Silenzio
La
strada che procede verso Feste,
passando per Sant’Olena, è di quelle spesso
trafficate, abbastanza larghe, che
permettono che vi si viaggi abbastanza velocemente. Venendo dal centro
di Altarino
si deve passare per via degli Alpini, se si va verso la
città festense, dove
sulla sinistra della strada l’occasionale guidatore avrebbe
la breve visione di
una piccola e graziosa chiesina (il piccolo santuario
dell’Assunta), sempre
chiusa e silenziosa, che solo i riflessi più incantati della
primavera e quelli
più trasognati dell’inverno sanno addobbare di
magnifico.
Un
giorno fu visto un uomo, che procedeva a piedi carico di borse, zaini e
valigie, fermarsi davanti l’esile figura del santo edificio.
Tentennava come
davanti l’abisso di un’importante decisione, ma
infine, avvicinandosi alla
porta sempre chiusa a chiave, prese a bussarvi con una certa timidezza
– una
timidezza che non avrebbero colto i passeggeri delle sfreccianti
automobili che
correvano per la strada. Aveva l’aria di un bambino castigato
quando,
rinunciando all’idea che la porta si aprisse, si
levò dalla schiena la
chiocciola dei suoi zaini e delle sue borse, e si abbandonò
su una panchina lì
vicino, rivolta verso il piccolo edificio. Nell’eco
dell’asfalto strisciato
dalle gomme e di un latrare lontano sembrò che si assopisse,
quasi che una
farfalla si fosse posata sulla sua fronte, coprendo con un grazioso
movimento
delle ali i suoi occhi.
Al
negozio di alimentari di Piero entravano gli ultimi clienti. Il
campanellino
posto sulla sommità della porta aveva preso a suonare sempre
meno, sempre più
il tempo passava, e gli sbadigli della moglie del bottegaio avrebbero
svegliato
chi si fosse già addormentato. A quelle ore
all’alimentari si respirava una
certa atmosfera di desolazione, si percepiva un vuoto proibito, che era
meglio
non indagare. Vi era un senso particolare di attesa, ma
un’attesa misera, che
si sapeva incapace di produrre alcunché. Eppure il silenzio
aveva un che di
cosmico, e nel ronzio ininterrotto dei frigoriferi si percepiva il
mistero di
un significato superiore. Lo scampanellio educato della porta che
veniva aperta
destò Piero dalle sue meditazioni.
<<
‘Sera! >> salutò l’ometto
che era appena entrato. La moglie di Piero lo
accolse con un sorriso illucidato delle lacrime del sonno.
<< E allora?
>> chiese l’ometto alla bambina che tentava di
nascondersi dietro la sua
mole. << Non saluti Piero e la Patrizia? >>
Tutti si lasciarono
sfuggire sospiri deliziati quando la piccola tolse da dietro la schiena
una
manina paffutella e l’agitò davanti al viso in un
inconfondibile saluto
bambinesco. << Sono qua per poco >> disse
l’ometto, passandosi una
mano sul capo, dove compariva, tra due catene di radi riccioli, una
chiarissima
pelata.
Piero
fece spallucce, come a dire che poteva restarsene lì quanto
voleva. <<
Cosa ti do? >> chiese Patrizia, pulendo gli occhiali con
un fazzoletto. <<
Siamo qua per un po’ di gelato, non è vero?
>> chiese l’ometto, ottenendo
come risposta che la piccola bambina si illuminasse tutta nello sguardo
e si
facesse più spavalda, muovendo qualche passo verso il
bancone. << Come
vai a scuola? >> chiese Piero, mentre Patrizia, con un
sorriso di tra le
labbra, ciabattava verso il frigorifero dei gelati. La bambina non
disse nulla,
si limitò ad una espressione vagamente terrorizzata, che
scatenò una confusa
accozzaglia di risate.
<<
Eh beh, >> disse Piero << vedrai che
crescendo incontrerai i seri,
veri problemi della vita. >> Da fuori venne il rauco e
lontano abbaiare
di un cane. Patrizia tornò presto. Dopo che il conto fu
pagato, e l’entrata fu
nuovamente sigillata dalla scampanellio della porta, uscì
dalla bottega,
dicendo che si sarebbe fatta una doccia. Piero rimase il tempo
necessario per
chiudere le luci e sistemare alcuni prodotti che erano stati riposti
disordinatamente sugli scaffali.
La
luce diafana della luna lo bloccò, dov’era,
davanti le vetrine che davano sulla
strada. Sotto l’ombra minacciosa del piccolo santuario
dell’Assunta notò una
sorta di strano fagotto, che giaceva su una panchina del piccolo
piazzale. Lì rimase,
immobile, a contemplare il suo vago, rarefatto riflesso sul vetro della
bottega, senza osar muovere lo sguardo verso il piazzale della chiesa.
Poi,
qualcosa, un movimento. Dalla panchina scivolò qualcosa, a
peso morto, sembrava
un grande sacco.
No,
era un uomo.