«Vieni fuori, mostro!» Urla Ares.
Ma nessuna risposta dall’oscurità.
Senza indugiare, l’Enialo riscalda un braccio fino a farlo diventare di un
giallo accecante, e lo alza a livello della testa, maneggiandolo proprio come
fosse una torcia.
Armato di questa luce, muove i primi passi nella grotta e presto si ritrova
isolato dal mondo esterno: nessun suono penetra più quell’antro tetro, né
nessuno sguardo può più importunare quell’oscurità, nonostante la luce del Dio
non sia poi così lontana da quella esterna… E’ come
se un incantesimo pendesse su quella grotta.
Dopo parecchi passi, ancora Ares distingue solo le mura rocciose che vengono
illuminate dalla sua luce, nessun rumore può fargli presagire qualcosa: tutto
ciò che gli arriva all’orecchio è il suono dei suoi passi sulla terra bagnata,
quello delle gocce d’acqua che filtrano dal soffitto della caverna per bagnare
poi la terra su cui egli cammina e le scintille del suo braccio che sfrigolano
e zampillano vigorose.
Poi, finalmente, un rumore… un sibilo che taglia
l’aria densa. Non ci sono dubbi: è il verso di un serpente. Ares scruta il
suolo, ma niente; cerca il manto squamoso di un rettile che rigetti la sua
luce, ma trova sempre e solo fango.
Nel frattempo il sibilo si fa più vicino e più lungo. Altri gli si affiancano:
ce n’è più di uno. Ares scruta ancora il terreno, lo settaccia prima di
affondarci il piede. Ancora le gocce d’acqua che riescono a penetrare il
soffitto roccioso gli si infrangono addosso; alcune cadono sulla sua torcia
vaporizzandosi all’istante ed emettendo un suono molto simile a quel verso
sinistro.
Ad un tratto Ares posa il piede su qualcosa di più solido e subito si avverte
un lamento, ma quando il Dio guarda verso il suo piede, non vede che fango. La
cosa è strana e sospetta: avvicina la testa al suolo per guardare meglio… ed ecco che quel pezzo di fango si muove! Si muove,
spalanca le fauci e si getta verso il viso del Dio addentandolo. Subito col
braccio infuocato egli colpisce la strana fiera, ma è ancora rintontito dal suo
attacco, quando una simile alla precedente, sbuca dal suolo e lo attacca
anch’ella.
Così egli realizza: sono lì, tutt’intorno, tappezzano la grotta, sono la
grotta! Serpenti fatti di fango e terra. Ora si manifestano dappertutto,
persino sui muri e sul soffitto!
Ares si agita e sferra colpi a vuoto in tutte le direzioni cercando di
sfruttare il fuoco, ma le bestie continuano ad attaccarlo e adesso gli si
arrampicano perfino addosso.
Costretto ad usare nuovamente i suoi poteri divini, riesce a sbarazzarsi delle
creature avvolgendosi nelle stesse fiamme che prima costituivano la sua torcia
ed emana un urlo di rabbia che rimbomba per tutta la caverna. Ora, finalmente
libero, lancia un’occhiata davanti a se: tutta la caverna brulica di questi
esseri fin tanto che persino la caverna stessa sembra le budella di un enorme
serpente di terra e roccia. Infuriato, il Distruttore trasforma le sue braccia
in lame infuocate e si mette a tagliuzzare quei serpenti, correndo sempre
più dentro le viscere della montagna e urlando sempre più.
Ad un certo punto, però, la terra sotto i suoi piedi viene a mancare e, in un
istante, il Dio si ritrova in caduta libera. L’atterraggio non è certo un
problema, ma adesso le mura della grotta sono più distanti, come se ci si
trovasse in una vera e propria stanza. Non c’è più traccia degli strani
serpenti, al loro posto per terra ci sono ossa di tutte le dimensioni, alcune
delle quali abbastanza inquietanti: ossa di umani. Ma Ares non si fa intimorire
e, per prima cosa, cerca quella strega: ha capito di essere finalmente giunto
nella sua tana.
«Echidna! E’ questo il tuo nome?»
nessuna risposta
«Non sono venuto qui per affrontarti…»
Ancora la luce del Dio non riesce ad illuminare completamente la stanza, ma,
girovagando, egli trova un calderone su un focolare, da poco spento.
Poi intravede, dietro questo, dei contorni lunghi e sinuosi, simili a quelli di
un serpente, ma molto più grandi… gli si avvicina e
dall’oscurità spunta un busto umano, di donna. Ares, prontamente, si mette in
posizione da battaglia, ma poi scorge la vacuità degli occhi del busto e la
pallida trasparenza della pelle e , dopo averlo punzecchiato, capisce che non è
nient’altro che la gigantesca muta della strega. Risollevato, le volta le
spalle dicendo:
«Fatti vedere, mostro!»
Dopo ciò, la pelle della muta alle sue spalle si solleva e con la coda stringe
poderosamente Ares. Questi cerca di dimenarsi e trafigge la pelle con le lame,
ma essa non sembra avvertire dolore.
«Non chiamarmi così, straniero!» tuona una voce sottile ma potente.
Il Dio si guarda intorno finché non vede dall’oscurità emergere un corpo in
tutto e per tutto simile all’involucro senz’anima che lo sta stritolando, se
non per il fatto che i suoi colori sono più vividi e i suoi movimenti spinti da
veri muscoli.
«E così sei tu Echidna…» esordisce il Dio.
«Da queste parti sono molto pochi quelli che osano pronunciare il mio nome –
risponde quella – ma tu ovviamente non hai paura di niente, vero Ares?»
«Vedo che le tue capacità magiche precedono la mia dovuta presentazione»
«Non c’è stato bisogno di ricorrere ad alcun incantesimo, mio caro Olimpico,
dato che nessun’altro, che io sappia, può vantare una simile abilità nel
trasformare ogni sua parte del corpo in un’arma mortale…»
mentre parla, la strega striscia intorno al Dio e alla sua immagine che ancora
lo tiene prigioniero
«Giusto…» momento di pausa, in cui si avverte solo un
sibilo partito dalle labbra del mostro e dalla sua lingua che, con un guizzo,
vi fa capolino per qualche istante.
«Hai detto che non sei qui per affrontarmi…
saprai, però, che non nutro simpatia per gli dei dell’Olimpo»
«E vorrei sapere il perché…» azzarda l’Olimpico.
«Perché!? Perché, mi chiedi??» urla la strega mentre d’un tratto l’aria si
riempie del suo urlo, amplificandolo e rendendolo più spaventoso e meno umano;
nel contempo, la grotta si riempie di un bagliore rossastro che esplode dai
suoi occhi, mentre con un gesto raggiunge l’intruso e i suoi capelli, che ora
ondeggiano come fossero immersi in un liquido trasparente, ne sfiorano il volto.
Ares adesso la vede chiaramente: dalla vita in su la sua forma è perfettamente
simile a quella di una donna, ma le squame risalgono dalla coda di serpente e
ricoprono tutto il busto, la testa e gli arti. Il viso, sebbene deformato da
quella pelle verdognola, ha un qualcosa di misteriosamente attraente,
nonostante anche il fatto che adesso la sua bocca spalancata mostri delle zanne
da rettile e gli occhi, dagli iridi rossi che occupano tutto il bulbo, divisi
quasi a metà dalla feritoia orizzontale della pupilla, spalancati. I capelli
neri, sempre sospesi in aria, sono lunghi, contorti e lucenti.
«Sì… io sono solo al corrente di ciò che i contadini
dicono di te… non conosco le vere fonti del tuo odio»
Ares sembra sempre più star giocando col fuoco, e ne è cosciente.
«Bene… se è solo una storia quella che vuoi sentire
da me, te la racconterò, prima di spedirti dove i tuoi compari Olimpici non
potranno trovarti: avrai sentito che io sono nata già deforme, da stirpe di orribili
mostri. Ma non è così: io sono nata umana, donna di una delle più alte fatture.
E ancor più grande della mia bellezza era la mia abilità con le arti magiche,
tanto che gli abitanti delle zone dove abitavo, smisero di pregare nei templi e
presero l’abitudine di rivolgersi a me per risolvere i loro problemi, e subito
ottenevano in cambio quello che volevano.
Questo ovviamente non piacque agli dei che, invidiosi, mi trasformarono in
questo orribile mostro cosicché, tutti quelli che venivano a chiedermi un
favore, scappassero poi a gambe levate una volta mi avessero vista nelle mie
nuove sembianze. Nessuno si rivolse più a me e, anzi, dopo che si diffuse la
voce che ero una strega malvagia e che mi cibavo della carne degli uomini, con
forconi e torce vennero alla mia porta e mi costrinsero ad abbandonare il mio
villaggio.
Furono talmente crudeli con me che, una volta trovata dimora in questi antri
nel ventre di Gea, promisi che li avrei accontentati,
e mi sarei comportata proprio come si aspettavano loro: uccisi, divorai,
maledissi e distrussi. Feci anche di peggio: rapivo i più aitanti esemplari di
uomo che passavano da queste parti e ripetutamente mi accoppiavo con loro
finché non ne rimanevo gravida… ma presto appresi che
la maledizione degli dei non si fermava a me, ma si ripercuoteva anche sulla
mia prole: partorivo mostri orridi almeno quanto la loro madre e, ogni volta in
preda all’ira, uccidevo il padre, prima di trovarmi un altro compagno.
Gli dei, però, ancora non erano sazi del mio dolore e quegli stessi figli, che,
sebbene fossero mostri, io amavo perché soli potevano comprendere il mio animo
straziato, mi portarono via, uno ad uno.
Ed ogni giorno, per tutte questo ingiustizie che ho subito dall’Olimpo, io urlo
e torturo i suoi sudditi, e poi urlo ancora più forte, urlo e bestemmio più
potentemente di ogni altro suono si possa udire tra questi monti, affinché le
mie minacce li scavalchino e raggiungano quello più alto di tutti, facendo
sapere a quei codardi che Echidna brama vendetta, nascosta alla loro vista»
Ares rimane spiazzato dalla collera e dalla forza che quelle parole appena
udite esprimono.
«Io e te non siamo poi così differenti, Echidna: anch'io sono stato oggetto dei
soprusi degli dei, che mi hanno fatto credere di non essere altro che uno dei
tanti, e mi hanno sempre fatto fare tutto il lavoro sporco. Ma recentemente ho
scoperto che mi tenevano allo scuro del mio vero destino, un destino da Re
indiscusso degli Dei. E sono venuto qui per chiederti aiuto: aiutandomi
otterrai la tua vendetta... e in più potresti anche diventare la nuova Regina
dell'Olimpo, e nessuno guarderebbe a te con ribrezzo, ma tutti considererebbero
la tua immagine come il canone universale di bellezza» Ares ammicca verso la
strega.
«E così... mi faresti tua sposa?» chiede questa, quasi commossa.
«E perché no? D'altronde io non riesco a credere come qualcuno posso odiare il
tuo aspetto...»
Echidna, ammaliata dalle parole del Dio, è sempre più vicina al suo viso e ora
lo accarezza con le orride mani, terminanti alle estremità con delle
affilatissime unghie che però non sono altro che continuazioni di quelle
squame. I suoi occhi rossi ora sono incollati a quelli del Dio. Quando la sua
lingua biforcuta guizza fuori per annusare l'aria, gli sfiora guance e naso.
«Ma al massimo potrei aiutarti con la mia magia, mentre per espugnare l'Olimpo
ti serve un esercito...»
«I tuoi figli potrebbero essere un buon inizio per costruire il mio esercito...
pensi che ascolterebbero ancora l'appello della loro bellissima madre?»
«Certo che sì... c'è solo un piccolo problema: gli dei li stanno impiegando
come supplizio per le anime dannate nell'Ade... per tua fortuna, però, anche
Cerbero, il guardiano dei cancelli dell'aldilà è mio figlio»
«Allora che aspettiamo? Andiamo a fare visita a mio zio...»
«Dovrai andare da solo, però, perché per aprire un passaggio per l'aldilà, io
dovrò rimanere ferma, qui, o il varco si richiuderà»
«E come farò a dimostrare loro che mi mandi tu?»
«Beh, penso che siano in grado di ricordare l'odore della loro mammina... ma
per piantartelo per bene addosso c'è un solo modo...» Echidna enfatizza il tono
provocatorio della frase appena pronunciata ed estrae la lingua per la sua
intera, enorme, lunghezza.
«Perfetto, così intanto suggelleremo anche il nostro patto» conclude l'Enialo.
NDA (stanno diventando sempre più frequenti): questa
è una delle modifiche maggiori alla mitologia greca originale (fino ad
adesso... tra un po' arriva il disastro), e cioè la storia di Echidna che da
semplice mostro diventa un personaggio con almeno un pizzico di psicologia e un
passato segnato dall'ingiustizia (almeno a suo dire, dato che si è macchiata
del peccato di υβρις, tema
ricorrente nella mitologia greca) e un presente pieno di odio e brama di
vendetta. Il resto invece - l'aspetto e soprattutto le parentele - è tutto
fedele al mito; spero troviate le modifiche interessanti e utili alla
narrazione.