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Autore: RobTwili    11/08/2012    28 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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YSM
 
 
«Cosa?» urlai, spalancando gli occhi per la sorpresa. Ryan stava andando dai Misfitous da solo? E perché mai stava facendo una cosa simile? Brandon si portò una mano tra i capelli, non curandosi delle gocce di pioggia che corsero lungo il suo viso, dopo quel gesto.
«Io… non… non riusciamo a fargli cambiare idea. Sick se ne è andato e siamo solo io e i ragazzi. Ti prego, aiutami». Una supplica, ecco quello che stava facendo Brandon. Senza nemmeno pensarci lo scostai, correndo giù per le scale scalza. Sentivo i passi di Brandon dietro di me; mi stava seguendo senza dire niente. Arrivati al portone dello stabile Brandon allungò il passo, superandomi e correndo fino all’entrata del garage. Non sentivo nemmeno la pioggia che sbatteva addosso a me, bagnando quel vestitino che non avevo nemmeno avuto il tempo di togliere. Non mi accorgevo nemmeno del freddo, nonostante fosse metà gennaio e la neve imbiancasse ancora tutta Hunts Point. Niente era più importante di correre da Ryan per fermarlo prima che si uccidesse per vendicare Aria e Dollar.
Svoltai l’angolo dello stabile e trovai Ryan sulla sua moto, circondato da Paul, Josh, Lebo, Ham e Swift che tentavano di dissuaderlo dall’andare dai Misfitous. Ryan non li ascoltava nemmeno, impegnato com’era a dare gas alla moto per cercare di avviarla. Corsi fino ad arrivare davanti a lui, scostandomi i capelli bagnati che non mi permettevano di vederlo chiaramente. «Che cosa fai?» strillai, stringendo i pugni lungo i fianchi. Vidi i ragazzi fare un passo indietro, lasciandomi più spazio; Ryan invece continuava a spingere il piede sempre più forte, rischiando di rompere la moto che non ne voleva sapere di partire. Ringraziai mentalmente chiunque, da lassù, non permettesse a quell’aggeggio di accendersi e feci un altro passo in avanti, in modo che se anche fosse riuscito a far partire la moto non sarebbe potuto andarsene senza investirmi.
«Vattene» ringhiò, senza smettere di provare ad avviare il motore. Sembrava impazzito e forse lo era davvero. Non indossava nemmeno il casco; i capelli, completamente bagnati, ricadevano sulla sua fronte e la felpa scura che indossava era zuppa. Quando, dopo un altro tentativo, vide che il motore non voleva saperne di accendersi, scese, portandosi una mano alla fronte. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi troppo velocemente, come se fosse sotto shock e potesse esplodere da un momento all’altro.
«Ryan…» sussurrai, avvicinandomi a lui e appoggiandogli una mano sul braccio. Quel gesto sembrò quasi spaventarlo, perché indietreggiò di un passo, guardandomi poi furioso. Istintivamente, sicura che non mi avrebbe fatto del male, avanzai verso di lui. Volevo fargli capire che stava sbagliando, che quel pensiero che l’aveva sfiorato non era la soluzione migliore da adottare. Ryan era troppo impulsivo.
«Non dovevi andartene? Perché cazzo sei ancora qui?». Ryan mi fronteggiò, fregandosene dei ragazzi che, a qualche metro da noi, guardavano la scena senza intervenire. Il suo sguardo ferito e la sua voce piena d’ira non mi spaventavano; avevo imparato a conoscerlo, avevo scoperto che nascondeva i suoi sentimenti con la rabbia, ma se voleva sapeva controllarla. Tornò alla moto e, senza salirci sopra, provò di nuovo a dare gas. Sembrò per qualche istante che il motore si avviasse, ma – fortunatamente – fu solo un’illusione momentanea.
«Perché tu stai facendo il cretino e andrai ad ammazzarti» spiegai, rispondendo alla sua domanda con un nuovo urlo. Perché se me ne fossi andata senza fermarlo sarei stata la persona più egoista della terra, soprattutto perché se l’avessi lasciato andare sarebbe morto di sicuro. Mi scostai di nuovo i capelli dal viso, cercando di tenere gli occhi aperti nonostante la pioggia fosse sempre più forte e mi picchiettasse addosso, facendo quasi male.
«Non morirò. Devo ucciderli». Lo sguardo di Ryan si fermò per qualche istante, rimanendo incatenato al mio; sembrava volesse farmi capire che andare dai Misfitous per ucciderli fosse la soluzione migliore. Poi, come se si fosse risvegliato all’improvviso, tornò a dedicarsi alla sua moto, cercando di accenderla. Ancora una volta Ryan imprecò quando il motore non ne volle sapere di avviarsi. Interpretavo quel gesto come un segno, come se qualcuno mi stesse urlando che dovevo fermarlo.
«Ryan per favore» supplicai, appoggiando la mia mano sulla sua che stringeva il manubrio della moto. Ritrasse la mano alzandosi il cappuccio della felpa sulla testa – probabilmente per cercare di ripararsi di più dalla pioggia – inutilmente; sentivo anche dei tuoni in lontananza, come se un temporale si stesse avvicinando. Mi voltai a guardare Brandon, sul suo volto lo sguardo disperato di chi è a conoscenza che qualcosa di brutto può accadere se non si è in grado di cambiare il corso delle cose. Ryan sembrava davvero un pazzo, ma non riuscivamo a fermarlo; io non sapevo più che cosa fare o dire.
«Ryan, non andare, fermati» urlò Brandon per farsi sentire sopra lo scrosciare dell’acqua; Ryan però non smise di provare ad avviare la moto, alzando il viso e guardando Brandon come se fosse arrabbiato anche con lui, come se Brandon non capisse quello che lui voleva fare. Vidi Brandon socchiudere gli occhi per qualche istante, in una muta preghiera verso Ryan e i suoi assurdi colpi di testa.
«Col cazzo. Hanno ucciso due ragazzi di sedici anni, non capisci? Erano due ragazzi, avevano tutta la vita davanti e loro li hanno uccisi, devono pagarla». Ryan si allontanò dalla moto, avvicinandosi a Brandon e fronteggiandolo. Era la prima volta che lo vedevo così furioso mentre parlava con Brandon – visto che di solito a lui si rivolgeva in modo diverso –; quello che però mi stupì fu l’atteggiamento di Brandon: non tentò di farlo ragionare come le altre volte, non gli diede contro. Rimase semplicemente a guardarlo, immobile, come se temesse che qualsiasi azione avrebbe potuto sconvolgere ancora di più Ryan. Sembrava quasi che Brandon avesse perso tutte le speranze. Che fosse quello il motivo per cui mi aveva chiamata?
Dovevo intervenire di nuovo, perché non potevo permettere che Ryan morisse, no. «Ryan, pensaci, non è il momento migliore per fare queste stronzate». Non sapevo più come dirglielo e temevo che appena fosse riuscito ad avviare la moto nessuno sarebbe riuscito a fermarlo. Questo era il mio più grande timore.
«Non sei tu a dovermi dire quando è il momento migliore, non capisci? Dollar e Aria sono morti. Andrò dai Misfitous a ucciderli, cominciando da BB Child, così non uccideranno più nessuno». Di nuovo il suo sguardo incatenato al mio, quella luce nei suoi occhi che gridava vendetta ed era assetata di sangue. Quello stesso sguardo però nascondeva tristezza, delusione e forse qualche altra emozione; la stessa che non riuscivo mai a decifrare.
«Sì, mi sono accorta, li ho visti anche io lì per terra, cosa credi? Abbiamo sofferto tutti. Ragiona, cazzo. Possibile che tu non capisca che così morirai? Ti farai uccidere se andrai da solo» strillai, cercando si spintonarlo perché si allontanasse dalla moto. Poi, all’improvviso, sentii un rumore che riuscì a raggiungere il centro del mio petto, urlandomi che era finita. Il rombo del motore della moto fece perdere un battito al mio cuore, togliendomi le forze al punto che per un secondo vidi tutto nero. «Ryan»
sospirai, aggrappandomi con tutta la forza che avevo al suo braccio, in una nuova, muta, preghiera affinché scendesse da quell’aggeggio e la smettesse di fare il cretino.
Scrollò il braccio con forza, facendomi cadere a terra tanto che sentii l’asfalto bagnato sfregare contro i palmi delle mie mani, causandomi un dolore simile a una bruciatura. Riuscii a non picchiare la testa contro il marciapiede solo perché, sorpresa dal gesto di Ryan, non ero indietreggiata. «Vattene, hai detto che l’avresti fatto, fallo» urlò, tanto che la vena sulla sua fronte pulsò. Si mise a cavalcioni della sua moto, senza nemmeno aiutarmi a rimettermi in piedi, dimostrando ancora una volta quanto fosse stronzo.
«Sai cosa? Me ne andrò e tu vai a farti uccidere, così dovranno fare anche il tuo funerale dopodomani» gridai, la voce rotta dalle lacrime che, miste alle gocce di pioggia, rigavano il mio volto. Perché quel gesto di Ryan mi aveva ferita molto di più dentro, rispetto a quelle sbucciature nelle mani che sarebbero guarite nel giro di qualche giorno. Perché Ryan era uno stronzo e non riusciva a non essere egoista nemmeno per un attimo, troppo concentrato ad ascoltare se stesso.
«Non morirò» fu la sua unica risposta, prima di girare il polso per dare gas, mentre alzava il cavalletto, pronto per partire.
Un moto di rabbia improvviso – dovuto alla visione di Ryan su quella moto, sotto a un temporale e una pioggia che non smetteva di scendere –mi salì dentro, tanto che esplosi, urlandogli contro e fregandomene delle parole che uscivano dalle mie labbra come singhiozzi. «Forse è meglio che tu invece lo faccia, tanto a nessuno interessa se morirai o meno». Non aspettai nemmeno di vederlo partire, mi girai, correndo il più veloce possibile per allontanarmi da quel parcheggio; per allontanarmi da Ryan e anche da tutti i ragazzi. Dovevo andarmene da Hunts Point. Sbattei il portone d’entrata correndo su per la scala e rischiando di cadere più volte perché i miei piedi nudi e bagnati scivolavano sul marmo freddo; quando arrivai al pianerottolo del terzo piano e mi accorsi che Brandon si era dimenticato di chiudere la porta d’entrata del mio appartamento trattenni un singhiozzo, varcando la soglia di casa e sbattendomi con forza la porta alle spalle.
Stavo tremando; tremavo di freddo e di rabbia. Tremavo perché non ero riuscita a fermare Ryan, perché mi aveva vista piangere e perché stava andando a uccidersi, solo per dimostrare che lui avrebbe sconfitto quella stupida banda di teppisti.
Non pensai nemmeno a medicarmi i palmi delle mani che bruciavano e avevano macchiato di sangue il mio vestito ormai completamente zuppo, no. Dovevo solo riempire la valigia con le ultime cose e andarmene da lì, senza sapere se Ryan sarebbe riuscito o meno a sopravvivere.
Per questo, quando – una volta arrivata in camera – sentii bussare alla porta, mi si bloccò un singhiozzo in gola, lasciando che una lacrima scendesse lungo la mia guancia. Non era un bussare normale, era il bussare di Ryan; quei colpi contro la porta, come se volesse romperla.
Camminai velocemente verso la cucina, aprendo la porta all’improvviso per esplodere di nuovo contro di lui. «Sei così stronzo da volermi vedere piangere per te? Vuoi anche una fotogr…» iniziai a dire tra i singhiozzi, non riuscendo a terminare la frase perché qualcosa me lo impedì. La mano di Ryan si appoggiò alla mia guancia, attirandomi a lui tanto che le parole morirono catturate dalle sue labbra. Accadde così velocemente che non riuscii a capire cosa stesse succedendo, l’unica cosa che sentii fu il rumore di uno scoppio; non capivo nemmeno da dove provenisse, ma sentivo uno strano calore al centro del mio petto che si stava diradando velocemente in tutto il mio corpo. Era come se le labbra di Ryan – che non volevano lasciare le mie – mi avessero… liberata. Cercai di scostarmi da lui per ragionare, ma non me lo permise, catturando di nuovo la mia bocca mentre mi sbatteva in malo modo contro il muro dietro di me, stringendo lievemente la presa delle sue dita sul mio mento per alzare il mio volto. Quando aprii gli occhi per cercare di spingerlo via, sentii di nuovo quel rumore, quello scoppio simile a un’esplosione, e fu esattamente in quel momento che capii. Le mie mani corsero al viso di Ryan per attirarlo verso di me tanto che mi alzai anche in punta di piedi. Sentivo la barba ispida graffiare i miei palmi sbucciati dalla caduta di poco prima ma non me ne curai, troppo presa dalla grande mano di Ryan che scendeva lungo la mia schiena, attirandomi verso di lui. Fu così istintivo per me sollevarmi e agganciare le mie gambe attorno ai suoi fianchi che mi ritrovai –prima ancora di rendermene conto –con le dita immerse tra i suoi capelli; sentivo le sue ciocche bagnate tra le mie dita e, senza smettere di mordicchiare le sue labbra, ne tirai qualcuna quando sentii le sue mani muoversi frenetiche sulle mie gambe per cercare di sollevare il mio vestito. Non era facile, me ne rendevo conto a ogni passo di Ryan verso la mia camera, mentre mi muovevo quasi in modo frenetico perché il mio corpo era scosso da brividi: era quasi fastidiosa la sensazione dell’abito bagnato e freddo che contrastava la mano e il corpo caldo di Ryan contro il mio.
«Alexis» mormorò sulle mie labbra, appoggiando la fronte alla mia quando sentii il legno dello stipite della porta contro la mia schiena. Aprii gli occhi, cercando di capire quello che stava succedendo, ma vedere Ryan – il suo viso, i suoi occhi stanchi e di un azzurro ancora più profondo del solito – davanti a me, mi fece perdere la ragione di nuovo. O forse, semplicemente, me la fece ritrovare. Non gli lasciai il tempo di aggiungere altro, accarezzando le sue labbra con la mia lingua e stringendo con più forza i suoi capelli tra le mie dita. Sentii qualcosa di morbido contro la mia schiena e, quando aprii gli occhi per cercare di capire cosa fosse successo, vidi Ryan sorridere davanti a me; eravamo sul mio letto, Ryan era disteso sopra di me e la sua mano destra continuava a sfiorare la mia guancia, senza veramente muoversi. Era… era il suo sguardo l’unica cosa che si spostava; mi scrutava, guardava ogni singola cellula del mio volto senza smettere mai e mi faceva sentire in imbarazzo, quasi esposta. Sembrava che Ryan riuscisse a leggermi l’anima solo attraverso lo sguardo. Incapace di sostenere i sui occhi lo attirai a me, tornando a baciare le sue labbra morbide e torturare i suoi capelli. Sentii le sue mani muoversi sul mio corpo e scendere fino alle mie gambe; le sue dita si aggrapparono al bordo del mio vestito e cercarono di alzarlo affinché potessi levarmelo ma non era facile, soprattutto perché eravamo entrambi bagnati e i nostri vestiti erano zuppi. Quando Ryan riuscì a togliermi il vestito, rabbrividii sentendo le sue mani a contatto con la pelle della mia schiena. Quella carezza riuscì a stupirmi; involontariamente avevo sempre associato a Ryan dei gesti molto più fisici, come se anche in momenti così intimi fosse costretto a usare la forza. Ryan invece era dolce. Lo erano le sue dita che sfioravano la mia schiena salendo verso la chiusura del reggiseno e lo erano anche le sue labbra che non smettevano di torturare le mie. Istintivamente tirai verso di me la sua felpa, cercando  goffamente di levargliela; avevo fretta, avevamo fretta. Era come se dentro alla mia camera da letto si respirasse la paura di una magia che finisce, come se da un momento all’altro tutto potesse tornare alla normalità prima che ce ne potessimo accorgere. Per questo – credo – Ryan mi aiutò a togliergli la felpa scura e la maglia bianca a maniche corte che portava sotto. Non ebbi nemmeno il tempo di lanciare quei vestiti per terra che Ryan iniziò a slacciarsi i pantaloni, abbassandoli in un movimento frenetico. Sentii un suono simile a un gemito trattenuto quando Ryan si abbassò di nuovo, togliendosi anche i boxer.
Non pensai a nulla, attirai solo il volto di Ryan verso di me per baciarlo ancora, inarcando la schiena affinché potesse raggiungere il gancetto del mio reggiseno per aprirlo. Sentii la stoffa allentarsi attorno al mio busto e le dita di Ryan che veloci sfilavano le spalline dalle mie braccia. In pochi istanti anche i miei slip seguirono tutti gli altri capi sul pavimento e mi ritrovai nuda sotto di Ryan; sentivo il respiro accelerato e un martellare continuo che non mi permetteva di udire nulla, era come essere schiava di un incantesimo. La mano di Ryan sfiorò il mio collo, scendendo ad accarezzarmi il seno e il fianco, per poi attirarmi verso di lui in modo possessivo tanto che quel movimento mi strappò un gemito, o forse lo fece l’irruenza di quel gesto; come se Ryan volesse farmi capire che gli appartenevo. Sentivo i nostri corpi attratti l’uno dall’altro, perché c’era l’urgenza di trovarsi; lasciavo le mie mani muoversi frenetiche sulla sua schiena e percepivo i brividi che ogni movimento del corpo di Ryan faceva nascere sulla mia pelle. Perché sentire Ryan sopra di me era come ritornare a casa, o forse semplicemente trovarla per la prima volta.
La mano di Ryan scese di nuovo, sfiorandomi il ventre e graffiando la mia coscia prima di spostare il mio ginocchio per sistemarsi meglio sopra di me. Quel gesto mi mozzò il respiro, tanto che vidi lo sguardo di Ryan rabbuiarsi per qualche istante, come se temesse di aver fatto qualcosa di male. Cercai di rassicurarlo con lo sguardo, spostando anche l’altra gamba in un chiaro invito che Ryan accolse subito tanto che mi ritrovai rigida e immobile, in attesa. Il respiro fermo e gli occhi chiusi, come se temessi che Ryan potesse ferirmi; per questo, quando qualcosa di morbido sfiorò il mio collo per fermarsi sulla mia spalla, rilassai i muscoli del mio corpo, aggrappandomi con tutte le mie forze alle spalle di Ryan e ignorando la sensazione di fuoco che avevo suoi miei palmi sbucciati quando sfioravo il corpo di Ryan, accarezzando la sua pelle o i suoi capelli.
Perché era la sensazione del corpo di Ryan che si univa al mio e dei muscoli delle sue braccia tesi per non cadere addosso a me che sentivo, era il martellare del mio cuore quello che mi impediva di udire il gemito trattenuto di Ryan; era il mio corpo che cercava di adattarsi a lui che fremeva.  Lo sentii sospirare senza nemmeno muoversi, tanto che istintivamente il mio bacino si spostò in avanti, causandogli un gemito e un insulto. Mi fermai, credendo di aver fatto qualcosa di male ma Ryan mi stupì di nuovo, portando la sua mano dietro la mia schiena e sollevandomi appena – senza però separarmi da lui – fino a portare le sue gambe sotto di me perché potessimo essere entrambi seduti uno davanti all’altra. Istintivamente portai le mie mani tra i suoi capelli, unendo le mie labbra alle sue e ringraziandolo perché in quella posizione era più facile per me vedere il suo viso. Sentivo le sue mani muoversi delicate sul mio corpo, fermarsi suoi miei fianchi senza costringermi però a qualsiasi ritmo; Ryan mi stava lasciando carta bianca, completamente. Ero io a dettare il ritmo dei nostri sospiri, guidata solo dalla presa delle sue mani sui miei fianchi che si faceva sempre più forte, a mano a mano che aumentavo il ritmo dei miei movimenti perché sentivo il piacere avvicinarsi sempre di più, tanto che graffiai la sua nuca, scendendo lungo la sua schiena, cercando di trattenere un gemito più profondo degli altri. Mi accasciai su di Ryan, appoggiando la fronte sulla sua spalla e tentando di riprendere fiato mentre sentivo il suo corpo muoversi freneticamente alla ricerca dello stesso piacere che invadeva ogni singola cellula del mio corpo, annebbiandomi la vista e alterando i miei sensi. Perché dovevo per forza avere i sensi alterati: non poteva essere una lacrima quella che stava scendendo lungo il volto di Ryan, correndo veloce verso il suo mento per nascondersi tra la sua barba ispida. Mi sporsi verso di lui sfiorandogli la guancia con le labbra e sentendo una goccia salata bagnarle. Quel sapore, mischiato alla voce di Ryan che sussurrò il mio nome aumentando la presa sui miei fianchi fu in grado di abbattere totalmente il mio muro; quello che mi divideva da lui, quello che avevo creato perché non potesse ferirmi.
Quello che mi faceva continuamente pensare che non avesse un cuore.
Socchiusi gli occhi, cercando di respirare a fondo per far tornare il battito del mio cuore normale – cuore che sembrava scappare assieme a quello di Ryan – e per la prima volta sfiorai con il naso la pelle della spalla di Ryan scoprendo che il suo odore era qualcosa che non avevo mai sentito. Ryan profumava di... era un miscuglio di più odori; il dopobarba di mio papà, l’odore di salsedine che si respirava all’alba sulla spiaggia e forse anche quella miscela di odori che c’era sotto alla ruota panoramica del luna park, lo stesso dove avevo dato il primo bacio e dove mi ero innamorata del mio primo ragazzo, quello che mi aveva insegnato ad amare.
Ryan si spostò, interrompendo il flusso dei miei pensieri e lasciandomi seduta nuda in mezzo a quel grande letto. «Devo andare, i ragazzi hanno bisogno di me» bofonchiò, indossando con movimenti convulsi i boxer e i jeans e lanciando per terra i miei slip e il mio reggiseno che erano finiti sopra alla sua maglia e alla sua felpa che indossò, tenendo il cappuccio alzato sul capo. Senza nemmeno voltarsi verso di me se ne andò. Non spiegò quel suo gesto e non motivò la sua scelta improvvisa di andarsene.
«Ryan» sussurrai, sentendo la porta di casa chiudersi e subito dopo un silenzio quasi inquietante tutto attorno a me.
In un gesto meccanico cercai di coprirmi con il lenzuolo, portandolo fino alle mie spalle. Non riuscivo però a muovermi; ero come pietrificata, seduta lì sul mio letto con le lenzuola ancora umide di pioggia e sudore. Il mio respiro ancora accelerato e il cuore che non voleva smetterla di battere all’impazzata. Era come se stessi vivendo la situazione da esterna, come se il mio cervello non fosse veramente collegato. Forse era semplicemente un metodo difensivo, qualcosa che avevo creato per non farmi soffrire, perché sapevo che se solo avessi pensato a quello che era successo qualche minuto prima avrei sofferto.
Presi un respiro profondo abbandonando il capo all’indietro, cercando di riordinare le mie idee. Dovevo alzarmi, fare una doccia per togliere l’odore di Ryan dalla mia pelle – perché era quasi insopportabile – e dopo dovevo assolutamente finire di preparare le valigie; non potevo permettere che un semplice sbaglio mi facesse cambiare tutto quello che avevo pianificato. Ma si trattava di uno sbaglio? Poteva uno sbaglio essere così grande? Uno sbaglio era una parola scritta in modo errato, un piede appoggiato male su un gradino, un bacio strappato all’improvviso; quello… quello non era stato uno sbaglio. Ci avevo, ci avevamo pensato, eravamo coscienti di quello che stavamo facendo.
Scossi la testa cercando di scacciare quei pensieri che mi stavano confondendo sempre di più e, abbandonando il lenzuolo, scivolai sul letto fino ad arrivare al bordo del materasso; allungai la mano per prendere i miei slip dal pavimento e sentii il rumore di qualcosa di metallico cadere. Guardai per terra, notando –d i fianco al mio reggiseno – una catenina d’oro con un ciondolo. Istintivamente la raccolsi, avvicinandola al mio viso per capire che cosa fosse. Lasciai che quel lungo e sottile filo d’oro scorresse tra le mie dita fino a quando non vidi quel piccolo cerchietto d’oro con un’aquila incisa dentro: era un’aquila con le ali spiegate, esattamente come quella sopra al cuore di Ryan. Sentii la vista appannarsi ancora una volta e nuove lacrime uscire dai miei occhi, senza che potessi fare veramente qualcosa per fermarle.
Strinsi la catenina tra le mani, avvicinandola al mio petto e appoggiando la fronte sulle mie ginocchia, lasciandomi andare a un pianto liberatorio che mi tolse anche il respiro. Singhiozzai stringendo quasi con rabbia quel sottile filo d’oro e capii che prima di lasciare Hunts Point dovevo parlare con Ryan, chiarire che quello che c’era stato non significava nulla, perché andarsene senza aver parlato con lui era davvero da codardi. Sarei andata al 3B e, dopo avergli restituito la collanina avrei spiegato che quando le persone sono tristi o arrabbiate capita che succedano cose di cui poi ci si pente. Gli avrei spiegato che non doveva sentirsi in colpa perché per me non aveva nessun significato quello che c’era stato e non ricordavo nemmeno il profumo della sua pelle o il suo tocco delicato sul mio corpo; no, non ricordavo nulla.
Indossai la collanina scendendo dal letto e camminando lentamente verso il bagno per farmi una doccia: dovevo scaldarmi e lavare via la pioggia che mi aveva bagnato tutti i capelli; poi sarei andata da Ryan a restituirgli la collanina e a parlargli. Perché ero sicura che lui volesse una spiegazione.
 




Dunque… avrei così tante cose da dire su questo capitolo che alla fine non ne dirò nessuna.
Come ho ripetuto all’infinito questo assieme al capitolo 16 era l’idea iniziale di You saved me. Cosa succederà ora? Uhm… potrei quasi sicuramente dire che tre quarti delle vostre supposizioni sono sbagliate perché continuo a portarvi fuori strada e quindi non so se riuscirete veramente a capire come va a finire; c’è da dire però che mancano ancora 4 capitoli epilogo compreso.
Ritornando al capitolo… potrei dire che la seconda scena l’ho immaginata così tante volte da sapervi dire l’esatto angolo con cui la luce che entra dalla finestra colpisce il viso e il corpo di Ryan, potrei anche dire che so a memoria il numero di pieghe delle lenzuola, ma non riuscivo a descrivere la scena come l’ho immaginata. Non sapevo se focalizzarmi esclusivamente nella parte descrittiva o solo sui sentimenti di Lexi. Ho pensato fosse più giusto, visto che è un pov di Lexi, focalizzarmi su quello che lei ha pensato e vissuto. Lo so che come scena fa schifo e ne ho scritte di migliori, ma per me è stato difficilissima scriverla proprio perché sapevo quello che Lexi avrebbe provato una volta chiusa la porta di casa e quindi c’era un blocco. Ma babbeh, quello che è fatto è fatto… :)
Poi poi poi… come sempre ringrazio i preferiti i seguiti e quelli che aggiungono la storia alle ricordate perché siete tantissimi e aumentate ogni giorno di più e io non so mai come ringraziarvi!
Alcuni di voi l’hanno già letta ma per correttezza riporto anche qui JANITOR CLOSET, la OS su Sick e Claire. Se volete farci un salto siete ben accette.
Ultimo, ma non meno importante, come sempre vi ricordo NERDS’ CORNER il mio gruppo dove inserisco spoiler e altro.
A presto per il prossimo capitolo che spero arrivi un po’ più in fretta (a questo proposito mi scuso ancora per il ritardo, però ultimamente non è che io sia al massimo della forma fisica e in mezzo ci sono le vacanze che non aiutano).
Rob.
   
 
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