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Autore: Iryael    07/08/2012    1 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 06 ]
A briglia sciolta
Presente. Sempre 18 aprile 5402-PF, ore 9:30 circa
Kyzil plateau, bassifondi
 
Dragan stirò le labbra in un sorriso amaro. Se ripensava ad Anther City non poteva fare a meno di ricordare l’odore del plasma e del fumo. Se ripensava al giorno in cui Sikşaka aveva voltato loro le spalle, invece, non poteva fare a meno di provare un senso di fallimento.
Quell’idiota sarebbe diventato un pezzo grosso, se non se ne fosse andato.
Quel pensiero non fece altro che procurargli un grumo di sensazioni negative.
La Regina, poi, ha cercato proprio me. Voleva che fossi io a occuparmi della faccenda, e questo mi fa chiedere se è il destino ad essere marcio o se è lei che è un mostro.
Ripensò alle informazioni contenute nella pochette. Il bersaglio della donna era Rakta, nientemeno. Ma per quale motivo è tornata a cercare quella spada dopo tanto tempo? Per puntiglio?
Il razziatore scosse la testa: quello non lo riguardava. Ragionare andava bene, ma troppe domande spesso portavano alla fossa.
Raggiunse la porta stinta, perso tra i pensieri, e trovarsi davanti al cartello scrostato gli strappò l’ennesimo sorriso vuoto. Era stato lì che avevano discusso tante volte, di piani o per svago, spesso di fronte ad una birra. Quel posto, odoroso di parquet e sudore, era stato un rifugio tante di quelle sere che entrarci gli causò una fitta di nostalgia.
Accese il disturbatore e si fece largo nell’ingresso. Andò diretto fino alla cucina-infermeria, dove trovò il suo bersaglio. Notò che, prima del suo arrivo, Sikşaka era stato intento a studiare su un vecchio libro di scuola. In quel momento lo fissava come fosse un fantasma.
«Ciao Sik.»
Il maestro d’armi avvertì un peso scivolargli nello stomaco. Allontanò appena la sedia dal tavolo e domandò con aria guardinga: «Cosa fai qui?»
L’altro alzò le spalle con ovvietà e rispose: «Mah, sai com’è. Ho visto per caso l’insegna sulla porta e mi è venuta nostalgia di una bevuta insieme.» poi indicò il libro e sorrise. «Ti prepari per la sessione pomeridiana di compiti?»
Sikşaka rifletté rapidamente: di sicuro il suo ex collega era armato; mentre per lui le armi più vicine erano i coltelli da cucina. Non guardò il contenitore sul lavello per non tradirsi.
«Sei troppo teso. Sono qui solo per parlare.»
«Anche l’altra volta. Peccato che dietro di te ci fosse un plotone con le armi spianate.»
Si alzò in piedi per precauzione. Se l’altro avesse accennato ad armarsi, avrebbe potuto reagire più prontamente.
«È vero, quella volta Belvard mi ha fregato.» ammise con calma Dragan. «Ma posso giurarti che ora sono qui per onorare vecchi debiti.»
«Fai alla svelta. Non sei il benvenuto.»
Riconobbe che l’altro era pronto a reagire al minimo cenno. L’aveva visto troppe volte con le orecchie abbassate per non saper riconoscere quando fosse sul chi vive.
Il razziatore sospirò profondamente, poi scandì: «E va bene. Anzitutto, sono venuto a dirti che il patto è rotto.»
Sikşaka sgranò gli occhi, sorpreso. La coda frustò l’aria mentre, con tono basso, rispondeva: «Non puoi parlare sul serio. Non ho infranto alcuna restrizione.»
«Tecnicamente sei in combutta con la polizia, Sik. Questo infrange eccome gli accordi.»
«Non ho il tipo di contatto che disturba voialtri.»
Il razziatore alzò la mano, zittendolo. Poi andò avanti: «Comunque stai buono, il patto l’abbiamo rotto noi. È arrivata una commessa che ti riguarda...» e si strinse nelle spalle. «Sai come funziona.»
Il maestro d’armi si sentì raggelare. Niente patto comportava niente protezione; mentre essere al centro di una commessa equivaleva a dipingersi un bersaglio fra le scapole. Le probabilità di fare una brutta fine erano appena aumentate in maniera esponenziale.
Dragan sorrise con aria enigmatica.
«Comunque, te l’ho detto: sono qui per onorare dei debiti. Dunque ti chiedo: perché stasera non ti fai una cena fuori? È tanto che non ti concedi una serata con la tua allieva.»
Sikşaka lo guardò con aria diffidente. Appoggiò le mani sullo schienale della sedia, sforzandosi di non stringere la presa. La coda sferzò l’aria con un nuovo colpo di frusta.
«E se preferissi cenare a casa?»
Dragan fece un respiro appena più profondo.
«Sai che verresti ucciso.» disse. «E io avrei rischiato l’accusa di tradimento per niente. Sarebbe scomodo per entrambi, non trovi?»
«Cosa volete da me?»
«Non posso dirtelo. Però ti stimo troppo per credere che continui a pensare da idiota suicida come dieci anni fa. Seguirai il mio consiglio.»
L’allusione sollevò una nebulosa di sensazioni miste nell’animo del maestro di spada, che tuttavia non poté fare a meno di incurvare appena le labbra verso l’alto.
«Chissà, potrei deluderti ancora. Dopotutto non credo che tu abbia ancora capito perché ho abbandonato la causa. Certe cose rimangono sempre le stesse.»
Il razziatore comprese che l’unica speranza di farlo ragionare con le buone era sparita nel momento in cui Belvard l’aveva ingannato, due anni addietro. Sikşaka non aveva dimenticato, nonostante i suoi sforzi per riparare, e in quel momento non gli avrebbe dato retta nemmeno se lo avesse scongiurato in ginocchio.
Gli dispiacque sfoderare il muso duro, ma non vide altra soluzione.
«Non farmi mettere in mezzo la ragazza. Tu stasera uscirai da questo posto.»
Come previsto, la minaccia sortì l’effetto voluto. Per contro, anche Sikşaka mise il muso duro.
«Non ti allargare, Dragan. Questa faccenda rimane fra me e te.»
«Deliravi dalla febbre l’ultima volta che mi hai protetto, ad Anther City. Eppure hai imbracciato quell’accidenti di spada e ti sei mosso come un demonio. Perciò farò quanto serve per tenerti in vita, socio, e se per allontanarti da qui dovrò tagliare la gola a qualcuno allora non mi farò problemi.»
Il maestro di spada non dubitava di quelle parole. Avrebbe potuto scommettere la vita che quella sera qualcuno avrebbe sorvegliato a vista lui e Lilith, dopo quella minaccia.
Dragan sentì che era il momento di dargli la spallata finale: «Pensi che Albio si farà tutti i miei scrupoli verso uno scricciolo bellicoso?» scosse la testa. «Eppure sai di che pasta è fatto.»
Sikşaka alzò le mani in segno di resa.
«Complimenti.» sputò con disprezzo. «Hai vinto.»
Dragan mostrò un sorriso. «Solo perché conosco il mio avversario.» rispose allegramente. «Mi raccomando per stasera, allora. Se vuoi posso consigliarti un posto carino.»
Sikşaka digrignò i denti.
«Sparisci.»
Il razziatore mostrò un cenno di saluto e lasciò la palestra sotto lo sguardo vigile del maestro di spada. Il sorriso mutò pian piano in una linea piatta; poi s’incurvò nell’altro senso.
Scusa socio, pensò con amarezza. Avevo sperato in un incontro pacifico.
* * * * * *
Ore 10:35
Settore ovest, istituto d’istruzione superiore “A. Shouster”
 
Chiunque fosse presente nel bagno dell’ultimo piano si defilò alla velocità della luce. Lilith, livida per la rabbia, sbatté violentemente Cole contro il muro e, senza dargli il tempo di reagire, gli torse il braccio dietro la schiena per tenerlo fermo.
«Adesso vuoti il sacco.» ringhiò, scontenta di non poter andare oltre. Se gli avesse anche solo lussato la spalla, per lei si sarebbe prospettato un altro soggiorno alla centrale di polizia.
«E su cosa?» domandò lui, con un tono che voleva essere beffardo ma che risultò forzato.
«Tu, le tue moine e il rapporto tra me e Sik.»
Cole la sfidò con un sorrisetto. «Scusa?»
Lilith aumentò la torsione del braccio, strappandogli un gemito.
«Non fingere, merda. So quando trami.»
In effetti, nell’ultima settimana Cole si era dimostrato molto pentito. Aveva lavorato alacremente e aveva cominciato ad avvicinarsi a Sikşaka con alcune domande mirate sull’arte delle lame, mandando Lilith sul chi vive a tempo di record. Il maestro di spada, secondo lei, aveva scambiato le sue azioni per buona volontà; e nella sua visione dei fatti ciò era inaccettabile, perché avrebbe finito con il corrodere ogni legame che c’era tra loro.
«E cosa dovrei tramare?» chiese innocentemente Cole. «Non c’è bisogno di grandi escamotage per dimostrare che sei violenta, Lilly. Guardaci e smentisci, se puoi. Hai fatto tutto tu.»
La ragazza sentì il formicolio del combattimento avvamparle in fondo al cranio e si impose di fermarsi. Si ricordò che altrimenti l’avrebbe attesa un soggiorno con il collare tachys e si trattenne.
«Non ti riduco la spalla in briciole solo perché ti farei un favore.» ringhiò. «Ma se continui con la messinscena, giuro che t’ammazzo.»
Il ragazzo roteò platealmente gli occhi e sbuffò.
«Hai finito di fare l’incazzata? Non sto cercando di portarti via l’amante.»
Al ché Cole ebbe la certezza che sarebbe stato accoltellato lì, contro il muro del bagno delle ragazze. Lo sguardo della lombax non prometteva altro. Gli parve persino di vederla tremare per la furia trattenuta a stento.
«Tu non sai proprio niente.» asserì invece, sputando disprezzo ad ogni parola. «Tu e la tua vita dorata del cazzo. Smettila con la farsa.»
In sottofondo si udì la campanella che segnava la fine dell’intervallo. Un sottile ghigno comparve sul volto di Cole.
«Spiacente Lilly, il tempo per le suppliche è scaduto.» annunciò. «Adesso fai la brava e lasciami andare.»
Lilith lo lasciò andare con uno strattone, prima di fargli del male davvero. «Va’ a farti fottere.» ringhiò. «E poi non dire che non te la sei cercata.»
 
Rientrare in classe non fu un prosieguo piacevole. La professoressa di matematica non gradì il loro ritardo e li fulminò con lo sguardo.
«Hardeyns e Shinagan! Di nuovo fuori orario!» gracchiò.
«È solo un minuto, prof! Stavamo parlando della sua lezione!» mentì Cole.
«Allora venite alla lavagna!» replicò l’insegnante, cogliendo la palla al balzo. «Magari due esercizi vi chiariranno le idee sull’argomento e sull’orario. E ovviamente il voto farà media.»
Lilith roteò gli occhi e si avvicinò alla lavagna sperando di farcela. Cole la seguì masticando una maledizione. Quando i loro sguardi si incrociarono, una volta vicini all’odiata cattedra, volarono nuovamente scintille.
È solo colpa tua, pensarono entrambi. Me la pagherai.
La professoressa li ignorò per pochi secondi, mentre si destreggiava tra le pagine alla ricerca di un esercizio.
«Dunque, direi che può cominciare la signorina Hardeyns.» sentenziò con la sua voce stridula. Niente di nuovo: era risaputo che quella donna andava sempre in ordine alfabetico nelle interrogazioni. La donna mise il libro aperto sul bordo della cattedra e le indicò una funzione. «Copia questa e comincia ad analizzarla, forza.»
Lilith osservò ciò che puntava il dito adunco dell’insegnante. Dando un’occhiata al testo, pregò che un fulmine entrasse dalla finestra per uccidere la professoressa.
Sappi che t’odio anch’io, stronza.
Cominciò a lavorare piano, come suo solito. Aveva difficoltà a ritrovarsi tra tutti quei numeri, come se cominciare a risolvere un esercizio la costringesse ad entrare in un labirinto grande e complesso. La professoressa lo sapeva bene e si era rassegnata alla sua lentezza, sebbene di tanto in tanto non disdegnasse frecciate acide.
La donna la fece arrivare più o meno a metà dell’esercizio, poi la fermò e la mandò a posto per far proseguire Cole. Il ragazzo, al contrario di Lilith, riuscì a portare a termine l’esercizio in molto meno tempo.
«A posto anche te.» dichiarò la professoressa con aria insoddisfatta. «Hardeyns, ti do un sei per pietà. Shinagan, sette.»
Lilith sgranò gli occhi, sorpresa. Quel “per pietà” le dava fastidio, ma tutto sommato l’idea di non dover riparare ad un’altra insufficienza la sollevava. Si limitò ad annuire e segnò la sufficienza sul diario. Le pagine, dopo il bagno della settimana prima, scricchiolarono sotto la penna; dopodiché, una volta messo il diario a posto, scrisse un messaggino che inviò a Sikşaka.
 
Interrogata a sorpresa di mate.
Ho preso 6! =D
 
Non si aspettò una risposta: il suo maestro preferiva parlare a voce. Soddisfatta per la scampata insufficienza tornò a seguire la lezione.
O almeno ci provò. Quando gettò uno sguardo sul cortile, dopo qualche minuto di spiegazione piatta, vide una sagoma familiare galleggiare nella fontana davanti all’ingresso. Allarmata, guardò sotto il banco e si accorse che le mancava lo zaino; mentre alle sue orecchie giunse una ghignata che conosceva. Allora spiò dietro le spalle, laddove si sedevano Cole e i suoi scagnozzi, e vide Evrard sghignazzare. Immaginò che ci fosse stato un accordo tra lui e Cole, qualcosa del genere “colpisci mentre guarda me”, ma l’occhiata perplessa del lombax color torba le fece capire che era stata una sua iniziativa.
Quel bastardo!
Spinse rumorosamente la sedia indietro s’incamminò a passo marziale verso la porta dall’aula.
La professoressa non mancò di notarla: seguì i primi passi intrecciando le dita ossute delle mani, dopodiché domandò acidamente: «Hardeyns, dove ti credi di andare?»
La domanda spazientita fece fermare la ragazza sulla porta. Sostenne con durezza lo sguardo arcigno dell’insegnante; poi indicò la finestra e disse: «Il mio zaino è nella fontana. Vado a riprenderlo, poi mi fermo in palestra per asciugare i libri.»
La professoressa la squadrò malamente, prima di andare ad accertarsi della veridicità delle sue parole. Lilith non attese di ricevere il permesso per uscire, ma prima di lasciare l’aula lanciò uno sguardo minaccioso in direzione di Evrard, che ancora sghignazzava dietro il libro di matematica. Per un istante desiderò che la sua abilità esper mutasse, diventando qualcosa di più offensivo. Se fosse stata un’idrocinetica, ad esempio, avrebbe potuto ripagare il suo compagno di classe secondo il proverbio “occhio per occhio, dente per dente”.
Sarebbe splendido affogarlo, si disse, prima di costringersi a tornare con i piedi per terra. Avrebbe potuto fantasticarci sopra per millenni, ma nulla avrebbe cambiato l’abilità con cui era nata. Il medico che l’aveva diagnosticata, quand’era ancora un fagotto che gattonava, aveva stabilito a chiare lettere che si trattava di alterazione termica. Difatti la sua specialità era l’alterazione della temperatura di un oggetto o dell’ambiente circostante: utile per asciugare i libri, ma inutile per farla pagare ad Evrard.
 
La ragazza scese velocemente le scale che dal terzo piano la portarono fino all’atrio. Una volta fuori recuperò la cartella dalla fontana, che per sua fortuna non era tanto grande da doverci entrare per raggiungere lo zaino. Le bastò sporsi in avanti e lo trascinò fuori, dove cominciò a scolare l’acqua. La ragazza si guardò bene dall’aprirlo subito e guardare al suo interno, sapendo che avrebbe cominciato ad imprecare, quindi si diresse sul retro della scuola, dove c’era la palestra. L’acqua che scolava dallo zaino, che pendeva mollemente dalla sua mano, disegnò una linea arzigogolata sul terreno. Vedendola, Lilith sentì di essere come la sua cartella: umiliata e sballottata qua e là da una vita indifferente nei suoi confronti. Il solo pensiero la riempì di una rabbia profonda, che la spinse a stringere i denti talmente forte da farli scricchiolare.
Entrò nell’atrio degli spogliatoi e si diresse a passo marziale dentro quello più lontano, che raramente veniva usato. Attirò lo sguardo del bidello di stanza nella palestra, ma non ricevette alcuna domanda. Il blarg alzò pigramente la testa e prese nota dell’ingresso della studentessa, prima di riprendere a compilare le parole crociate.
Una volta chiusa la porta dello spogliatoio, la ragazza dispose i vari libri e quaderni sulle panche, facendo attenzione a non strapparli mentre li metteva in fila sotto i phon. Dalla carta proveniva un fastidioso odore di cloro, mentre sotto le panche si vennero a formare delle piccole pozze. La ragazza osservò le copertine dai colori annacquati e immaginò che, nonostante le sue attenzioni, al momento di rivendere i libri le avrebbero dato meno di quanto le spettasse a causa delle loro condizioni. Allora la rabbia esplose in un’onda violenta della sua abilità: la temperatura nella stanza aumentò vertiginosamente in pochissimo tempo, quasi come se il deserto fosse penetrato prepotentemente al suo interno.
Quando la temperatura fu così alta da togliere il respiro, la ragazza accese i phon uno dopo l’altro e attese finché non ebbe l’impressione di non respirare affatto a causa del calore. A quel punto, senza estraniarsi dalla sua abilità, si sdraiò su una panca e lasciò che il caldo la annichilisse; attendendo con ansia che la sensazione di pigrizia e stanchezza la cogliesse. Non era la prima volta che le accadeva di annichilirsi volontariamente per non sfogarsi su qualcuno in carne ed ossa. Quando fu certa di non essere nociva per niente e per nessuno, lasciò che i pensieri vagassero e portassero con loro tutta la frustrazione che covava da tempo.
Rimase in quella condizione finché il bidello non entrò all’improvviso. Quando spalancò la porta fu schiaffeggiato da una vampa d’aria calda che lo costrinse a indietreggiare; mentre Lilith, per lo spavento, si mise a sedere di scatto. Quando il blarg si riprese e si trovò davanti allo sguardo arrabbiato della lombax, il suo «Ragazzina, che cazzo fai?!» perse quasi ogni sfumatura di minaccia. Lilith sapeva di spaventarlo, anche se non sapeva il motivo.
«Un idiota mi ha tuffato lo zaino nella fontana.» spiegò cupamente, passandosi una mano sulla fronte per togliere il sudore. «Sono venuta ad asciugare i libri.»
Il bidello si disse che doveva essere completamente matta. C’erano almeno cinquanta gradi nella stanza e la ragazza era un bagno di sudore, ma se non fosse stato per lui avrebbe continuato in quel modo fino a farsi venire un malore. La guardò spegnere i phon, poi si fece forza, mise su il muso duro e disse: «Avanti, fila a casa. La campanella è suonata un quarto d’ora fa!»
Lilith accolse la notizia con indifferenza. Rimise i libri ormai asciutti nello zaino e se ne andò.
Posto di merda, gente di merda, vita di merda. Non vedo l’ora di andarmene.
 
Dopo aver abituato nuovamente il fisico all’aria esterna, nettamente più fresca di quella che lei aveva creato nello spogliatoio, attraversò di corsa le vie che portavano al settore nord. Sapeva che non avrebbe incontrato nessuno che le avrebbe proposto di fermarsi a mangiare insieme, ma prese lo stesso le vie meno battute dai suoi coetanei per arrivare a casa. Si fermò solo quando fu davanti ad una piccola abitazione, alta e stretta come tutte quelle vicine. La vecchia cassetta delle lettere, che dominava su un cortiletto arido, segnava a lettere stinte: “Hardeyns e Schwitt”, ma il secondo nome era stato cancellato con due rigacci. Da ché la ragazza aveva memoria, era sempre stato così.
Prima di entrare nella piccola abitazione recuperò alcune bollette dalla cassetta delle lettere, e una volta in casa le lanciò sul tavolo della cucina con l’intenzione di guardarle quella sera stessa.
Spero di avere abbastanza soldi. Il vecchio è in ritardo col pagamento, pensò salendo le scale che portavano alle camere. Quando entrò in camera sua, depositò lo zaino ai piedi del letto e aprì le ante dell’armadio, alla ricerca di un cambio d’abiti.
Che mi metto adesso?
Guardò i ripiani pieni di magliette e pantaloni ripiegati. Pensò che da qualche parte aveva una gonna, e la cosa la fece sorridere. L’ennesimo regalo sbagliato di suo padre.
Tirò fuori le prime cose che le capitarono a tiro e le lanciò sul letto, dov’erano già pronti il libro e il quaderno di scienze.
Dopo essersi cambiata le venne in mente di andare nella camera del genitore. Era tanto che non ci entrava: farlo, ogni volta, le provocava un misto tra la repulsione e il senso di vuoto. Quella volta non fu diversa dalle altre. Non sapeva spiegarsi nemmeno lei perché fosse voluta entrare in quella camera.
Lasciò la stanza alla svelta, appuntandosi di dare una spazzata in terra quanto prima perché la polvere cominciava a vedersi.
Tornò al piano di sotto e aprì il frigorifero. Non aveva il tempo materiale per farsi un pranzo completo, quindi si accontentò di riscaldare una fetta di carne della sera prima nel tempo in cui si preparava un po’ di verdura. Dopo aver mangiato abbandonò le stoviglie nel lavandino, si lavò i denti e uscì per andare da Sikşaka.
Non era passata più di mezz’ora da quand’era tornata da scuola.
* * * * * *
Ore 14:15 circa
Bassifondi ovest, Palestra Talavara
 
Sikşaka accolse Lilith con un abbraccio, non appena la ragazza entrò nella cucina-infermeria. La ragazza inizialmente rimase rigida, poi si concesse di abbracciare il maestro a sua volta. L’orrendo timore di vederlo allontanarsi sgusciò via all’improvviso, gettandola in uno stato di benessere che provava raramente. Rimase in silenzio per qualche secondo, in cui al benessere puro e semplice si unì il sospetto.
«Che succede?» mormorò contro la spalla, stringendo un poco la presa. Sikşaka la lasciò fare, e le passò una mano fra i capelli. Per un istante desiderò confidarle la verità ma, per non essere troppo imprudente, ricacciò in profondità il suo desiderio.
«Sei troppo tesa.» mentì. «Non hai bisogno di essere così rigida qui dentro, lo sai.»
In realtà cercava solo di calmare il suo senso d’inquietudine. Mentre le carezzava la testa dovette ricordarsi con chi aveva a che fare e, di conseguenza, cosa non poteva permettersi. Visto che la commissione affidata ai Razziatori lo riguardava – e conoscendo il modo in cui Dragan operava – non dubitava che ci fosse qualcuno appostato ad ascoltare ciò che si stavano dicendo.
Lilith, ignorando cosa stesse succedendo, prese per buona la risposta del suo maestro.
«Sono stufa, Sik...voglio andare via da questo posto di merda.» disse piano, quasi stesse pregando. «Sono stanca di essere additata, di sopportare galletti e galline, di essere sempre scontenta. Voglio una vita, una vita vera, non questo schifo.»
Non era la prima volta che la ragazza si lamentava della sua vita, ma non lo aveva mai fatto attribuendole delle tinte così disperate.
«Lilly...lo so che quello che hai non è l’esistenza perfetta. Quella, purtroppo, è riservata a poche e spesso immeritevoli persone; ma devi sapere che, se non ti piace, non sei costretta a subirla.»
Non si accorse di quanto a fondo avesse colpito finché Lilith non alzò di scatto la testa e si guardò attorno, spaesata. Dopo averle fatto cenno di sedersi, il maestro di spada sorrise pacatamente.
«Non ti sto prendendo in giro. Se non vuoi subirla, combattila. Cambiala, forgiala, temprala con le tue mani. È solo una questione di scelte.»
La ragazza annuì, convinta di aver capito.
Si disse che, se tutto dipendeva dalle sue scelte, allora negli ultimi anni ne aveva compiuta una serie rovinosa, a cominciare dalla scelta del liceo. Un errore che, da solo, aveva contribuito al 50 percento della sua scontentezza negli ultimi quattro anni, con i suoi stereotipi e gli status quo.
Sikşaka si passò i polpastrelli sulla fronte e guardò il vuoto per qualche istante, assorto. Pensò velocemente ad un modo per spiegarle il concetto di “scegliere bene”, che sapeva essere quanto di più condizionato dall’esperienza esistesse.
«So che per me parlare è facile, dato che ci sono già passato. Però voglio che tu sappia che so quanto sia difficile scegliere bene alla tua età. Forse è la cosa più difficile che c’è.» disse infine, riportando le mani sul tavolino. «Quindi ti spetta qualcuno che ti aiuti, qualcuno che tu ritieni meritevole di questa carica sulla base di un criterio che tu, e sottolineo soltanto tu, hai il diritto di stabilire.»
Le labbra di Lilith si storsero obliquamente in una smorfia scettica. Si diede dell’idiota per aver palesato tanta mollezza, quindi rimise in piedi la sua corazza e domandò nervosamente: «Ti stai offrendo volontario, per caso?»
Sikşaka trattenne il respiro un momento più a lungo del solito, prima di rispondere: «Scusa Lilly, ho commesso errori per cui non basterebbe una vita per riparare. Non credo di essere la persona adatta.»
Per la ragazza quelle parole chiusero ogni questione. Si sforzò di non dimostrarsi impressionata mentre rispondeva sarcasticamente: «Ah, ecco, volevo ben dire.»
A tradire ciò che provava, sotto il tavolino, le mani si torcevano e combattevano tra loro con una serie di prese più o meno forti, come unica manifestazione del disagio e dell’amarezza che provava. Quando le rimise sul pianale, con la pelle arrossata ben nascosta dalla pelliccia, le fermò una sopra l’altra e disse: «Bene, quindi cos’hai da offrirmi oggi?»
Sikşaka accettò di buon grado il cambio di discorso. Si sfregò le mani e mostrò un convincente sorriso complice.
«Domanda interessante. Ti dico subito che è una sorpresa, ma sono sicuro che troverai soddisfacente quello che ho pensato.»
Lilith si limitò ad annuire. Qualunque allenamento immaginasse, non vedeva altro che l’occasione per seppellire l’insoddisfazione sotto un monte di fatica.
* * * * * *
Ore 15:00 circa
 
Il pomeriggio cominciò con il solito battibecco: da una parte, Sikşaka chiedeva che Lilith e Cole s’impegnassero a studiare per un’ora; dall’altra i due non avevano né la voglia né l’umore per mettersi con la testa sui libri. Nonostante l’indisposizione, tuttavia, i due capitolarono sotto le insistenze del maestro di spada. Nulla di diverso dal solito.
L’ora successiva passò sotto un silenzio gravoso, durante il quale gli appunti di scienze divennero il fulcro di ogni attenzione; dopodiché ci fu una mezz’ora di breve interrogazione. Sikşaka si assicurò che i ragazzi avessero effettivamente assimilato l’argomento, dopodiché si alzò simulando soddisfazione.
«Va bene, possiamo parlare dell’allenamento.» asserì, portandosi una mano dietro la schiena. «Oggi parteciperà anche Cole.»
Il ragazzo si ringalluzzì di colpo, sentendo che il suo arruffianamento cominciava a dare i primi frutti. Lilith, invece, si sentì come se la terra sotto i piedi avesse dato una forte scossa.
«Non vorrai...davvero...»
Passò lo sguardo da Sikşaka a Cole più di una volta, non riuscendo a finire la frase. Si chiese se fosse quella la sorpresa.
«Chissà, magari imparo più alla svelta di te.»
Quello fu troppo per i nervi di Lilith. Assestò un calcio al ragazzo, affondandogli il calcagno poco sotto il ginocchio affinché non potesse scappare. Saltò il tavolo e gli piombò addosso, gettando a terra lui e la sedia. Il ragazzo, volto ancora al ginocchio dolorante, si ritrovò schiena a terra a tentare di fermare una Lilith furiosa seduta sul suo stomaco. Per un attimo, quando le afferrò i polsi, si illuse di poterci riuscire; ma lei si disfece della presa con uno strattone e gli assestò un pugno in pieno mento. Urla si sovrapposero ad altre urla, udibili persino dalla strada. Per dividerli Sikşaka dovette afferrare Lilith sotto le ascelle e tirarla indietro di peso, a braccia immobilizzate, intimando a entrambi di calmarsi.
Cole si rimise in piedi ansimando e si massaggiò la mascella. Osservò Lilith, che stava ancora strillando che doveva essere liberata, e guardò di sottecchi Sikşaka, che non accennava a lasciarla andare e intimava di stare calmi.
«Calmarsi? D-dovrebbe essere sedata e portata al manicomio!»
La ragazza vomitò una fila di insulti, ma il maestro non cedette. Con uno sguardo spazientito fece capire a Cole di stare zitto.
«Vai in palestra.»
«Ma...»
«Sparisci!» ringhiò.
Una volta che Cole se ne fu andato, Lilith smise gradualmente di dimenarsi e gridare vendetta. Ci vollero dieci minuti buoni perché Sikşaka fosse certo che, una volta lasciata, lei non avrebbe cercato di uccidere il suo coetaneo. Allora la lasciò libera, ma mantenne comunque il passo sbarrato alla porta della cucina.
«Chi ho davanti, Lilly o Hulk?»
«Io lo ammazzo.»
Conoscendola, Sikşaka non dubitò di quelle parole. Era determinata, arrabbiata e motivata.
«Lilly dominati, per favore.»
«Non ci arriva in fondo al mese. Non sulle sue gambe, quanto meno.»
«Lilly, per favore...»
«Prendo due piccioni con una fava: mi vendico e me ne vado.»
«Lilly!» esclamò il maestro di spada. «Ma ti ascolti?»
«Oh sì. E so che non me ne pentirei.»
«Stai farneticando! Per la miseria, capisco che sia irritante, ma ammazzarlo! Vorresti vivere da esiliata per il resto della tua vita, col timore che la gente venga a sapere che sei stata tu? Vorresti passare la vita a nasconderti dalle forze dell’ordine? Vale davvero la pena di farlo per lui?!»
«Sveglia Sik! Lui mi ha tagliato fuori dal mondo! Lui mi ha relegato in questa specie di non esistenza! Lui ogni giorno porta i miei nervi fino all’esaurimento! E per cosa? Perché io sono l’unica che gli dice di no!»
Con uno scatto repentino calciò una sedia, mandandola a ruzzolare malamente. «Proprio non capisci quanto sia frustrante?! E secondo te dovrei stare a guardare in silenzio?! Dovrei piegarmi alle voglie di un rampollo viziato solo perché ha un cazzo di padre ricco che gli para sempre il culo?!»
Sikşaka sostenne lo sguardo esasperato della giovane, poi si rese conto che calmarla urlandole contro non avrebbe funzionato. Fece un respiro profondo e rilassò le spalle.
«Lilly.»
Lasciò la frase in sospeso per qualche istante, in modo che il sangue defluisse dal cervello dell’allieva; poi disse: «Non devi piegarti, ma non puoi fare quello che vorresti.»
Bloccò la risposta della ragazza sul nascere. Alzò una mano con fare risoluto e aggiunse: «Non nel modo che vorresti. Cerca di capirlo.»
Passarono altri secondi. Lilith respirava pesantemente e fissava il maestro con chiara indecisione se inserirlo nella categoria “amico” o “nemico”. Alla fine disse: «Convincimi.»
Sikşaka trattenne un sospiro di sollievo. Se gli dava la possibilità di spiegarsi, c’erano buone possibilità di impedirle di partire a testa bassa.
«Immagina di aver appena ammazzato Cole. Immagina che sia steso a terra, morto, davanti a te. Cosa faresti?»
«Oltre a ridere di gusto?»
Il maestro sentì una replica dura salirgli sulla punta di lingua. Aveva sperimentato sulla sua pelle quanto fosse dura smaltire il primo omicidio; tuttavia non riprese la ragazza solo perché avrebbe reso ancora più difficile la situazione.
«Mettendo anche che tu riuscissi a ridere dopo averlo fatto.» concesse a denti stretti.
«Beh, me ne andrei.»
«Dove?»
Lilith alzò le spalle. «Un posto vale l’altro.»
«Non con un assassinio sulla coscienza, Lilly.» la corresse Sikşaka. «Dove andresti?»
«Non so...comincerei con Kerwan, forse.» buttò lì la ragazza.
Sikşaka annuì con aria scettica. «La tua foto circolerà. Tre trilioni di persone vedranno la tua faccia sugli schermi di annuncio dei ricercati. Tre trilioni di possibili accusatori. Cosa farai?»
«Suppongo che andrei via.»
«Dove?»
«Non so...un posto deserto.»
«Con che mezzi?»
Lilith si bloccò. Stava per dire “mezzi pubblici”, quando le venne in mente che la sua sarebbe stata una faccia nota.
«Non lo so. Credo che me ne procurerei uno.»
Lo sguardo di Sikşaka s’indurì. «Certo, aggiungendo il reato di furto a quello di omicidio. Non crederai di poter usare la tua carta di credito una volta che sarai ricercata, spero.»
«Per quel che c’è sopra...» commentò sarcasticamente. «E comunque, dato che sarei già condannata all’ergastolo, che differenza mi farebbe metterci qualche anno per furto, ammesso che mi prendano?»
«E da quando tu sai come rubare una navicella o un qualunque altro mezzo?» incalzò il maestro. «Ma ancora prima: da quando tu sai guidare quei mezzi?»
«Saprò adattarmi.»
Sikşaka strinse i pugni. Quel discorso gli era dolorosamente familiare. Vent’anni prima era stato lui a pronunciarlo con parole simili. All’epoca Matej non l’aveva fermato e lui aveva finito per pentirsi della sua scelta.
Non avrebbe ripetuto l’errore, si disse con determinazione.
«E che vita ti aspetta?» domandò, sempre più serio. Lilith rimase in silenzio, a pensare. Con un gesto istintivo strinse le piastrine, come se fosse in attesa di una risposta da loro.
Trascorsero molti secondi. Nessuno dei due smise mai di guardare l’altro negli occhi. Alla fine arrivò un momento in cui la ragazza smise di stringere convulsamente le piastrine e Sikşaka intuì che si era data una risposta. «Sono sicuro che non è quella di cui parlavi prima.»
«Già, forse ammazzarlo non sarebbe una scelta buona.» convenne amaramente.
Il maestro le mostrò un sorriso di comprensione. «Qualche volta le scelte giuste non collimano coi propri desideri. Però alla fine pagano sempre.»
«Sempre?» Lilith alzò uno sopracciglio, scettica.
Sikşaka annuì. «Sempre. E adesso, se vuoi sederti, vado a chiamare Cole.»
Le orecchie della ragazza si abbassarono. Sikşaka riconobbe che era ancora pronta a scattare addosso al ragazzo e si affrettò ad aggiungere: «No, ferma, aspetta. È per l’allenamento. Cole ha una sua utilità, che tu ci creda o no. E poi vi devo spiegare in cosa consiste, e non voglio metterci ore perché siete in due stanze divise.»
 
Quando Sikşaka tornò indietro con Cole, qualche minuto più tardi, Lilith era seduta al tavolino. Pigiava una guancia sul pugno e guardava il vuoto con aria assorta. Il maestro lanciò un’occhiata al ragazzo per assicurarsi che non fosse in procinto di provocare un’altra reazione violenta, ma Cole rimase zitto. Si andò a sedere a lato della ragazza e attese.
Sikşaka studiò i due giovani e poi cominciò a parlare. «Bene, riprendiamo da “Cole parteciperà all’allenamento”.»
Controllò di nuovo le reazioni dei due. Non c’erano segni di violenza imminente, così andò avanti: «Sarà una cosa semplice. Siccome lui è nuovo a queste attività, vediamo di introdurcelo nella maniera più appropriata. Pertanto l’allenamento sarà fatto da riprese più corte; direi di dieci minuti intervallate da stacchi di cinque. Cole, durante le riprese tu dovrai semplicemente fuggire. Lilly, tu sarai totalmente disarmata e il tuo compito sarà semplicemente atterrare Cole. Ogni volta che Cole finirà a terra conterò dieci secondi: se per la fine del conteggio lui sarà ancora a terra, verrà assegnato un punto a Lilith. Se invece sarà riuscito a scappare, il punto andrà a Cole. A fine giornata vedremo chi avrà totalizzato più punti.»
Lilith si sentì invadere da un senso di calma e determinazione. Si disse che, tutto sommato, nel suo mare di sfighe lei era fortunata: quello in cui il ragazzo era voluto entrare con i suoi arruffianamenti era un campo in cui lei si allenava da sei anni. Non ne sarebbe uscito illeso nemmeno sotto protezione divina.
Cole, invece, sentì montare l’agitazione. Si disse che doveva essere uno scherzo, perché il risultato era già scritto. Guardando la faccia di Sikşaka, però, capì che sarebbe stato tutto vero: si sarebbe trovato di nuovo davanti alla furia selvaggia della ragazza.
«Hai lavorato sodo per avere un’occasione, no?» domandò candidamente il maestro, leggendo la preoccupazione sul suo volto. «Eccola qui. Non avrai modo migliore per capire queste tecniche se non praticandole in prima persona; poi potrai decidere se continuare a strusciare pavimenti o no.»
«Ma..–»
«La prima volta è sempre alla bell’e meglio. Se non sai, puoi solo imparare.» al ché guardò l’orologio e cambiò espressione. «Oggi niente riscaldamento perché siamo in ritardo; adesso andate a cambiarvi. Cole, il tuo keikogi è nello spogliatoio.»
«Il cosa?»
«La divisa.» rispose Lilith, secca. «Rossa, comoda e capace di annegarti nel sudore.»
Il ragazzo alzò un sopracciglio. Da quello che aveva visto nei giorni prima quella divisa non sembrava così scomoda.
«Non ti preoccupare, sarai troppo occupato a salvare la pelliccia per accorgertene.»
L’espressione con cui la ragazza accompagnò la frase non fece altro che aumentare l’inquietudine di Cole.
* * * * * *
Ore 17:00 circa
 
Sikşaka si disse che era il momento della verità. Con quella specie di allenamento avrebbe valutato i limiti dei due ragazzi e visto se il ragionamento cui aveva sottoposto Lilith aveva sortito effetto.
Fece guizzare lo sguardo sulle armi affastellate alle pareti. Coltelli, spade, lance, picche, tridenti. Le carezzò tutte con lo sguardo, fino ad arrivare al drappo color sangue di Rakta. Seguire il filo ricurvo della scimitarra fu fin troppo facile; così come desiderare di impugnarla.
Controllo, Sik. – si corresse – O dovrai pagare il tributo.
Quando distolse gli occhi dalla scimitarra vide che Lilith e Cole erano uno davanti all’altra, in piena guerra verbale.
Per la miseria! Ma è possibile che non possa distrarmi un secondo?!
Si schiarì la voce con un colpo di tosse, riportando silenzio all’istante.
«Qualcosa delle spiegazioni non è chiaro?» domandò. «Non voglio morti sul mio parquet.»
Non ci furono obiezioni. Il maestro si allontanò di qualche passo e, guardato l’orologio sulla parete, diede il segnale di partenza.
La prima azione fu così veloce che Cole non ebbe modo di reagire. Al segnale Lilith scattò in avanti, lo agganciò per il collo e lo fece cadere all’indietro. Il ragazzo cascò a terra strillando per la sorpresa. Non ebbe il tempo di girarsi che si trovò Lilith seduta sulla pancia, che lo bloccava coi polsi a terra. I dieci secondi passarono senza che nemmeno se ne rendesse conto. Il primo punto andò a Lilith.
«Stamattina ti ho avvisato.» mormorò prima di lasciarlo andare.
La seconda azione si svolse identica alla prima, eccezion fatta per lo scambio di battute.
«Ti piace la vittoria facile, eh?»
«Magari mammina ti accoglie sotto la gonna, se piangi abbastanza forte.»
Sikşaka fece finta di non sentirli. Si limitò a contare i secondi e tenere il tempo; per mascherare i pensieri volti da tutt’altra parte.
Doveva ammettere che rivedere Dragan aveva scatenato delle ripercussioni che non si aspettava. Sentirlo nominare Anther City gli aveva causato fitte di dolore. Sentirsi chiamare socio, come ai tempi in cui lavorava per i Razziatori, lo aveva disorientato. Cedere al suo ricatto, poi, lo aveva svilito.
Ma quella, si disse, era una faccenda che dovevano risolvere tra loro. Cedere a un ricatto non sarebbe stato un prezzo troppo alto da pagare, finché avesse mantenuto la vicenda tra loro.
 
La prima ripresa finì con uno schiacciante 12 a 0 per Lilith. Cole era riuscito ad allungare la durata delle azioni, ma non a cambiarne l’esito.
Il ragazzo accolse i cinque minuti di stacco come una manna dal cielo. L’esercitazione era appena cominciata e già sentiva le articolazioni acciaccate dai colpi. Rimase sdraiato sul parquet, preda del caldo, con la semplice voglia che finisse presto. Roba che, di solito, lo prendeva verso la fine dei suoi allenamenti abituali. Immaginò la faccia del suo allenatore calargli sopra e gridare che era un vergognoso smidollato, quando di fianco a lui comparve Sikşaka. Seduto in equilibrio sulle punte dei piedi, il maestro lasciò una bottiglietta d’acqua vicino alla sua testa.
«Senti dolore da qualche parte?» domandò.
«Domani sarò coperto di lividi.»
«È vero. Ma è anche una cosa normale: devi solo imparare a cadere.»
Cole cercò di incrociarne lo sguardo. «Qualche suggerimento?»
«In generale è uno solo.» alzò un dito dal pugno chiuso. «Mai offrire spigoli al pavimento.»
«Oh, beh, facile.» ironizzò il ragazzo. «Qualcosa di più specifico non ce l’hai?»
«Se cadi all’indietro, cerca di rotolare. Tieni la testa contro una spalla, così non correrai il rischio di battere la nuca.»
«Rotolare?»
«Proprio così. Sentiti una palla, Cole. Accompagnati verso il pavimento e picchiaci con tutta la schiena, così da distribuire l’urto su una superficie più ampia e senza spigoli. Ti farai meno male.»
Cole guardò il soffitto per qualche istante, dopodiché si tirò a sedere e approfittò della bottiglietta portatagli dal maestro. Bevve avidamente, sentendo il contrasto tra il liquido fresco e il caldo che provava. Alla fine si passò la manica sulla faccia, per pulirsi.
«E con la belva come faccio?» domandò.
«Oh, questo è compito tuo scoprirlo.» rispose allegramente lui. «È lo scopo del tuo allenamento.»
 
Due ore più tardi, quando Sikşaka decretò la fine dell’allenamento, i due ragazzi si lasciarono cadere sul pavimento, distesi e ansimanti.
Distrutto ma soddisfatto, Cole si mise a croce per godere del pavimento fresco.
«Due punti, Lilly.» disse tra un respiro e l’altro. «Non ti puoi vantare.»
«Idiota, ne ho fatti ottantatré.» replicò lei, scura di voce ma soddisfatta a sua volta. «Hai fatto due punti perché te li ho regalati.»
«Ma se paragoniamo l’esperienza, ho praticamente fatto un miracolo.»
«Stronzate. Quando hai portato le ginocchia al petto sei rimasto con le palle scoperte. Non parli in farsetto grazie alle regole della palestra.»
Sikşaka, udita la frase, trattenne un risolino. Subito dopo, però, riportò lo sguardo su Rakta e sentì montare l’agitazione.

 

   
 
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