Film > Un mostro a Parigi
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Autore: Claudia Ponto    24/07/2012    3 recensioni
Lucille è una cantante scontrosa e vanitosa.
Si sente migliore di tutti e questo causa a lei un isolamento dalle altre persone. Canta di gioia, ma nel suo cuore non vi è nulla di questo sentimento. Ma forse una sera, in compagnia del suo "peggior nemico" Raoul, un incontro mostruoso potrebbe aiutarla ad intraprendere un cammino per la ricercà della felicità
AVVISO: ho deciso di riscrivere completamente dall'inizio la Fiction Monster Heart: a causa di mancanza di ispirazione che mi impedisce di proseguirla come vorrei, ho deciso di cambiarla drasticamente. modificherò tutto: dalla trama in generale al genere di storia, il rating (se necessario) e il ruolo dei personaggi.
chiedo scusa ai lettori che hanno commentato fino adesso, ma sto soffrendo nel non riuscire a continuare questa fiction su un film che adoro sul serio
Genere: Fluff, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Francœur, Lucille, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6: Brutti ricordi
 
Una delle tante fermate fu a Laval.
Rimettere i piedi a terra, senza scossoni a far venire la nausea, era una vera e propria gioia.
Il comune non era allo stesso livello di Parigi, era semplice e modesta, niente di frivolo per adornare le strade, le case ben poco eleganti rispetto a quelle della capitale.
Era tranquilla la città, molta della gente viveva lì perché amante della quiete che, in altri luoghi, non sarebbe stato possibile avere, Raoul approfittò di ciò per poter usufruire di quell’elemento come calmante per i nervi.
Era ancora arrabbiato con Lucille, meglio che gli restasse lontano, quello che gli aveva detto non era cosa da dimenticare facilmente, il sangue continuava a bruciare in corpo, le vene in testa pulsavano. Cercava la ragione di trovare uno spiraglio nella sua coscienza, troppo potente era però l’ira che impediva a qualsiasi pensiero giusto di farsi strada, suggerendogli di non giungere mai al perdono.
E come poteva, del resto, dopo quella crudele offesa?
 
Ti voglio bene...
Erano queste le parole che tormentavano Raoul.
Parole che nonostante fossero intrise di felice sentimento, infondevano un immenso dolore.
L’inventore aveva visto i propri genitori andare via, uccisi dopo un brutale incidente d’auto, era solo un bambino all’epoca del fatto ma ricordava, purtroppo, fin troppo bene ogni dettaglio di quel maledetto giorno. Ricordava soprattutto quanto aveva urlato il nome della madre per non farla addormentare nel sonno senza risveglio, per impedire quella cosa avrebbe dovuto cercare e chiedere aiuto, sul luogo c’era molta gente a cui avrebbe potuto implorare di dargli una mano… ma lui non riuscì a farlo, non riuscì a reagire…
Aveva provato ma non si era mosso.
Era un bambino, ed era spaventato.
 
L’incidente aveva coinvolto tanta gente, accorgersi di tutti coloro rimasti feriti fu grave.
I miracolati che erano stati soccorsi in tempo dovevano ringraziare solo il tempestivo intervento di chi si era accorto di loro, ma Raoul non poteva sentirsi parte di quella categoria di salvatori, nonostante molte persone, tra sconosciuti e familiari, gli dissero che non doveva darsi colpa per quella cosa, lui non avrebbe mai potuto perdonarsi per aver privato la salvezza a chi voleva più bene al mondo.
La gente che lo conosceva per la prima volta pensava fosse un tipo sempre allegro, di certo non immaginavano quale profonda tristezza si nascondeva dietro la sua faccia tanto frizzante. Per questo aveva deciso di diventare un inventore, per creare qualcosa che non dovesse più far soffrire la gente, ma nessuna delle sue invenzioni poteva riportare indietro ciò che aveva perduto.

Per questo si era ripromesso di aiutare Francoeur, stavolta non voleva fallire....
 
                                                                                  ****
Francoeur aveva ascoltato senza volerlo la discussione fra la cantante e l’inventore.
Erano giorni che teneva d’occhio entrambi, sperando che le cose si aggiustassero, ma poiché le cose non si mettevano bene, decise quel giorno di intervenire.
Anche se non scorreva buon sangue, sapeva che potevano essere buoni amici, se solo si decidessero a  mettere da parte i loro rancori, ma essendo entrambi testardi non sarebbe stato per niente facile. Progettò insieme ad Emile quel che aveva in mente, anche il giornalista era furbo e non esitò a suggerire qualche idea particolare che rese a dir poco perfetto il “diabolico” piano, ammettendo di avere un poco di paura per le reazioni che entrambe le “vittime” avrebbe avuto una volta scoperta la verità.
A parte i dubbi, diedero inizio all’impresa.
 
Emile, con tutta l’innocenza che poteva mostrare, si recò dall’amico che si era rintanato in un bar per bere qualcosa, l’unico ad essere imbronciato tra la clientela che, al contrario, era allegra e spensierata, riunita in gruppi chiassosi.
Chiacchierarono un poco prima di passare all’azione, soprattutto per saggiare il suo livello di nervosismo, quando fu sicuro che poteva ingannarlo senza destar sospetti lo portò via, togliendogli di mano l’ennesimo boccale.
Francoeur stava svolgendo la medesima azione con Lucille; la ragazza era chiusa in albergo, pretendendo di riacquistare un poco della normalità della sua vecchia vita da “vip”, trascorrendo tutto il tempo davanti allo specchio. Era uscita poco, solo per comprare qualcosa di decente, secondo i suoi gusti, per il suo nuovo vestiario assai modesto; non rivolgeva la parola a nessuno se non per chiedere quando sarebbero ripartiti.
Vedendo l’insetto il suo grigio entusiasmo non mutò, ma nemmeno lo trattò male come al solito, limitandosi a dirgli di lasciarla in pace; dovette faticare per convincerla ad uscire e seguirlo, le dovette promettere che non l’avrebbe più annoiata con il pretesto di fargli da insegnante se l’avesse accontentato solo per quella occasione.
 
A quel punto entrambe le coppie erano in movimento.
La destinazione, il Giardino de la Perrine, non lontano dal centro, situato su un promontorio di roccia.
 
L’appezzamento di terra era una zona privata in realtà, appartenente a chissà quale ricca famiglia del luogo, quel giorno però molta gente stava varcando l’ingresso senza incorrere in alcun richiamo da parte dei custodi, appostati vicino al cancello. Arrivarono nello stesso momento, quando i due litiganti si incrociarono differenti emozioni i loro cuori scatenarono: era rancore quello che Raoul dimostrava con il suo “ringhio”, tristezza invece accompagnava Lucille che distolse lo sguardo intimorita. Prima che uno dei due chiedesse spiegazioni a proposito, Francoeur spinse entrambi all’interno della proprietà privata, conducendoli nella zona più interna dove, nei pressi di una piccola serra, era stato allestito un palco con orchestra posizionato di fronte ad una serie di sedie di vimini imbottite.
<< Signor Emile, spero che lei abbia un valido motivo per avermi trascinato qui. Non gradisco la “compagnia” di questo posto. >> disse Raoul all’amico, sistemandosi nervosamente il folto ciuffo di capelli.
<< Ti posso assicurare che c’è una ragione… ma tu resta calmo, ti posso spiegare tutto. >> rispose questo agitato.
Francoeur prese il suo block notes e lo mostrò con fierezza, sfogliando le pagine su cui aveva realizzato il complesso piano di riavvicinare Raoul e Lucille, Emile che faceva da interprete per lui, fissando nel frattempo i due ragazzi per scappare ad eventuali reazioni nei suoi confronti.
<< Fantastico…. sto facendo salti di gioia! Ma, mi dispiace, io qui non ci resto! >> si limitò a dire Raoul alla fine, girando i tacchi per andarsene. Francoeur lo afferrò per le spalle e, con forza, lo costrinse a prendere posto in uno dei sedili, insieme a Lucille. Altra gente stava prendendo posto nel frattempo dopo che un distinto signore aveva annunciato l’imminente inizio del concerto, l’orchestra stava accordando gli strumenti per l’ultima volta, i cantanti che si sarebbero esibiti stavano lentamente avvicinandosi.
<< Temo che dovremo assistere allo spettacolo, che ci piaccia o meno. >> commentò Lucille con voce bassa.
<< Spero che finisca il più presto possibile. >> fu la risposta dell’inventore.
Francoeur, per quanto fiducioso della sua idea, sperò che quella riunione di pace non finisse per peggiorare la situazione, riponeva ogni speranza nello spettacolo e nella canzone che, con poca educazione, aveva sbirciato tra gli effetti personali dei cantanti. Ci fu una breve introduzione, la presentazione di chi avrebbe eseguito la performance e infine l’ingresso del maestro d’orchestra… scese il silenzio tra gli spettatori, lievemente le voci dei cantanti cominciarono ad intonare le parole del testo imparato a memoria:
“Chi può trovarmi qualcuno da amare? 
Ogni mattina mia alzo e mi sento morire un po' 
Riesco a malapena a stare in piedi 
Guardo lo specchio e piango 
Signore cosa mi stai facendo? 
Ho passato tutta la mia vita a credere in te 
Ma non riesco a riceverne conforto, Signore! 
Chi può trovarmi qualcuno da amare?” 

Era una vecchia canzone quella che stavano eseguendo, il modo di eseguirla però era diverso. Molte cose, per chi conosceva quella melodia, erano state modificate dall’originale, eppur il risultato non era affatto sgradevole; al contrario, aggiungeva qualcosa in più che la rendeva a dir poco perfetta, enfatizzando meglio il significato delle parole.
“Lavoro duro ogni giorno della mia vita 
Lavoro fino a rompermi le ossa 
Alla fine porto a casa la mia paga guadagnata duramente 
tutto solo 
Mi inginocchio 
E inizio a pregare 
Finchè le lacrime non mi sgorgano dagli occhi 
Signore…
Chi può trovarmi qualcuno da amare?”

Non era nemmeno iniziata la canzone che già, tra le signore, era spuntata qualche lacrima di commozione. L’autore del testo era riuscito, in qualche modo, a racchiudere in quelle parole un tripudio di sentimenti che raccontavano, forse, un’esperienza di vita da lui vissuta, trasformata in preghiera.
“Ogni giorno - cerco e cerco e cerco - 
Ma sembra che tutti vogliano umiliarmi 
Dicono che sto impazzendo 
Dicono che ho il cervello pieno d'acqua 
Dicono che non ho buon senso 
Non mi è rimasto nessuno in cui credere 
Oh Signore 
Chi può trovarmi qualcuno da amare? 
Non ho più sensibilità, non ho ritmo 
Continuo a perdere colpi” 

I cantanti sorridevano durante l’esecuzione, eppure non c’era nulla nel testo che facesse sorridere, pareva che non si rendessero conto di quanta tristezza era descritta. Stranamente però, non si poteva fare a meno che considerarla come uno speciale coro alla lotta per la ricerca della felicità nella propria vita… un incoraggiamento a non arrendersi mai.
“Tutto bene, sono a posto 
Non subirò più sconfitte 
Devo solo uscire da questa cella 
Un giorno sarò libero, Signore!”

 
L’assolo di piano concluse il pezzo, spegnendosi delicatamente.
Quando il silenzio scese fu un fragoroso applauso a scuotere l’aria del giardino, la gente era entusiasta dello spettacolo e cercò di manifestarlo come meglio poteva. Quasi imbarazzati i cantanti accolsero i complimenti, musicisti compresi che si inchinavano all’unisono brandendo i fidi strumenti musicali. Gli unici a non applaudire furono Lucille e Raoul; Emile temette il peggio… ma Francoeur gli rivolse un raggiante sorriso di sicurezza, emettendo un verso che pareva voler dire “va tutto bene”.
L’insetto si alzò e portò via con sé il giornalista, lasciando così da soli i due giovani.
Ora toccava a loro.
 
                                                                                  ****
Poco alla volta la gente cominciò ad allontanarsi, disperdendosi nel giardino a chiacchierare o per semplicemente ammirare i fiori, alcuni camerieri nel frattempo allestivano un piccolo rinfresco con stuzzichini di ogni genere. Qualcuno, prima di andare, aveva richiesto il “bis”, purtroppo c’era un programma da rispettare e i cantanti, nonostante la gentilezza, non poterono acconsentire.
Vicino al palco Lucille in silenzio osservava la piattaforma di legno tanto familiare.
Provava nostalgia in quel momento, ma non per la mancanza di ciò che con la musica o il canto aveva a che fare, bensì per altro: un amore che non c’era.
Ricordi sfumati di abbracci, giochi e felicità si dipinsero nella sua mente con tinte di emozioni a lungo dimenticate, album fotografici scattati dall’anima vennero leggermente rispolverati dopo essere stati abbandonati per anni e anni, stanchi di trattenere nell’oblio importanti momenti.
<< Di solito non mi piace chi reinterpreta vecchie strofe; però questa è stata eseguita perfettamente. >>
Raoul le si avvicinò in quel momento, apparentemente più tranquillo rispetto a prima.
<< è una canzone facile da eseguire. >> si limitò a dire lei.
Tra i due c’era ancora difficile comunicazione, però, al posto del nervosismo, si avvertiva un chiaro… imbarazzo, se tale si poteva definire.
<< Mia madre mi cantava sempre questa canzone quando ero piccola. >>
 
L’inventore sgranò gli occhi di sorpresa: quella era la prima volta che Lucille menzionava sua madre.
 
Solitamente la fanciulla, quando si toccava l’argomento genitori, andava via o rispondeva semplicemente che non era un argomento abbastanza interessante su cui perdere tempo, persino la stessa zia evitava l’argomento. Cominciarono a camminare, inoltrandosi nel fastoso giardino, il profumo dei fiori intenso che creava, nell’insieme, un aroma dolciastro che ricordava lo zucchero filato; Lucille raccontò di come da piccola aveva adorato la sua famiglia, la madre in particolare da cui aveva ereditato la passione per il canto. Non era stata una persona famosa, gli disse che aveva svolto il semplice mestiere di maestra, ma aveva questo particolare dono che condivideva solo con lei in qualunque momento ella aveva bisogno di sentirsi amata.
Lucille adorava sua madre, fin dal primo giorno che era nata aveva sempre nutrito un affetto speciale, non solo perché si trattava di sua madre, bensì perché era stata l’unica a farla sentire protetta… amata… felice.
Di suo padre non aveva alcun ricordo se non quello che era sempre a lavoro, assetandosi a volte per giorni, e dire questo costava molta fatica alla ragazza.
Un atteggiamento che probabilmente qualunque fidanzato avrebbe avuto nei confronti della sua ragazza.
Raoul rimase stupito dalla gioia che Lucille manifestava mentre parlava di sua madre; era di sicuro la prima volta in assoluto che si mostrava così felice. Si era sempre chiesto che cosa le impedisse di essere in quel modo quando si rivolgeva a lui o al resto della gente, l’arroganza con la quale la conosceva ora appariva fuori luogo: capì che era qualcosa di grosso dietro che aveva quasi paura a scoprire.
Smise di parlare, le mani le stavano tremando, in viso era divenuta pallida come un fantasma.
Le porse un fazzoletto per asciugarsi, preoccupato da quello stato, lei delicatamente discostò la sua mano forzando un sorriso che non le riusciva. Era così strano non vederla sicura di sé stessa, appariva incredibilmente impacciata, solitamente incoraggiava a non farsi abbattere alla minima difficoltà.
<< Ho sempre cercato di essere una vincente, quella canzone ha uno strano effetto incoraggiante a mio parere. La mamma l’adorava proprio per questo… >>
<< Tua madre sembra una tipa in gamba. >>
<< O sì, lo era eccome. >>
Uno stormo di rondini fece voltare i due in direzione di una delle magnifiche vedute del promontorio; grazie alla bella giornata, la città francese era visibile in tutto il suo splendore: si scorgevano le abitazioni un po’ più moderne, le ville antiche, le sacre chiese. Gli uccelli che vi volavano sopra trasportando con i loro fluenti voli i delicati petali variopinti che, invece di cadere al suolo, dopo essersi staccati dai boccioli, venivano trascinati alti nel cielo, come a volerlo decorare; altri invece li portarono con il becco nei nidi celati sotto le grondaie delle case, facendo attenzione a non farli cadere nel vuoto.
Un singhiozzo ruppe l’eleganza del momento: dagli occhi verdi della ragazza copiose lacrime scendevano, le labbra strette sotto i denti per essere morse.
<< Tu pensi che io sia una squaldrina…! >>
<< Cosa?! No! Ma che dici?! >>
<< Non mentire! Tutti lo pensano di me! Li vedo che parlano alle mie spalle e dicono a bassa voce quello che pensano di me! >>
<< Bontà divina…! Lucille! Che razza di pensieri ti fai?! Nessuno si è mai permesso di dire cose così volgari sul tuo conto! >>
Quella esplosione di emozioni mise in seria difficoltà Raoul, non sapeva come comportarsi e soprattutto calmare la disperata che cominciò a sfogarsi su dubbi esistenziali, paure e paranoie; non lo faceva nemmeno parlare e temette che potesse svenire da un momento all’altro.
<< E che mi manca mia madre… >> disse infine, dopo un difficile respiro.
 
Con quella confidenza capì tutto, finalmente molte cose erano chiare.
Era quello che aveva reso Lucille la persona che la gente, al locale, conosceva.
 
<< Non ho mai avuto amici perché quando mia madre è scomparsa avevo… avevo paura di venire abbandonata di nuovo… è una sensazione orribile… ti fa vivere l’inferno sulla terra…. >>
Durante la confessione Lucille fu costretta a rivivere il ricordo più traumatico della sua vita, sentiva che era necessario farlo per poter trovare pace con sé stessa e con l’inventore vittima del suo pessimo carattere. Ricordava ancora quante volte si affacciò dalla finestra di casa nella speranza di vedere sua madre tornare a casa, ogni volta però era un giorno in più lontana da lei, rinchiusa in ospedale per una malattia sconosciuta che non si riusciva a guarire. Ogni volta che andava a trovarla vedeva la stanchezza della malattia, durante le visite di sforzava di sorridere per non mostrare il vero volto della situazione, dandole speranza di tornare alla normalità…. e ogni sera, quando era costretta a lasciare l'ospedale senza lei, si sentiva sconfitta.
Pretendeva sua madre di comportarsi normalmente quando erano insieme: le acconciava i capelli, l’aiutava a fare i compiti, a comportarsi come una signorina per bene… tutto con gioia, l’unica cosa che voleva condividere.
Pregò spesso per restare oltre l’orario di visita, ma i dottori erano severi, doveva lasciare l’ospedale secondo le regole.
Sospirava tristemente ogni volta, riluttante uscva dalla stanza, non prima di aver dato un delicato bacio sulla fronte alla mamma, sperando di poterla presto sentir nuovamente cantare.
A causa della malattia Lucille si era trovata solo con la zia, la quale spesso si attardava fino a notte pur di assistere la donna, il padre, nonostante tutto, pretendeva ancora di dar maggiore importanza al lavoro, le uniche volte si era visto era stato solo per accompagnare la moglie in ospedale, e niente più.
Un giorno non riuscì a resistere; di nascosto uscì di casa e andò a trovarla, ormai stanca di vivere senza di lei.
Ma non la trovò.
Non c’era più.
L’incubo era diventato realtà.
Lucille non riusciva a credere che la sua vita fosse oscurata così drasticamente.
La loro felicità era andata perduta.
Lo ricordava bene il momento in cui aveva scoperto l’amara verità, in quella serata maledetta.
Da lì tutto era cambiato, il dolore l’aveva costretta a trasformarsi.
 
Sussultò quando  Raoul le toccò una spalla, il suo sguardo era colmo di pietà e compassione. Non disse nulla, la strinse a sé in un abbraccio, lasciandola sfogare quanto voleva. Da lontano, Emile e Francoeur li osservavano, quest’ultima era in particolar modo fiero di sé stesso per aver raggiunto il suo scopo.
 
  
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