Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: LunaSayan    01/07/2012    2 recensioni
Ambientata dopo "Lo scontro finale." Lilith è speciale, Lilith non è umana, è qualcosa di più. Vive in un orfanotrofio e spera un giorno di sfuggire. Cosa succederà quando un misterioso ragazzo cercherà di aiutarla, rivelando la sua vera identità?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

TEARS
 

Passai da una lezione all’altra con la testa fra le nuvole, ripensando alla conversazione che avevo sentito, pardon: origliato. Infondo era stata tutta colpa mia, mia e della mia maledetta curiosità. Insomma, chi può nascondersi nella doccia per ascoltare un discorso oppure stare dietro ad una porta chiusa per sentire un alunno che parla con una professoressa appena arrivata e un pochino strana? Soltanto io ovviamente.

Mi scontrai almeno dieci volte in corridoio con varie persone che mi lanciavano occhiatacce furtive. Quando entrai in mensa era già affollata, mi guardai intorno alla ricerca di un tavolo vuoto e ne notai uno, ma non era esattamente isolato. C’era lui. Quel maledetto ragazzo che era arrivato in una giornata a dir poco stramba e sfortunata, e mi aveva rovinato il compleanno: la strana felicità che avevo provato appena sveglia si era dissipata durante le lezioni, come neve al sole.

Sbuffai scocciata e mi diressi verso il buffet, lasciai cadere tristemente nel piatto il purè e presi un fetta di carne dall’aria nodosa. Portai il vassoio al tavolo e lo sbattei sulla superfice di legno. “Oh, ciao Lilith. Posso chiamarti Lil?” domandò Nico appena mi sedetti esattamente di fronte a lui. “No.” Dissi seccamente brandendo il coltello in aria e cominciando a tagliare la carne di vitello. “Chi sei tu? Da dove vieni?” sbottai vedendo che lui continuava a fissarmi non dicendo una parola.

“Bè… Sono Nico Di Angelo e vengo…” fece una smorfia divertita. “Da Los Angles.” Concluse. “I tuoi genitori sono morti?” domandai non provando nemmeno ad utilizzare un po’ di tatto. “Mia madre si… mio padre non è esattamente presente. Mi ha spedito qui su richiesta della mia matrigna.” Spiegò non sembrando affatto dispiaciuto

. “Come si chiama tuo padre?” domandai inclinando la testa da un lato. Era una specie di tic, quando ero in confusione o non capivo qualcosa piegavo il capo, cercando di guardare le cose da un’altra angolazione. “ Non sono affari tuoi.” Borbottò sulla difensiva. “Scusa…” alzai le mani in segno di resa. “Ok Lil, parlami un po’ di te.” Iniziò. “Ho detto che non puoi chiamarmi Lil. E non c’è molto da sapere su di me.” Dissi acidamente.

“Nemmeno su di me, se è per questo. Ma qualcosa ti ho detto.” Osservò con un sorrisetto furbo che mi mandò in bestia. “Sei insopportabile.” Commentai. “Me lo dicono in tanti, ma si sopravvive.” Rispose incrociando le braccia al petto. “Perché oggi parlavi con la Discord?” sputai fuori senza troppi giri di parole.

Nico trasalì, e io sorrisi, contenta di essere riuscita ad abbattere almeno una parte delle sue difese. “Stavi origliando.” Constatò. “Già. Ma non hai risposto alla domanda.” Ribadii. “Ancora una volta: non sono affari tuoi.” Scandì. “Mi aspettavo una risposta del genere, vuol dire che hai qualcosa da nascondere.” Lo accusai. “Mi spiace Sherlok, ma sono pulito.” Ridacchiò tornando sicuro di se stesso.

Gli lanciai un’occhiata gelida e poi mi alzai in piedi. “Ciao Nico.” Lo salutai con voce glaciale. “Ciao Lil.” Strinsi il vassoio con tutta la mia forza, cercando di non lanciarmi addosso al ragazzo e strozzarlo senza pietà. Feci un respiro profondo, buttai nel cestino il mio pranzo, e poi mi incamminai a testa alta verso la mia camera.



Le lezioni pomeridiane duravano fino alle 17.30, poi si potevano fare i compiti fino alle 20.00 e poi iniziava la cena. Quel pomeriggio tutti i dormitori erano in fermento, il giorno dopo c’era la settimana di vacanza che il collegio Andromeda concedeva agli orfani che erano stati adottati, ma che continuavano a studiare nella nostra scuola.

I ragazzi del genere erano tantissimi, praticamente i tre quarti, perciò io adoravo quella settimana, perché rimanevo sola con i miei pensieri senza che nessuno mi disturbasse. Dato che la scuola stava per finire, chi rimaneva in orfanotrofio, poteva fare il bagno nella piscina interrata che stazionava nel cortile posteriore; era sempre coperta, tranne durante quei sette giorni. La notte passò tranquillamente, e il sabato tutti avevano le valige pronte e premevano davanti ai cancelli per uscire da quel carcere.

Io guardavo la scena dalla finestra del mio dormitorio, appoggiata al davanzale, pensando che tutti quei bambini e ragazzi sarebbero andati in vacanza alle Maldive, o magari a vedere le piramidi in Egitto, o il Partenone ad Atene; io invece ero bloccata lì dentro, arrabbiata con il mondo e con me stessa perché non riuscivo a svegliarmi e a trovare un modo di scappare. La verità era che avevo paura, tanta paura. Cosa c’era nel mondo là fuori? C’ero stata un paio di volte, giusto per vedere le automobili e i grattacieli di Las Vegas.

La televisione c’era in mensa, ma si accendeva soltanto quando c’erano notizie sensazionali da ascoltare al telegiornale. Sentii due mani sulle spalle e per poco non mi venne un infarto. Mi voltai infuriata. “Sei pazzo!?” sibilai. “Scusa, scusa. Non pensavo che ti spaventassi per così poco.” Ridacchiò Nico. “Ero immersa nei miei pensieri.” Risposi a mo’ di scusa. “Ah ah... allora, nessuno ti porta fuori da questa prigione?” domandò prima che potessi aprire bocca.

“No. Io non ho nessuno.” Ringhiai. “Se parti da questo presupposto finirai per non avere davvero nessuno.” Commentò affiancandosi a me e guardando fuori dalla finestra. “Non puoi restare nel dormitorio femminile. Se ti beccano finisci in punizione.” Lo avvertii. “Correrò il rischio.” Sorrise sarcasticamente e il mio cuore perse un colpo.

Quando rideva era ancora più bello del solito, perché doveva essere così, maledettamente, carino? “Se finisci in punizione non dirmi che non ti avevo avvertito.” Borbottai. “Tranquilla Lil, non mi beccheranno. Sono bravo a scappare.” Osservò.

 “Allora è meglio che cominci ora, perché tra circa dieci secondi ti strozzerò.” Dissi glacialmente. “Ciao Lil.” Sospirò. E poi si allontanò a lunghe falcate.



Terzo giorno. Il terzo giorno iniziò normalmente. Colazione, bagno in piscina; pranzo, bagno in piscina; cena, annoiarsi in dormitorio. Ero da sola, tutte le mie compagne erano nel mondo esterno a godersi la vita, io invece cercavo di tagliarmi le doppie punte con una forbicina per le unghie.

Lavoro arduo e inutile, ma almeno mi teneva occupata. Non sarei mai dovuta andare in bagno a sciacquare le forbici, fu il peggior errore della mia vita. “Oh, guarda chi abbiamo qui!” esclamò Lily vedendomi comparire dall’entrata. Dannazione. Stavo per fare retrofront ma Lola corse da me e mi afferrò per un braccio.

Provai a liberarmi ma la biondina aveva una presa davvero ferrea, non me lo sarei mai aspettata. In più la sua mano era gelida, come se fosse fatta di metallo. “Lasciami andare.” Ringhiai. “Calma tesoro, calma.” Lily mi sferrò una ginocchiata nello stomaco, facendomi piegare in due. Da dove diamine prendevano tutta quella forza!? Scivolai in ginocchio trattenendo le lacrime di dolore, non avrei mai pianto davanti a loro due.

Non avrei mai dato alle due gemelle cattive la soddisfazione di vedere le mie lacrime. “Abbiamo un po’ di domande da farti.” Sussurrò Lola sollevandomi il mento affinché riuscissi a vedere i suoi occhi color nocciola, che in quel momento brillavano di una scintilla malvagia. Mi venne voglia di sputarle in faccia, ma accantonai l’idea, meglio non farla infuriare ancora di più. “Dove è tua madre? Cosa sta tramando?” sibilò Lily premendo un ginocchio sulla mia colonna vertebrale.

Aggrottai la fronte, la situazione stava diventando in un qualche modo comica. “Non so chi sia mia madre.” Risposi. “Smettila!” sbottò l’altra affondando le unghie laccate nella carne del mio collo. “Sono qui perché mi ha abbandonata! Come faccio a sapere chi è?” borbottai trattenendo un gemito di dolore. “Non provare a fare la finta tonta! Noi sappiamo chi sei!” esclamò Lola stritolandomi una mano. “Cosa volete da me!? Non ho fatto niente! Non so niente!” gridai stringendo i denti e cercando di liberarmi in tutti i modi.

Purtroppo Lily riuscì a sbattermi contro al muro facendomi battere la testa. Per un attimo vidi il muro che si sdoppiava, poi ritornai lucida. “D’accordo, se la mettiamo così non resta che passare alle maniere forti.” Constatò Lola. Stavo cominciando davvero a spaventarmi. Le due gemelle sorrisero e poi cominciarono a trasformarsi. I capelli caddero del tutto e al loro posto spuntarono del peli ispidi e ruvidi. Al posto delle gambe comparirono delle zampe metalliche e i canini si allungarono. Volevo urlare, volevo disperatamente urlare.

Una parte del mio cervello non riusciva a credere a quello che stava vedendo, l'altra aveva la certezza più assoluta che tutto quello era vero.

Dalla mia bocca però non usci alcun suono, la voce rimase impigliata nella mia gola. Una delle due mi agguantò per i capelli e spinse la mia testa di lato. L’altra si avvicinò e mi lecco il collo. “Il tuo sangue ha un buon odore, Lilith. Ne berrò un sorsetto.” Disse con una voce che non avevo mai sentito in vita mia.

Era come sentire le unghie che grattano una lavagna, un suono fastidioso e lancinante. La seconda mi tappò la bocca con entrambe le mani artigliate, impedendomi di emettere alcun rumore. Quando il mostro affondò i canini estremamente lunghi e affilati nella mia giugulare un’ondata rossa di dolore si propagò per tutto il mio corpo, lasciandomi senza fiato. Il mio sangue usciva, lo sentivo abbandonarmi. Lei intanto beveva con avidità, ringhiando affamata. Cosa erano? Vampiri? Di sicuro non esseri umani, quella era l’unica certezza che avevo.

Ovviamente non sarei stata lì a morire con le mani in mano. Avevo ancora le forbicine strette in pugno. Con uno sforzo enorme sollevai il braccio sinistro senza farmi vedere, e affondai le forbici nella gola del mostro che mi stava dissanguando. Lily o Lola, non so chi delle due, ululò per il male e barcollò all’indietro, smettendo di succhiare il mio sangue.

L’altra era rimasta immobile e sorpresa, le diedi una gomitata dritta in faccia e poi corsi verso la porta, con le gambe tremanti. Afferrai la maniglia e la tirai giù, ma quella maledetta porta del bagno non si apriva. Il mostro si era ripreso, e scoppiò a ridere con un tono che mi fece accapponare la pelle. “Bel tentativo, tesoro. Ma ora sono più arrabbiata.” “Lasciala a me Lily. Ho sete!” mi appiattii contro la porta in cerca di qualche altro oggetto contundente da utilizzare, ma tutto quello che avevo a disposizione erano delle salviette e delle saponette di Marsiglia. Lola mi bloccò le mani sopra alla testa e mi pestò un piede, talmente forte che credevo me l’avesse rotto.

Di nuovo due paia di denti affondarono nella mia gola, e di nuovo una fitta lancinante mi pervase. In quel momento non avevo più niente da utilizzare. Provai a dibattermi, ma più mi muovevo più mi sentivo debole e stanca. Raccolsi le energie per un ultimo urlo. E quella volta ci riuscii. La mia voce uscì acutissima e penetrante, forse l’aveva sentito mezza città. Le due però non sembrarono preoccuparsene e Lily spinse via Lola. “Tocca a me, sorellina.” Le disse.

Però quella volta non mi succhiò il sangue. Si bloccò con un braccio alzato e mi lasciò andare, caddi sotto a dei lavandini, giusto in tempo per non venire spiaccicata dalla porta che cadeva con un tonfo assordante per terra. Qualcuno era venuto a salvarmi, grazie al cielo. Mi portai istintivamente le mani al collo e quando le guardai erano completamente tinte di rosso.

Chiusi gli occhi e mi feci coraggio. “Figlio di Ade!” sibilarono in coro le gemelle. Forse avevo le traveggole, perché il ragazzo che stavo fissando era Nico Di Angelo, e stava facendo roteare una spada lunga ottanta centimetri. “Empuse, eh? Dovevo immaginarlo.” Commentò. Mi trascinai contro il muro e appoggiai la testa sulla superfice liscia e fredda.

Era tutto un incubo, quello che stava succedendo era frutto del mio subconscio malato. Soltanto un incubo… continuavo a ripetermi. Abbassai le palpebre per non vedere la scena davanti ai mie occhi, e quando le riaprii Lily e Lola erano sparite, al loro posto c’era una polverina grigiastra che stava fluttuando tranquillamente, per poi andare a posarsi sul pavimento macchiato di sangue. “Solo un incubo…” dissi ad alta voce nascondendo la testa fra le ginocchia.

“Non è successo davvero. Ora mi sveglierò.” Sussurrai. Sentii l’arma di Nico che cadeva per terra con un tintinnio metallico. “Lilith?” domandò. Alzai il capo. “Soltanto un incubo.” Ribadii. Il ragazzo si accovacciò per arrivare all’altezza dei miei occhi. “Non è un incubo, Lilith. E’ successo tutto davvero.” Affermò fissando il mio sguardo color ghiaccio.

Scossi la testa.” No, no. Quelle cose non sono vere, non è possibile…” ma allora perché mi sentivo così debole? Perché il dolore era così forte? Perché non mi svegliavo? “Lil… ascoltami. E’ successo tutto davvero, ma adesso sei al sicuro. Ok?” chiese, a dire il vero era a metà tra una domanda e un ordine. “Vuol dire… o mio Dio… quelle cose…” ansimai.

“Calma, calma.” Mormorò. Andai in iperventilazione. “Lil. Guardami.” Mi prese il mento con una mano e mi costrinse a fissarlo negli occhi neri come la pece. Mi persi dentro a quei due buchi neri un’altra volta, però infondevano sicurezza. Erano così belli… e in qualche modo anche caldi, ma freddi al tempo stesso. Afferrò una salvietta caduta per terra e la posò delicatamente sul mio collo. Subito il tessuto azzurrino si tinse di rosso cremisi. “Ti fa male?” si informò guardando nervosamente la porta.

Annuii senza riuscire a dire una sola parola. Nico si passò una mano tra i capelli e si rialzò in piedi. “Riesci a camminare?” Provai ad alzarmi in piedi e con mia enorme sorpresa riuscii a reggermi sulle gambe, anche se erano un po’ traballanti. “Brava.” Disse. Poi mi prese un braccio e lo passò attorno alle sue spalle. “Ti sporcherai anche tu.” Sussurrai mentre la testa cominciava a girarmi. “Sei quasi morta e hai paura che io mi sporchi?” ridacchiò. Il bagno cominciò a girare. Forse stavo perdendo troppo sangue.

Barcollai all’indietro prima che le ginocchia mi si piegassero, come se stessi traportando un macigno di duecento Kili. Nico mi afferrò prima che potessi sbattere ancora la testa per terra, frantumando quel poco che restava nel mio cervello. “Ok. Ho capito. Ti porterò in braccio.” Mi sollevò come se fossi una piuma e uscì di fretta dal reparto docce. “Mi gira la testa…” comunicai con gli occhi semichiusi. “Passerà, non preoccuparti.” Eravamo già nel dormitorio maschile. “Perché hai una spada?” domandai con voce da ubriaca.

“Hai battuto forte la testa, vero?” domandò con un sorrisetto storto. “Credo di si…” Nico spalancò una porta e mi portò in una camera singola. Non sapevo che esistessero camere singole nei dormitori, tanto meno in quello maschile. Mi fece sedere sul suo letto e io feci di tutto per restare sveglia e per non svenire. “Tieni.” Mi passò una boccetta contenente del liquido giallognolo.

Sembrava miele. “Bevilo.” Disse mentre nascondeva la spada sotto all’armadio. “Cosa è?” domandai. “Tu bevilo e basta.” Insistette. Guardai per un attimo l’intruglio e poi alzai le spalle. Cosa poteva succedermi? Di sicuro un avvelenamento era niente in confronto a quello che avevo passato dieci minuti prima. Mandai giù tutto in un colpo solo. Era buono: sembrava miele, ma un po’ meno dolce. Mi sentii subito meglio e la nebbia che stava oscurando la mia mente si diradò, facendomi ritornare lucida. Immediatamente mi resi conto veramente di cosa mi era successo, e un ondata di terrore mi strinse lo stomaco in una morsa. “Cosa erano quei mostri?” domandai a Nico che si era posizionato su una sedia pericolante.

“Empuse.” Rispose senza giri di parola. Quel nome mi ricordava qualcosa. Le Empuse erano figlie di Circe, e provenivano dagli abissi del Tartaro. Un attimo: mitologia greca? “Empuse? Ma le Empuse sono dei mostri della mitologia greca!” esclamai. “Infatti.” Borbottò Nico. “Aspetta, ti hanno chiamato figlio di Ade…” osservai pensierosa, poi sgranai gli occhi. “Sei un dio!” urlai. “Veramente un semidio. Mia madre era una mortale” Commentò.

“Gli dei greci esistono. Sono nati nel Peloponneso, si sono spostati a Roma e ora vivono al seicentesimo piano dell’Empire State Building.” Spiegò. Lo fissai a bocca aperta. “Già. Nemmeno io ci credevo, poi però ho fatto aprire in due il suolo e ho cominciato a pensare che forse non sono bugie.” In effetti aveva l’aria di un figlio di Ade. Era vestito di nero da capo a piedi, aveva gli occhi scurissimi e i capelli color carbone. E io? Io scrivevo in greco, io ero dislessica, come lui. Forse… “Io sono una semidea?” domandai cautamente.

“Si. Certo che lo sei.” Rispose come se fosse ovvio. “Chi è mio padre?” chiesi sempre più curiosa. “Vorrai dire chi è tua madre…” lasciò la frase in sospeso. “Ma non posso dirtelo ora. Scoprirai l’identità del tuo genitore divino soltanto quando lui lo vorrà. Quindi a tempo debito.” Disse. Inclinai la testa di lato. Infondo era meglio così, per quel giorno le sorprese erano state anche troppe, meglio una cosa per volta; altrimenti la mia testa sarebbe scoppiata di sicuro.

“Cosa possono…” “Basta domande.” Mi interruppe. “Sanguini ancora.” Aggiunse con un sospiro. Mi toccai il collo, bagnato. Aprì il cassetto del comò e tirò fuori della garza. Si alzò in piedi e si sedette accanto a me, poi mi avvolse le bende attorno alla gola. “Dovrebbe fermarsi tra poco.” Comunicò. “Posso andare a dormire?” domandai. “Si, certo. Devi riposare.” Si massaggiò la radice del naso con il pollice e chiuse gli occhi. Prima di uscire mi voltai. “Oh, Nico. Grazie.” Poi me ne andai.


Le due donne erano estremamente nervose, una teneva in braccio un neonato e l’altra le copriva le spalle lanciando occhiate furtive all’oscurità della notte. “Nel ghiaccio c’è tepore…” cominciò a cantare quella che aveva il bambino. “Nel fuoco fresca pace. La luce della notte, illumina la via…” la sua voce era estremamente dolce, come brezza marina. “La fiamma ardente avvolge in se la mano mia…” continuò. “Più che il sole, l’oscurità…” “Eccita e piace…” concluse.

“Sai, non sapevo che avessi questo lato dolce nascosto da qualche parte.” Osservò l’altra tipa allungando il passo. “E io non avrei mai creduto che tu, Atena, avresti aiutato me.” Ribatté l’altra con un ghigno ironico stampato sulle labbra carnose. “Lo faccio per la bambina, non per te.” La rimbeccò passandosi una mano fra i riccioli biondi. “Grazie.” Disse semplicemente l’altra.
Sapevo che stavo sognando, ma la scena era talmente reale che mi sembrava fossi li ad assistere.

Le due giovani donne si fermarono davanti ad una porta illuminata, e quando vidi il viso della bionda rimasi di sasso. Quella era la professoressa Fairchild. Perché la stavo sognando? E perché l’altra tipa l’aveva chiamata Atena? “Sono la dea della saggezza. Ricorda: Atena ha sempre un piano.” Commentò ridacchiando. “Ancora con questa frase? Io allora sono la dea della dis…” prima che finisse di parlare la scena cambiò completamente.

Ero di nuovo in bagno, con le due empuse; soltanto che quella volta Nico non mi era venuto a salvare. Mi succhiavano il sangue contemporaneamente e io mi sentivo precipitare negli abissi, sempre più giù… Mi sveglia con il cuore in gola, completamente sudata. Un tuono mi fece sobbalzare e mi sedetti sul letto. La mia camera era completamente vuota e io continuavo a vedere i volti di Lily e Lola nell’oscurità. Mi alzai e uscii in corridoio, ancora più sinistro.

Feci un respiro profondo, ma riuscì soltanto a spaventarmi ancora di più, perché nel silenzio tombale si era sentito solo quello. Una lacrima mi rigò il viso. Però almeno sapevo dove andare. Cominciai a correre più veloce che potevo e mi fermai davanti ad una porta vagamente familiare.

Bussai con forza due o tre volte, e dopo qualche secondo essa si aprì. Un fulmine illuminò la figura assonnata di Nico. “Lil… sei tu?” sbadigliò passandosi una mano fra i capelli spettinati. Annuii. “Non riesco a dormire…” dissi con voce incrinata. Il ragazzo sospirò.

“Cosa è successo?” domandò. “So che era un sogno, ma era così vero…” scoppiai a piangere e gli buttai le braccia al collo, senza riuscire a trattenermi. 

“Ehi, ehi. Stai calma, è tutto finito. Tutto.” Disse stringendomi. Continuai a singhiozzare sulla sua spalla.

“Tutto.” Sussurrò dandomi una carezza dolce sulla testa.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: LunaSayan