I was
looking for the breath of a life
A little touch of a heavenly life
But all the choirs in my head say no, oh oh
(Breath
of life, Florence And The
Machine)
- Portare il
cardo a Londra dimostrerà quanto ho
asserito a Capodanno, cioè che la Scozia è
fragile e violabile quanto la sua
Regina – così Elizabeth congedò Arthur
ed i suoi uomini, e Catherine riuscì a
malapena a non tradire l’angoscia che quel noncurante
egocentrismo le causava.
Per la Regina, quell’incursione, quell’azione da
guerriglia era un fine per chiarire la sua predominanza su Mary, non si
curava
molto di chi avrebbe dovuto compiere quel gesto. Henry, nel frattempo,
si chinò
a baciare la bianca mano della sovrana e, ben interpretando il gesto
nervoso
che Catherine le rivolse, la raggiunse.
- Milady! – esclamò, gradevolmente sorpreso.
- Sono uscita solo per darvi questo… nella speranza
che gradiate avere con voi qualcosa che vi ricordi… che
dovete tornare –
balbettò lei, ficcandogli nel palmo della mano un anello
d’argento smaltato.
- Spero che nessuna bellezza dai capelli rossi vi
rapisca, lassù – aggiunse con un sorriso.
- Non riesco a credere di incontrare qualcuno che
possa affascinarmi, in Scozia.
- Io mi fido di voi – affermò Catherine,
candidamente.
Henry raggiunse i compagni, già a cavallo; non si
voltò a salutarla.
***
Lady
Margaret rideva.
- Non fingete! A palazzo non si fa che parlare di
voi; lady Mildred è furiosa, mentre lady Amy è
precipitata in un mutismo
disperato. Siete una delle gentildonne più chiacchierate di
corte.
- Scherzate, vero? – Catherine sospirò.
- Potete chiederlo a lady Amy di persona – replicò
Margaret, indicando la giovane, che si nascose dietro i lunghi capelli
biondo
cenere e si allontanò, con passo sconsolato.
- Credete che sir Henry sia semplicemente infatuato?
- Quello che penso, è che voi lo conosciate meglio
di me. Io non gli interesso e lui non interessa a me, di questo potete
esserne
certa – fece una smorfia. Catherine aprì il libro
che aveva in grembo,
aggrondata.
La camera
della Regina era piccola e affollata,
mancava l’aria.
Elizabeth era inquieta, torturava un fazzoletto
sbiadito, ogni tanto colpiva una delle dame con uno schiaffo, oppure
rimproverava aspramente i consiglieri che avevano l’ardire di
varcare la
soglia.
Solo William Cecil era indenne da questi scoppi
d’ira: era stato lui a raccontare che la Regina aveva di
nuovo la febbre, in
modo da scoraggiare eventuali approcci e convincere la cugina scozzese
che non
aveva né la forza, né la possibilità
di ardire complotti e trame contro di lei.
Invece lei rimaneva rinserrata nei suoi appartamenti,
torturata dall’ansia, circondata dalle dame e da una cospicua
guardia armata.
Era ovvio che, in quest’atmosfera, i cattivi
pensieri potessero germogliare come gemme a primavera.
- Lady Catherine, perché non parlate?
- Lady Catherine, è vero che lord Sidney vi ha
giurato eterno amore?
- Milady, perché siete così pallida?
- State bene? Siete per caso…
Impazziva, pensando anche ai pericoli che correvano
Arthur ed Henry, a Nord.
Passò quasi una settimana, prima che arrivasse un
messaggero.
***
- Lord
Arthur Cecil mi manda a dirvi che hanno
raggiunto la guarnigione di Berwick e che non potrà mandarvi
altri messaggi
finché non oltrepasserà nuovamente il confine
inglese. Vi dice anche di non
preoccuparvi, perché non esiste “un
solo
dannatissimo scozzese che possa impedirmi di andarmene a gozzovigliare
in un
pub di Londra”, sue precise parole.
- Non si smentisce mai. Grazie, milord… qualcuno lo
accompagni e gli dia cibo e bevande!
Elizabeth abbandonò la stanza, prontamente seguita
da Catherine, che sapeva di doverla seguire.
- Sembrate angustiata, eppure lord Pembroke è
assolutamente convinto di potervi compiacere senza che accada nulla di
irreparabile… - tentò di rassicurarla posandole
una mano sull’avambraccio, ma
lei la fece scostare con uno schiaffo. Era la prima volta che la
trattava in
maniera tanto sgarbata, capì che, forse per la prima volta,
era davvero
sconvolta e preoccupata.
- Cosa posso fare per rendervi meno amara
quest’inezia? – la domanda era retorica.
- In cucina lavora uno scozzese che ha nome Harry…
lo rammentate? Ha partecipato… - perse la voce, lo sguardo
smarrito che vagava
oltre il vetro della finestra, per appuntarsi sul cielo nuvoloso.
- L’ho conosciuto, Vostra Grazia – disse Catherine,
nella speranza di farla tornare alla questione.
- Davvero? Comunque sia, andate da lui e ditegli di
far preparare tre cavalli: il mio e altri due tra i più
giovani e freschi per
voi e per lui. Ditegli anche di prendere con sé delle armi,
sarà la mia unica
scorta.
Catherine era incredula: ciò che le stava dicendo la
Regina era pericoloso e irragionevole.
- Ma Vostra Maestà… perché
dovrà far sellare i
cavalli?
- Dovremo andare incontro ad Arthur… ci sposteremo a
Pontefract, in gran segreto.
- Qualcuno potrebbe scoprire che viaggiate con un
solo uomo a proteggervi, e allora…
Elizabeth sospirò, irritata. – Il castello di
Pontefract è governato da un uomo di incrollabile
lealtà – disse a denti
stretti; la ragazza capì di essersi spinta troppo oltre.
Scusandosi, si inchinò
e si apprestò a raggiungere Harry, per riferirgli il penoso
messaggio.
***
In cielo si
addensavano nuvole opache e pesanti, che
gettavano la galleria che stava percorrendo in una deprimente penombra.
Catherine camminava velocemente, la fronte aggrottata: un'altra piccola
scala e
sarebbe arrivata alle cucine.
Un primo lampo si riflesse sul pavimento in legno,
cogliendola di sorpresa.
Si fermò un attimo, tendendo l’orecchio per
sentire
il tuono, invece dall’esterno arrivarono voci alte e
concitate, tra cui
risaltava quella acuta e stentorea del Marchese di Pembroke. Il cuore
cominciò
a batterle forte e dovette appoggiarsi ad una bassa credenza, prima che
le
gambe cedessero; erano già tornati!
Con il cuore in gola si avventò sul chiavistello
della porta più vicina, la spalancò e corse nel
cortile polveroso; ebbe appena
il tempo di notare che non c’era nessun cavallo, nessun
Marchese, che il lampo
le entrò negli occhi, riflettendosi nelle iridi cristalline,
per farle guardare
un altro cielo cupo e pregno di pioggia.
Lontano, a Nord. In Scozia.
***
Il tuono
riecheggiò nelle orecchie di Catherine, che
scoprì di essere carponi, assistita da lady Margaret e lady
Kat Ashley, madida
di sudore e pioggia. Le due donne le avevano coperto le spalle con uno
scialle.
- Cos’avete visto? – Kat la scosse, facendole
ondeggiare la testa avanti e indietro.
- Hanno… hanno il cardo… Arthur è
ferito, ma ce la
faranno – rispose, serrando gli occhi.
La pioggia le scorreva lungo le tempie, ma pur
consapevole che raccontare cos’aveva visto
l’avrebbe liberata dall’incubo della
visione non disse nulla: ad Elizabeth sarebbe importato solo di Arthur.
- Ne siete sicura? Non vi condurrò dalla Regina
finché non ne sarete certa! – gridò
Kat, mentre le sue labbra tremavano.
Cercò l’appoggio di lady Margaret, ma gli occhi
marroni della donna erano freddi: - Ha ragione.
Come poteva spiegare loro che non sapeva nemmeno
cosa temeva di più, se l’innegabile sofferenza
fisica di ricercare una visione
o la consapevolezza che quello che avrebbe visto…
- No, io non posso – gemette, ma le due donne la
fissarono prive di pietà.
Lady Margaret le asciugò il naso con un fazzoletto:
- Provateci, milady. È il vostro compito.
Catherine alzò la testa, fissando il vuoto ad occhi
sbarrati; come una fiammella nella notte, cercava qualcosa che forse
non
avrebbe mai visto, mentre il dolore nella sua testa aumentava,
diventava nausea
e debolezza e febbre.
Uno schiocco nelle orecchie.
Una luce negli occhi.
Fili
d’erba contro un
lato del volto, il cielo blu e giallastro… le ciglia si
avvicinano,
s’intrecciano.
Inspirò
pesantemente, inarcando la schiena; le mani
tremavano come quelle di un vecchio.
- Cosa sta succedendo?
Era la voce di Harry, che la studiava da sopra le
spalle di lady Kat.
Lo guardò, stolidamente stupita dalla sua aria
preoccupata.
- Cos’avete visto? Stanno davvero tornando a casa?
- Henry è morto.
***
Elizabeth
spostò lo sguardo dalla sua vecchia
governante a lady Margaret a Harry, che sosteneva Catherine in modo da
non
farla crollare al suolo. Lei non riuscì a ricambiare lo
sguardo, assomigliava
ad un piccolo cumulo di indumenti fradici, sotto cui solo per caso era
finita
una ragazza. Piangeva.
- Cos’è successo? – domandò
in tono ragionevole,
rivolta a lei.
A parlare, però, fu lady Margaret.
- Lady Catherine non è in grado di rispondervi,
Vostra Grazia; l’abbiamo costretta a forzare…
- Cos’ha visto? – la interruppe la sovrana. Ci fu
un
attimo di penoso silenzio.
- Lady Catherine ha detto di aver visto lord
Pembroke e gli altri che fuggivano attraverso i monti
scozzesi… ma sono stati
raggiunti da un certo William…
- Wallace – la corresse Elizabeth, piccata.
- Wallace. Ha visto che Arthur è stato ferito ad una
gamba, altri uomini uccisi dagli scozzesi, e stava per essere
assassinato anche
lui, quando gli altri soldati sono intervenuti per proteggerlo. Sono
riusciti a
farlo salire su un cavallo, però… -
lanciò un’occhiata indecisa a Catherine,
che si afflosciò ancora di più contro il fianco
di Harry. Sospirò, come per
darsi la forza di continuare: - Dice che lord Sidney è stato
ucciso nel
confronto.
Elizabeth sgranò gli occhi e proprio allora
Catherine emise un lungo gemito, coprendosi il volto con le mani, e si
afflosciò tra le braccia dello scozzese, che
riuscì a reggerla senza grandi
difficoltà.
- Che Dio abbia pietà delle loro anime –
sussurrò la
sovrana e si fece il segno della croce. Poi si rivolse a lady Margaret:
-
Conducete Harry alla stanza di lady Catherine, così che
possa riposare. Solo il
Signore sa quanto ne abbia bisogno, ora.
Harry stese
la damigella sul letto, ancora vestita e
fradicia.
- Credete che risentirà di tutto questo? –
domandò.
Lady Margaret faticò a nascondere il nervosismo.
- Nessuno è così forte da sopportare un patimento
del genere senza vacillare nemmeno un attimo.
- Mi dispiace così
tanto per lei.
Lady Margaret le stese sopra una coperta, dopo
averle tolto almeno le scarpe e le calze.
- Potete passarmi quella salvietta, per favore? – le
asciugò il viso e la fronte.
Harry rimase in piedi accanto al letto per qualche
minuto, prima di ricordare che aveva molti compiti da assolvere. Si
congedò e
lasciò sole le due donne: - Se n’è
andato?
- Siete già sveglia? – Catherine socchiuse le
palpebre.
- Non riuscirò a dormire a lungo, temo – sorrise
debolmente.
- Posso fare qualcosa per alleviare la vostra
sofferenza?
La dama chiuse di nuovo gli occhi. – Infusi di
melissa e lavanda. Mi aiutano a combattere l’insonnia.
Lady Margaret le accarezzò la fronte: - Potreste
aver sbagliato, o visto qualcosa di incompleto.
- Mi piacerebbe così tanto aver sbagliato.
***
Il forte di
Berwick apparve all’orizzonte, lucido
sotto il pallido sole.
Arthur poteva vedere già gli uomini che si
affaccendavano sulle mura; sentì un sorriso nascergli sul
viso, nonostante i
muscoli induriti dalla fatica e dal dolore; il ginocchio mandava fitte
violente
ad ogni sobbalzo del cavallo, ma non aveva intenzione di fermarsi.
Sperò che Elizabeth avesse deciso di muoversi verso
Pontefract: il messaggio in codice doveva essere arrivato
già da qualche
giorno. Si guardò alle spalle per assicurarsi di non essere
seguito da alcuno;
solo i suoi uomini lo tallonavano, i loro cavalli non erano prestanti
quanto il
suo.
- Mi spiace, Hermes – ne accarezzò il collo caldo
e
sudaticcio e lui scosse il muso coperto di bava, poi affondò
le caviglie nei
suoi fianchi, costringendolo a galoppare a rotta di collo lungo il
pendio
erboso.
- Ha! Ha! – anche gli altri cavalieri seguirono il
suo esempio, diretti al confine inglese.
***
Wallace
colpì il muro con la mano, trattenendo a
stento le lacrime.
- Maledizione! Maledizione! Perfino nel morire
riuscite a trascinarmi nel vostro fango.
- Cosa vai dicendo? – Mary gli accarezzò le guance
umide di pianto. Wallace scosse il capo.
- Sono riusciti a portarsi via il mio cardo più
bello… non sono riuscito a far altro che uccidere un
soldato, sono venuto meno
al mio giuramento e adesso dovrò andare a Londra per
affrontare mio cugino in
duello! Come farò? Sono stato uno stupido, mi sono lasciato
trascinare dalla
soddisfazione.
Mary lo strinse a sé, lasciando che le inzuppasse il
colletto dell’abito con la sua disperazione.
- Non andrete… starete qui con me – promise,
passando le dita tra i suoi capelli sanguigni.
Wallace negò. – Cose tremende usciranno dal ventre
della terra e pioveranno dal cielo se non manterrò la mia
promessa; orribili
calamità colpiranno la Scozia, è dunque mio
compito impedirlo!
- Ma… potresti morire!
Le sorrise, accucciato sulle sue ginocchia come un
bambino: - Non sarà un inglese a uccidermi.
***
Catherine
era scivolata in un oblio lilla e giallo,
deliziosamente sereno, quando sentì un tocco leggero, di
piuma, sullo zigomo. Aprì
gli occhi e vide che si trattava di Harry, vestito con un mantello di
feltro.
- Perdonatemi, milady, ma Sua Grazia mi ha
incaricato di svegliarvi e condurvi alle scuderie. Ci muoviamo per
Pontefract e
non ha intenzione di ritardare la partenza per consentirvi di
assimilare la
brutta notizia. Davvero, mi spiace.
Ancora intontita Catherine gettò da parte le
coperte, tuffandosi nello spogliatoio; indossò un abito
grigio tortora, robusto
e comodo, confezionato apposta per eventuali viaggi invernali.
Uscì.
Lo scozzese continuava a guardarla con aria
preoccupata.
- Non temete, Harry – lo rassicurò, montando in
sella – sto e starò bene fino a Pontefract.
Elizabeth l’attendeva in sella al suo castrato
bianco, la bocca ridotta ad una cicatrice sottile.
- Oh, finalmente – si mise il cappuccio.
I tre, vestiti come semplici viandanti, oltrepassarono
i cancelli di Richmond, i cavalli al passo.
Prima di sparire dalla vista delle sentinelle
passarono al trotto, inoltrandosi nelle strade di campagna; qualche
miglio dopo
spronarono i cavalli al galoppo, con Elizabeth che conduceva il gruppo,
il
volto bianco come una maschera rivolto alla strada fangosa che scorreva
sotto
gli zoccoli del cavallo.