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Autore: Miss Fayriteil    26/06/2012    1 recensioni
Jane potrebbe essere una donna come tante, con una bella e numerosa famiglia, ma in realtà nel suo passato si nasconde un doloroso segreto...
Questa storia l'ho scritta un po' di tempo fa... spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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10.
 
 
Una sera, all’inizio di luglio, mentre andavano verso la stazione, Jane e i suoi figli si ritrovarono davanti all’improvviso, la casa di Eric Stevens. Le tende al primo piano erano tirate e le luci accese. Jane indovinò che quello fosse il soggiorno, e ad un certo punto le parve di vedere muoversi all’interno la sagoma scura della signora Stevens.
  La ragazza voltò con decisione le spalle alla villetta e proseguì, camminando appena più veloce di prima. Nicholas scorrazzava lì vicino, con lo sguardo preoccupato di sua madre costantemente sulla nuca, mentre Claudia stava attaccata alla carrozzina di Karen, che in quel momento non stava dormendo, ma guardava il cielo, che diventava sempre più scuro, con i suoi grandi occhi luminosi. David era al suo solito posto, dietro, sul carrellino.
  La vista di casa Stevens, diede però a Jane un forte senso di sollievo, perché sapeva di essere ormai molto vicina alla stazione e, infatti, poco dopo, ci si ritrovò. Quel posto era il suo unico punto di riferimento per ritrovare finalmente la via del ritorno. Avrebbe voluto mettersi a piangere per la felicità per aver raggiunto almeno quel traguardo, ma miracolosamente riuscì a trattenersi. Si chiese più volte anche lei come fosse riuscita a resistere, nonostante non si può dire che piangesse spesso.
  Erano quasi le dieci di sera e Jane, nonostante non vedesse l’ora di tornare a casa, pensò che ci voleva troppo ad andarci a piedi, del resto in auto ci avrebbe impiegato più di un’ora e poi i bambini erano stanchi morti, perciò decise di trovare un albergo o qualcosa di simile dove passare la notte. Si guardò intorno, poi si avvicinò decisa ad un ragazzo che stava seduto su di una panchina a fumare una sigaretta. Si schiarì la voce e lui alzò gli occhi, con aria interrogativa.
  «Ehm… scusa» esordì.
  «Sì, dimmi pure» le rispose il ragazzo. Jane lo fissò. «Ecco, mi chiedevo se tu sapresti dirmi dove posso trovare un albergo poco costoso, qua».
  Il ragazzo annuì, si alzò e, con voce leggermente rauca, le spiegò in fretta la strada, poi si risedette di schianto.
  «Grazie mille» rispose Jane. Lui le fece un cenno con la testa e lei se ne andò, trascinandosi dietro i bambini. L’albergo non era neanche tanto male, non era certo l’Hotel Plaza, ma almeno era molto più dignitoso degli altri, che al confronto sembravano piuttosto gabbie per uccelli. Rendendosi conto che i soldi che aveva con séprecedenteccolo per mangiare come gli altri duen paio di omogeneizzati. le sarebbero stati sufficienti soltanto per una camera singola, chiese alla padrona se poteva prestare qualche lavoretto, magari anche solo in cucina, tanto per guadagnarsi il necessario per mangiare qualcosa il giorno dopo. La donna acconsentì con una certa soddisfazione e la mise a lavare i piatti della cena precedente.
  Il mattino seguente si svegliò, per la prima volta dopo settimane, dopo un sonno ristoratore. Ringraziata sentitamente la padrona dell’albergo, si misero di nuovo in cammino, Jane con il cuore che scoppiava dalla gioia. Alla prima tabaccheria che trovò, comprò un biglietto dell’autobus, che li avrebbe portati vicino a casa sua. Fortunatamente per lei i bambini erano ancora abbastanza piccoli, così lei poteva approfittare dell’offerta di farli salire gratis sull’autobus.
  Era quasi ora di pranzo quando scesero dall’autobus, quindi Jane andò in un bar e comprò un paio di hamburger per il pranzo suo e dei due bambini più grandi, poi diede da mangiare anche a Karen. L’unica che in quel periodo non aveva mai problemi per il cibo era proprio lei, dato che ai suoi pasti ci pensava sua madre da sola. Poi Jane pensò anche al pranzo di David, che era ancora troppo piccolo per mangiare come gli altri due, così andò in un supermercato lì vicino per acquistare un paio di omogeneizzati. Si sentiva un po’ in colpa per tutto il cibo spazzatura che mangiavano in quei giorni, ma Jane stessa ammetteva che era molto più comodo mangiare così. Hamburger e patatine si potevano comprare e portare in giro.
 Terminato il pranzo disse, ai tre più in grado di capirla: «Bambini, ora stiamo andando alla mia vecchia casa, siamo quasi arrivati ormai. Conoscerete i vostri nonni, i miei genitori. E forse anche vostro zio, mio fratello Michael».  Loro la guardavano, tutti incuriositi, tranne Karen che si era addormentata placidamente nella sua carrozzina, come se per loro tre sembrasse impossibile l’idea di qualcun altro in famiglia, oltre alla mamma. Ma ormai cominciava ad essere piuttosto tardi, Jane lo disse, dovevano muoversi o non sarebbero mai arrivati a casa.
  In quella, ripresero a camminare, fino ad un’altra tabaccheria. Mentre andavano verso la fermata dell’autobus, per Jane ci furono alcuni secondi di puro panico. Ad un certo punto, Claudia si staccò da Jane e si mise a camminare da sola sul marciapiede.
  «Claudia, vieni qui» la chiamò Jane, con voce ferma. La bimba non l’ascoltò e scese sulla strada. In quel momento un’auto spuntò dalla curva.
  «Claudia! Oh, mio Dio! Claudia! Qualcuno salvi mia figlia!» gridò Jane, pallida come uno straccio ed assolutamente terrorizzata. Scattò in avanti come un automa, ma era ostacolata dagli altri bambini e dalla carrozzina di Karen. Rimase lì, impotente, a guardare l’inevitabile ed imminente fine della sua secondogenita.
  In quel preciso momento, però, un uomo si lanciò dal marciapiede ed abbrancò Claudia all’altezza della vita, quasi nello stesso momento in cui l’auto passava sfrecciando. Alcuni passanti, lì sul marciapiede, applaudirono a quel salvataggio eroico. Dopodiché l’uomo, ancora ansante, depose la bambina, terrorizzata e in lacrime, davanti a Jane che gli disse, con la voce rotta dal sollievo:«Grazie, grazie, le sarò eternamente grata. Vede ne ho altri tre, non potevo mollarli così, sono troppo piccoli. Per fortuna che c’era lei».
  Nonostante la consolazione nel vederla sana e salva, Jane non poté fare a meno di arrabbiarsi con sua figlia. Le aveva disobbedito e si era messa in pericolo. La ragazza sperava solo che, con lo spavento che sua figlia si era presa, anche gli altri tre bambini avessero imparato la lezione.
 Alla fine arrivarono nel suo quartiere nel tardo pomeriggio, dopo un altro movimentato, ma divertentissimo viaggio in autobus. Indubbiamente Jane ad andare in autobus con i suoi figli, si divertiva sempre tantissimo, erano assolutamente adorabili! In momenti come quello, la ragazza pensava che la ricompensa per l’avere avuto quattro figli in quelle situazioni, era enorme. Niente poteva ripagare l’immensa gioia che quei quattro esserini le davano ogni santo giorno.
  Per acquistare quell’unico biglietto che le era servito sull’autobus (i bambini, naturalmente, non pagavano), aveva usato gli ultimissimi soldi che le erano rimasti. In quel momento era completamente a secco. Però, nel momento in cui arrivò, seppe immediatamente che quello era il suo quartiere. Riconosceva tutto, le case, le strade, perfino gli alberi! Vide una sua vecchia vicina, le corse incontro e l’abbracciò, al settimo cielo nel vedere chiunque le ricordasse la sua vita passata, quella prima del rapimento. La donna la spinse via, con aria assolutamente esterrefatta. «Scusa, ti conosco per caso?» le chiese, con la voce fredda e tagliente come un rasoio.
  «Secondo me sì, signora» le rispose Jane, un po’ sorpresa ed anche ferita dall’accoglienza men che tiepida. «Abita due case dopo la mia, al 20, o mi sbaglio?»
  L’altra era sempre più perplessa, ogni istante che passava. «No, non sbagli per niente. Ma non capisco come tu faccia a saperlo. Abito qui da sempre e non credo di averti mai visto da queste parti».
  «Ma come?» Jane era delusa. «Sono stata via solo quattro anni e tutti si sono già dimenticati di me? Signora, sono Jane, Jane Thaisis. Sono quella che è stata rapita, per l’appunto, quattro anni fa!»
  Gli occhi della donna s’illuminarono. «Allora sei proprio tu? A guardarti meglio, mi sembrava… Sei cambiata tantissimo, sei diventata una donna! Non so se ti avrei mai riconosciuta, se non me l’avessi detto. Ormai ti davamo tutti per spacciata, come sarà felice tua madre, non ha più avuto pace da quella sera, poverina. Era fuori di sé per la disperazione. Jane, menomale che sei tornata. Non hai idea di quanto abbiamo sentito la tua mancanza qui, in tutti questi anni. Sono proprio felice di vederti».
  «Grazie, signora. È molto gentile, quello che mi ha detto, davvero. Adesso vado a casa, non vedo l’ora. È tanto che non vedo i miei genitori, voglio anche che conoscano i miei quattro figlioletti».
  La donna guardò i quattro bambini e fece un sorrisetto ironico. «Non sei proprio stata con le mani in mano, per tutto questo tempo, vedo».
  «Incidenti, signora, purtroppo» le bisbigliò Jane in un orecchio, afflitta.
  «Come? Incidenti? Tutti e quattro?! Oh, come mi dispiace!» esclamò la donna.
  Jane, a quel punto rispose, con una scrollata di spalle: «Cosa vuole, sono cose che capitano». Detto questo, la ragazza salutò la sua vicina e se ne andò.
  Si diresse senza esitare verso il numero 22, come se negli ultimi anni non avesse aspettato altro. Alzando lo sguardo, per la prima volta in vita sua, fece caso al numero civico di casa sua. “È uguale alla età che avevo quando sono stata rapita. Forse era una premonizione… Mah, non so, forse sto diventando troppo fatalista”.
  Mentre si avvicinava al cancello, si trovò la strada sbarrata da un giovane alto. Aveva i capelli scuri e corti e, nonostante la barba folta e ben curata, Jane lo riconobbe all’istante. «Jimmy?!» lo chiamò con voce esterrefatta, come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
  Lui si voltò ed esclamò sorpreso: «Janet! Non ci posso credere, sei proprio tu? È una vita che non ci vediamo!» Si abbracciarono felici di rincontrarsi, amici per la pelle come lo erano stati da ragazzini. James, perché questo era il suo vero nome, spiegò a Jane di essere stato negli Stati Uniti durante gli ultimi otto anni, per motivi di studio e di essere tornato giusto cinque mesi prima. Mentre chiacchieravano dei vecchi tempi, James chiese a Jane: «Che cosa ti è successo in tutti questi anni? È molto che non ho tue notizie. Sono curioso, dai racconta».
  E Jane raccontò. Cominciò con un breve resoconto dei pochi anni prima del rapimento, poi, dopo una breve pausa, disse: «Jimmy, ti ricordi della Casa Nera? Quel posto vicino alla stazione dove andavamo sempre da piccoli?»
  «Certo, che me la ricordo. Come potrei dimenticarmela? Un momento, ma perché me lo stai chiedendo?» Jane riprese quindi a raccontare di come si fosse ritrovata all’improvviso in quella catapecchia, quattro anni prima, e tutta la storia che noi conosciamo già alla perfezione. Quando ebbe finito si rese conto che James la stava fissando con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
  «Che c’è, James Cox? Sembra che tu abbia visto un fantasma» gli chiese la ragazza, ridacchiando. James non smise di fissarla. «Io lo sapevo! Sapevo che eri sparita! Avevo sentito più di una volta, quando ero ancora in California, la notizia di una ragazza, che era stata rapita in Australia, ma non avevo mai capito il nome! Non avrei mai potuto credere che… è incredibile Janet!»
  «Be’, eccomi qui, in carne ed ossa» sorrise Jane, accennando un inchino. «Adesso devo andare, però. Vado a casa, dai miei genitori, è tanto che non li vedo, voglio vedere se stanno bene, cose di questo genere. Ciao, Jimmy, ci sentiremo ancora, è stato molto bello rivederti».
  Si separarono e Jane, avvicinatasi al cancello, lo poté finalmente varcare, dopo anni in cui aveva atteso solo quel fatidico momento. Percorrere il vialetto lastricato era sempre stata una cosa normale per lei, faceva parte della sua quotidianità, ma ora le dava una sensazione strana. Quando fu davanti alla porta d’ingresso, si rese conto di essere molto preoccupata. E se per caso i suoi non abitavano più in quella casa? Se all’improvviso scopriva che suo padre si era completamente dimenticato di lei?
  “Be’, c’è da dire che non è mai stato poi così presente, nella mia vita” pensò con molto buonsenso. Respirò a fondo, strinse una mano sulla carrozzina di Karen, suonò il campanello ed aspettò, con evidente impazienza. Dopo alcuni istanti, sentì qualcuno armeggiare con una chiave, nella serratura e la porta si aprì.
  Davanti a lei, leggermente invecchiata, ma sempre con la solita espressione, c’era sua madre, che in quella notte maledetta era stata tanto fortunata da riuscire a salvarsi e tornare così a casa. La donna la fissò a lungo, sbalordita, poi balbettò: «Jane… Oh mio Dio, sei… sei proprio tu?»
  «Mamma…» disse Jane, con la voce rotta dall’emozione e poco dopo si stavano abbracciando, in lacrime. Dopo molti secondi riuscirono a sciogliersi dall’abbraccio e ad entrare in casa. Quest’ultima non era cambiata di una virgola e questo fatto a Jane parve molto strano, forse perché era la prima cosa veramente familiare ai suoi occhi, dopo quattro anni di odissea nella città. La ragazza spinse dentro la carrozzina di Karen e, seguita dagli altri tre bambini, sedette sul divano, accanto alla madre.
  «Adesso, però, devi raccontarmi tutto, Jane» le chiese la donna. «Come e quando sei fuggita da quella casa? Cos’è successo mentre eri là dentro e anche mentre sei stata via? E tutti questi bambini, da dove arrivano? Non sto dicendo che non mi faccia piacere averli in casa, però… Non ho fatto altro che cercarti, in tutti questi anni. Ho fatto setacciare tutta la città dalle squadre di ricerca più esperte! Jane, tesoro, dov’eri finita?» I suoi occhi luccicavano dalle lacrime ed aveva la voce rotta dall’emozione.
  Ad un tratto la signora Thaisis si alzò dal divano ed andò a prendere un paio di giornali che risalivano, il primo a quattro anni prima e il secondo al mese passato. Tornata al suo posto, rivolse lo sguardo alla figlia e le disse: «Guarda. Ho conservato questi due numeri del nostro quotidiano. Ci sono due articoli che parlano di te. Giusto per farti capire che cosa intendevo dire».
  Jane, incuriosita, le prese dalle mani quello meno recente. Il titolo diceva:
22enne sparita alla stazione nella notte di sabato.
  Sotto il titolo, Jane lesse soltanto la prima frase: Una giovane di 22 anni è diventata la cinquantatreesima vittima del bandito Number One, nell’arco degli ultimi venticinque anni. La ragazza fissò il giornale senza vederlo, pensando stupita “Accidenti, cinquantadue solo prima di me, allora Charlotte aveva ragione”. Fu molto strano leggere di se stessa su un giornale, che non poteva ancora sapere come sarebbero andate le cose quando invece lei era lì, viva e vegeta a poterlo raccontare.
Dopo di che Jane dette un’occhiata anche al secondo quotidiano, il cui titolo recitava: Proseguono invano le ricerche della giovane sparita nel 1997.
Anche qui, Jane senza soffermarsi sull’intero articolo, lesse la prima frase sotto il titolo, che diceva: Nonostante le ricerche della ragazza scomparsa alla stazione esattamente quattro anni fa, proseguano senza esito, la madre dichiara: «Noi non perdiamo ancora la speranza. Io sono sicura che mia figlia è ancora viva da qualche parte, e prima che ce ne accorgiamo lei tornerà». Fu ancora più strano leggere quell’articolo, perché era soltanto del mese prima e ancora non si conoscevano gli ultimi sviluppi. Molte cose erano cambiate in quelle settimane. Pensò che in fondo fino a non molto tempo prima, nemmeno lei sapeva se sarebbe mai ritornata a casa, un giorno o l’altro.
  «Mamma, è stato veramente terribile» disse, a questo punto Jane, fissando la madre e posando sul divano i due quotidiani. «Sono riuscita a fuggire soltanto per miracolo dalla casa di Number One, perché mi ha aiutato la sua spia, il ragazzo carino che mi ha preso in giro la prima sera, non so se ti ricordi. In quell’occasione lui» indicò Nicholas, «c’era già, perché infatti l’ho avuto da Number One, anche se avrei preferito che non fosse successo. O meglio avrei voluto averlo, ma non da lui, è questo il punto in realtà. 
  «Dopo la fuga sono stata in giro per tre anni, in una zona bruttissima della città, oltre a tutto. Durante tutto questo periodo, mi sono fatta ospitare da tre famiglie diverse, per questo sono nati gli altri bambini.
  «Cioè, in realtà le famiglie sono state quattro» si corresse subito Jane, «ma di una di queste ho approfittato solo nel periodo in cui è nata Claudia. Ogni volta che non riuscivo a farmi ospitare dormivo in un albergo orribile. Ed è meglio che non ti dica neanche in quali posti sono stata costretta a lavorare, più di una volta». Sua madre annuì e fece per rispondere, ma in quel momento qualcuno la chiamò. «Pat, chi c’è lì con te?» Jane, ebbe un tuffo al cuore, riconoscendo la voce di suo padre. Sua madre sorrise. «Vieni di qua Chris, così puoi vederlo da te chi è arrivato».
  L’uomo entrò nella stanza e rimase come pietrificato. Subito dopo urlò: «Jane, ragazza mia, sei tornata, finalmente! A quanto vedo, sei in ottima forma e non sei neanche da sola! Vieni qua, ragazza mia, vieni qua e abbraccia il tuo vecchio!» Jane gli corse incontro e lo abbracciò forte, come faceva da bambina, quando era lui ad arrivare a casa di sera, dopo il lavoro.
  «Papà… papà…» seguitava a ripetere meccanicamente, come se non fosse capace di dire altro, le lacrime che le scorrevano ininterrottamente sul viso. Suo padre la stringeva forte, protettivo, facendola sentire ancora un po’ bambina. Adesso capiva che era assolutamente impossibile che suo padre si fosse dimenticato di lei e si rimproverò duramente per averlo anche solo pensato. Sembrava incapace di staccarsi da lui. Alla fine sua madre riuscì a scioglierla dolcemente dall’abbraccio e la spinse nuovamente sul divano.
  Si chinò per prendere in braccio David e riprese: «Quindi, se non vado errato, questi quattro marmocchi sono i nostri nipotini?» Jane annuì, asciugandosi ancora gli occhi e tirando su col naso. In quel momento, Nicholas le chiese: «Mamma, perché piangi? Sei triste? Io no». E lei gli rispose: «No, Nicky, neanch’io sono triste, tesoro, tutto il contrario. Sono felice di essere tornata a casa e di essere qui con voi». A questo punto, il bambino scoppiò a ridere felice, la abbracciò forte all’altezza della vita e le stampò un grosso bacio sulla guancia. 
 Dopodiché, Jane sorrise tentando di frenare altre lacrime, si tirò Claudia sulle ginocchia e cominciò a raccontare. Raccontò tutta la storia, senza tralasciare nessun dettaglio, dura e crudele, esattamente come c’è stata presentata. I signori Thaisis si fissavano, sempre più increduli, di fronte a quanto udivano uscire dalla bocca della figlia. Quando lei ebbe finito, loro due rimasero per alcuni istanti senza parlare, troppo sconcertati per riuscire spiccicare qualche parola.
  «Tesoro, ma non posso credere che in quattro anni ti siano capitate tutte queste cose!» esclamò sua madre poco dopo, senza fiato e ancora sconvolta. Suo padre era semplicemente senza parole, esterrefatto.
  «Insomma, voglio dire» riprese sua madre, indignata, «questi Stevens sono stati veramente orribili con te, non avrebbero dovuto comportarsi così! Per non parlare poi di quel ragazzino, Walter, o come-diavolo-si-chiama, un comportamento davvero, davvero spaventoso». Jane li stava a sentire, soddisfatta che qualcuno finalmente si fosse deciso a prendere anche le sue difese.
  Jane quella sera, mentre cenavano, chiese ai genitori, avendo notato l’assenza del fratello minore: «Ma Michael dov’è? Non cena a casa, stasera?»
  Loro due si guardarono confusi, poi suo padre parve comprendere e le disse: «Oh, certo, tu non lo puoi sapere. Michael si è sposato l’anno scorso, con Ginevra, non so se te la ricordi e ora hanno anche un bambino, Matthew, che ha la stessa età di Karen. Forse ha un paio di settimane meno di lei, mi sembra».
  Jane non se l’aspettava proprio. Mickey, il suo fratellino sposato e pure padre! Quella notizia aveva dell’incredibile! Decise di punto in bianco che doveva andarli assolutamente a trovare, subito il giorno successivo, per rivedere suo fratello e Ginevra, ora sua cognata, dopo tutti quegli anni. Inoltre voleva conoscere il nipotino e farlo conoscere anche ai suoi figli. Chiese ai suoi genitori dove abitasse il fratello e loro le spiegarono la strada per arrivarci, era una zona vicina al loro quartiere.
 
 
  
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