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Autore: Lue    02/08/2012    3 recensioni
John la vita che gli spettava per diritto l'ha cercata dentro la sua stessa immagine, riflessa su una lastra nera e levigata. Ha cercato quella vita nei volti della gente che conosceva e in chi non conosceva, ma ha scorto solo brandelli della loro esistenza: rabbia, amore, gelosia, turbamento. Non c'era nulla che potesse appartenere anche a lui.
Allora John ha cercato la vita ancora, con tenacia, perché se lo meritava, quel mondo che lo aspettava oltre il dolore.
L'ha cercata nei ricordi, nelle fotografie, nel vibrare stonato di un violino tra le sue mani. E poi John si è arrabbiato, ha pianto moltissimo e ha urlato, quando si è reso conto che non riusciva proprio a trovarla, quella vita, che non aveva pace.
E così, un giorno, non si è più alzato dal letto.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Ok, beh, il rating di questa storia è arancione ma vi avverto subito, non ci sono scene erotiche. Ho scelto questo rating perchè la storia parla di argomenti quali depressione e suicidio, quindi il rating giallo mi sembrava troppo "light". Eee, volevo dire che ho scritto questa FF molto angst perchè fuori c'era tipo una tormenta, e il mio iPod continuava a mandarmi canzoni molto tristi, e così... eccola qui. Una canzone in particolare mi ha ispirato questa storia, Lover's eyes dei Mumford & Sons (gli ammmmori miei), infatti ne ho inseriti dei pezzi nella storia. Ci ho messo la traduzione perchè cercando delle traduzioni o anche il semplice testo su internet ho trovato delle cose mai viste, quindi ho pensato che a qualcuno avrebbe fatto piacere :) Ok, beh, spero che vi piaccia! Se è troppo angst potete sempre andarvi a leggere Quello che non ti ho detto mai, e qui vi giuro il lieto fine! Ciao! :)

BENEATH


"Love was kind, for a time
Now just aches, and it makes me blind
".


"L'amore è stato bello, per una volta.
Ora fa solo male, e mi rende cieco
".

 

Due anni. Trecentosessantaquattro giorni. Ventitré ore. Cinquantanove minuti. E cinquantanove secondi.
Tre anni, adesso.

John la vita che gli spettava per diritto l'ha cercata dentro la sua stessa immagine, riflessa su una lastra nera e levigata. Ha cercato quella vita nei volti della gente che conosceva e in chi non conosceva, ma ha scorto solo brandelli della loro esistenza: rabbia, amore, gelosia, turbamento. Non c'era nulla che potesse appartenere anche a lui.
Allora John ha cercato la vita ancora, con tenacia, perché se lo meritava, quel mondo che lo aspettava oltre il dolore.
L'ha cercata nei ricordi, nelle fotografie, nel vibrare stonato di un violino tra le sue mani. E poi John si è arrabbiato, ha pianto moltissimo e ha urlato, quando si è reso conto che non riusciva proprio a trovarla, quella vita, che non aveva pace.
E così, un giorno, non si è più alzato dal letto.
Non ci ha provato nemmeno. È rimasto a guardare il soffitto, per ore, e dato che il telefono sul comodino continuava a squillare l'ha preso e l'ha buttato fuori dalla finestra. La finestra era chiusa, così il vetro è andato in frantumi, lasciando che un vento pungente invadesse la stanza. Ma John nemmeno se n'è accorto. È rimasto lì, nel letto che andava man mano raffreddandosi, finché l'ha trovato la signora Hudson, che era entrata per dare una pulita, e ha chiuso almeno le tende, che entrasse meno freddo, e gli ha messo un'altra coperta addosso e gli ha tenuto le mani tra le sue fino a che non si sono riscaldate un po'.


"But do not ask the price I pay,
I must live with my quiet rage.
Tame the ghosts in my head

that run wild and wish me dead".


"Ma non chiedere il prezzo che pago,
Sono costretto a vivere con la mia rabbia calma.
Doma i fantasmi nella mia testa,
Che corrono selvaggi e mi vogliono morto
".
 

La signora Hudson l'ha visto, l'oblio, negli occhi di John e ha cercato di aiutarlo, di dargli l'affetto e la vita di cui aveva bisogno. Ma era troppo tardi.
John rimaneva fermo, a volte piangeva, piano, come pigolano i pulcini, ma capitavano anche momenti di luce. John trovava un piccolo, minuscolo briciolo di vita quando la signora Hudson gli mostrava primi piani a colori di Sherlock.
Davanti a quegli occhi John si risvegliava, accettava un po' di minestra, si guardava intorno. Non sempre, è ovvio, a volte le ombre che gli mangiavano il cuore erano troppo opprimenti per permettergli di tornare a galla. E nemmeno gli occhi di Sherlock allora erano abbastanza.
Un medico, suo collega all'ambulatorio, gli aveva prescritto delle pillole, e la signora Hudson gliele lasciava sempre sul comodino. Lui le prendeva e le faceva scivolare dietro il mobile, poi chiudeva gli occhi.
John si era arreso a cercare la vita o qualsiasi cosa potesse guarire le sue ferite, aveva lasciato che queste si ingrandissero e gli lambissero il corpo come fiamme, se lo divorassero, lasciando uno scheletro carbonizzato. Così si era sentito John, perduto, andato, senza possibilità per il futuro, ciò che più amava al mondo lo aveva abbandonato, gli aveva inflitto il dolore più grande: si era ucciso davanti ai suoi occhi.
John aveva realizzato quanto quel gesto fosse stato crudele solo due anni dopo la morte di Sherlock. Era stato a quel punto che, a un passo dal trovarla, aveva rinunciato alla vita.
Non gli si era spezzato solo il cuore allora, gli si era spezzata l'anima, in una maniera violenta e irreparabile, che aveva portato con sé il buio più profondo.

 
"'Cause I feel numb beneath your tongue,
beneath the curse of these lover’s eyes
".


"Perché mi sento spento sotto la tua lingua,
Sotto la maledizione degli occhi di questo amante
".
 

Due anni. Trecentosessantaquattro giorni. Ventitré ore. Cinquantanove minuti. E cinquantanove secondi.
Tre anni, adesso, da che Sherlock lo ha lasciato.
John si sveglia un pochino dall'oblio, sul comodino c'è la cornice con la foto di Sherlock, e lui, intorpidito, si ritrova a pensare che quegli occhi, prima quando erano vivi e intensi, e quando poi sono stati freddi e immobili come due biglie azzurre su quel marciapiede, sono stati la sua maledizione.
John spinge un piede fuori dal letto, si alza, apre il primo cassetto dell'armadio, calzini spaiati, boxer, la pistola. Se n'è ricordato, John, ora che il dolore, il buio, s'è fatto troppo pesante per essere portato sulle spalle di un uomo solo, di uno così fragile poi, segnato da tante disgrazie.
Allora John la poggia sul comodino e si infila sotto le coperte, e poi la riprende tra le mani, e guarda bene gli occhi di Sherlock su quella fotografia prima di chiudere i suoi e premere il grilletto, pensando che questa è davvero la prima volta da tanto tempo che si sente in pace.

 
"Should you shake my ash to the wind?
Lord, forget all of my sins
Or let me die where I lie, beneath the curse of my lover’s eyes
".


"Dovresti scuotere al vento le mie ceneri?
Signore, perdona tutti i miei peccati
O lasciami morire qui dove giaccio, sotto la maledizione degli occhi del mio amante
".
 

Quando Sherlock, su per le scale, sente il colpo, è troppo tardi.
È tardi per pregare, Dio no, è tardi per maledire un destino beffardo, crudele, e Sherlock può correre quanto vuole e sbattere la porta e inginocchiarsi ai piedi del letto, ma è tardi per rianimarlo, per fermarlo, è tardi persino per asciugare quelle due lacrime che gli rigano le guance, addirittura è tardi per piangere, per dirgli che lo ama, ti prego John, ti prego, no, è tardi per chiedere scusa un milione di volte con l'anima bloccata in gola, è tardi per tornare, lo capisce ora Sherlock, per respirare per vivere per camminare per soffrire e piangere e urlare strapparsi i capelli tornare indietro.
Non si torna indietro adesso. Non si tornerà mai più indietro. Mai più.
Sherlock è pallidissimo e le ciglia di John sono lunghe e scure, bagnate dalle lacrime, e a Sherlock manca il respiro perché mai più mai al mondo  mai quegli occhi si apriranno e lo guarderanno, mai, mai, mai. Sono come una maledizione quei due occhi chiusi, una maledizione.
Ma l'ultimo proiettile nella pistola tra le mani di John sembra a Sherlock il segno che ancora una volta John ha pensato anche a lui, come sempre, John pensa sempre a lui e al modo per non farlo soffrire, per proteggerlo. Anche senza saperlo, John l'ha protetto sempre.
E allora Sherlock gli inclina delicatamente la testa verso sinistra e gli si sdraia accanto, così che i loro nasi si sfiorano e Sherlock può guardare i suoi occhi chiusi mentre si preme l'arma contro la tempia.
Perché non c'è vita, per Sherlock, senza John.

 
"But I’ll walk slow, I’ll walk slow.
Take my hand, help me on my way
".


"Ma camminerò lentamente, camminerò lentamente.
Prendi la mia mano, aiutami lungo il mio cammino
".


 

   
 
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