O quasi.
È
universalmente noto che, se ci si impegna a progettare il
proprio domani, le cose non vanno mai come previsto.[1]
Tutti lo apprendono, prima o poi, e John Watson lo fece in un mese
estivo di un
anno della sua vita insieme con Sherlock Holmes.
Non aveva mai visto l’aeroporto di Heathrow[2]
così affollato, e già questo bastava a John per
metterlo in allarme. Ebbe
appena il tempo di pensare a tutte le possibili motivazioni che
potevano aver
spinto quella moltitudine di persone a concentrarsi
nell’aeroporto, quando una
ben più grave gli piovve addosso.
Non
sentì Sherlock dedurre «Intensa perturbazione
meteorologica, voli cancellati.»,
ma lesse lo stesso avviso sui volti seccati dei passeggeri e lo
ascoltò dal
personale dell’aeroporto che cercava di spiegare la
situazione e di evitare che
qualche passeggero particolarmente infuriato esprimesse chiaramente
dove
avrebbero potuto mettere le loro spiegazioni.
Sherlock ridacchiò e prese John per un
braccio, trascinandolo via. Durante la lunga attesa del taxi e il
tragitto fino
a Baker Street nessuno pronunciò una parola – John
per lo shock; Sherlock si
era reso conto che John non l’avrebbe ascoltato, e parlare al
vuoto che nel suo
palazzo mentale rappresentava il suo John lo aiutava solo durante il
ragionamento che portava alla risoluzione di un caso.
Un
attonito John si rese conto che era ritornato a casa, che
sedeva sulla poltrona e che Sherlock era di fronte a lui, guardandolo
fisso.
«La tua volontà non può aver influito
sulle condizioni meteorologiche, vero?»
chiese John, e restò a guardare Sherlock per tutto il tempo
che questi realizzò
che John aspettava davvero una risposta a una domanda così
ovvia – si chiedeva
sempre perché gli esseri umani erano soliti affermare o
domandare l’ovvio e
arrivava alla conclusione che se gli umani non si esercitano in
continuazione a
parlare, il loro cervello rischia di mettersi a funzionare.[3]
«John, per quanto io sia capace di cose incredibili e
straordinarie – parole tue[4]
– la scienza meteorologica è fuori dal mio campo
lavorativo.»
Il cellulare di Sherlock squillò, evitando a John una
risposta, di qualsiasi natura: avrebbe potuto semplicemente annuire, o
rimproverarlo
per il suo ego smisurato, o concordare nel definire le sue
facoltà intellettive
incredibili e straordinarie, o baciarlo
perché segretamente trovava quel suo atteggiamento
adorabile, ma non fece nulla
di tutto ciò.
Quando il medico udì il compagno pronunciare
«Arriviamo»
realizzò definitivamente che la vacanza era finita ancor
prima di cominciare, e
decisamente a favore di Sherlock. Non ebbe nemmeno bisogno di sentirlo
spiegare
che Lestrade l’aveva chiamato, che c’era un nuovo
caso per lui, l’aveva già
capito dall’espressione entusiasta che il suo lavoro riusciva
a dargli.
Geloso del suo lavoro.
John aveva capito subito che Sherlock era una persona straordinaria e,
da
quando condividevano anche il cuore e il letto, oltre alla casa, non
avrebbe
mai desiderato nessun altro al suo fianco. Ma il suo lavoro…
John era contento
di farne parte, almeno in misura limitata, visto che non contribuiva
tanto all’attività
del suo cervello, quanto alla sua persona;
accompagnarlo sulla scena del crimine, vederlo muoversi alla ricerca di
indizi,
concentrato nel dedurre la giusta conclusione lo faceva sentire un
privilegiato.
Privilegiato. Anche
perché l’unico, tra polizia e scientifica, a
portarselo a letto.
***
Il
caso si era rivelato piuttosto semplice, di basso livello
nella scala che Sherlock usava per classificarli, e John aveva
ringraziato il
cielo per quell’unico segno dell’esistenza di
qualcuno che almeno gli voleva
bene, lassù, anche se
pensava a lui
piuttosto raramente. Non voleva rimanere invischiato in
chissà quale situazione
assurda, che l’avrebbe costretto a girare mezza Londra,
seguendo Sherlock: voleva
tornare a casa, controllare le previsioni del tempo per farsi del male
pensando
alla vacanza sfumata, crogiolarsi nelle proprie disgrazie e scopare
Sherlock.
Si rendeva conto che l’ultima attività non aveva
grande attinenza con le altre,
ma lo faceva stare bene, e questo gli bastava.
Peccato che Sherlock non fosse dello stesso avviso: tornato
al 221B di Baker Street, aveva cominciato a raggruppare
l’occorrente per uno
dei suoi esperimenti, pieno di nuova energia. Non era difficile
immaginare cosa
l’avesse messo di così buon umore: il caso, che
per quanto semplice gli aveva
messo in moto la mente, e il fatto che aveva evitato due giorni di
pausa dal
suo lavoro, e non era neanche colpa sua!
John, nel suo cervello – quale incredibile ossimoro
–, avrebbe fatto i salti di
gioia.
Ma non era disposto a rinunciare e con determinazione si
avvicinò al suo tavolo da lavoro, spinse da una parte
provette, fogli di
appunti e contenitori – avendo, però, cura di non
romperli facendoli cadere,
altrimenti avrebbe dovuto dimenticarsi l’attività
da lenzuola per tutta la
durata del broncio di Sherlock, solitamente tendente
all’infinito – e si mise
davanti a Sherlock, il quale, sorpreso dall’iniziativa del
compagno, non riuscì
a respingerlo quanto questi lo baciò.
«John, sono occupato, non puoi distrarmi mettendomi la
lingua in bocca» provò a obiettare Sherlock, ma si
zittì quando John gli infilò
le mani nei pantaloni. Dopotutto, anche se ai più sembrava
una macchina geniale
priva di cuore, era anche lui un uomo.
***
John
cominciò a spogliarlo in fretta, impaziente, e Sherlock
sorrise della sua foga. Quando le sue mani, rese maldestre
dall’urgenza, provarono
a sbottonargli la camicia, gliele prese tra le sue e le
portò all’altezza dei
suoi fianchi, poi si affrettò a togliersi
l’indumento, mentre John gli sfilava
i pantaloni.
Sherlock capì il motivo dell’ostinazione di John
per la
vacanza cogliendo l’espressione estasiata con la quale lo
contemplava, privo di
camicia e di pantaloni, i suoi occhi chiari che percorrevano il suo
corpo,
dalla bocca al collo al petto… «John, vista
l’insistenza con la quale mi fissi
le mutande, comprendo perché ci tenevi tanto a portarmi in
una lontana spiaggia
italiana!»
John arrossì, consapevole dell’esatta analisi di
Sherlock, e
gli chiuse la bocca con un bacio per evitare che continuasse a parlare.
Ed effettivamente nessuno dei due parlò più per
un po’,
impegnati com’erano a baciarsi e toccarsi e accarezzarsi, e
gli unici suoni che
riempirono il silenzio della stanza furono i loro sospiri e i loro
gemiti.
***
«Natale.
Organizzerò una vacanza per Natale»
decretò John,
facendosi più vicino a Sherlock e abbracciandolo, contento
per la decisione. Decisamente
il sesso lo ispirava nella pianificazione delle vacanze.
Sperò di non avere mai
bisogno di un’agenzia viaggi, per evitare di dare spettacolo
in pubblico: se
solo la foto di Sherlock con uno strano cappello[5]
finiva in prima pagina, i giornalisti sarebbero andati a nozze con una
che li
ritraeva in attività disdicevoli.[6]
«Meglio
non prenotare con così tanto anticipo, in modo da poter
controllare le previsioni meteorologiche.»
John
guardò Sherlock uscire, ridendo, dalla propria stanza
–
nudo,
una costante provocazione, e sapeva
di esserlo, si divertiva a vedere il rossore che le sue parole e le sue
azioni
provocavano sulla pelle di John – e
pensò che il qualcuno di Sherlock in quel lassù
indefinito
lo amasse. E, pensando ai suoi sentimenti per lui, alla
tenerezza e al desiderio che gli ispirava, si chiese come fosse
possibile non
amarlo.
[1] Questa frase è ispirata e rivisitata da un corollario della Legge di Murphy.
[2] Heathrow Airport è uno degli aeroporti di Londra più vicini a Baker Street.
[3] Se gli umani non si
esercitano in
continuazione a parlare, il loro cervello rischia di mettersi a
funzionare
è una citazione del romanzo Ristorante
al
termine dell’universo di Douglas Adams.
[4] John è sempre affascinato dai ragionamenti che Sherlock illustra: ad esempio, definisce incredibile e straordinario il ragionamento che ha portato il detective a conoscerlo tramite solo un’occhiata e che viene spiegato in taxi e dopo è straordinario il ragionamento sulla ‘donna in rosa’ (primo episodio, prima serie).
[5]
La foto
di Sherlock con uno strano cappello è ovviamente quella che
vediamo in The Reichenbach Fall, in
cui Sherlock
indossa il deerstalker per nascondersi dai giornalisti.
[6] Questa frase è totalmente LOL, ma non ho saputo rinunciare all’inserire un’immagine così divertente, solo immaginarla mi fa ridere!