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Autore: Evilcassy    21/07/2012    4 recensioni
"I Chitauri stanno arrivando, nulla può cambiare. Cosa dovrei temere?"
"I Vendicatori, ci facciamo chiamare così: una specie di squadra, "gli eroi più forti della Terra", o roba simile."
"Sì, li ho conosciuti."
Già! Ci mettiamo un po' a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma facciamo la conta dei presenti:
Tuo fratello, il semidio;
Un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda;
Un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia;
Una mezzodemone piuttosto focosa
Un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti!"
Il numero Sette esprime la globalità, l’universalità, l’equilibrio perfetto e la dinamicità. Sette è il numero della Materia, dei Peccati Capitali ma anche delle Virtù. Sette, come i Vendicatori.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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The Seventh

 

PARTE 1: Becoming.

        FIRST ASSEMBLE.

Welcome to the jungle
We got fun n' games
We got everything you want
Honey, we know the names
We are the people that can find
Whatever you may need
If you got the money, honey
We got your disease

 

Nell’oscurità silenziosa del bunker incastro le caviglie nel sostegno del controsoffitto e mi allungo verso il basso. Un uomo normale non avrebbe potuto vedere nulla senza un paio di occhiali ad infrarossi. La mia vista dorata invece mi permette di ferire le tenebre e avere una visuale abbastanza limpida. Proprio sotto la mia testa, ecco l’oggetto che cerco: la forma di un quadrato con gli angoli smussati, grande poco meno del palmo della mia mano. Un prodotto della migliore nanotecnologia esistente, rubato appena tre giorni prima da un laboratorio affiliato dello S.H.I.E.L.D.  Fa parte di uno dei gadgets di contorno al macchinario del Tesseract, il cubo di energia cosmica che i migliori scienziati stanno studiando per conto dello S.H.I.E.L.D. e che una spia infiltrata nell’organizzazione ha sottratto. Spia su cui mi sono messa immediatamente sulle tracce e che ho trovato senza troppo affanno.

Se mi fossi chiamata Natasha Romanoff a quest’ora quel uomo avrebbe quattro buchi in testa, ma non reputo necessario farlo fuori personalmente. Basterà sottrargli l’oggetto ed ho già predisposto le cose in modo che possa essere sospettato dai propri mandanti di fare il doppio gioco: il lavoro sporco, quello di macchiarsi le mani di sangue, lo faranno poi loro.

Le dita circondano il dispositivo e lo spostano di lato, mentre con l’altra mano lascio scivolare contemporaneamente una maquette: La maquette altro non è che una forma di dimensioni e peso identiche all’originali, viene utilizzato in genere dai designer per mostrare all’acquirente finale un campione fisico di come l’oggetto in questione sarà realizzato.

Le maquette vengono utilizzate anche nel campo della tecnologia. Pare che Tony Stark ne sia un avido collezionista:  con Natasha ipotizzavo che un piano della nuovissima Stark Tower sia completamente dedicato a questa sua strana collezione. Le è parsa una cosa plausibile: Stark è una persona abbastanza fuori dal comune –psicologicamente ed economicamente- da permettersi una simile bizzarria.

Poi lei è partita per una missione in madrepatria e io sulle tracce di questo qui. Piego il corpo verso l’alto e ritorno all’interno del pannello del controsoffitto. Lo chiudo e striscio attraverso i condotti dell’areazione.

I passaggi sono strettissimi e fatico a passarci, ma muovendomi come un serpente riesco a guadagnare l’uscita. L’aria fresca è manna per i miei polmoni e mi asciuga il sudore dalla fronte. Richiudo la grata del condotto di areazione e mi avvio verso la bicicletta che ho nascosto tra alcuni bidoni dell’immondizia.

Inizio a pedalare, silenziosa e mimetizzata nel buio circostante. La mia moto si trova a due chilometri, ma per allontanarmi da questo posto ho bisogno di essere silenziosa.

Ecco il modo di operare di GreyRaven. Nel silenzio e nel buio, garantisco un lavoro pulito e senza chiasso.

Il più delle volte. In qualche caso la colluttazione ci scappa. Un paio di volte sono stata costretta a fare le cose ‘Alla Barton’ e a far saltare qualcosa per aria fuggendo e sparando all’impazzata.

Casi limite, si intende: Io non sono una macchina di morte. Sento qualcosa posarsi sulla mia spalla e un lieve gracchio nell’orecchio: ecco la mia controparte magica, quella marcia in più che mi assicura uno spettro di poteri decisamente maggiori di un umano: Morrigan.

Morrigan è un corvo reale. L’ho chiamato così in onore della mia antenata, e anche perché ci siamo incontrati in Irlanda. Quel viaggio mi è stato consigliato da Amon in persona: i corvi sono messaggeri, fanno da tramite tra questo mondo e l’aldilà. Piuttosto necessaria la sua presenza, dato che i miei poteri sono legati al Sottomondo da cui la mia stirpe ha avuto origine. Con Morrigan posso teletrasportarmi da questo mondo all’Altro ad altri ancora ed è un catalizzatore per altri poteri.

La sua fiducia l’ho conquistata scalando le scogliere di Moher, su cui lei aveva fatto il nido. Una volta terminata l’impresa, lei mi si è posata su una mano e mi ha beccato fortissimo: il suo modo per stabilire un legame con me, per darmi la sua fiducia e per permettermi di darle un nome.

Porto ancora quella cicatrice sul dorso della mano destra, in rilievo tra le altre che mi sono procurata tra lavoro e addestramento.

Il mio nome in codice deriva anche da lei, ma il vero significato lo sanno solo quattro persone: Fury, Barton, Coulson e naturalmente Natasha.

A proposito di Nat, vorrei tanto mandarle un messaggio per vantarmi del mio nuovo trionfo: chissà a che punto è la sua missione.

Una leggerissima vibrazione all’orecchio destro mi avverte che qualcuno sta cercando di contattarmi tramite auricolare. Lo premo e mi connetto: “Borgo a rapporto: sono in fase di allontanamento, ho con me il gadget.”

La voce di Hill mi sembra molto affaticata. Sospira e mormora un ‘ottimo’ poco convinto.

C’è qualcosa che non va: prima di tutto perché Maria Hill solitamente non mi chiama mai. Secondo, l’affanno nella voce mi fa venire la pelle d’oca. “Agente Borgo, qui è Hill. Siamo stati attaccati. Codice 7.”

Codice 7. Nella scala dello S.H.I.E.L.D è descritto con il sinonimo di “Nella merda sino al collo, necessità di personaggi cazzuti urgentemente richiesta.”

So perfettamente chi sono i personaggi cazzuti: ho stilato personalmente i loro profili psicologici e li ho rapportati a Fury. “Ricevuto. Sei ferita?”

“Graffi.” Per un agente come noi graffi può significare l’abrasione di una cuticola dell’unghia come un’emorragia interna estesa. Ma se non ha espressamente richiesto il mio aiuto, significa che Hill non ne ha bisogno. “Riguardati.” Mormoro soltanto.  “E dimmi chi devo chiamare.”

 

Gancio destro. Gancio Sinistro. Diretto Destro. Diretto destro. Montante Sinistro.

Oh si, potrei stare a guardarlo per ore. Il suo corpo da supersoldato che stilla sudore mentre sfoga le proprie frustrazioni contro un sacco da boxe rinforzato è uno spettacolo della natura. Non fossi qui per un motivo sin troppo serio, gli proporrei uno sparring match con finale a sorpresa.

Il diretto destro colpisce nuovamente il sacco e lo fa volare dall’altra parte della palestra. Si sbriciola sul pavimento liberando una notevole quantità di pallini di plastica.

Steve Rogers si terge il sudore dalla fronte con il dorso della mano. Ci fosse qui Natasha e non fossimo in servizio, esprimerei un giudizio ormonalmente volgare che le farebbe piegare all’insù gli angoli delle labbra.

Ma come dicevo, non sono qui a visionare uno spettacolo. Intanto Rogers si è avvicinato ad un altro sacco, ancora intero, appoggiato per terra e se l’è caricato su una spalla senza il minimo sforzo. Fa per allontanarsi nella direzione opposta alla mia. “Capitan America, leggenda d’oro dello spirito americano, esce da allenamento lasciando un simile macello per terra? Poco gentile nei confronti di chi dovrà resettare tutto, non credi?”

Rogers mi rivolge uno sguardo incuriosito. Resta un attimo immobile: sta cercando di ricordare chi sono. “Fai parte della squadra di Fury, giusto?”

Annuisco.

“… sei la psicologa, non è vero?”

Sorrido. “Sono prima di tutto un’agente.” Normali psicologi non vanno in giro con una tuta in kevlar attillata grigia e nera e spade di quaranta centimetri in un fodero dietro la schiena. Normali psicologi non saltano da grattacieli planando come opossum. Normali psicologi non hanno l’incarico di seguire supersoldati, scienziati sensibili alla collera o multimilionari in tute di metallo volanti. “Perdona l’intrusione, ma sono costretta ad essere molto diretta. So che Fury ti ha già parlato del progetto Avengers.”

Steve annuisce: “E’ qui per propormi una missione per riportarmi nel  mondo?” Poi abbassa la voce di un tono, un pensiero più tra sé e sé che una vera e propria domanda: “Un mondo a cui non appartengo più?”

"Oh si che appartieni." muovo un paio di passi verso di lui che volta appena il viso : "E' il mondo che tu, con il tuo sacrificio, hai contribuito a costruire. E' il mondo che la tua leggenda ha creato. Migliaia di ragazzi plasmano il loro coraggio e le loro capacità a tua immagine e somiglianza anche a distanza di settant’anni. Il mondo non ha mai dimenticato Captain America, e se proprio insisti posso snocciolarti una lista di almeno quindici prove di quanto affermo. E poi tu, Capitano, vorresti davvero dimenticarti del mondo?"

Steve Rogers appoggia il sacco per terra. Mi avvicino di qualche altro passo senza staccare gli occhi da lui. Movimenti lenti e ad una certa distanza, non voglio dare l'impressione di opprimerlo. "Alcuni hanno l'imbarazzo di una vasta gamma di strade da percorrere. Altri, come noi, hanno il privilegio di poter scegliere solo fra due sentieri."

"Bene o Male? Coraggio o Codardia?"

"Qualsiasi nome gli dia, sono sempre e solo due le scelte. In genere equivalgono alle affermazioni SI o NO."

China la testa sul sacco. Non ha motivazione, ma il senso del dovere lo spinge ad accettare. Mi dispiace per lui: è un uomo solo e questa non è stata una sua scelta. Si è addormentato nella gloria dei suoi successi e si è risvegliato avvolto nell'asettico lenzuolo della leggenda: tutti ne parlano, ma non c'è più nessuno che l'ha conosciuto davvero. In questo momento, davanti ai miei occhi, Captain America è solo un ragazzo di Brooklyn perso a Manhattan.

"Dicono che tu sia un demone." 

"Mezzo Demone." Preciso. Chi non mi conosce prova una comprensibile diffidenza nei miei confronti: a livello popolare un demone è un esser malvagio e doppiogiochista, ingannatore e traditore. E' un po' difficile spiegare che c'è una sottile differenza tra la cultura popolare ed essere davvero un demone: all'occhio umano, non è di facile comprensione. Con questo non giustifico la buona parte del mio albero genealogico con l’hobby della distruzione. Dico solo che il punto di vista demoniaco su stermini e carestie è diverso da quello umano.

Che poi, se proprio volessimo cercare il pelo nell'uovo, se controllassimo le biografie degli antenati molta gente non scoprirebbe cose piacevoli. Giusto i nonni materni di Steve Rogers so che venivano da Salem: chi mi assicura che nel diciassettesimo secolo non appendessero la vicina di casa per il collo accusandola di stregoneria?  E lasciamo perdere gli Stark, che non sono una che infierisce gratuitamente.

Appoggio delicatamente una mano sull’avambraccio del Capitano, che alza gli occhi azzurri per fissarmi e sospira. "E hai dovuto anche tu scegliere una strada da percorrere?"

Annuisco con un mezzo sorriso. Vorrei digli che in genere io i bivi li sorvolo: sono dell'idea che la verità stia nel mezzo e non mi getto a peso morto in una causa piuttosto che in un'altra. Si potrebbe dire che tengo un piede in due scarpe. Io preferisco definirmi di ampie vedute.

"E quale hai scelto?" incalza Steve. Beh, che lo S.H.I.E.L.D. sia fatto di chiaroscuri è abbastanza lampante: persino lui, scongelato e spaesato, si deve essere posto qualche domanda.

Questo non intacca il mio sorriso rassicurante: "Sono qui davanti a te e ti sto chiedendo di aiutarci a fronteggiare una nuova minaccia. Quale strada potrei aver scelto, Cap?" 

 

Mi rendo perfettamente conto che la pessima considerazione che ho di Tony Stark vada contro gli interessi del gruppo e della missione. Dovrei essere obbiettiva e accettare che si, abbiamo bisogno di lui e no, non c’è alternativa. Ordini superiori. Se Fury ha deliberatamente ignorato il mio report sul suo profilo un motivo dovrà pur esserci, e non è quello di una mia mancanza di analisi.

Tony Stark è Iron Man e quella sua dannata tuta metallica multifunzione è manna dal cielo in situazioni come questa. Situazioni in cui un singolo uomo si impossessa di un oggetto di una potenza inaudita, fa accartocciare su se stessa una costruzione in cemento armato di sei piani sottoterra e ricompare in Germania giusto in tempo per cavare un occhio ad uno scienziato davanti a un centinaio di persone.

Certo che spacconate come "Io ho un piano, attacco" mi fanno rivoltare la bile. E se le avesse pronunciate solamente a me o a chiunque altro con un po' di sale in zucca da rispondergli: "Fai pure, cazzi tuoi" e lasciarlo andare per la sua strada non si porrebbe un ulteriore problema.

Peccato che abbia fatto il borioso davanti ad un supersoldato in piena crisi esistenziale schiavo della leggenda da lui stesso creata che gli si è lanciato appresso con scudo e paracadute da un Quinjet in volo.

Bene, ottimo. Comincio a credere che questa idea dei Vendicatori sia stata una cazzata pazzesca. Facevo meglio a chiedere in prestito un esercito di non morti da Amon. Mi volto verso la plancia di comando e scambio uno sguardo di intesa a Nat: "Scusa, ma mi hanno appena contattato per fare la Baby Sitter questa sera."

"Fai pure. C'è troppo testosterone laggiù, finiranno per demolirsi a vicenda e a far scappare il prigioniero."

Sui fianchi della mia tuta ci sono due piccole zip. Le slaccio ed infilo l'avambraccio dentro, correndo verso il portellone aperto. Mi lancio nel vuoto aprendo le braccia e tendendo le mie ali: triangoli di stoffa che mi permettono di planare come un opossum. Ci vuole una discreta forza per governarli ed una buona tecnica, cose che ormai ho imparato da tempo.

La mia vista mi permette di capire dove mi trovo: sto planando sopra una foresta illuminata da lampi e raggi energetici: Iron Man si sta dando da fare, e di certo ha trovato un avversario notevole. 

Tuoni e Fulmini. Un martello come arma. Thor. 

Mitologia Norrena. Avevo letto qualcosa al liceo. Non sospettavo minimamente che mi ci sarei trovata faccia a faccia un giorno.

Tolgo lo sguardo dalla zuffa tra superuomini alla mia sinistra e cerco quello che realmente reputo importante. Oh toh, eccolo lì il mio uomo: Seduto su uno sperone di roccia che domina la foresta, sembra godersi lo spettacolo con un ghigno stampato sulla faccia. Plano alle sue spalle. Uno dei lampi ne illumina la schiena e i capelli neri mentre mi appoggio alla roccia. Non ha l'aria di voler andare da nessuna parte.

Questo non è un prigioniero: se lo fosse sarebbe già lontano sei miglia approfittando della testosteronica rissa là in basso. A questo manca solo il pop corn sotto mano per assomigliare allo spettatore medio del Monday Nitro.

Questo qui ha un piano e noi stiamo facendo il suo gioco. Deve aver sentito la mia presenza, perché si volta di scatto. Faccio in tempo comunque a scivolare dietro la roccia e a nascondermi: non voglio che mi veda, voglio studiarne le mosse.

Ma a parte sogghignare divertito dallo spettacolo non fa nulla. Sono quasi tentata di sedermi a suo fianco, offrirgli un pacchetto di M&Ms e intavolare una conversazione sui viaggi interstellari.

Sotto di noi, un lampo accecante e un boato distruggono mezza foresta. Giuro che contatterò il WWF e farò addebitare i danni morali a Stark.

 

"Sai, in The Mask la maschera che da i poteri a Jim Carrey dicevano fosse di proprietà del dio Loki." Cerco di alleggerire l'atmosfera e distrarre Nat dai suoi pensieri: Ha l'aria di esplodere da un momento all'altro. Mi rivolge il suo sguardo assassino che interpreto come un Non ora, Addison.

"Sono anche io preoccupata per Barton." ammetto. "Ma sono sicura che questo sia il suo gioco. Si è fatto prendere, si è fatto rinchiudere, e sta cercando di farci saltare i nervi a tutti quanti: la sua stessa presenza qui dentro basta a creare scompiglio." Abbasso la voce e guardo con la coda dell'occhio il dottor Banner seduto in un angolo, occhi fissi a terra e stecca degli occhiali nervosamente tra le labbra: "Mi correggo, la sua presenza crea ulteriore scompiglio."

Natasha solleva un sopracciglio, è d'accordo con me ma non alza gli occhi chiari dallo schermo del tavolo del posto di comando: nella gabbia di vetro Loki è immobile e impassibile. "Io condisco il pollo e tu lo cuoci" sussurra.

Scuoto la testa: "Ci conviene fare il contrario: Barton è sotto il suo controllo, l'avrà brieffato a dovere su chi doveva incontrare." Mi alzo dal tavolo. "Dammi otto minuti."

Mentre esco dall'ufficio, sento Thor chiedere spiegazioni a Steve sul perché mi stia dirigendo nelle cucine.

"Credo abbiano usato un linguaggio in codice."

Continuo a credere che l'esercito di non-morti potesse essere un'idea migliore.

 

 

 

Bon, ok. Siamo nel film.

Diciamo che la ‘prima parte’ è proprio basata su questo… Dovrò pur infilare GreyRaven da qualche parte, no?

(Non siate volgari, su!)

Grazie mille a chi ha letto e commentato e grazie anche a chi ha letto e se ne è sbattuto del commento. Vi apprezzo comunque.

À la prochaine.

EC.

   
 
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