The Seventh
PARTE 1:
Becoming.
•
FIRST ASSEMBLE.
Welcome
to the jungle
We got fun n' games
We got everything you want
Honey, we know the names
We are the people that can find
Whatever you may need
If you got the money, honey
We got your disease
Nell’oscurità
silenziosa del bunker incastro le caviglie nel sostegno del controsoffitto e mi
allungo verso il basso. Un uomo normale non avrebbe potuto vedere nulla senza
un paio di occhiali ad infrarossi. La mia vista dorata invece mi permette di
ferire le tenebre e avere una visuale abbastanza limpida. Proprio sotto la mia
testa, ecco l’oggetto che cerco: la forma di un quadrato con gli angoli
smussati, grande poco meno del palmo della mia mano. Un prodotto della migliore
nanotecnologia esistente, rubato appena tre giorni prima da un laboratorio affiliato
dello S.H.I.E.L.D.
Fa parte di uno dei gadgets di
contorno al macchinario del Tesseract, il cubo di
energia cosmica che i migliori scienziati stanno studiando per conto dello S.H.I.E.L.D. e che una spia infiltrata nell’organizzazione ha
sottratto. Spia su cui mi sono messa immediatamente sulle tracce e che ho
trovato senza troppo affanno.
Se
mi fossi chiamata Natasha Romanoff
a quest’ora quel uomo avrebbe quattro buchi in testa, ma non reputo necessario
farlo fuori personalmente. Basterà sottrargli l’oggetto ed ho già predisposto
le cose in modo che possa essere sospettato dai propri mandanti di fare il
doppio gioco: il lavoro sporco, quello di macchiarsi le mani di sangue, lo
faranno poi loro.
Le
dita circondano il dispositivo e lo spostano di lato, mentre con l’altra mano
lascio scivolare contemporaneamente una maquette:
La maquette altro non è che una forma di dimensioni e peso identiche
all’originali, viene utilizzato in genere dai designer per mostrare
all’acquirente finale un campione fisico di come l’oggetto in questione sarà
realizzato.
Le
maquette vengono utilizzate anche nel campo della tecnologia. Pare che Tony Stark ne sia un avido collezionista: con Natasha
ipotizzavo che un piano della nuovissima Stark Tower sia completamente dedicato a questa sua strana
collezione. Le è parsa una cosa plausibile: Stark è
una persona abbastanza fuori dal comune –psicologicamente ed economicamente- da
permettersi una simile bizzarria.
Poi
lei è partita per una missione in madrepatria e io sulle tracce di questo qui.
Piego il corpo verso l’alto e ritorno all’interno del pannello del
controsoffitto. Lo chiudo e striscio attraverso i condotti dell’areazione.
I
passaggi sono strettissimi e fatico a passarci, ma muovendomi come un serpente
riesco a guadagnare l’uscita. L’aria fresca è manna per i miei polmoni e mi
asciuga il sudore dalla fronte. Richiudo la grata del condotto di areazione e
mi avvio verso la bicicletta che ho nascosto tra alcuni bidoni dell’immondizia.
Inizio
a pedalare, silenziosa e mimetizzata nel buio circostante. La mia moto si trova
a due chilometri, ma per allontanarmi da questo posto ho bisogno di essere
silenziosa.
Ecco
il modo di operare di GreyRaven. Nel silenzio e nel
buio, garantisco un lavoro pulito e senza chiasso.
Il
più delle volte. In qualche caso la colluttazione ci scappa. Un paio di volte
sono stata costretta a fare le cose ‘Alla Barton’ e a
far saltare qualcosa per aria fuggendo e sparando all’impazzata.
Casi
limite, si intende: Io non sono una macchina di morte. Sento qualcosa posarsi
sulla mia spalla e un lieve gracchio nell’orecchio: ecco la mia controparte
magica, quella marcia in più che mi assicura uno spettro di poteri decisamente
maggiori di un umano: Morrigan.
Morrigan è un corvo reale. L’ho chiamato
così in onore della mia antenata, e anche perché ci siamo incontrati in
Irlanda. Quel viaggio mi è stato consigliato da Amon
in persona: i corvi sono messaggeri, fanno da tramite tra questo mondo e
l’aldilà. Piuttosto necessaria la sua presenza, dato che i miei poteri sono
legati al Sottomondo da cui la mia stirpe ha avuto origine. Con Morrigan posso teletrasportarmi da questo mondo all’Altro
ad altri ancora ed è un catalizzatore per altri poteri.
La
sua fiducia l’ho conquistata scalando le scogliere di Moher,
su cui lei aveva fatto il nido. Una volta terminata l’impresa, lei mi si è
posata su una mano e mi ha beccato fortissimo: il suo modo per stabilire un
legame con me, per darmi la sua fiducia e per permettermi di darle un nome.
Porto
ancora quella cicatrice sul dorso della mano destra, in rilievo tra le altre
che mi sono procurata tra lavoro e addestramento.
Il
mio nome in codice deriva anche da lei, ma il vero significato lo sanno solo
quattro persone: Fury, Barton,
Coulson e naturalmente Natasha.
A
proposito di Nat, vorrei tanto mandarle un messaggio
per vantarmi del mio nuovo trionfo: chissà a che punto è la sua missione.
Una
leggerissima vibrazione all’orecchio destro mi avverte che qualcuno sta
cercando di contattarmi tramite auricolare. Lo premo e mi connetto: “Borgo a
rapporto: sono in fase di allontanamento, ho con me il gadget.”
La
voce di Hill mi sembra molto affaticata. Sospira e mormora un ‘ottimo’ poco convinto.
C’è
qualcosa che non va: prima di tutto perché Maria Hill solitamente non mi chiama
mai. Secondo, l’affanno nella voce mi fa venire la pelle d’oca. “Agente Borgo,
qui è Hill. Siamo stati attaccati. Codice 7.”
Codice
7. Nella scala dello S.H.I.E.L.D è descritto con il
sinonimo di “Nella merda sino al collo,
necessità di personaggi cazzuti urgentemente
richiesta.”
So
perfettamente chi sono i personaggi cazzuti: ho
stilato personalmente i loro profili psicologici e li ho rapportati a Fury. “Ricevuto. Sei ferita?”
“Graffi.”
Per un agente come noi graffi può significare l’abrasione di una cuticola
dell’unghia come un’emorragia interna estesa. Ma se non ha espressamente
richiesto il mio aiuto, significa che Hill non ne ha bisogno. “Riguardati.”
Mormoro soltanto. “E dimmi chi devo
chiamare.”
Gancio
destro. Gancio Sinistro. Diretto Destro. Diretto destro. Montante Sinistro.
Oh
si, potrei stare a guardarlo per ore. Il suo corpo da supersoldato che
stilla sudore mentre sfoga le proprie frustrazioni contro un sacco da boxe
rinforzato è uno spettacolo della natura. Non fossi qui per un motivo sin
troppo serio, gli proporrei uno sparring match con finale a sorpresa.
Il
diretto destro colpisce nuovamente il sacco e lo fa volare dall’altra parte
della palestra. Si sbriciola sul pavimento liberando una notevole quantità di
pallini di plastica.
Steve
Rogers si terge il sudore dalla fronte con il dorso
della mano. Ci fosse qui Natasha e non fossimo in
servizio, esprimerei un giudizio ormonalmente volgare
che le farebbe piegare all’insù gli angoli delle labbra.
Ma
come dicevo, non sono qui a visionare uno spettacolo. Intanto Rogers si è avvicinato ad un altro sacco, ancora intero,
appoggiato per terra e se l’è caricato su una spalla senza il minimo sforzo. Fa
per allontanarsi nella direzione opposta alla mia. “Capitan America, leggenda
d’oro dello spirito americano, esce da allenamento lasciando un simile macello
per terra? Poco gentile nei confronti di chi dovrà resettare tutto, non credi?”
Rogers mi rivolge uno sguardo incuriosito.
Resta un attimo immobile: sta cercando di ricordare chi sono. “Fai parte della
squadra di Fury, giusto?”
Annuisco.
“…
sei la psicologa, non è vero?”
Sorrido.
“Sono prima di tutto un’agente.” Normali psicologi non vanno in giro con una
tuta in kevlar attillata grigia e nera e spade di quaranta centimetri in un
fodero dietro la schiena. Normali psicologi non saltano da grattacieli planando
come opossum. Normali psicologi non hanno l’incarico di seguire supersoldati,
scienziati sensibili alla collera o multimilionari in tute di metallo volanti.
“Perdona l’intrusione, ma sono costretta ad essere molto diretta. So che Fury ti ha già parlato del progetto Avengers.”
Steve
annuisce: “E’ qui per propormi una missione per riportarmi nel mondo?” Poi abbassa la voce di un tono, un
pensiero più tra sé e sé che una vera e propria domanda: “Un mondo a cui non
appartengo più?”
"Oh
si che appartieni." muovo un paio di passi verso di lui che volta
appena il viso : "E' il mondo che tu, con il tuo sacrificio, hai
contribuito a costruire. E' il mondo che la tua leggenda ha creato. Migliaia di
ragazzi plasmano il loro coraggio e le loro capacità a tua immagine e
somiglianza anche a distanza di settant’anni. Il mondo non ha mai
dimenticato Captain America, e se proprio insisti
posso snocciolarti una lista di almeno quindici prove di quanto affermo. E
poi tu, Capitano, vorresti davvero dimenticarti del mondo?"
Steve Rogers appoggia il sacco per terra. Mi avvicino
di qualche altro passo senza staccare gli occhi da lui. Movimenti lenti e
ad una certa distanza, non voglio dare l'impressione di opprimerlo.
"Alcuni hanno l'imbarazzo di una vasta gamma di strade da
percorrere. Altri, come noi, hanno il privilegio di poter scegliere solo
fra due sentieri."
"Bene
o Male? Coraggio o Codardia?"
"Qualsiasi
nome gli dia, sono sempre e solo due le scelte. In genere equivalgono alle
affermazioni SI o NO."
China
la testa sul sacco. Non ha motivazione, ma il senso del dovere lo spinge ad
accettare. Mi dispiace per lui: è un uomo solo e questa non è stata una sua
scelta. Si è addormentato nella gloria dei suoi successi e si è risvegliato
avvolto nell'asettico lenzuolo della leggenda: tutti ne parlano, ma non c'è più
nessuno che l'ha conosciuto davvero. In questo momento, davanti ai miei occhi, Captain America è solo un ragazzo di Brooklyn perso a
Manhattan.
"Dicono
che tu sia un demone."
"Mezzo
Demone." Preciso. Chi non mi conosce prova una comprensibile diffidenza
nei miei confronti: a livello popolare un demone è un esser malvagio e
doppiogiochista, ingannatore e traditore. E' un po' difficile spiegare che c'è
una sottile differenza tra la cultura popolare ed essere davvero un demone:
all'occhio umano, non è di facile comprensione. Con questo non giustifico la
buona parte del mio albero genealogico con l’hobby della distruzione. Dico solo
che il punto di vista demoniaco su stermini e carestie è diverso da quello
umano.
Che
poi, se proprio volessimo cercare il pelo nell'uovo, se controllassimo le
biografie degli antenati molta gente non scoprirebbe cose piacevoli. Giusto i
nonni materni di Steve Rogers so che venivano da
Salem: chi mi assicura che nel diciassettesimo secolo non appendessero la
vicina di casa per il collo accusandola di stregoneria? E lasciamo
perdere gli Stark, che non sono una che infierisce
gratuitamente.
Appoggio
delicatamente una mano sull’avambraccio del Capitano, che alza gli occhi
azzurri per fissarmi e sospira. "E hai dovuto anche tu scegliere una
strada da percorrere?"
Annuisco
con un mezzo sorriso. Vorrei digli che in genere io i bivi li sorvolo: sono
dell'idea che la verità stia nel mezzo e non mi getto a peso morto in una causa
piuttosto che in un'altra. Si potrebbe dire che tengo un piede in due
scarpe. Io preferisco definirmi di ampie vedute.
"E
quale hai scelto?" incalza Steve. Beh, che lo S.H.I.E.L.D.
sia fatto di chiaroscuri è abbastanza lampante: persino lui, scongelato e
spaesato, si deve essere posto qualche domanda.
Questo
non intacca il mio sorriso rassicurante: "Sono qui davanti a te e ti sto
chiedendo di aiutarci a fronteggiare una nuova minaccia. Quale strada potrei
aver scelto, Cap?"
Mi
rendo perfettamente conto che la pessima considerazione che ho di Tony Stark vada contro gli interessi del gruppo e della
missione. Dovrei essere obbiettiva e accettare che si, abbiamo bisogno di lui e
no, non c’è alternativa. Ordini superiori. Se Fury ha
deliberatamente ignorato il mio report sul suo profilo un motivo dovrà pur
esserci, e non è quello di una mia mancanza di analisi.
Tony
Stark è Iron Man e quella
sua dannata tuta metallica multifunzione è manna dal cielo in situazioni come
questa. Situazioni in cui un singolo uomo si impossessa di un oggetto di una
potenza inaudita, fa accartocciare su se stessa una costruzione in cemento
armato di sei piani sottoterra e ricompare in Germania giusto in tempo per
cavare un occhio ad uno scienziato davanti a un centinaio di persone.
Certo
che spacconate come "Io ho un piano, attacco" mi fanno rivoltare la
bile. E se le avesse pronunciate solamente a me o a chiunque altro con un po'
di sale in zucca da rispondergli: "Fai
pure, cazzi tuoi" e lasciarlo andare per la sua strada non si porrebbe
un ulteriore problema.
Peccato
che abbia fatto il borioso davanti ad un supersoldato in piena crisi
esistenziale schiavo della leggenda da lui stesso creata che gli si è lanciato
appresso con scudo e paracadute da un Quinjet in
volo.
Bene, ottimo.
Comincio a credere che questa idea dei Vendicatori sia stata una cazzata
pazzesca. Facevo meglio a chiedere in prestito un esercito di non morti da Amon. Mi volto verso la plancia di comando e scambio uno
sguardo di intesa a Nat: "Scusa, ma mi hanno
appena contattato per fare la Baby Sitter questa
sera."
"Fai
pure. C'è troppo testosterone laggiù, finiranno per demolirsi a vicenda e a far
scappare il prigioniero."
Sui
fianchi della mia tuta ci sono due piccole zip. Le slaccio ed infilo
l'avambraccio dentro, correndo verso il portellone aperto. Mi lancio nel vuoto
aprendo le braccia e tendendo le mie ali:
triangoli di stoffa che mi permettono di planare come un opossum. Ci vuole una
discreta forza per governarli ed una buona tecnica, cose che ormai ho imparato
da tempo.
La
mia vista mi permette di capire dove mi trovo: sto planando sopra una foresta
illuminata da lampi e raggi energetici: Iron Man si
sta dando da fare, e di certo ha trovato un avversario notevole.
Tuoni
e Fulmini. Un martello come arma. Thor.
Mitologia Norrena.
Avevo letto qualcosa al liceo. Non sospettavo minimamente che mi ci sarei
trovata faccia a faccia un giorno.
Tolgo
lo sguardo dalla zuffa tra superuomini alla mia sinistra e cerco quello che
realmente reputo importante. Oh toh,
eccolo lì il mio uomo: Seduto su uno sperone di roccia che domina la foresta,
sembra godersi lo spettacolo con un ghigno stampato sulla faccia. Plano alle
sue spalle. Uno dei lampi ne illumina la schiena e i capelli neri mentre mi
appoggio alla roccia. Non ha l'aria di voler andare da nessuna parte.
Questo
non è un prigioniero: se lo fosse sarebbe già lontano sei miglia approfittando
della testosteronica rissa là in basso. A questo
manca solo il pop corn sotto mano per assomigliare
allo spettatore medio del Monday Nitro.
Questo
qui ha un piano e noi stiamo facendo il suo gioco. Deve aver sentito la
mia presenza, perché si volta di scatto. Faccio in tempo comunque a scivolare
dietro la roccia e a nascondermi: non voglio che mi veda, voglio studiarne le
mosse.
Ma
a parte sogghignare divertito dallo spettacolo non fa nulla. Sono quasi tentata
di sedermi a suo fianco, offrirgli un pacchetto di M&Ms
e intavolare una conversazione sui viaggi interstellari.
Sotto
di noi, un lampo accecante e un boato distruggono mezza foresta. Giuro che
contatterò il WWF e farò addebitare i danni morali a Stark.
"Sai,
in The Mask
la maschera che da i poteri a Jim Carrey dicevano fosse di proprietà del dio Loki." Cerco di alleggerire l'atmosfera e distrarre Nat dai suoi pensieri: Ha l'aria di esplodere da un momento
all'altro. Mi rivolge il suo sguardo assassino che interpreto come un Non ora, Addison.
"Sono
anche io preoccupata per Barton." ammetto.
"Ma sono sicura che questo sia il suo gioco. Si è fatto prendere, si è
fatto rinchiudere, e sta cercando di farci saltare i nervi a tutti quanti: la
sua stessa presenza qui dentro basta a creare scompiglio." Abbasso la voce
e guardo con la coda dell'occhio il dottor Banner seduto in un angolo, occhi
fissi a terra e stecca degli occhiali nervosamente tra le labbra: "Mi
correggo, la sua presenza crea ulteriore
scompiglio."
Natasha solleva un sopracciglio, è d'accordo
con me ma non alza gli occhi chiari dallo schermo del tavolo del posto di
comando: nella gabbia di vetro Loki è immobile e
impassibile. "Io condisco il pollo e tu lo cuoci" sussurra.
Scuoto
la testa: "Ci conviene fare il contrario: Barton
è sotto il suo controllo, l'avrà brieffato a dovere
su chi doveva incontrare." Mi alzo dal tavolo. "Dammi otto
minuti."
Mentre
esco dall'ufficio, sento Thor chiedere spiegazioni a Steve sul
perché mi stia dirigendo nelle cucine.
"Credo
abbiano usato un linguaggio in codice."
Continuo
a credere che l'esercito di non-morti potesse essere un'idea migliore.
Bon, ok. Siamo nel film.
Diciamo che la ‘prima parte’ è
proprio basata su questo… Dovrò pur infilare GreyRaven da qualche parte, no?
(Non siate volgari, su!)
Grazie mille a chi ha letto e
commentato e grazie anche a chi ha letto e se ne è sbattuto del commento. Vi
apprezzo comunque.
À la prochaine.
EC.