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Autore: Sophie Hatter    14/01/2007    2 recensioni
C’era qualcosa che mi impediva di detestarli con tutte le mie forze, ed era il fatto che nonostante fossero insopportabili il rapporto che condividevano era qualcosa di veramente straordinario, qualcosa che io non avrei mai spartito con nessuno al mondo.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 – Come Destare Le Più Sincere Preoccupazioni

***

Nota di inizio: questa breve ff è scritta dal punto di vista di Remus, ed è ambientata all’epoca dei Malandrini a Hogwarts. Nello specifico, siamo circa a metà del primo anno di scuola. Ho deciso di scriverla per valorizzare questo meraviglioso personaggio che è Remus Lupin, che spesso mio malgrado ho relegato ad un ruolo piuttosto marginale. Questa ff invece è tutta per lui, e per quelli che lo amano incondizionatamente.

***

 

 

Capitolo 1 – Come Dormire Sonni Tranquilli




What I am to you, is not real.
What I am to you, you do not need.
What I am to you, is not what you mean to me,
You give me miles and miles of mountains,
And I'll ask for the sea.


(Damien Rice, “Volcano”)





C’erano dei momenti in cui mi sorprendevo a pensare con convinzione di essere un perfetto ingrato.
Avevo lottato nella mia ingenuità di bambino per anni e anni allo scopo di essere trattato come un normale essere umano, per non vedermi almeno negare quei diritti che a tutti gli altri vengono concessi in maniera così ovvia e scontata, e per non finire relegato ai margini della comunità magica in una posizione che mi precludesse di realizzare i miei sogni lontani. Ora avevo ricevuto la grazia suprema di essere ammesso a frequentare Hogwarts, ero ingessato nella divisa di seconda mano che tutto sommato aveva molti meno rattoppi dei miei abiti consueti, dormivo in un letto che mi pareva degno del Ministro della Magia e mi era stato preparato un luogo in cui potermi rifugiare una volta al mese per consumare in solitudine la graffiante sofferenza delle mie trasformazioni, e nonostante tutto mi accorgevo, ormai alla soglia dei miei dodici anni, che quella vita ancora non mi rendeva felice.
Il problema principale era la mia congenita mancanza di amicizie. Tutti i miei compagni di classe sembravano nutrire una considerazione mediamente positiva della mia persona, per il semplice fatto che apparivo come il classico ragazzo tranquillo e studioso che sputa l’anima sui libri per ottenere buoni risultati a scuola, che ha la maturità sufficiente per non farsi coinvolgere nei discorsi infantili dei suoi coetanei, che ha sempre un sorriso gentile per tutti anche nei momenti peggiori e si mostra sempre disponibile ad offrire un aiuto o un suggerimento dall’alto della sua umile conoscenza.
Tutti mi trattavano con gentile e distaccato rispetto, con una formalità e una neutralità di intonazione che non mancavano mai di bruciarmi le viscere, e io avevo finito per essere di nuovo distante dal resto del mondo e privato della possibilità di vivere pienamente, nonostante avessi ottenuto l’immane privilegio di poter frequentare una scuola per maghi come tutti gli altri.
Così, il mio doveroso senso di gratitudine aveva finito per spegnersi all’alba del sesto mese di scuola. Soffocavo quella patetica malinconia immergendomi continuamente in libri di qualsiasi genere, cercando di ignorare le occhiate di compassione e i sorrisi di circostanza dicendomi che in fondo non sarei mai riuscito ad integrarmi in un qualsiasi gruppo, perché in fin dei conti io non ero come loro, e questo era un dato di fatto invalicabile. I miei coetanei erano esattamente ciò che avrebbero dovuto essere, dei ragazzini che cominciavano a crescere sguazzando nel riverbero della loro infanzia felice. Io invece mi sentivo vecchio. Passavo la maggior parte del mio tempo a riflettere invece che a divertirmi in maniera insensata e per il puro gusto di sfogare le mie energie, e benché ascoltassi non di rado le loro conversazioni, mi rendevo immediatamente conto che non avrei mai saputo come intervenire adeguatamente. Le poche volte che venivo interpellato direttamente da qualcuno, l’argomento era o una qualsiasi materia scolastica o gli orari della biblioteca. Spesso mi sentivo terribilmente invisibile, riconosciuto come essere umano solo in virtù dei miei meriti scolastici, relegato ai margini di un gruppo compatto che non sapeva come rapportarsi con un elemento come me. Mi facevo pena, a dire la verità. Detestavo l’autocommiserazione e avevo sempre fatto di tutto per evitare di piangermi addosso, anche quando ero stato morso e avevo cominciato a perdere completamente la mia ingenuità di bambino, ma ogni volta che mi capitava l’occasione mi soffermavo a rimuginare con amarezza su quanto fosse ingiusto il modo in cui tutti mi trattavano. Io non volevo essere il ragazzino perfetto che tutti gli insegnanti additano a modello comportamentale, innalzato su un piedistallo a cui nessuno osava o desiderava avvicinarsi, soddisfatto di essere il classico bravo ragazzo. Non che per questo avessi intenzione di smettere di studiare e di cominciare a comportarmi da ribelle, no di certo. Possedevo dei sensi di colpa troppo acuti per pensare di poter gettare via con totale irresponsabilità la preziosissima occasione che Silente mi aveva donato, i risultati che mi ero guadagnato con fatica e silenzio, i principi a cui ero stato educato e che avevo reso miei, l’avversione naturale per i comportamenti immaturi e sconsiderati. Non volevo che anche la mia parte umana si trasformasse in un mostro. Perciò mi limitavo a chinare la testa e ad impormi di sopportare senza un lamento, senza prendere mai in considerazione l’ipotesi di andare a elemosinare un po’ di compagnia e affetto da persone che con me non volevano avere niente a che fare e con cui io non avevo niente in comune, dicendomi che avrei dovuto essere in grado di accontentarmi del grande dono che avevo già ricevuto.
Dopotutto, considerati quali erano i miei compagni di Casa, non potevo certo pensare seriamente di poter essere amico di gente del genere.
Non è che li disprezzassi; è che, semplicemente, erano quanto di più lontano e alieno ci potesse essere dal mio carattere. Uno di loro era nientemeno che un Black, famiglia fin troppo conosciuta nel mondo dei maghi per il suo fanatismo purosangue. Il ragazzo, tuttavia, sembrava essere perfettamente estraneo a questo spirito estremista; semplicemente non gliene importava nulla, così come di tutto il resto. Credo fosse l’unico della sua stirpe ad essere finito a Grifondoro, e facendo un paio di collegamenti logici ne avevo dedotto che la famiglia non doveva essere affatto fiera di lui, considerato che razza di Strillettera gli era stata recapitata giusto il secondo giorno di scuola. Lui era rimasto ad osservarla sgolarsi con voce stridula con aria completamente impassibile, e un lieve accenno di un sorriso beffardo sulle labbra. Era un tipo strano, dotato di una bellezza sinistra che lo rendeva una figura cupa ed enigmatica, uno che rispondeva ai professori con un’arroganza infantile davvero irritante, che aveva combinato almeno il doppio dei danni rispetto alle punizioni che gli erano state inflitte, e che nonostante fosse dotato di un’intelligenza considerevole non si dava cruccio di sprecarla macchinando passatempi futili e impegnandosi il meno possibile a scuola. Per me che passavo ore sui libri impegnandomi al massimo delle mie forze, vedere che quel piccolo sbruffoncello riusciva ad ottenere un voto alto in una materia qualsiasi pur disturbando costantemente durante ogni singola lezione e girovagando per la scuola giorno e notte senza sicuramente fare niente di scolastico, era come minimo fastidioso. E il bello è che non era il solo. Un altro che condivideva questa sua stessa caratteristica era James Potter, che nel dormitorio occupava il letto sotto a quello di Black. Anche i Potter erano una famiglia conosciuta, ma di certo estranea allo spirito demoniaco dei Black. Il ragazzo in questione era un tipo sveglio, vivace, vitale, un po’ meno arrogante e strafottente di Black ma sicuramente altrettanto portato per combinare disastri. I due erano diventati migliori amici da circa un mese dopo l’inizio della scuola, e ora erano praticamente inseparabili: dove c’era uno, c’era anche l’altro. E si poteva star certi che non stessero combinando nulla di buono, in qualsiasi luogo si trovassero. Potter era un tipo molto socievole ed esuberante, forse fin troppo, ma in coppia con Black diventava assolutamente incontenibile. Sfacciato fino all’inverosimile, in maniera del tutto candida e bambinesca ma sempre con quel sorrisetto obliquo lievemente accennato sul volto, fiero della sua aria trascurata e dei suoi capelli perennemente spettinati che gli avevano fatto già guadagnare i sospiri incantati di diverse ragazze della nostra età, si agitava per qualsiasi cosa, non rimaneva mai fermo sulla sedia per più di un minuto, e sembrava vivere in funzione dell’obiettivo di entrare a far parte della squadra di Quidditch l’anno seguente, quando l’età gliel’avrebbe permesso. La McGranitt per colpa loro era già sull’orlo di una crisi di nervi, diversi tra i ragazzi più grandi nutrivano nei loro confronti un rispetto che era abitualmente negato a ciascuno dei primini per puro principio, una ragazza di Grifondoro del nostro anno strillava ormai ogni giorno contro di loro sfoggiando una gamma di insulti davvero notevole per i suoi undici anni e ricevendo in risposta soltanto le loro risate divertite, e io mi limitavo ad esibire un’aria perplessa di fronte ai loro ghigni sadici e a girarmi verso il muro premendomi il cuscino sulla testa quando a mezzanotte passata ancora non ne avevano abbastanza di chiacchierare delle loro idiozie.
Tuttavia, certe volte mi accorgevo di invidiarli, in parte.
Non desideravo essere come loro, né li idolatravo come faceva il ragazzino di Grifondoro che dormiva sotto di me. Però entrambi erano costantemente sotto i miei occhi, e io non potevo fare a meno di osservarli e di riflettere. C’era qualcosa che mi impediva di detestarli con tutte le mie forze, ed era il fatto che nonostante fossero insopportabili il rapporto che condividevano era qualcosa di veramente straordinario, qualcosa che io non avrei mai spartito con nessuno al mondo. Non solo si dicevano tutto, ma si capivano a vicenda in maniera del tutto spontanea, Black con il suo atteggiamento criptico e Potter con la sua immediatezza fanciullesca. Erano uniti in modo totale e sempre pronti a correre in difesa l’uno dell’altro, senza che ci fosse bisogno di giustificazioni. Inoltre scherzavano con un’ilarità così contagiosa che più di una volta aveva fatto sorridere segretamente anche me, facendomi nascere contemporaneamente il desiderio nascosto di poter essere parte anch’io di un divertimento di quel genere. Erano totalmente infantili ed immaturi, ma almeno per certi aspetti provavo anch’io il desiderio di poter vivere la mia vita con la loro spensieratezza, senza sentirmi gravato dal peso di una solitudine amara e tagliente. Ma non è che condividessimo quel gran rapporto, dopotutto. Per loro probabilmente ero soltanto un ragazzino insignificante e straccione da sfruttare nel momento in cui non avevano fatto i compiti e la necessità di salvarsi la reputazione incombeva minacciosa su di loro, o più semplicemente il compagno di stanza che si esprime a monosillabi e non ha mai niente di meglio da fare che chinare la testa su un libro logorandosi la vista. In più io, che vivevo questo mio stato di isolamento con un’insofferenza che ormai aveva raggiunto ogni limite, ferito perché non venivo mai considerato un essere umano con cui poter fare amicizia, avevo cominciato anche a rispondere con aria gelida e lievemente seccata a chiunque mi rivolgesse la parola, e nel loro caso non facevo certo un’eccezione. Certe volte devo ammettere che provavo anche un’insana soddisfazione nel metterli a tacere con poche parole dall’intonazione infastidita, perché ad ogni modo mi permetteva di gridare silenziosamente al mondo che io non ero il tipo che si faceva tranquillamente mettere i piedi in testa. Era una sorta di riaffermazione di me stesso che per qualche breve attimo riusciva a darmi conforto, e a farmi dormire tranquillo dimenticandomi per una volta di tenere il conto dei giorni mancanti alla prossima Luna piena.

 

   
 
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