Fumetti/Cartoni americani > I Vendicatori/The Avengers
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Autore: renney    28/06/2012    0 recensioni
Ho provato a immaginare e raccontare cosa potrebbe essere successo a Budapest tra i due agenti dello S.H.I.E.L.D. Natasha Romanoff e Clint Barton. In particolar modo, su come si sono innamorati e su come entrambi abbiano imparato a mettere in gioco i loro sentimenti e cambiare il proprio carattere l'uno per l'altra.
Ho cercato di mantenermi il più possibile fedele ai personaggi, basandomi sul film Avengers, che appunto ha ispirato questa storia, e grazie anche alla visione del cartone "Avengers - The mightiest heroes on earth" in cui è molto più presente Occhio Di Falco e si comprende meglio quale sia il suo carattere nel fumetto originale.
Buona lettura!!!
Personaggi: Clint Barton / Occhio di Falco (Hawkeye) e Natasha Romanoff / Vedova Nera (Black Widow)
Genere: Azione, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Natasha entrò nel locale, si guardò intorno e rimase stupita. Era un ristorante in tutto e per tutto, ma in fondo alla sala c’era un bancone da pub che serviva gli aperitivi e dava un tocco di personalità in più: era tutto molto grazioso per essere un locale aperto da un vecchio componente della mafia russa, pensò. Non c’era nessuno ed in fondo era normale, erano solo le 11.00, troppo presto per pranzare. Ciò che la preoccupava era il fatto che non ci fosse neanche un cameriere o un cuoco, ma uno dei posa ceneri appoggiati sui tavoli conteneva due mozziconi di sigarette spente da non più di qualche minuto e il suo vecchio amico Adrian, ne era certa, non fumava e non avrebbe mai iniziato a quella età. Forse erano già entrati i due uomini di cui parlava Clint? Si diresse velocemente verso il bancone e vide una porta semi aperta che dava sul retro dove si trovava la cucina; entrò appena in tempo per scoprire che i suoi sospetti erano corretti: i due loschi individui erano già entrati e gli avevano sparato un colpo nello stomaco. Riconobbe Adrian nonostante non lo vedesse da anni: era accasciato per terra quasi senza sensi e stava perdendo molto sangue, ma trovò lo stesso la forza per parlare a Natasha.
«Tasha, sei tu? Non sai quanto ho aspettato questo momento.» disse con un filo di voce e le lacrime agli occhi.
«Ian, non sforzarti. Avremo tempo più tardi per parlare, ora pensa a non perdere le forze. Devi rimanere sveglio o è la fine.» rispose con tono deciso.
«Non preoccuparti per me, era scontato che sarebbe finita in questo modo, anzi, non mi sarei mai immaginato che mi avrebbero lasciato vivere per così tanto tempo… pensavo si fossero scordati di me –fece un sorriso- ma ora è tutto chiaro… -un’espressione di terrore pervase i suoi occhi e qualsiasi traccia del precedente sorriso scomparve- Nat sei in pericolo!! Vai via!!»
La ragazza capì tutto: la morte di Ivan era un falso. Ripensandoci, non erano state mostrate foto del cadavere e l’attenzione che i media diedero alla vicenda era sproporzionata: di solito questi regolamenti di conti tra mafiosi non erano oggetto di interesse dell’opinione pubblica, se non sporadicamente e solo nel caso in cui le vittime fossero state personaggi veramente di rilievo; inoltre, non era consuetudine per la mafia russa gettare i cadaveri nelle fogne, non era il loro modus operandi. Dimitri sapeva bene che se fosse morto Ivan, Natasha avrebbe subito cercato Adrian e così per tutti questi anni lo stavano tenendo sotto controllo in attesa che lei arrivasse, per poterla finalmente catturare, e quel momento arrivò.
«Clint!» fu il primo pensiero che fulminò nella sua mente non appena capì che era in pericolo, che erano in pericolo.
Affidò Adrian ai suoi due colleghi che arrivarono proprio in quel momento.
«Io tornerò più tardi, per fortuna non hanno sparato per ucciderti, se fosse stato quello il loro scopo a quest’ora non eri più fra noi. Non sbagliano mai.»
«Dove devi andare? Resta qui, è pericoloso aggirarsi per queste strade da soli! E poi, ti stanno cercando!»
Natasha non lo ascoltò e senza pensarci un secondo di più uscì dalla porta sul retro, in cerca di Barton.
 
Si guardò attorno, ma non c’era nessuno e solo un piccolo vicolo si faceva strada tra gli alti muri delle case che vi si affacciavano. Visto che nessuno era tornato indietro nel locale, l’unica via d’uscita era sicuramente quella e così lo percorse di fretta. Con grande sorpresa ciò che vide una volta terminato il vicolo fu un enorme cortile su cui si affacciavano quattro palazzi apparentemente disabitati e nessuna strada che permettesse di uscire da quello spiazzale.
Dove erano andati i due assassini? Che fosse una trappola per attirarla in quel posto senza via di scampo? Doveva tornare indietro o cercare in uno dei palazzi? Ma quale dei tanti?
Un rivolo di sangue che vide scorrere sotto la porta del palazzo alla sua destra attirò la sua attenzione. “Quel sangue è ancora fresco, appartiene sicuramente a qualcuno che si trovava qua poco fa… forse è la risposta alle mie domande”
Prima di fare qualsiasi mossa però, alzò lo sguardo e rapidamente, ma molto attentamente, studiò la situazione come una vera spia sa di dover fare per evitare ogni possibile pericolo. Ora che guardava meglio, i palazzi più che disabitati dovevano essere ancora in costruzione; i vetri erano blindati, gli infissi non mostravano segni di usura e guardando dentro ai locali dei primi piani sembrava che nessuno degli appartamenti fosse ancora abitato... solo una piccola finestra sull’ultimo piano del palazzo alla sua destra era aperta. Lo stesso dalla cui porta al piano terra sgorgava il sangue visto poco prima. “No… non può essere…”
Natasha pensò immediatamente che lassù doveva esserci lui, Occhio di Falco, e non aveva torto: si era infatti appostato in quel palazzo in modo tale che se i due presunti assassini, che si rivelarono tali, fossero scappati dal retro del ristorante avrebbe potuto facilmente bloccarli senza farsi vedere e prendendoli alla sprovvista. Se si fosse messo sul palazzo di fronte sarebbe stato facilmente notato anche dal più inesperto malvivente.
Natasha fissò il sangue incapace di muoversi. Non riusciva a pensare a niente, sentiva di aver totalmente perso il controllo del suo corpo e della sua mente, ogni muscolo era come paralizzato. Era la prima volta in vita sua che le capitava una cosa del genere, anzi, la seconda.
Il suono di un uccellino che le volò accanto risvegliò i suoi sensi, ancora intontita fece un passo, poi un altro e un altro ancora finché non si ritrovò a correre verso quella porta… fece per aprila, ma lo ritrovò davanti a sé.

«Ahah ora sono io che ho aperto prima di te, ho come un flashback!! - le sorrise guardandola negli occhi e notò le lacrime che le rigavano il volto- …Ehi, che cosa è successo Nat?»
Clint si accorse che lo stava fissando, incredula, ma notò che i suoi occhi erano spenti, come se ci fosse davanti un velo trasparente che non le permetteva di vedere.
«Nat? Nat!! Rispondimi!!» la scrollò dalle spalle.
Natasha avvertì un brivido correre dalla schiena fino alle gambe e si portò via quella sensazione di impotenza che l’aveva bloccata: finalmente, veramente, lo vide.
«Come hai potuto!!! -gli urlò contro iniziando a battergli i pugni sul petto- Non farlo mai più!!! Dovevi avvisarmi che eri lassù e che stavi bene! Dove sono gli assassini?» le parole uscivano da sole dalla sua bocca come un fiume impetuoso.
Barton la strinse forse a se e rimase in silenzio. Lei, lentamente, si lasciò andare e si calmò, ogni pensiero svanì nel nulla e il respiro si fece più regolare: ora, l’unica cosa a cui riusciva a pensare, è che li tra le sue forti braccia che l’avvolgevano, stava veramente bene. Si sentiva al sicuro. Il fatto che questo non dipendesse solo ed esclusivamente da lei la faceva sentire finalmente libera, libera di non dover essere sempre e costantemente vigile su ciò che poteva accaderle e libera di poter pensare a niente… c’era qualcun altro che era attento al suo posto, che la proteggeva. Non era sola.
Fare affidamento su qualcun altro voleva dire proprio questo: fidarsi, creare un legame, lasciarsi andare e mostrare le proprie debolezze; lei, però, era stata addestrata come una macchina da guerra a disposizione del governo russo e non le era permesso provare dei sentimenti. L’amore particolarmente, fra tutti, era il sentimento più pericoloso; era innaturale, le avevano detto. Come può un essere umano, che per sua natura agisce per istinto di conservazione, rischiare la propria vita per salvare quella di qualcun altro? No, non c’è tempo di preoccuparsi per gli altri quando si è in guerra; infatti, era stata proprio la paura di perderlo che aveva azzerato ogni sua difesa lasciandola scoperta e indifesa, intenta solo a fissare il sangue senza riuscire a elaborare un piano per difendersi e all’occorrenza attaccare. Ma ora era passato tutto e non riusciva a pentirsi per ciò aveva provato.
Appoggiò il volto sul petto di Clint e poteva distintamente ascoltare il suo cuore, il proprio respiro andava a tempo con il suo, erano una cosa sola.
Clint non smise un attimo di tenerla forte a sé e pensò solo a quanto la amasse. Ormai ne era certo: lei era l’unico motivo per il quale si trovava a Budapest ed ora poteva averla. Chiuse gli occhi e appoggiò la sua guancia sulla testa di Nat. Rimasero così, immobili, per qualche lungo e interminabile minuto che sembrò durare una eternità. 
  
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