16. How Fire took Water to Wife.
-Sorry, works only once in a time..-
Mikoto Uchiha
aveva visto per la prima volta Fugaku Uchiha quando
aveva cinque anni, e lui ne aveva dieci.
Le strade
di Konoha erano bardate a festa, e la bambina seguiva le schiene dei suoi
genitori, che portavano fiere lo stemma degli Uchiha.
Il kimono
rosso, la pelle bianca e i capelli neri la facevano sembrare una piccola
bambola di porcellana.
Era una
bambina davvero tranquilla, ed sovente aveva la testa
fra le nuvole.
“Kaa-san,
Fugaku non la smette di tirarmi lo yukata.”
“Fugaku,
lascia in pace tuo fratello.”
“E’ Teyaki
che non mi restituisce i soldi che gli ho prestato,
Kaa-san.”
“Teyaki,
restituisci i soldi a tuo fratello.”
La piccola
Mikoto aveva sentito la voce serafica di quella donna cercar di zittire quelle
giovani più fomentate.
Spostò gli
occhi di pece verso quella donna dai lunghi capelli castani, le cui maniche del
kimono nascondevano i figli.
Anche
quel kimono portava lo stesso ventaglio degli Uchiha, e sua madre la salutò
educatamente con un cenno del capo. La donna ricambiò quel cenno, mentre una
mano smaltata di rosso scompigliava affettuosamente i capelli del minore dei
suoi figli. Questi mandò uno sbuffo udibile sopra il caos della fiera, e scostò
lo sguardo.
I suoi
occhi scuri incontrarono quelli d’inchiostro della bambina, che si limitò a
sorridere con innocente complicità.
Ed un
pizzico di infantile divertimento alla scena e
all’espressione di lui.
Lui aveva
crucciato le sopracciglia, e si era voltato dall’altra parte.
Sakura Haruno aveva
visto per la prima volta Sasuke Uchiha quando avevano
sette anni, il primo giorno di Accademia.
Il cortile dell’accademia
era gremito di genitori e figli, e finita la cerimonia la
bambina era tornata accanto a sua madre. La frangetta troppo lunga le copriva
la fronte ampia – sicuramente una degna sistemazione per la sua intelligenza
vivace. Gli occhi verdi, riparati da quelle tende rosa che li separavano dal
resto del mondo, guardavano con timore ogni singolo bambino, cercando di capire
se sarebbe riuscita a sopravvivere a scuola.
La prendevano tutti in giro, davvero.
“Un altro Uchiha,
allora? Ricordo perfettamente Itachi. Mai avuto uno studente migliore di lui.”
“Grazie per la cura
che ti prenderai di lui.”
“Mi aspetto grandi
cose anche da lui, Fugaku. Tale padre tale figlio.
Come ti chiami?”
“Sasuke.”
Per un attimo quegli
occhi chiari si erano posati sul broncio infantile del bambino, che stava
appena dietro a suo padre.
Li aveva sentiti
nominare, gli Uchiha. Tutti li avevano sentiti nominare.
Il signore dai
capelli castani cominciò ad allontanarsi, ed il bambino rimase lì. Lo vide
sbuffare, e per un attimo i loro sguardi si incrociarono.
Lei aveva battuto ciglio, lui aveva arricciato il
naso.
E si era voltato dall’altra parte.
Mikoto
Uchiha aveva parlato per la prima volta a Fugaku Uchiha
quando aveva dieci anni, e lui quindici.
Era stata
davvero poca cosa.
La
ragazzina era di corsa, come spesso le accadeva: dopo la sveglia, si era persa
in pensieri del tutto incoerenti e inconsistenti con
ciò che avrebbe dovuto fare: alzarsi, e andare all’Accademia.
Ed ora, in
ritardo, correva – con gli shuriken e i kunai che cozzavano metallicamente
nell’apposita tasca sulla coscia destra. I capelli
neri disordinati, neppure spazzolati.
Era
arrivata ai cancelli del Clan, e stava per attraversarli, quando era andata a
sbattere contro qualcuno.
Aveva solo sollevato lo sguardo sul ragazzo più alto, dagli scompigliati
capelli castani - tenuti dal coprifronte della Foglia - e l’espressione severa.
Lui l’aveva squadrata dall’alto in basso.
Lei l’aveva squadrato dal basso verso l’alto.
Lui aveva inarcato un sopracciglio.
Lei aveva battuto ciglio e aveva affrettato un piccolo inchino. “Scusami, non stavo guardando.” Aveva detto.
Era rimasta un po’ lì, a capo chino, quasi ad aspettare una risposta alle sue scuse.
Tuttavia demorse subito, ricordandosi che era in ritardo.
Sollevò di nuovo il capo, oltrepassandolo e voltandosi solo per fare un cenno
con la mano.
Fugaku
Uchiha l’aveva seguita con lo sguardo, per un po’, fino alla fine della via.
Poi aveva sorriso - che era soltanto un leggero stiramento di labbra – ed era
tornato a casa per disinfettare le armi sporche del sangue dell’obbiettivo della missione.
Sakura Haruno aveva
parlato per la prima volta a Sasuke Uchiha quando
avevano sette anni, più precisamente il secondo giorno d’accademia.
Seduta due file più indietro, aveva posato la penna dopo l’ultima risposta –
sicuramente corretta – al test di ingresso.
Quel test in cui non si è obbligati a far tutto bene, quel
test che vuol solo saggiare cosa già sai.
Sulle domande che non riguardavano esattamente le arti Ninja, ma la logica, era
andata bene.
Ma quelle più specifiche le aveva lasciate in bianco,
perché gli Haruno non erano una famiglia di Ninja.
Lei sarebbe stata la prima kunoichi della famiglia.
Aveva chinato il
capo, rileggendo tutte le risposte redatte con calligrafia tonda e infantile.
Le ciocche della frangia troppo lunga le solleticavano il naso.
Quindi, aveva sollevato lo sguardo e si era alzata. Aveva
visto l’Uchiha fare per alzarsi dal posto, con il test in mano.
“U- Uchiha-kun…”
aveva sussurrato, non riuscendo a richiamare alla mente il suo nome, ma
piuttosto il cognome collegato allo stemma. “… posso consegnarlo io, se… vuoi,
ecco. Mi sono già alzata.”
Apriti cielo.
Aveva solo cercato di
farsi un amico.
Ma lui aveva piantato quegli occhi d’inchiostro su di
lei per qualche secondo buono, senza muovere un dito.
Aveva crucciato le sopracciglia, e lei aveva deglutito.
“… se… vuoi?” aveva
quindi soggiunto, con vocina piccola piccola,
porgendogli la mano.
Lui aveva arricciato il naso, per la seconda volta, prima di piantarle il test
nella mano protesa. Poi, aveva scostato lo sguardo.
Sakura aveva battuto ciglio, sentendo sulla pelle le occhiatacce delle bambine
della classe.
No, l’anno non era
iniziato decisamente bene.
Non aveva fatto nulla
di male, davvero.
Dopo quel giorno, non
gli parlò per molto, molto tempo.
Mikoto si
era innamorata di Fugaku Uchiha quando aveva quindici
anni, e lui venti.
Più precisamente
all’esame dei Chuunin, dove lei aveva partecipato e lui era uno degli
esaminatori della seconda prova.
Lei gli
aveva sorriso, chinando leggermente il capo d’un lato,
di un’innocenza tutta zucchero.
Lui aveva
sospirato, e aveva aggrottato la fronte.
“Quando ho detto niente armi ammesse, Mikoto-chan, intendevo davvero niente armi. Fammi vedere la mano destra.”
Lei aveva
continuato a sorridere, imperterrita, sebbene un angolo delle labbra sembrava essersi sollevato di un millimetro e il
sopracciglio essersi abbassato di altrettanto.
“La mano
destra, Mikoto.”
La ragazza
aveva sollevato lo sguardo al soffitto del Dojo che faceva da sfondo alla
prova, porgendogli la mano destra e posando la sinistra su un fianco.
Rassegnata.
L’anello
era lì, e luccicava tranquillamente innocuo.
“Avresti
ingannato chiunque.” Aveva affermato lui, espressione soddisfatta sul volto,
mentre le sfilava senza troppo ritegno il monile. “Ma non me, ti ho vista
combattere troppe volte.”
“Sei un
guastafeste.” Aveva mormorato lei.
“Ho visto
le jutsu che utilizzi su questo anello, Mikoto-chan.
Non vorrei ricevere un pugno quando ci concentri il
chakra. Diventa peggio di un punteruolo.”
“Ripeto, sei un guastafeste. Non è una vera
arma, devi ammetterlo. E’ l’anello di mia madre, vedi?
E’ innocente. Dai, lasciamelo tenere.”
“Niente privilegi.” Categorico, laconico. Insomma, Fugaku. “Sono un
giudice, qui.”
Le aveva messo su un broncio piuttosto infantile, ma
lui aveva sorriso.
“Supererai
la prova anche senza.” Poi, un sussurro. “Non vedo l’ora che arrivi il tuo
incontro. Tu danzi, quando ti batti. E’ una danza stupenda, elegante e letale.”
Aveva
intravisto un’ombra di rosso nei suoi occhi, ed il cuore aveva fatto qualche
battito più del voluto.
“E’ così
che dovrebbe essere una kunoichi. Stupenda, elegante e letale.”
L’aveva
superata con la solita disinvoltura, come se non avesse detto nulla.
“Non puoi
dire cose del genere e scappartene, Fugaku Uchiha! Se vuoi prendermi in giro,
vieni qui e dimmelo chiaro e tondo!”
Oh,
l’avrebbe baciata solo per strapparle la lingua.
Ma lei
era arrossita.
Sakura Haruno si era
innamorata di Sasuke Uchiha a otto anni esatti.
Più precisamente quando non era più un’emarginata, ma una bambina
piuttosto benvoluta. Tutto grazie ad
Ino-chan che l’aveva aiutata.
Ora camminava a testa alta, e mostrava la fronte al mondo.
Il cortile era quasi
deserto: era troppo presto. Tuttavia l’Uchiha era lì, davanti
ai fantocci utilizzati per gli allenamenti.
Aveva gli occhi rossi di pianto, ma non stava piangendo. Lanciava i kunai
contro i bersagli con troppa foga e troppa forza.
Non ne colpiva neanche uno.
Sakura si era fermata
sui suoi passi, a guardarlo mentre si avvicinava al
fantoccio e tirava via i kunai, ad uno ad uno.
Per poi rilanciarli, e mancarli di nuovo.
“Uchiha-kun?” aveva
chiamato, appena basita. “Uchiha-kun, non… ne hai colpito nemmeno uno.” Aveva concluso, a bassa voce.
Lui si era fermato
lì, con il kunai in mano. Aveva battuto e aveva crucciato le sopracciglia,
voltandosi verso di lei.
“Lo so.”
“Beh, ecco… come
dire. Non è da te, Uchiha-kun.”
Lui sembrò pensarci
su, e lei vide il labbro tremare appena.
Lo vide lanciare l’ennesimo kunai, e mancare l’ennesimo bersaglio.
Le labbra della bambina si erano curvate in un sorriso ed un piccolo suono divertito.
Lui aveva aggrottato
la fronte.
“Stavi piangendo,
Uchiha-kun?”
“Le femmine
piangono.”
“Ma…
Sei distratto. Non ti ho mai visto mancare un bersaglio.”
“Fammi vedere tu se
sei tanto brava.” Aveva risposto lui, appena inacidito.
Gli occhi un po’ meno lucidi ed un po’ più indispettiti.
“Ma
io non son…”
“Voglio proprio
vedere.”
Aveva provato, e ne aveva mancati nove su dieci.
Un pochino mortificata, si era voltata
verso Sasuke, che aveva fatto spallucce con aria abbastanza soddisfatta.
“Sei una frana.”
“Non è vero! Non lo
sono.”
Lui aveva accennato
un sorriso divertito, che stonava con gli occhi lucidi. “Neanche io.”
Quel sorriso le aveva
toccato il petto, proprio lì, all’altezza del cuore.
“I-
io non l’ho mai insinuato, Uchiha-kun.”
L’aveva superata con
la solita disinvoltura, come se non avesse detto nulla.
Come se non avessero parlato, come se non avesse pianto.
Voleva vedere ancora
quel sorriso, dedicato a lei.
Era arrossita.
Fugaku
Uchiha si era ‘dichiarato’ e aveva chiesto la mano di Mikoto Uchiha
quando aveva ventitrè anni suonati e lei aveva raggiunto i diciotto
anni.
Suo padre era morto da poco, e lui era il nuovo Capofamiglia.
Capofamiglia senza famiglia.
Una notte,
alla festa di compleanno di suo fratello Teyaki, l’aveva portata nel giardino
della grande casa.
Lei, un po’ inebriata dal sakè, aveva riso alla grande luna piena, indicandola con la mano sottile che
portava il solito anello.
“La luna
sta cadendo, guarda!” aveva detto, con tono estasiato. “E’ così grande.”
Lui aveva
riso con lei, seduto sulla panca di legno. Dall’interno della casa arrivava la
musica, arrivavano le grida, arrivava la vita.
Fuori,
c’era solo la risata placida di lei, e la sua voce che intonava imbranata l’eco delle note che arrivavano fin lì.
Neanche un
filo di vento.
Lei fece una piccola piroetta su sé stessa, finalmente
scostando l’attenzione dalla luna e riportandola sulla terra.
“Hai
sempre la testa lassù, tu.” L’aveva rimproverata lui, tono vagamente severo.
Ma lei
aveva sorriso, piano, guance pallide colorate di
rosso.
Ancora una
volta un kimono rosso, il colore che le donava di più.
Stupenda,
elegante e letale. Dolce e letale.
Le aveva fatto cenno di sedersi accanto a lui, pigramente, con la
mano.
E lei
si era lasciata cader seduta su quel pavimento di legno.
Entrambi erano rimasti in silenzio a guardare la luna
cadere.
Una volta
che Mikoto si rese conto che non sarebbe caduta di lì a momenti, sospirò,
guardandolo con la coda dell’occhio.
“Volevi
dirmi qualcosa, o ti godi la mia compagnia?”
“Volevo
dirti qualcosa, mi godo la tua compagnia e tutta quella gente mi fa male alla
testa.”
“Oh.”
“Già.”
“Cosa volevi dirmi, allora?” aveva riso lei.
Lui aveva
scostato lo sguardo di nuovo sul cielo, con quella fronte perennemente
aggrottata, e quelle labbra perennemente imbronciate.
Aveva mormorato qualcosa, che lei non aveva udito.
“Come?”
“Sposami, ho detto.” Ripeté lui, semplicemente, con
quell’aria truce.
Dato che
la risposta non era arrivata, aveva tossicchiato, una, due
volte.
Era
imbarazzato, come sempre quando si parlava di sentimenti.
Silenzio.
Poi, lei
scoppiò a ridere, senza prenderlo sul serio.
Se possibile, il broncio di lui era diventato ancora
più calcato.
“Ah,
Mikoto, smettila. Dico sul serio!”
Sakura Haruno si era
dichiarata e offerta a Sasuke Uchiha quando aveva tredici anni e aveva sentito
nell’aria la partenza di lui.
Una notte si era messa lì, sulla strada che portava ai cancelli di Konoha, e
l’aveva aspettato.
Lui, con quella sua aria truce e decisa, si era fermato a qualche passo da lei.
“Torna a casa.” Aveva
detto, con tono secco. “Non voglio parlare con te.”
Lei aveva cacciato
indietro le lacrime.
"Sasuke-kun.
Sapevo saresti passato di qui. E
così sono venuta, e ho aspettato..."
“Torna a
dormire.”
Nella
notte c’era il silenzio, e il fischiare del vento fra le fronde degli alberi.
Le si morse il
labbro, guance pallide colorate di rosso.
“Perché vuoi andare via, Sasuke-kun? Siamo stati bene, tutti insieme. Tu mi hai detto che
stare soli fa male. Perché vuoi stare solo, Sasuke-kun?”
“Non ha
nulla a che vedere con te.”
“Si invece. Se tu te ne vai, per me sarà come
essere sola, Sasuke-kun.”
Rimasero
a guardarsi, per un po’, ognuno che attendeva che l’altro cedesse.
Una volta che Sasuke si rese conto che Sakura non avrebbe ceduto, sospirò.
“Sei
veramente noiosa.”
Lei non
lo vide più, ma sentì il suo sospiro bollente sul collo.
“Grazie.”
L’aveva
colpita, e per qualche attimo era rimasto lì, a guardarla cadere per terra.
Quasi, dopo quel colpo, si fosse aspettato una risposta.
Un “Prego.”
Dato che
la risposta non era arrivata, aveva voltato le spalle e se ne
era andato.
Se possibile, con ancor
più rimorsi di prima.
Mikoto
e Fugaku Uchiha avevano avuto due figli, Itachi e Sasuke Uchiha.
Fugaku
Uchiha aveva guidato con ardore e senso di giustizia la polizia di Konoha, ed
era stato un padre severo ed esigente.
Mikoto Uchiha era stata
Sakura
Haruno era rimasta da sola per il resto della sua vita, incapace di convincersi
che una storia d’amore sarebbe potuta finire bene.
Non avrebbe mai potuto essere una buona madre, ma era diventata un’ottimo medico.
Sasuke
Uchiha non ebbe abbastanza anni di vita davanti a sé per rendersi conto di essere solo.
Non era mai stato una buona persona, ma era diventato un ottimo contenitore di anime altrui.
Fugaku
Uchiha era come il fuoco, aveva pensato Mikoto, un
tempo: fiero e indomabile, brillante ed impetuoso.
Mikoto
Uchiha era come l’acqua, aveva pensato Fugaku, un tempo: placida e serena,
eppure impetuosa e letale quando la missione lo richiedeva.
Per
questo, si erano amati.
Erano morti insieme, l’uno vicino all’altra.
Le loro lacrime si erano mischiate, e non avevano avuto rimpianti.
Sasuke Uchiha era
stato come il fuoco, pensa lei: sebbene pericoloso, non aveva potuto fare a
meno di esserne attratta, fino a quando non si era spento.
Sakura Haruno è come
l’acqua, aveva pensato lui, un tempo: priva di qualsivoglia sapore.
Per questo, non erano
riusciti ad amarsi.
Lui era già morto da
un pezzo, e lei sarebbe morta lontana da lui, nel
tempo e nello spazio.
Avevano versato lacrime amare l’uno a causa dell’altra, ed i rimpianti erano
troppi e inutili da contare.
Un amore fra due cose così diverse può funzionare una volta sola.
(Magari nella prossima vita, Sakura.)
A/N: ancora non riesco a trovare uno
straccio di pc da cui connettermi. La lista di
commenti a cui devo rispondere aumenta – oddio, credo
XD
Questa
flavour… forse è un po’ lenta. Amore, è la sindrome da Nightmare
che mi chiama ç_ç
E’ che se
ho in mente qualcosa in un modo, e viene fuori qualcos’altro, mi deludo da sola XD
Comunque
sono piuttosto fiera di questa – anche perché ieri non avevo idea di come
svilupparla, ed oggi l’ho scritta tutta in esattamente un’ora. Togliendo l’altra
ora di correzioni. Ora, una FugakuxMikoto con SakuraxSasuke annessa. Mi sono trovata un po’ in difficoltà
con la caratterizzazione di Mikoto e Fugaku.
Insomma,
vedendoli crescere, ecco, dato che li abbiamo conosciuti solo come genitori.
Allora è
uscita una Mikoto spensierata, dolce, dalla testa fra le nuvole… ma che ha le palle quando combatte *per il fatto dell’anello mi sono
inspirata alla tecnica di Asuma, lo ammetto >_>”*.
E un Fugaku un po’ burbero, emotivamente incapace, attratto ed
esasperato da quella ragazza così diversa da lui.
Teyaki è
il signore anziano che parla con Sasuke nei Flashback °_° E’ solo una comparsa,
comunque.
La mia
parte preferita è il pezzo che contiene la dichiarazione patetica di Fugaku,
che più che dichiarazione sembra un ordine. Bau!
Sasuke e
Sakura sono Sasuke e Sakura. Sasuke con gli occhi lucidi perché
si tratta di poco tempo dopo il massacro. Otto anni, appunto.
Sakura non
la considero troppo OOC. Non era ancora innamorata di Sasuke, a quel tempo. XD
Quello che
mi piace di questa fanfic è il parallelismo, ecco. Mentre la storia di Mikoto e Fugaku è andata liscia come l’olio –
tranne l’incidente Itachi – nonostante fossero diversi, con Sasu
e Saku non è andata altrettanto bene. Mi sta
tornando la fissazione delle SasuSaku.
Gradirei
avere opinioni ambo positive e negative su questa *_*”
I miei esperimenti assurdi. E soprattutto sulla caratterizzazione di Mikoto e
Fugaku XD
Figuratevi
se anche per un titolo così innocuo potevo scrivere qualcosa di sereno. Bah.