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Autore: Buck    30/06/2012    2 recensioni
Bellatrix Black è marcia, è marcia dentro. Alcuni credono che sia pazza. Come potrebbe altrimenti uccidere con tanta noncuranza, facilità quasi? Lei però non è d'accordo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Dicono che sia pazza. Ma può davvero essere definito pazzo chi sa in che cosa consiste la sua cosiddetta pazzia? Chi addirittura sceglie di fare di quella stessa pazzia la sua ragione di vita?

Mi hanno sempre insegnato che i folli sono privi di quella cosa che si chiama consapevolezza, che il loro cervello è danneggiato, malato. In qualche modo sono giustificati, perché le loro azioni sono dettate dalla stessa malattia che li soggioga, dalla conseguente incapacità di discernere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato.

Dunque, come possono definire me folle, o malata?

E’ evidente che io non lo sia, né folle né malata. Io sono consapevole delle mie azioni, anche e soprattutto di quelle che la maggior parte della gente definisce malvagie, o crudeli. Io godo nel vedere soffrire gli altri, nell’uccidere. Non avete idea di quanto ci si senta potenti nel torturare una vittima, farla gridare di dolore, schiacciarla a terra e sovrastarla, e poi torturarla, ancora e ancora prima di finirla.

Vi sembrano queste le parole di una pazza?

Non c’è niente di più eccitante per me che vedere la vita scorrere via da un corpo, essere io a farla scorrere via. Rido di piacere nel procurare paura, terrore. Il terrore dipinto negli occhi delle vittime è l’aria che mi fa respirare. Ancora meglio quando le suddette vittime cercano di scappare, pur sapendo di non avere vie di fuga, o incominciano a piangere, a supplicare. Taluni invocano il mio buon cuore, gli stolti: non sanno che esso batte solo per uccidere. Nessuno può sfuggire a Bellatrix Black, nessuno.

Perché credete che io sia diventata Mangiamorte? Il mio Signore lo comprende, è mosso dai miei stessi istinti. È malvagio come me. Lui mi capisce quando dico che per me il male è bene e lo sbagliato è il giusto. È per questo che consacrerò a lui la mia vita, che per lui morirò. Che cosa c’è di meglio che morire per quello in cui si crede? Anche io in fondo morirò con onore, solo che la mia idea di onore forse non corrisponde alla vostra.

Qual è stata la prima volta che ho ucciso?

Avevo nove anni, e giocavo in giardino con mia sorella Narcissa. Ad un tratto qualcosa era entrato nella nostra proprietà, non so bene attratto da quale meraviglia, e si era acciambellato all’ombra di un cespuglio. Era un micio bianco, candido come la neve, con gli occhi azzurri. Era un cucciolo, probabilmente si era perso. Mia sorella era stata subito attratta da quell’inutile palla di pelo, e aveva smesso di prestarmi attenzione.

Ricordo quell’episodio con estrema vividezza…

“Guarda, Bella, non è adorabile?” esclama Narcissa con voce odiosamente dolce, tirandomi per la manica del vestito che indosso e indicandomi la bestiola con gli occhi che le luccicano. Batte le manine eccitata e sorride entusiasta. Di cosa, non l’ho mai capito.

“Lascia perdere, Cissy!” le ordino, seccata. Ma lei non mi ascolta più. Si avvicina piano al micetto, ignorando i miei richiami sempre più insistenti. La minaccio di spifferare alla mamma che si è arrampicata sugli alberi, così la metterà in punizione e non potrà uscire dalla sua camera per un po’. Cissy non si arrampicherebbe mai sugli alberi, è più il genere di cosa che farei io, ma sono io la preferita di mamma, e posso farle fare quello che voglio. Già, anche allora amavo il potere, e stavo imparando ad usarlo sugli altri per raggiungere i miei obiettivi. Con mia madre poi, era particolarmente facile. Potevo farmi ubbidire come credevo: ordinavo e tutto mi era dovuto. Anche Narcissa doveva obbedirmi. Se non lo avesse fatto, se ne sarebbe pentita amaramente. Nessuno deve osare sfidarmi. Nessuno.

Avrebbe dovuto ascoltarmi. Ma il suo cuore era straordinariamente tenero. Ho sempre pensato che fosse fuori posto nella nostra famiglia, sia dal punto di vista caratteriale sia per l’aspetto: bionda, con occhi azzurri grandi e ingenui, suggeriva e suggerisce tuttora fragilità, mitezza. Non è mai stata e mai sarà nera come vuole il nome che porta.

A quel tempo poi non aveva nemmeno il fegato per onorare i Black. Ho cercato di cambiarla, ma non sono sicura di esserci riuscita. Oggi è sposata con Lucius, un buon partito, ed è una Mangiamorte, come le si addice, ma non mostra quel fervore che dovrebbe portare al Nostro Signore, non c’è traccia in lei di quell’orgoglio e quella fierezza che invece sono così radicati in me. Narcissa Malfoy al giorno d’oggi è una donna algida, impenetrabile. Ma se scosto il velo dell’apparenza e mi sforzo di vedere che cosa c’è sotto, rivedo quella bambina sorridente dall’animo orrendamente generoso, ahimè incapace di fare del male ad una mosca, che disubbidendomi si era avvicinata piano ad un gattino bianco ed indifeso come lei per non spaventarlo, e poi l’aveva preso in braccio e stretto con affetto.

Bella, dici che possiamo tenerlo?” mi aveva chiesto entusiasta, facendosi leccare la faccia, senza vedere la rabbia che cresceva dentro di me, l’odio che si impadroniva del mio corpo e prendeva possesso del mio cuore e della mia anima.

Non le avevo risposto, mi ero limitata ad avvicinarmi e a guardare a quella scenetta con disgusto. Lei allora aveva sollevato gli occhi ed era rimasta impietrita dinanzi alla mia freddezza, indifferenza, gelida rabbia ma, per una volta, non si era fatta scalfire.

“Come lo possiamo chiamare? Sono sicura che papà mi darà il permesso di tenerlo, anche se mamma non sarà d’accordo…”

Quello che succede dopo avviene lentamente e velocemente allo stesso tempo. Io non ci sento più. Non vedo più. Rispondo solo a una voce nella mia testa, una voce suadente e ammaliatrice, che mi ordina cosa fare. Prendo la bestiola dalle braccia della mia sorellina, incurante del suo sguardo interrogativo e pieno di paura e, afferrata una pietra, comincio a colpire il micio, ancora e ancora, fino a che non si dimena più e Narcissa non ha più voce per gridare. Può urlare fin che vuole, tanto nessuno la può sentire. Siamo troppo lontane da casa.

Bellatrix, perché lo hai fatto?” sussurra infine, in ginocchio, le lacrime che le rigano le guance, pallida e disperata. Io ho i vestiti e le mani macchiati di sangue e stringo ancora il corpo esanime del micio tra di esse. Cissy non riesce a togliergli gli occhi di dosso, li sposta alternativamente da me a lui, me e lui, me e lui…

Io le sorrido, un sorriso che voi definireste cattivo, pieno di soddisfazione. In quel momento mi sento felice, felice davvero. Se solo Narcissa potesse gioire con me… ma lei continua a piangere e a disperarsi e io odio le persone che piangono e si disperano. L’ira che si era impadronita di me e poi docilmente acquietata, sazia, divampa nuovamente, furiosa, implacabile.

Mi allontano di qualche passo e raggiungo il laghetto nel quale io e le mie sorelle facciamo il bagno, nei caldi giorni estivi. Getto in acqua il gatto, e poi la pietra, la mia prima arma del delitto. Li guardo scomparire per sempre. Poi raggiungo Narcissa e la tiro in piedi a forza.

“Torniamo a giocare” le ordino. Lei trema come una foglia.

Sirius ha ragione, tu sei marcia, Bella, sei marcia dentro!” mi urla contro, prima di scappare a rifugiarsi nella sua stanza. La lascio andare. Non parlerà, nessuno le crederebbe. Anzi, forse le crederebbero, forse mi comprerebbero un regalo.

Narcissa deve imparare ad essere forte. Che si lecchi le ferite da sole, io non andrò certo a consolarla.

Quella è stata la prima volta che ho ucciso. È strano che io la ricordi con tale straordinaria nitidezza. Non conservo nella memoria con così tanta precisione e dovizia di particolari il ricordo di tutti i miei omicidi. Il mio cuore trabocca soltanto delle immagini di quelli più cari. Ne ho commessi troppi, forse. Alice e Frank Paciock, per esempio. Ho alzato la bacchetta su di loro per ore e ore, anche quando ho capito che non si sarebbero arresi, che sarebbero morti piuttosto che parlare dell’Ordine della Fenice, piuttosto che svelare i loro segreti. Ogni volta si rialzavano. E ogni volta io li colpivo con la mia magia e li facevo ricadere a terra. Li ho ascoltati piangere, gridare, invocare aiuto, ma mai pietà. E ogni volta che alzavo la bacchetta, ridevo: ridevo della loro ostinazione, del loro coraggio. A che cosa serviva continuare a negarmi quello che volevo? Sarebbero morti comunque, ma almeno sarei stata clemente, almeno li avrei uccisi subito, senza farli soffrire oltre. Eppure non hanno ceduto.

No, Alice e Frank Paciock non si sono sottomessi a me ma, a ben guardare, ho vinto comunque. Sono andata avanti a colpire fino a quando di loro non sono rimasti che gusci vuoti. Avrei potuto finirli, ma non l’ho fatto: sarebbe stato un gesto pietoso al punto cui si era arrivati e io non conosco la pietà. Li ho lasciati in vita, se vita si può chiamare, perché tutti vedessero di che cosa sono capace.

Perché quando la fiamma divampa dentro di me non c’è niente da fare: devo uccidere. Ne ho bisogno, capite? È la mia natura. Sta scritto lassù, in cielo, nella stella di cui porto il nome.

Io amo il potere, ne sono assuefatta. Come vedete, lo riconosco. Riconosco la mia più grande forza e insieme debolezza. Osate ancora dire che sono pazza?

La sera in cui ho ucciso per la prima volta, dando libero sfogo alla vera me sono salita in camera da mia sorella. Non era scesa per cena, e né lei né io avevamo dato spiegazioni. La porta era aperta. La trovai appoggiata al davanzale della finestra, lo sguardo fisso nel vuoto, le lacrime che ancora scendevano a rigarle le guancie. “Vattene” mi pregò, ma io non le diedi retta. Quel pomeriggio mi aveva detto che ero marcia, e aveva ragione. Lo sapevo allora, e lo so anche adesso. Però volevo bene a mia sorella e sapevo che doveva marcire almeno un po’ anche lei per sopravvivere nella nostra famiglia. L’avrei aiutata io. Mia sorella Andromeda era una causa persa, era addirittura finita a Grifondoro, ma per mia sorella Narcissa c’era ancora speranza. Le presi il mento tra le dita e la costrinsi a guardare in alto. Indicai le nostre stelle, entrambe brillanti, entrambe bellissime e lucenti. “La vedi la tua stella, Cissy? Tu devi brillare come quella stella” spiegai, prima di andarmene, costringendola a guardarmi negli occhi, blu dentro azzurro.

Vedete? So anche fare del bene, in fondo. Non sono poi così marcia. Se mia sorella è viva lo deve a me.

Siete convinti ora? Avete compreso quello che ho cercato di dirvi? Vi siete arresi all’evidenza che non sono né folle né malata? Rendetemi onore, chinatevi dinanzi a me e chiamatemi con il titolo che anelo e merito: assassina.

Bellatrix Black quella notte non aveva capito una cosa: sia lei che Narcissa avrebbero brillato, ma in modo diverso. Quanto, solo il tempo avrebbe saputo dirlo.


Note: Ciao a tutti!!!!! Cosa ne pensate?????? Non so come mi sia venuto in mente di scrivere qualcosa su Bellatrix. È forse uno dei personaggi che ho odiato di più, ma anche di quelli che più mi hanno affascinata di più. Mi sono chiesta: può una persona essere così spietata, cinica, insensibile? Può un essere umano uccidere con una tale lucidità e insieme spensieratezza? Secondo me no, a meno che non si sia pazzi. E Bellatrix è questo secondo me: folle, an-che se non se ne accorge. Fatemi sapere cosa ne pensate! Risponderò volentieri a qualsiasi domanda e accetto le critiche. Un grazie anche a chi legge in silenzio!!!!!!!!!!!! :) Buck

  
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