E poi io c’abito vicina, sia alla scuola che allo stabile»
«Mi sembra un’ottima idea! Chiedo alla mamma e poi ti mando un messaggio, ma tanto penso che mi dirà di sì» risposi.
«Bene, però non dirmelo troppo tardi, perché sicuramente mia madre vorrà cucinarti qualcosa, quindi mi toccherà andare a fare la spesa e poi ora che mia mamma trova una ricetta … sai com’è fatta»
«Ah, ah, ah! Sì, la conosco» risi.
Tornata a casa, lasciai cadere la borsa coi libri accanto al divano, mi avvicinai alla mamma che stava leggendo una rivista, mi sedetti e le chiesi: «Posso dormire a casa di Miku, stasera? Ti ricordi, vero, che domani dovevo uscire con lei, così mi aveva invitata a casa sua …»
«Per me non c’è problema, ormai sei grande, hai una certa libertà su queste cose»
«Quindi posso andare da lei quando mi pare avvisandoti solo che mi fermo senza domandarti nulla?»
«Certo che no!» disse, distogliendo lo sguardo dalla rivista per posarlo su di me «Tu devi chiedermelo, solo sai che io ti concederò il permesso più facilmente rispetto a quand’eri più piccola»
Quei discorsi proprio non li capivo. Potevo fermarmi da lei anche più spesso, ma dovevo comunque continuare a domandare ai miei se potevo. “Ecco come contraddirsi da soli in due frasi e far mandare in pappa il cervello ai figli” pensai.
In quell’istante entrò papà, proprio mentre mi accingevo ad andare di sopra per prepararmi la borsa.
«Sentivo che stavate parlando di dormire da Miku. E io non conto più niente in questa casa?»
«Perché, hai da obbiettare, caro?» chiese la mamma.
“Infatti, che hai da ridire?” pensai. Nella mia mente ero molto più … “espressiva” che nella realtà.
«No, certo che no, ma non pensi che anche il mio parere sia importante?»
«Certo che lo è» disse mamma, senza staccare gli occhi da uno stupendo paio di scarpe stampato sulla rivista «Comunque Rin è meglio se ti sbrighi, sennò Hiro non troverà mai il tempo di cucinarti qualcosa»
«Sì, infatti Miku mi aveva detto di avvisarla, altrimenti sua madre non ce l’avrebbe fatta!» scherzai.
Mandata la mail a Miku, mi preparai la borsa. Scelsi accuratamente i vestiti che avrei indossato sabato sera: non ero mai stata a un concerto, così optai per qualcosa di non troppo elegante, ma neanche sportivo e che non sembrasse una cosa che avresti indossato “tanto per coprirti”. Un abito non mi sembrava proprio il caso (non era mica una festa!), di tute nel mio guardaroba non ce n’erano nemmeno l’ombra, e quindi l’unica opzione ricadeva su jeans e maglietta. Li comprai qualche giorno prima per l’occasione: maglietta morbida sui fianchi, a maniche corte larghe, che coprivano solo una spalla; di colore bianco, aveva una stampa che ricopriva tutto il davanti: vi era raffigurata una ragazza (quelle modelle con i capelli ossigenati dalle acconciature particolari) che reggeva un microfono e che, a bocca aperta, incitava la folla a cantare con lei, mentre con l’altra mano teneva ben salda sull’addome la chitarra. La foto era in bianco e nero, ma le scritte erano magenta chiaro e nere, (perfetta per un concerto, no?) mentre i jeans erano normalissimi pantaloni a sigaretta color blu, con delle zone schiarite, sul ginocchio. Converse nere ai piedi e collane e orecchini come accessori. Casual-rock, così lo chiamai. Fiera della mia scelta, scesi le scale pronta per raggiungere la casa di Miku. Nessuno sapeva del mio acquisto, eccetto Miku, che era venuta con me. Chissà che faccia avrebbe fatto papà vedendo quei vestiti … Mah, in quel momento non è che me ne importasse più di tanto, ero troppo eccitata per lasciarmi sopraffare da cattivi pensieri.
A casa di Miku mi misi subito il pigiama (ero stanca di portare l’uniforme) e mi misi a giocare con la play station. Era uno di quei giochi di combattimento dove ti puoi creare un tuo personaggio e sfidi il CPU o un tuo amico. E, dato che Miku era al supermercato, ne approfittai per allenarmi un po’, in vista della sfida che mi avrebbe di sicuro lanciato appena entrata in casa. E infatti, appena aprì la porta, sentii la sua voce dirmi: «Allenati pure quanto ti pare, cara la mia Rin, ma vedrai che stasera t’infliggerò una di quelle sconfitte che ricorderai finché campi!»
«Ma quale “una di quelle”! Se non hai mai vinto contro di me?!»
Fu una delle serate più belle e allegre che ricordi, tra i manicaretti di Hiro-san e le partite sfrenate tra me e Miku. Quando furono le nove e mezzo, andammo in camera di Miku, per parlare. Come sempre, aveva preparato due futon sul pavimento, uno accanto all’altro, e due cioccolate calde. Ci sedemmo e parlammo per ore, di me, di lei, di Len, di Kaito, di sabato, di quel che sarebbe accaduto, di cosa avremmo fatto finito il liceo, delle nostre aspettative … Finché non ci addormentammo, esauste, vicine, avvolte nelle coperte, con la mano ancora ben salda in quella della mia migliore amica.
Quando mi svegliai, guardai la sveglia: le sette e mezza. Lì per lì non ci feci caso, però poi sgranai gli occhi e gridai: «Miku! Miku! Svegliati dannazione! Sono le sette e mezza! Diamine alzati!»
Isterismo puro di prima mattina. Uhm, un buon inizio giornata. Ancora non capivo perché Miku, che abitava vicino la scuola, prendesse il treno. Le bastava usare la bicicletta. Ma in fondo, penso lo facesse per me: non mi fidavo troppo a girare in treno da sola; di questi tempi, poi …
Ma quella mattina facemmo un’eccezione: era troppo tardi per correre fino alla stazione e aspettare mezz’ora sulle panchine del metrò, mentre questo sbatacchiava di qua e di là. Prese le biciclette, “volammo” (sì, perché pedalavamo come due forsennate) a scuola, correndo su per le scale per arrivare in classe giusto cinque minuti prima del suono della campanella. Non osai nemmeno immaginare come fossero ridotti i miei capelli. Mi girai verso Len, che mi guardava divertito.
«Ti ha forse rincorso un toro imbufalito, stamattina?» chiese ridendo.
«Se ti va di paragonare il tempo a un toro … allora direi proprio di sì» risposi, riprendendo il sorriso.
Comunque, quel sabato mattina non fu troppo pesante: ginnastica, inglese, economia domestica e giapponese. Appena suonò la campanella, vidi Len che si avvicinava al mio banco, e mi sussurrò: «Vedi di non fare tardi, stasera, ti aspetto» e mi fece l’occhiolino.
Gli sorrisi, e lui uscì soddisfatto assieme a Kaito, che gli stava raccontando tutto allegro non so cosa. Aspettavo la solita ramanzina di Miku che mi diceva di sbrigarmi, e invece fui io ad avvicinarmi al suo banco invitandola a fare in fretta.
«Che hai?» le chiesi. Lei continuava a fissare un punto indefinito della parete, con aria sognante.
«Ehi, Miku? Vogliamo andare?»
Non mi rispondeva. Compresi allora quanto irritante è essere ignorati mentre si parla, e un po’ mi pentii per come mi ero comportata con lei. Poi, però, persi la pazienza.
«Oh bhe, io me ne vado e tanti saluti!»
«Che fai, perché non mi aspetti?» sbottò.
«E’ da prima che ti chiamo, ma tu hai fatto finta di non sentirmi!»
«Ah sì? Scusami allora» disse, anche se in tono poco convinto, ancora così “spensierato”.
«Che ti succede, Miku? Kaito ti ha forse raccolto la penna, stavolta, anziché la matita? Ah, ah, ah!»
«Ridi quanto ti pare, cara mia» disse, e lo sguardo che mi rivolse m’incuriosì «perché la qui presente Hatsune Miku non è più single! Può dire di avere il ragazzo!» urlò felice.
«Ma dai! Tu e Kaito vi siete messi assieme! E quando? Perché non m’hai detto nulla?!»
«Perché è successo mezz’ora fa: durante l’ora di giapponese mi ha mandato un bigliettino, chiedendomi se avevo il fidanzato. E io gli ho risposto che no, non ce l’avevo. Poi mi chiede se mi piaceva qualcuno, e gli dico “sì, in realtà c’è qualcuno che mi piace”»
«E poi?»
«Poi aggiungo “quel qualcuno sei tu”. Guarda, mi sentivo il cuore scoppiare! E quando mi ha mandato la risposta, avevo paura di aprire il foglietto. Così prendo fiato e leggo “anche tu mi piaci, Miku-chan”»
«Wow!»
«E io “non sai quanto mi hai reso felice!” e lui “quindi … ti va di essere la mia ragazza?” sarei svenuta sulla sedia se il prof non mi avesse chiamato chiedendomi se continuavo di leggere il brano. Allora, avrai visto, no? mi sono alzata di scatto in piedi e ho urlato un “SI”, più per Kaito che per il prof»
«Ecco perché quando l’hai detto ti sei girata verso di lui …»
«Infatti! Rin, non sai quanto sono felice!»
«Ti credo! Che cosa romantica» le dissi sorridendo.
Tornammo a casa chiacchierando dell’avvenuto. Si prospettava una giornata interessante! Alle quattro iniziammo già a prepararci, ma non perché fossimo lente, ma perché perdevamo un sacco di tempo, scherzando, giocando e cose così. Alla fine, alle sei, eravamo pronte di tutto punto, curate nei minimi particolari. C’avviammo a piedi, così non avremmo rischiato di arrivare con mezz’ora di anticipo. Erano le sei e mezza esatte, quando arrivammo davanti all’entrata, e sentimmo un gran baccano provenire dall’interno. Così entrammo, e ci ritrovammo di fronte una marea di gente. E per fortuna che non erano famosi! Riconobbi qualcuno della nostra classe, qualcun altro della nostra scuola, ma per la gran parte mi erano sconosciuti. Cercai di avvicinarmi più che potei, sperando in una buona postazione sia per ascoltare che per vedere Len. Sentii una mano toccarmi il braccio: era Luka-san.
«Venite con me» ci disse.
La seguimmo e andammo dietro il palco, dove ci sono i camerini.
«Kaito mi ha chiesto di trovarmi un posto decente dove poter guardare» disse «Quindi non preoccupatevi: ci penso io. Però prima Gumi mi ha detto che voleva salutarvi e …»
«RIN-CHAN! MIKU-CHAN!» esclamò infatti la voce di Gumi-chan, squillante come al solito.
Ci abbracciò, forte forte, e ci tempestò di domande: se eravamo contente di essere lì, se sapevamo che canzoni avrebbero cantato, se ci piaceva il suo vestiti, ecc ecc. In quel momento arrivò Kaito, che, appena vide Miku, arrossì. Le si avvicinò e le sussurrò qualcosa, che a causa del frastuono non riuscii a sentire. Ma dalle reazione di Miku, evidentemente doveva averle fatto i complimenti. “Bravo, buona mossa”, pensai. Poi vidi Len. Ogni volta che il suo sguardo incrociava il mio, mi sentivo il cuore in gola, e il respiro mi mancava. Si avvicinò, e mi disse: «Sei bellissima, stasera»
«Grazie, anche tu stai davvero bene»
«Dopo vorrei parlarti di una cosa, ok?»
«Va bene»
Ero perplessa. Di cosa doveva parlarmi? Forse Miku non stava scherzando, quella volta … “Basta che un’oca qualunque gli faccia il filo, e lui avrà tutta la libertà di andarle dietro, visto che non state insieme” … ma no, Len non era affatto il tipo, non l’avrebbe mai fatto! Eppure, lo conoscevo abbastanza da poterci mettere la mano sul fuoco?
Scortate da Luka-san, trovammo la postazione giusta per poter ammirare lo spettacolo.
Quando salirono sul palco, un coro di urla esaltate si levò dal pubblico, inneggiando il loro nome:
«VOCALOID! VOCALOID! VOCALOID! VOCALOID!»
E in quel momento, cominciarono a suonare. Tutti attorno a me cominciarono a saltare, alzando le braccia in aria, cantando assieme a Kaito. Io, ovviamente, non avevo occhi che per Len, e potrei giurare che anche lui mi guardava, con la stessa intensità e con lo stesso vigore con cui teneva il tempo con le bacchetta della sua batteria. Gumi si muoveva a destra e a sinistra: si vedeva che si stava divertendo come una matta. Luka, la maggiore di tutti, era la più composta, nonostante tutto muoveva le braccia su quella chitarra come fosse stata parte integrante del suo corpo. No, non erano quattro persone distinte su quel palco: erano una cosa e un’anima sola, capace di emozionare tutte quelle persone che erano lì solo per vedere e ascoltare loro. Toccai il braccio di Miku, e, in mezzo a quella confusione le urlai:
«Mi avevi detto che non erano famosi! A me non sembra»
«Era stata Gumi-chan a dirmelo! A quanto pare sono ambiziosi per non definirsi ancora famosi! Puntano in alto! E, bravi come sono, posso farcela!»
Già, potrebbero farcela davvero … Mi assalì un dubbio: “Se Len diventasse famoso, sarebbe pieno di ammiratrici, e cosa se ne farebbe di me? Forse è proprio di questo che voleva parlarmi …”
Mi rabbuiai un po’, ma vidi che Len se n’era accorto, così cercai di sorridere e fargli capire che non era niente d’importante. Lui mi fece un cenno col capo, credo, e riprese a guardare la sua batteria. Finito lo spettacolo, vidi una schiera di ragazze, e anche qualche ragazzo, schizzare verso l’uscita secondaria, dietro allo stabile. “Chissà come mai” pensai. Gumi ci fece segno di seguirla, e così stemmo con loro, tenendogli compagnia.
«Waaa, sono sfinita» disse Gumi accasciandosi sulla poltroncina.
«Sei migliorata davvero tanto, sai?» le dissi.
«Dici davvero?! Allora Luka aveva ragione!» e mi schioccò un bacino sulla guancia.
«Ah-ah! Attenta Gumi-chan, che poi Len-kun diventa geloso!» scherzò Miku.
«Ah, ah, ah! Eh già» aggiunse Luka.
«Ih-hi» disse Gumi mordendosi la lingua.
«Dai» dissi io, arrossendo. M’imbarazzavano quei tipi di conversazione.
Stavamo ancora ridendo, quando entrò Kaito, seguito da Len.
«Ragazze, vi va se andiamo a magiare qualcosa? C’è quel ristorantino qui vicino che fa della soba* buonissima» disse Kaito, pregustando già il piatto che avrebbe assaggiato.
«Per non parlare del sushi» aggiunse Gumi «Ottimo e a basso prezzo!»
«Anche gli okonomiyaki* non sono niente male …» disse Luka.
«Io vengo di sicuro!» esclamò Miku, la buongustaia.
«Ecco, io, veramente … Non so se posso» dissi amareggiata.
«Ah già, tuo padre» fece Len.
«Oh, ma vedrai che ti lascerà venire! In fondo, siamo in sei, non avrà di che preoccuparsi, no?»
«Non è questo il punto …»
«Ma …»
«Gumi, non insistere: se Rin non può non c’è bisogno di continuare, la faresti dispiacere ancora di più» disse Kaito. Mi salvò da una situazione imbarazzante.
«Se volete, provo a chiamare e a chiedere a mio padre se …»
«Sì!» esordì Gumi «Per favore» chiese poi piano.
Composi il numero di casa e attesi. Mi sembrò che fosse passata un’eternità, quando sentii la voce della mamma dire: «Sì, pronto?»
«Ciao mamma, sono io»
«Ciao Rin! Come mai mi hai chiamato? C’è qualcosa che non va?»
«No, no, figurati. E’ che volevi chiederti … Ehm, i miei amici mi stavano chiedendo se … se potevo andare con loro a mangiare qualcosa, hanno detto che c’è un ristorantino carino nei paraggi …»
«Ah! Bhe, per me non c’è problema, tanto non avevo ancora iniziato a cucinare. Però, prima devo chiedere a tuo padre, sai com’è …»
«Sì, lo so»
Attesi ancora. Sentii le loro voci in sottofondo. Poi uno dei due prese in mano la cornetta.
«Sono io»
«Ciao papà. Ti ha detto la mamma che …»
«Sì, mi ha già detto tutto. E chi sarebbero questi tuoi “amici”?» rimarcando quest’ultima parola.
«Sono Miku, due nostre amiche, Gumi e Luka Megurine, e poi Kaito e Len, due nostri compagni di classe» dissi, con la voce che mi tremava. Mio padre sa essere terribile, a volte.
«Non li conosco» disse.
«Le sorelle Megurine abitano a pochi passa dalla casa di Miku, è impossibile che tu non le abbia mai viste, f-forse non c’hai mai fatto caso, mentre Len e Kaito sono in classe con noi, sono … simpatici»
«Mi spiace, Rin, ma se non li conosco, i tuoi “amici”, non ti lascio andare con loro»
«Ma …»
«Niente ma! Tu adesso torni a casa, è già tardi» disse, attaccandomi il telefono in faccia.
La delusione si dipinse sul mio volto, e vidi tutti che mi guardavano con aria pietosa. Odiavo quelle situazioni, avrei spaccato tutto, dalla rabbia e dal nervoso.
«Rin, se vuoi ti accompagno a casa, è un po’ lunga da qui a piedi, di notte»
«Grazie, Len, ma poi farai tardi»
«Ti aspettiamo, vai tranquillo» disse Kaito con un sorriso.
Così, uscii con Len e scoprii perché quel gruppo di ragazze s’era precipitato all’uscita posteriore.
«Len! Len!» gridavano in molte «Ho comprato questi cioccolatini per te!»
«Io invece li ho fatto con le mia mani!»
«Io ti ho preso dei fiori!»
Riuscimmo a districarci da quelle ragazze, poche ma tenaci, e montammo sulla bici.
«Hai detto che dovevi parlarmi, Len»
«Sì, hai ragione. Io volevo chiederti … Uff, è complicato da dire. Anzi, riflettendoci non lo è, solo che non riesco a trovare le parole giuste»
“Ecco! Lo sapevo!” pensai “Vuole che non ci vediamo più o che c’è una ragazza che gli interessa e che a questa dà fastidio che noi due stiamo tanto tempo insieme”
«Voglio che tu diventi la mia ragazza!» esordì, frenando d’un tratto con i piedi.
«Mi farebbe molto piacere» aggiunse, piano, a bassa voce.
Io rimasi a bocca aperta.
«Perché piangi?» mi chiese, allarmato.
«Non sto piangendo» risposi, ancora incredula.
«Sì, invece»
Mi toccai le guance: era vero, erano bagnate. Ero felice al tal punto da piangere di gioia?
«Len, io …»
«Daisuki*» disse serio.
Scendemmo dalla bicicletta, uno di fronte all’altra. Lui mi strinse a sé, in un abbraccio caldo e confortevole, in quella tiepida sera d’aprile. Mi accarezzò i capelli, e i nostri occhi, socchiusi, che ancora sognavano gli uni degli altri; e le nostre labbra si sfiorarono, prima timidamente, inesperte, poi acquistarono maggior sicurezza, e si avvinghiarono in un dolce bacio che pareva infinito. Sotto quel cielo stellato, ci dichiarammo il nostro amore, e sentivamo che ora eravamo completi, le nostre anime s’erano intrecciate in un magico intrigo chiamato “amore”.
 
Arrivati di fronte al cancello di casa mia, gli diedi un altro bacio, tenero, sulla guancia, lo salutai, ed entrai. Mi sentivo felice, anzi, più che felice, mi sentivo euforica, gioiosa, come sa fino ad allora non avessi vissuto veramente.
Andai direttamente in camera, salendo le scale.
«Rin, non vieni a mangiare?»
«Non ho più fame» dissi, ancora con la testa fra le nuvole. Quel bacio aveva mi aveva saziato d’amore, non avevo bisogno di “mangiare”, pensai.
«Rin» disse la voce ombrosa di mio padre.
«Vorrei andare a dormire, sai, sono stanca»
«Come sei venuta a casa?»
«Mi ha accompagnato uno dei miei amici in bicicletta»
«Un ragazzo?»
«Sì»
«State … insieme?» disse, quasi con sdegno, anche se non ci feci caso.
«Può darsi» risposi, sempre col mio tono spensierato.
«Che bella notizia ....» stava dicendo mia madre, quando mio padre la interruppe: «Allora non voglio che lo vedi mai più, sai come la penso» disse secco.
Sgranai gli occhi, arrestandomi sulle scale. Mi voltai, sconvolta.
«Che cosa?»
«Ho detto che non voglio che tu lo veda ancora»
«Tu non puoi costringermi a non amare qualcuno!»
«Ma ti rendi conto delle parole che stai usando? “Amare” …  bah …»
«Questa è la mia vita, questi sono i miei sentimenti e tu non ti puoi permettere di dirmi come mi devo comportare!»
«Senti, Rin, non te lo voglio ripetere più, lascia quel ragazzo e …»
«NO!»
Sciaf!Mio padre mi diede uno schiaffo.
«Ma che fai?» disse mia madre, preoccupata.
«Non disobbedirmi, Rin»
«Io ti odio» dissi con tutto il disprezzo di cui ero capace.
Corsi su per le scale, mi chiusi in camera e piansi tutta la notte. La serata più bella della mia vita s’era trasformata nel peggiore degli incubi. No, io non avrei mai e poi mai lasciato Len, non adesso che sapevo che lui ricambiava i miei sentimenti. No, mai.
 
 
 
Spazidell’autrice: et voilà! Il quarto capitolo è servito \^^/ spero vi sia piaciuto ^3^ che posso dire? Questa storia mi ispira tantissimo! E sapere cosa ne pensate, mi farebbe un enorme piacere! Quindi, VI CHIEDO CORTESEMENTE DI COMMENTARE/RECENSIRE QUESTA FAN FICTION  *inchino di ringraziamento* non ho altro da aggiungere (il che è strano xD), solo spero vi sia piaciuta ^^
 
 
*Note
Daisuki = Ti amo tanto.
Ci sono tre modi per esprimere l’amore, in giapponese, e nell’ordine d’importanza sono:
suki (好き),
ai (),
koi ().
“Ai” è “amore”, nel vero e proprio senso del termine, mentre “koi” è “l’amore per tutta la vita”: se due persone si dicono “koishiteru” (恋してる), si può tradurre con “ti amerò per tutta la vita” (e quando se lo dicono, lo fanno per davvero). “Suki” è una via di mezzo, potremmo dire, tra “mi piaci” e “ti amo”, per questo negli anime o nei manga usano sempre “suki”, anziché “ai”. Significa  anche “ti voglio bene”.
Dunque, “daisuki” (大好き) significa “ti amo tanto” (vuol dire “tanto”, infatti) e mi sembrava giusto esprimerlo in giapponese, perché rendeva meglio dell’italiano (un semplice “mi piaci” o un importante “ti amo” non mi sembravano adatti).
 
Okonomiyaki = piatto agro-dolce che ricorda nella forma i pancake. Vi sono diverse varianti di questa pietanza
 
Soba = piatto consistente di sottili tagliatelle di grano saraceno, solitamente cotti e serviti con varie guarnizioni e condimenti. Il piatto standard è la kake soba, "soba in brodo" ovvero tagliatelle di soba bollite e servite in una tazza di brodo. 
   
 
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