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Autore: rolly too    22/07/2012    7 recensioni
Kidd ha tirato troppo la corda, e il suo migliore amico si è trasformato nel nemico più pericoloso con cui abbia mai avuto a che fare. Perché Killer è forte, determinato, e soprattutto è stanco di lui e del suo comportamento. Davanti a una minaccia tanto grande e tanto dolorosa, nemmeno il Capitano Kidd sa più che cosa fare, e forse nemmeno il suo storico nemico e amante può aiutarlo, e anzi, potrebbe anche essere in pericolo.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Killer | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Kidd imprecò, battendo di nuovo il pugno chiuso contro la murata della nave.
«Maledetto Trafalgar!» urlò a nessuno in particolare. «Lo ucciderò. Lo ucciderò!»
«Calmati, capitano.» tentò Heat. «Non poteva sapere quello che è successo.»
«È vero.» annuì Kidd. «Ma dopo che gliel'ho detto, quel pezzo di merda ha comunque deciso di aiutare Killer. Lo ucciderò!»
Quell'uomo... L'aveva tradito. Dopo tutto quello che c'era stato tra di loro, l'aveva tradito!
Oh, conosceva benissimo il motivo di quel comportamento.
A Trafalgar non importava nulla di Killer. Lo odiava, lo aveva sempre odiato e non ne aveva mai fatto mistero. All'inizio non era raro vederlo mentre lanciava occhiate assassine all'altro uomo, o sentirlo mentre, con frecciatine più o meno velate, faceva di tutto per irritarlo.
Poi aveva smesso. Kidd ci aveva messo un po' per capire, e solo quando si era reso conto del rapporto che si era creato tra il suo vice e Penguin aveva compreso il motivo del cambiamento di Law.
A Trafalgar non interessava Killer, ma non voleva far soffrire Penguin. E quel Penguin era appunto il motivo per cui lo tradiva, difendendo l'assassino di Wire!
«Adesso perché non ci racconti quello che è successo mentre eri con Law, capitano?» fece Peak.
«Non c'è niente da dire.» ringhiò Kidd. «Mi ha curato, ecco tutto. E vi ha mentito. Non avevo nessuna malattia, è solo che non volevo dirvi del braccio, non in quel modo.»
«Sospettavamo una cosa del genere.» commentò Peak. «Comunque, sei sicuro che sia un avversario contro cui vuoi combattere?»
«Ti riferisci a Law o a Killer?»
«A entrambi.»
«Per quanto riguarda Killer, sì. Dopo tutto quello che ha fatto si merita di morire, anche se abbiamo litigato per colpa mia. Io non me lo ricordo e voi non lo sapete, va bene, ma non aveva nessun motivo per attaccare la ciurma di Law, e soprattutto non doveva...» s'interruppe. La gola gli si strinse e capì che se avesse parlato si sarebbe messo a piangere. Ma non c'era bisogno di continuare, la ciurma aveva capito.
«E Law?» fece allora Heat con voce cupa.
«Trafalgar è un bastardo, e ucciderò anche lui.»
Non era quello che voleva. Sapeva di aver bisogno di Trafalgar, nonostante tutto, nonostante quello che aveva fatto, ed era anche consapevole del fatto che se l'altro aveva aiutato Killer un motivo c'era, e non era soltanto Penguin. Stava cercando di dargli una possibilità di chiarire con il suo vice? Ma era tempo sprecato, era un'assurdità. Dopo ciò che era successo... Non poteva perdonarlo. Non poteva permettergli di vivere.

Strinse con più forza la vite e guardò il risultato ottenuto. Non era proprio quello che aveva in mente, ma non era male.
Se fosse riuscito a costruire il braccio di metallo più o meno come aveva progettato, aveva buone probabilità di cavarsela sia contro Killer sia contro Law. Erano entrambi avversari temibili, lo sapeva bene, tanto più che ucciderli sarebbe stato doloroso.
Forse non era disposto a perdere nessuno dei due, ma non riusciva a pensare di poterli lasciar vivere. Killer si era macchiato della colpa più grave che potesse esserci. Uccidere un proprio compagno era ciò che di più vile esisteva al mondo, e poco importavano i motivi per cui l'aveva fatto. Doveva pagare, era giusto. D'altra parte, era adulto e poteva assumersi le responsabilità delle proprie azioni.
Per Trafalgar valeva lo stesso discorso. Aveva dovuto scegliere da che parte stare, e l'aveva fatto, ma era ovvio che ormai avesse scelto Killer. E quindi, anche se il pensiero era doloroso, perché non avrebbe dovuto uccidere anche lui? Adesso erano nemici. Tutto quello che c'era stato prima non contava nulla, non più.
L'immagine di Trafalgar che pallido, con le guance bagnate dalle lacrime, si chinava su di lui e gli mormorava qualcosa gli attraversò la mente come un lampo. Quando era successo? Non ricordava d'aver vissuto una cosa simile, eppure era lì, nella sua testa, la memoria di qualcosa che doveva per forza essere accaduto. Forse erano i ricordi di quando Trafalgar l'aveva curato? Dei momenti successivi a quelli in cui Bepo l'aveva portato sul sottomarino?
Cercò di sforzarsi, per richiamare alla mente ciò che Trafalgar gli aveva detto, ma nonostante gli sembrasse di udire il ricordo della voce roca di Law, non riusciva a distinguerne le parole. Si sforzò ancora, si concentrò sulle labbra dell'uomo per cercare di decifrare ciò che gli aveva detto, ma ancora una volta non ci riuscì. Probabilmente non l'aveva sentito la prima volta, ecco perché non riusciva a ricordare, quindi era inutile stare tanto a sforzarsi.
Gli sembrò anche di sentire la voce di Killer che lo chiamava Capitano. Lo rivide in quella stanza sporca e calda in cui l'aveva trovato, tremante, coperto di sangue, che osservava con gli occhi azzurri sgranati i corpi degli uomini che l'avevano segregato lì. Gli parve di sentire lo stesso calore di quando l'aveva sollevato, leggero come un gattino, bruciante di febbre, e l'aveva portato via da quel luogo che era stato per tanti anni la sua prigione.
E poi, ancora, il sapore dei suoi baci di tanti anni prima, quando era arrivato da poco, prima che comparissero Law e Penguin, prima che le cose tra loro due precipitassero definitivamente.
Quante volte avevano litigato? Infinite.
Eppure non era mai andata a finire così, mai. Quand'era stato che le cose avevano iniziato a distruggersi? Quando si erano allontanati al punto di non potersi più riavvicinare?
Non era stata colpa di Trafalgar, perché era successo molto dopo che si erano conosciuti, e anche se si odiavano lui e Killer non avevano nessun motivo di prendersela l'uno con l'altro. Il motivo era stato quel Penguin.
Doveva essere stato il momento in cui Killer era entrato in confidenza con Penguin, quando aveva fatto il confronto tra lui e Kidd e aveva deciso che il carattere del suo capitano non gli piaceva più. Sì, si disse Kidd, le cose dovevano essere andate così.
Adesso che ci pensava, Killer aveva iniziato a rifiutarlo nel periodo in cui aveva iniziato ad andare a letto con Penguin.
All'inizio lui non aveva capito, ma poi... come sempre, era servito l'aiuto di Trafalgar per arrivarci. Era stato lui a fargli notare il rapporto che si era creato tra i due uomini, con quelle sue parole pacate e le sue allusioni che non volevano dire nulla, ma che l'avevano portato nella giusta direzione di pensiero.
Penguin era quello di cui Killer aveva bisogno? No, non credeva. Poteva capire la questione del sesso, anche lui preferiva Trafalgar. Ma per tutto il resto? Perché aveva detto il proprio nome a Penguin e non l'aveva detto a lui? Perché a Penguin aveva raccontato la propria storia – era certo che l'avesse fatto – e a lui no? Perché non era mai riuscito a confidarsi con lui?
Di cosa aveva paura? Di deludere le sue aspettative, forse. Di mostrarsi debole? Era questo che preoccupava Killer?
Kidd imprecò, osservando il proprio riflesso su uno dei pezzi di metallo su cui stava lavorando.
Ecco, forse era stato quello il problema. Forse Killer aveva paura di non sembrare più così forte com'era, aveva paura che l'avrebbe rimpiazzato. Per questo si era tenuto tutto dentro? Per questo si era allontanato così tanto da lui?
Ma non era questo quello che voleva da Killer. Era il suo migliore amico, e non l'avrebbe mai giudicato. Non l'avrebbe reputato debole solo perché aveva paura di tornare in quella stanza. E d'altra parte, come avrebbe potuto?
Aveva sempre dato a Killer un'impressione sbagliata di sé. Lui l'aveva visto come un padrone, invece avrebbe dovuto vederlo solo come un amico, e niente di più.
Non era stato capace di fargli capire cosa gli importasse veramente di lui, e adesso era tardi per rimediare. Adesso in mezzo c'erano troppe cose, troppi disastri.
Improvvisamente si sentì stanco, debole.
Si alzò da terra, mise a posto il metallo e gli strumenti che aveva usato e si diresse verso la propria cabina.
Gli si attorcigliò lo stomaco quando passò davanti alla cambusa, dove il legno era ancora nero per l'esplosione e ancora c'erano frammenti di vetro a terra, in qualche angolo, ma si fece forza e tirò dritto.
Non aveva tempo per piangere, non aveva tempo per fare nulla. Doveva seguire a distanza il sottomarino di Law, aspettare che riemergessero, e ottenere la propria vendetta. Cosa avrebbe fatto poi? Non lo sapeva, non gli interessava.
Niente aveva più senso, non c'era motivo di stare a preoccuparsi per il futuro. Con due nemici così, sarebbe già stato incredibile sopravvivere. Avrebbe pensato a quello che avrebbe fatto dopo soltanto dopo essersi preso la propria vendetta, perché Wire era morto e qualcuno doveva pagare.
Quando raggiunse la propria cabina tirò un profondo sospiro, si sdraiò sul letto e senza nemmeno togliersi gli stivali né coprirsi chiuse gli occhi.
All'improvviso, l'eco della voce di Law gli rimbombò nella testa. Era la voce della notte in cui l'aveva curato, quando l'aveva visto pallido e disperato. Allora aveva sentito quello che gli aveva detto! L'aveva sentito, e ora, improvvisamente, se n'era ricordato.
Non morire, Eustass-ya. Hai capito, idiota? Non morire. Non lasciarmi da solo.
   
 
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