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Autore: thewhitelady    11/08/2012    4 recensioni
1993-2009
Come deve essere vivere la storia degli Oasis e della scena rock britannica dagli anni 90' ad oggi? Cassandra Walsh è forse l'unica persona al mondo a saperlo. In più in tutto il caos della sua vita di sex, drugs, and rock n roll sa solo una cosa, che a volte il posto migliore da cui godersi un concerto è da dietro il palco.
Per chi ama gli Oasis e quei due pazzi fratelli, ma anche solo per chi ha sentito una volta nella vita Wonderwall o Don't Look Back In Anger e vuole scoprire chi sono Liam e Noel Gallagher. Per chi ha nostalgia dell'atmosfera degli anni '90, e chi neppure l'ha vissuta davvero. Per chi ama gli aneddoti del rock e della musica. Una canzone per ogni capitolo. Cheers!!
Gruppi/Artisti che compariranno: Oasis, Blur, Pulp, Red Hot Chili Peppers, Radiohead, Kasabian, Paul Weller, The Stone Roses, The Smiths, Travis, Arctic Monkeys (un po' tutti)
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Gallagher, Noel Gallagher, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ero arrivata da un'ora appena al LAX di Los Angeles e già soffrivo per la calura, noi Scozzesi non eravamo stati progettati per sopportare più di quindici, venti gradi massimo e di certo non potevamo sopravvivere molto a lungo in un luogo del genere. Arrancai ancora una volta per il tortuoso vialetto che portava alla casa di Hollywood Boulevard, la sacca da viaggio, che mi portavo sempre dietro quando solitamente ero in tour, che mi stava segando una spalla. Sbuffai.
Non feci in tempo ad arrivare alla porta che questa si spalancò, andando a sbattere contro il muro, una pulce d'uomo tutto nervi e muscoli guizzanti si diresse verso di me con un sorriso più caldo ancora di quella giornata d'estate. Flea s'era fatto i capelli biondi dall'ultima volta che l'avevo visto.
Nonostante la stanchezza, sorrisi pure io e quando mi strinse a sè in un abbraccio ricambiai, godendomi quella stretta così naturale. Non ero un tipo da abbracci, persino Gem quando tornavo a casa il massimo che faceva era un cenno con la testa; gli Americani erano dannatamene più espansivi. Il che però non era tanto male, dopo un viaggio intercontinentale.
- Finalmente sei arrivata! - esclamò quando ci separammo, gli occhi che nella luce quasi bianca di quella giornata erano un'esatta copia del mare della Gold Coast.
- Aereo -, mi strinsi nelle spalle, avevo la gola secca e addosso la familiare stanchezza del jet lag, per cui anche non molta voglia di parlare. Non mi sprecai ad aggiungere altro, anche se quanto avevo detto poteva rivelare un qualcosa che variava dal “ho perso tempo con lo scalo a Washington DC” a “pensavano fossi una terrorista che voleva dirottare l'aereo, e ho passato una notte in cella”.
Flea mi accompagnò in casa sciabattando nelle infradito e continuando a parlare, soprattutto di una lista di circa trenta hotel dove avrei potuto alloggiare, e spiagge dove saremmo dovuti assolutamente andare, e ristoranti e... Era il miglior Cicerone della West Coast, senza dubbio. A quanto pareva mi potevo scordare la vacanza rilassante che mi ero ripromessa quando m'aveva invitato a venire a Los Angeles – aveva saputo da Depp che l'accompagnatrice di Noel a Mustique non sarei stata io così aveva preferito pure lui rifiutare l'invito di Mick Jagger, il che m'aveva stupito enormemente -.
- Posso avere un bicchiere d'acqua? - domandai appena entrata.
- Certo -, Flea si voltò verso di me, - Credo che il padrone di casa sia...occupato – e fece una risatina divertita, mentre a me a quelle parole corse un brivido freddo lungo la schiena. Ad ogni modo mi feci guidare sino alla incasinatissima cucina. Di John nessuna traccia.
- Come va allora con Gallagher? -, tirò fuori di punto in bianco mentre sorseggiavo da uno di quegli enormi contenitori bianchi di plastica formato tanica che avevano lì in America per l'acqua.
Lo guardai in tralice.
- Che poi, è quello brutto con il monosopracciglio o l'altro? -. Mio Dio, il corpo del bassista dei Peppers era posseduto da mia zia Beth!
Mio malgrado mi misi un po' a ridere, rischiando di sputacchiare l'acqua, - Quello brutto, ma non ha il monosopracciglio – puntualizzai, e non era brutto, era...fatto a modo suo, questo però non ebbi coraggio di dirlo.
- E quindi come va? -
- Su questo argomento mi astengo, spiacente – iniziai scherzando ma proseguendo mi feci più seria. Flea comprese l'antifona.
- Be' allora, come va con la band? -. Domanda migliore.
- Abbiamo in programma un concerto all'aperto, in due serate, a Knebworth. Dovrebbero mettere presto in vendita i biglietti, però sono convinta che dovremmo arrivare a più di 100 mila persone per show -
- Porca puttana! - esclamò Flea, impressionato per davvero. Lo ero stata pure io quando Noel me l'aveva detto, ormai però avevo riassorbito il colpo, era solo lavoro.
- Me l'aveva detto Anthony che stavate andando bene ma non pensavo così tanto. Questa primavera vi ha visti suonare a Seattle -
Stavo ancora bevendo, spalancai gli occhi e annui, poi mi misi a ridere ancora – Già, vero! Ha chiamato Liam Ian -. A ripensarci non c'era molto da ridere, Ourkid era abbastanza permaloso e se non fosse stato che stava per salire sul palco probabilmente avrebbe messo su una delle sue bufere.
- Per fortuna dopo ha avuto il buon senso di non farsi rivedere in giro -
- Stava scopando con una dietro al palco, nella stanza dei contatori della luce – ghignò Flea.
- Questo spiegherebbe tutto, pure la momentanea mancanza di luce nel backstage -, misi a posto l'acqua nel frigo, ormai mi stavo abituando al caos che regnava per ogni dove nella casa, facendo apparire al confronto il mio appartamento più impeccabile di Buckingham Palace.
Senza più aggiungere una parola il bassista andò in salotto, dove trovammo solo altro casino e dove lui spalancò una finestra per fare entrare quel poco di brezza pomeridiana che spirava. John pareva proprio non trovarsi in casa. Flea si tolse la t-shirt e la lanciò sul divano prima d'avviarsi su per delle scale, io lo seguii in automatico, senza mai perder di vista la schiena tatuata del bassista.
Lo scenario al piano di sopra non cambiava: stesso disordine, stesso accumolo di oggetti. Un'altra intera parete coperta da un armadio che traboccava di vinili, che mi avrebbero immediatamente attrattato verso di loro se non fosse stato per quello che stava sul pavimento. O meglio, coloro.
John era mezzo sdraiato sulle piastrelle, si puntellava con un gomito e intanto seguiva attentamente le linee tracciate su di un foglio da una minuscola manina, che apparteneva alla bambina seduta accanto a lui. Appena questa ci sentì scattò rapida in piedi stringendo alto un disegno fatto da mille macchie di colore, - Hai visto, papà? - fece con voce squillante, muovendo la testolina dai capelli fulvi e mossi. Solo dopo un istante mi cadde l'occhio sulla firma sghemba apposta in un angolo, con della colante vernice nera: Clara.
- Wow – esclamò Flea prendendo il lavoro di sua figlia in mano, poi diede un'occhiata a John che nel frattempo s'era rimesso a sedere – sembrava più una posizione da yoga, ma pazienza -.
- Mi dispiace, Johnny – sospirò – l'allieva ha superato il maestro! -.
L'altro si limitò a far apparire un sorriso lieve, - Sai, ha davvero del talento, non scherzo. Dovrebbe fare qualcosa per esprime tutta questa energia bruciante che ha in sè -, il tono era più pieno e aveva ripreso una cadenza giovanile, veloce, e nasale, deformata alle mie orecchie dall'accento newyorkese.
- E tu chi sei? -
Abbassai lo sguardo, presa alla sprovvista, e mi trovai questi due occhioni a fissarmi incuriositi. Era da quando ero andata a vivere da zia Beth che non avevo più a che fare con dei bambini, e a dire il vero la cosa non mi mancava: urlavano, sporcavano, correvano per ogni dove, erano inopportuni, non sapevano mai stare per conto loro. Erano, in sintesi, macchine per il maldistesa. Almeno, così erano quelli di Beth.
- Una roadie -
- Una che...? - ribattè Clara, arricciando il nasino.
- Una di quelle persone che il tuo papà paga per non dover sgobbare e sistemare gli strumenti -. Forse avrei dovuto abbassarmi sulle ginocchia per rendere più facile alla bimba guardarmi curiosa e impertinente. Ma non lo feci.
- Ah, ok. E come ti chiami? -
- Cassandra -
- Io Clara -, mi studiò meglio, - hai un nome da principessa, però non lo sembri – osservò.
- Clara! - scattò Flea redarguendola con un tono da genitore che mai avrei pensato potesse avere, ma intanto stavo pensando al primo incontro al Boardwalk con Liam, circa una vita prima. Ritornai al presente, e quindi fissai John che ancora assisteva interessato al dialogo tra me e Clara.
- E' perchè è un nome da profetessa inascoltata – replicai, e il padrone di casa dovette soffocare una risata, mentre alla bambina tutto ciò non diceva niente, cosa che però non la fece perdere d'animo.
- Quindi tu aggiusti i bassi? -
- Le chitarre più che altro – puntualizzai.
- Be' ma allora puoi sistemarla tu quella di John – cinguettò tutta felice, le si formarono due fossette nelle guance, - Così riinizia a suonare! -.
Scoccai un'occhiata al diretto interessato per cercare di capire se era vero quanto diceva Clara, ma lui pareva totalmente preso nell'amalgamare i colori su una tavolozza.
- Lo fai? -
Ecco, un'altra cosa: i bambini sono insistenti. Comunque non mi costò molto acconsentire a quella richiesta, mi piaceva troppo armeggiare con gli strumenti musicali, e siccome John non me lo impedì andai a prendere la Telecaster che stava appoggiata in precario equilibrio ad un muro. Sentii subito la polvere sulle dita, doveva aver visto tempi migliori.
Mi misi sul divano, accanto a me Flea a gambe incrociate.
- Non sei molto brava con i bambini, eh? -
- Non pensavo si notasse – feci con ironia, cominciando almeno a dare una bella ripulita alla chitarra con uno dei tanti stracci che erano disseminati per la stanza. - Lui invece sì che ci sa fare -, accennai con la testa a John che aveva ripreso a disegnare assieme a Clara.
Flea si voltò verso di me, aveva uno strano sorriso, brillante come al solito ma anche vagamente triste. - Le vuole un gran bene – disse, ma ebbi la sensazione che avrebbe voluto aggiungere dell'altro, aspettò anche un secondo però poi si rimise ad osservare sua figlia e il suo ex-chitarrista, la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Io mi concentrai sulla Fender, con però addosso una nuova sensazione di nostalgia che non mi sapevo spiegare.
Andai avanti ancora qualche minuto, ma più continuavo più mi rendevo conto che la chitarra non aveva alcun difetto, era tutto a posto. Clara, si sbagliava, la Telecaster non era rotta.
Corrugai la fronte, dubbiosa, e misi a fuoco la mia mano sinistra, la sottile cicatrice sulla pelle e mi decisi a rimmettere a posto lo strumento dove l'avevo trovato. C'era poco da fare quando era il chitarrista ad essere rotto.
Mi gettai sul divano, completamente distrutta dal volo aereo, dal litigio con Noel che mi ronzava ancora nelle orecchi - quante volte avevo ripensato a ciò che avrei potuto dire e non dire -, e dal caldo californiano. Rimasi a seguire con lo sguardo per un tempo indefinito John che guidava con la sua mano quella di Clara, e che le insegnava a dipingere forme che non erano di questo mondo.
In quell'istante di tempo così dilatato mi parve assurda l'idea che m'ero fatta di Clara, non era niente di tutto ciò che avevo immaginato. Non era sua madre, non era sua sorella, non era la sua amante, nè una femme fatale. O meglio, lo era ma non nel senso che comunemente si intende. Ero davvero convinta che l'amasse profondamente, e mi trasmetteva un nuovo senso di pace star lì a vederli, mentre la bambina provava a truccare John con la pittura, mettendogli obretto e rossetto.
L'unica cosa che mi impediva di spronfondare in quella bolla di tranquillità era una delle tante scritte che risaltavano sul muro bianco dietro di loro: “Stabbing pain with discipline's knife”.

 

Sollevai le palpebre e mi ci volle un momento per capire dove fossi, e sopratutto che alla fine avevo ceduto alla stanchezza e non avevo riposato gli occhi per pochi secondi, bensì m'ero addormentata come un sasso sul divano. La luce intensa del pomeriggio non mi infastidiva più, dato che era stata soppiantata da quella impalpabile e azzurrina della sera: il sole doveva essere sparito oltre l'orizzonte, al di là dell'Oceano, ma spargeva ancora po' dei suoi raggi. Guardai fuori dalla finestra aperta, le tende che svolazzavano appena. Tirai un sospiro per svuotarmi i polmoni e riempirli nuovamente d'aria serale, ma qualcuno mi fece l'eco. Mi sporsi verso il bordo del divano, senza neppure fare lo sforzo di mettermi a sedere, John era più vicino di quanto pensassi, era seduto per terra, appoggiato con la schiena ad un bracciolo. S'era già voltato verso di me.
- Temo di non esser stata di molta compagnia -, non riuscii a evitare uno sbadiglio mentre terminavo la frase.
- Anche quando dormi se di parecchia compagnia – ribattè lui serio.
- Sarebbe un modo gentile per dirmi che russo? -, feci finta d'essere offesa e gli strappai una risata. Mi sentivo sempre meglio.
- No -, cerco di soffocare il riso, - è che hai una bella presenza. Mi piace come occupi lo spazio -.
Era un complimento? Ad ogni modo mi piaceva come suonava. Mi stiracchiai sul divano, avvicinando la testa alla sua, - Ah sì, dammi tre giorni e vedi come ti riempio questo spazio, te lo colonizzo -, gettai un'occhiata di lato per vedere se ero riuscita a suscitare anche solo un sorriso vago, ma questa volta avevo fallito. John pareva più che altro preso a osservare con interesse clinico una ciocca dei miei capelli che erano ricresciuti e passati da taglio-da-ragazzino-quattordicenne a qualcosa di vagamente femminile, ma senza forma precisa.
Stavo quasi per chiedere dove fosse finito Flea ma all'improvviso si accese la luce, strizzai gli occhi e quando li riaprii mi trovai parato davanti il bassista. Completamente nudo. No, aveva un calzino a coprirgli il pacco, però per il resto era proprio come quando era venuto al mondo in Australia. Non m'accorsi quasi d'essere stata presa da una crisi di riso, forse un po' isterico. Il jet lag mi rendeva facilmente ilare.
- Guarda che c'è gente che ha pagato per vederci così -
- Non ne dubito -. Ancora ridevo, dovevo riuscire a fermarmi, provai a soffocarmi tra i cuscini del divano.
- Soprattutto per vedere lui – sentii dire a John con voce cristallina, e contagiata un po' dalle mie risate.
Riemersi dal divano, sentivo il viso accaldato – Ok, non so neppure esprime quanto io sia onorata, però a Clara potrebbe bloccarsi la crescita, se ci fosse ancora Freud lo chiamerebbe “complesso del calzino” -
- Clara l'ho appena portata da Loesha – commentò senza interesse, - E comunque eri stata tu a dirmi che volevi imparare una volta per tutte a fare uno slap decente -.
Merda, avevo completamente cancellato dalla mente il fatto d'avergli detto per telefono che venivo solo se mi avesse insegnato a suonare il basso; stavo scherzando ma lui m'aveva preso in parola e difatti ora appoggiate al muro c'erano due custodie che prima non avevo visto. Avrei impiegato ancora un po' di tempo per comprendere a fondo quanto Flea fosse una persona di parola, ma quello ne era un primo assaggio.
- Hai ragione – ammisi io, alzandomi dal divano, - Pensi comunque di rimanere così? - feci scettica.
- Certamente, baby -, e detto ciò si piegò a tirar fuori il basso dalla custodia, esponendo platealmente le chiappe a beneficio mio e di John, che ormai aveva un ghigno perenne.
- Piuttosto tu, non ti senti troppo vestita? - mi domandò mentre indossava la tracolla, il basso andava a coprire almeno in parte il calzino penzolante.
Gli scoccai un'occhiataccia, - Iniziamo la lezione, Aussie -
Flea aspettò un secondo, comprese che ero seria e rientrò a velocità sorprendente nei panni – un po' scarsi – del maestro.
- Allora acchiappa la chitarra che prima voglio sentire se avete un po' di groove voi bacchettoni britannici. Vorrei vedere i tuoi Oasis se sarebbero capaci di suonare in modalità “Socks on Cocks” -
Cercai di non esplodere nuovamente in un eccesso di risa mentre immaginavo, mio malgrado, Bonehead con quella mise. Per il bene della specie umana era meglio che niente di ciò mai accadesse.
- Suona un po' quel che ti pare. Ti vengo dietro -.
Provai a iniziare un motivetto funky, ma ero a corto di ispirazione per cui mi infilai il plettro tra le labbra e cominciai a pizzicare e a percuotere le corde con una cadenza che tutti in quella stanza conoscevano bene. Non fosse solo perchè l'uomo che l'aveva inventata era seduto ora sul divano.
Flea scosse leggermente la testa con un mezzo sorrisetto, e mi raggiuse con la parte di basso.
- Lì ci va un bending -, alzai gli occhi dalla tastiera della chitarra e vidi quanto John sembrasse divertito da quella situazione. - Sicuro? - feci scettica, senza neanche pensare.
- Abbastanza -
Al giro seguente feci come m'aveva detto ed effettivamente il tutto prese a suonare un po' più giusto.
- Slide fino al primo e..hammer on – mi dava le dritte in tempo reale, e di lì a poco il pezzo diventò davvero molto simile a quello presente su Blood Sugar Sex Magik, stavo pure iniziando a prendere confidenza con Flea e mi concessi un paio di divagazioni sul tema originale.
- Sei ancora troppo rigida, non stai mica suonando per la Regina Madre! - mi schernì il bassista, contrassi la mascella, i denti che stringevano il plettro e cominciai a suonare più aggressiva, nonostante le piccole fitte che mi raggiungevano nella mano sinistra. Chiusi gli occhi e presi ad ondeggiare, cosa che non ero solita fare dato che suonavo prevalentemente da seduta.
- Già meglio -.
Mi concentrai su un'immagine ben precisa che avevo in testa e cominciai a muovere il bacino e a piegare le ginocchia leggermente, così mi guadagnai una bella risata da parte di Flea che riconobbe subito quelle movenze.
- Devo dire che la vista del tuo sedere che ondeggia è assai migliore di quello di Johnny -.
A questo commento sia io che John reagimmo con una bella occhiata di sbieco, ed io mi sottrassi agli occhi del bassista spostandomi, ma non smettendo di compiere quel movimento circolare, era quasi impossibile da non fare quando si stava suonando quel groove. Poi Flea mi sorprese con la sua voce improbabile:
- There are no monks in my band
There are no saints in this land
I'll be doin' all I can
If I die an honest man -
Decisi di raggiungerlo per fare la seconda voce, o anche solo per cantare quel primo verso che tanto mi apparteneva. John intanto teneva il tempo sul bracciolo del divano.
- Confusion is my middle name
Ask me again I'll tell you the same
Persuaded by one sexy dame
No I do not feel no shame -
Flea mi fece un cenno con la testa: il ritornello era tutto mio. E quella era la parte difficile, non avevo mai avuto una grande estensione vocale ed il falsetto non era il mio forte di certo; ci provai lo stesso, m'accorsi solo in quel momento che John mi stava fissando insistentemente, con il trucco di Clara, era sorprendentemente somigliante alla sua alter ego Niandra. - You're all alone -, quasi mi strozzai per raggiungere quella nota, così intervenne lui.
- Can I get a little lovin' from you
Can I get a little bit of that done did do -
Senza bisogno di alcun accenno da parte mia, cantò pure la seconda parte di falsetto – You're on the road -
Il resto del ritornello decisi che però era mio.
- Tell me now girl that you need me too
Tell me now girl cause I've got a feeling for you -
Flea riattaccò con la strofa, quasi però non lo sentii, aspettavo solo il secondo ritornello e quando arrivò io e John cantammo di nuovo assieme e fu allora che compresi cosa stessimo davvero facendo. C'entrava poco la musica, o almeno era solo di contorno, stavamo flirtando. O meglio, io stavo flirtando di certo, lui non avrei saputo dirlo. John tendeva a sfuggire alle logiche, anzi era un peccato di presunzione usare la logica con lui. Tutto veniva ridotto a un qualcosa di naturale: se avevo voglia di flirtare con lui l'avrei fatto, non c'era nulla di sbagliato, non c'era neppure il gusto della ripicca su Noel che probabilmente era sparanzato su una spiaggia di Mustique con Meg.
In quella casa non valeva niente di quanto avevo imparato o conosciuto prima. Eravamo solo tre corpi che suonavano, che vibravano della stessa melodia. Se avessi voluto fare una qualsiasi cosa, allora l'avrei fatta.
Andammo avanti così per ore.

 

Ero giù in cucina, ero andata a cercare tra i pensili un qualcosa che somigliasse a del cibo ma avevo trovato prevalentemente solo pillole, vitamine e integratori energetici. Mi ero ormai arresa e stavo per tornare di sopra quando un suono vibrante mi fece stoppare, i pensieri bloccati mentre non riuscivo a capire di che si trattasse. Lo sguardo mi cadde sulla sacca che m'ero portata per quei giorni di vacanza: era il cellulare, cazzo!
Mi misi a frugare tra la mia roba sino a che non pescai fuori per l'antenna il telefono, spalancai lo sportelletto e premetti il verde.
- Il 5 per cento della popolazione, il fottutissimo 5 per cento! -
- Liam? - feci esitante, quelle urla disumane potevano appartenere – forse – solo a lui.
- Cazzo, Cass, ti sei forse rincoglionita? Devo ripertelo?! - e al che cominciò a sillabarmi la frase di prima.
- No, no, no ho capito – risposi con tono agitato pure io, mi stavo facendo contagiare dall'euforia che proveniva dall'altro lato dell'Oceano – Ma a che ti riferisci? -
- Knebworth! Due milioni di persone hanno provato a comprare un biglietto -.
- Oh, porca puttana – mormorai, e presi a seguire Liam in quella sua risata senza freni, - E' tanta gente – commentai come una stupida.
- Già –, tossichiò lui, – Abbiamo posto però solo per trecento mila – e riattaccò a ridere.
Mi appoggiai al bancone della cucina e chiusi gli occhi un secondo per fare mente locale ma mi era impossibile, sapevo che Knebworth sarebbe stato un grande concerto all'aperto ma quei numeri erano pazzeschi. - Che ore sono lì? - domandai tanto per avere qualcosa in bocca che non fossero altre imprecazioni random per lo stupore.
- Le otto del mattino -, l'eco dell'entusiasmo rimbombava ancora nella voce di Liam, - mi ha chiamato una decina di minuti fa McGee stesso per dirmelo -
- Solo una cosa del genere poteva sbatterti giù dal letto prima di mezzogiorno – osservai, i miei occhi intanto cercavano di concentrarsi su qualcosa che non fosse l'immagine che avevo in testa di tutta quella gente, del 5 per cento della popolazione Britannica, - Dovete aver infranto qualche record... - mi lascia infine sfuggire tra le labbra, quella era più che altro un'osservazione fatta tra me e me.
- Più alta richiesta di biglietti per un concerto all'aperto, o così ha detto il nostro pel di carota, almeno -
- Niente male – feci come se non contasse poi molto, la cosa migliore era di certo il sorriso che sentivo pure attraverso quelle migliaia di milia da parte di Ourkid.
- Ti vorrebbero alla Creation entro un paio di giorni, comunque. McGee dice che ti vuole assieme a Tim Abbott per controllare se il posto va bene e tutte quelle cazzate tecniche di cui ti occupi tu -.
Un paio di giorni, ed ecco che la mia vacanza californiana era già bella che rovinata. Quella prospettiva sinceramente però non mi infastidiva più di molto, ora vedevo Knebworth come un qualcosa di reale e non vedevo l'ora di mettermici a lavorare. Sarebbe stato grandioso. Saremmo stati grandiosi.
- Sarete grandiosi – dissi alla fine.
- Non lo siamo sempre? -
- Grazie per avermi chiamata, Ourkid -
- Dovere, darlin' -, sentii il rumore tipico di quando esalava del fumo, - Potrai dire di aver scopato con il più grande frontman di tutti i tempi -
- Credi ancora di essere Lennon? -
- Vaffanculo – soffiò, ma un attimo prima che mettesse giù sentii la sua risata risuonare nuovamente.
Mi voltai e mi trovai parato davanti Flea, che se ne stava appoggiato all'isola della cucina da chissà quanto tempo, sapeva essere parecchio silenzioso quando voleva.
- Suppongo di non dover più chiamare alcun albergo -.
Alzai un sopraccigliosolo perchè così non avrei dovuto davvero replicare.
- Prova a negarlo -. No, non potevo negarlo, non volevo assolutamente dormire in un hotel, ero stanca di stanze desolate e receptionists che ti svegliano al mattino. La casa di John non era esattamente ciò che si direbbe essere accogliente però mi sentivo a mio agio, e mi pareva normale dormire lì.
- Appunto -, Flea abbassò lo sguardo, e quando lo posò nuovamente su di me era tremendamente serio, come se all'improvviso si trovasse a dimostrare tutti i suoi treantaquattro anni invece che una scoppiettante ventina, - Toni se ne è andata da qualche mese ormai -
- Lo so – dissi io di botto, lui si mi sembrò stupito, così aggiunsi – Io e John parliamo parecchio, molto più di quanto tu possa pensare -.
- E' tipico di lui, nei primi periodi con Toni ha provato a stare al telefono anche sei ore filate -, questo lo disse con voce un po' dimessa, forse non si stava neppure davvero rivolgendo a me.
- Quel che ti volevo dire però è di stare attenta, sei ancora in tempo ad uscirne -, questa volta mi stupii, strinsi gli occhi come per mettere meglio a fuoco Flea o quanto mi stava dicendo, - però se rimani stanotte.... -, si bloccò un istante, era evidente che non sapeva come proseguire con le giuste parole.
- Non ho intenzione di scappare -, mi uscì lì per lì e subito mi venne da ridere sarcastica perchè questa era una cosa tipica da me, io mi lasciavo sempre una via di fuga. Non mi ero mai legata a qualcosa che non fosse una traccia incisa su vinile.
- Ok – commentò il bassista in modo atono – Non penso sarebbe una cosa buona per lui, lui ci tiene a te, più di quanto lo dia vedere. Devi capire che lui è un tipo... - gettò un'occhiata verso le scale -...intenso. Vive tutto molto più forte della gente comune, la gioia, il dolore, tutto quanto è moltiplicato per lui, nel bene e nel male, so solo che John è questo -.
Intenso. Era la prima volta che sentivo un aggettivo che riuscisse veramente a descriverlo. Poi pensai alle ultime parole di Flea, - Ma è questo John? -, me l'ero domandato spesso se sarei rimasta così affascinata da lui se lo avessi conosciuto prima, quando era ancora coi Peppers, quando non aveva piste sulle braccia, quando era solo ancora un ragazzino coi capelli tinti di rosso. Flea si stropicciò gli occhi arrossati dalla stanchezza, il che li rendeva ancora più incredibilmente azzurri, - Sinceramente? -, aveva un vago sorriso sulle labbra, - Non lo so, di certo però non era del tutto se stesso neppure quando era nella band, il che non fa forse molto onore a me – si morse il labbro inferiorie – o a Anthony. Non era felice – concluse mestamente.
- E ora con la droga? - ero avida di informazioni, in fondo io non lo vedevo da mesi, l'ultima volta era in un letto d'ospedale e già era difficile capirlo, figurarsi per telefono.
Flea scosse la testa, - Non posso dirti come comportarti nei confronti della sua dipendenza -. Rimasi congelata per un istante, basita dal fatto che avesse capito – ancora prima di me, probabilmente – quale fosse il vero scopo della mia domanda. - Una volta John m'ha detto che lui non aveva problemi con le droghe, ero io che avevo un problema con lui che si faceva. E be', penso abbia ragione: sono io quello che ha problemi con le droghe. E' un problema per me se i miei amici muoiono –, tracciò linee astratte con l'indice sul bancone della cucina, - Io glielo ho detto che non voglio che si droghi, è tutto quello che posso fare come persona che gli vuole bene -, strinse le labbra già di per sè sottili – e lo rispetta. Questo è quello che faccio io, come muoverti ora decidilo tu -.
Stavo ancora calcolando le sue ultime parole quando m'accorsi che s'era già messo sulle spalle la custodia di uno dei bassi e l'altra la stringeva in mano. - Io vado, buona notte -.
- 'Notte – risposi io alla porta che s'era ormai già chiusa dietro Flea.

 

 

Mi rigirai sul divano, sarà anche stato il jet leg ma ora non riuscivo proprio più a dormire, sarà stata almeno mezz'ora che ero già sveglia. E poi non c'erano rumori, ero abituata ad addormentarmi al frastuono del bar sotto casa mia, delle macchine che sfrecciavano per la strada, degli ubriachi che si canzonavano fra di loro e si promettevano di rimanere amici per sempre – poco importava che si conoscessero da cinque minuti -. Persino nella mia casa di Manchester nel pieno della notte potevo riconoscere ogni singolo suono, come quello sferragliante della saracinesca che il panettiere alzava alle quattro. L'ultima volta che avevo dormito senza rumori era stato ad Edimburgo, vivevamo praticamente in campagna, la casa si affacciava su di una distesa di prati incolti... i pensieri stavano cominciando a correre troppo veloci, li bloccai prima che arrivassero ad un punto di non ritorno.
Mi girai ancora dall'altro lato e allungai una mano che si scontrò con un certo disappunto contro la pelle fredda del divano. Mi pervase un certo disappunto. Non ero neppure più abituata a dormire da sola e Noel quando non cercava di buttarmi giù sul pavimento era un buon compagno di letto. Altra scarica di disappunto, mi era appena passata per la mente l'immagine di Meg accocolata, avvinghiata, avviluppata attorno a lui su di un materasso ad acqua nella di Mick fottuto Jagger...
Di botto un rumore secco, mi voltai rapida percependo la fastidiosa sensazione della pelle a contatto con il rivestimento in cuio del divano. Scrutai un secondo tra le ombre e fra esse trovai John, pietrificato nel suo ultimo movimento, i occhi spalancati come un gatto acciecato dai fanali di un'auto che gli viene incontro a tutta velocità. Ai suoi piedi un libro di fotografia d'autore. Chiusi gli occhi un secondo per potermi riprendere dallo spavento che m'ero presa, quando li riaprii John non era più di fronte a me, bensì raggomitolato contro la libreria che sovrastandolo sembrava che lo stesse per sopraffare. Tremava.
Misi i piedi per terra anche se non mi sembrava neanche di sentirlo, il pavimento. Avanzai oscillando, muovendo pochi passi in quella casa che al buio mi appariva ancora diversa da come l'avevo sempre vista, non avrei saputo dire dov'ero, non era Hollywood, non era la California, non ero certa neppure che fosse ancora mondo. Mi accostai a John, che finalmente alzò lo sguardo, che nonostante il continuo rabbrividire del corpo era ancora deciso, fermo. Paradossalmente mi infuse una certa dose di sicurezza, anche se non ebbi la forza di fissarlo per più di qualche secondo, perciò mi soffermai sulle sue braccia nude e martoriate. Attorno al destro aveva stretto la cintura, ma si faticava comunque a scorgere in quell'intrico di croste e bende una vena buona.
- Va tutto bene -, sentii provenire una voce ovattata. Ne avevo la certezza, non eravamo più in questo mondo, eravamo nel mondo di John, dei suoi fantasmi e spiriti. Gli credetti: andava tutto bene.
Nel mio campo visivo comparve una siringa, - Potresti...? -, notai solo allora la sfumatura contrita di dolore nella sua voce. Alzai appena gli occhi, la mano gli tremava senza posa, pensai che fosse un miracolo che fosse riuscito già solo a riempire la siringa.
Andava tutto bene, andava tutto bene. Presi delicatamente l'oggetto che John mi porgeva, stava per iniziare a tremare pure la mia di mano, ma non glielo permisi. Fui decisa, e quasi senza accorgermene mi trovai a premere lo stantuffo. No, non andava tutto bene.
Immediatamente sentii il corpo di John tendersi, i muscoli contratti in uno spasmo accentato da un sospiro, ed infine tornare a rilassarsi. Il tremore era finito. Tutto finito.
Mi accorsi d'aver chiuso gli occhi, quando sollevai le palpebre vidi la mia mano che stringeva ancora la siringa. L'impulso di strapparla via dal suo braccio mi colpì come una scarica elettrica, però mi controllai e la sfilai con quanta più calma possibile, con la sola paura di fargli del male, paradossalmente.
- Scusa – mi mormorò John, non m'ero accorta che avesse appoggiato le labbra ai miei capelli.
- Eh? - ribattei interdetta.
- Temo d'essere stato io a svegliarti. Il libro, sai – e fece un cenno al volume che giaceva ancora per terra spalancato. Provai a dirgli che ero già sveglia ma non mi venne fuori che un borbottio confuso, così lasciai perdere e m'accontentai di fissare una delle foto. Ponte Vincent Thomas, Downtown, LA.

 

Davanti a me stava ancora quel libro di fotografia, alla luce soffusa, dall'alone arancione che permeava la stanza il ponte della foto sembrava molto meno reale, incuteva meno timore. Nell'aria d'era della musica, era stato quel richiamo a farmi aprire gli occhi. Oh, era un disco che conoscevo bene, era un po' come essere svegliati da una voce familiare che ti chiama con il tuo soprannome, con quella nota d'affetto. Mi alzai, avevo dormito tutta notte contro la libreria e la mia schiena e il collo ora facevano inquietanti scricchiolii di protesta.

Sunday morning, praise the dawning
It's just a restless feeling by my side
Early dawning, Sunday morning
It's just the wasted years so close behind

John stava seguendo ogni mio singolo movimento – il che era diverso dal fissare -, era seduto a gambe incrociate sul divano e con lo sguardo mi sfiorava appena, senza però perdermi mai. Inalai a pieni polmoni l'aria: era fragrante, una cosa che di certo non avrei potuto assaporare nel mio quartiere di Londra. Guardai fuori dalla finestra, doveva essere primo mattino, il sole appena sorto entrava in casa passando prima dal filtro delle tende arancio intenso. Ressi lo sguardo di John sino a che lui non si decise ad alzarsi, per andare a smanettare sul giradischi. Sentii il fruscio inconfondibile della puntina che percorreva i solchi del vinile a vuoto. Poi la canzone attaccò.


Watch out, the world's behind you
There's always someone around you who will call
It's nothing at all

La notte appena passata non era mai esistita.
John torno verso di me, un vago sorriso gli increspava le labbra, la luce mattutina che donava un po' del suo colore pure alla pelle del suo viso. Era impossibile che quell'uomo fosse lo stesso della notte prima.
Rimasi interdetta un secondo, dandomi uno schiaffo mentale: sì, era lo stesso. Non potevo mentirmi così spudoratamente. Era mattino, ma la notte sarebbe tornata, prima o poi, e quelle mani che ora pasticciavano con l'orlo di una camicia troppo grande avrebbero ripreso a tremare, ma...
Mi scrollai via di dosso quei pensieri, non per cacciarli, solo per dire che non mi importava, che li accettavo. Ora andava tutto bene, ma presto sarebbe potuto volgere tutto al peggio, lo stesso ce l'avrei fatta. Flea ce la faceva.
Presi la mano che John mi porgeva e m'avvicinai, con una mano gli accarezzai una guancia – così dannatamente spigolosa – e tutto il profilo del suo volto. Era la stessa mano che gli aveva palpeggiato un avambraccio alla ricerca di una vena buona, era la stessa carne. Lentamente ballammo mentre Lou Reed cantava, ricordandoci tutto quello che avevamo fatto. Non di di meno andammo avanti a muoverci con la musica.
Eravamo guancia contro guancia, mi sembrava di stare in un qualche vecchio film dalla pellicola color seppia.
- Devo andarmene per via del lavoro – feci in neanche un sussurro, sicura che tanto m'avrebbe sentita. - Voglio rivederti però -, ammisi prima ancora che il mio cervello potesse completare un pensiero coerente. Sapevo che il mio desiderio non era una cosa così ovvia e semplice da accontentare, ancora non sapevo quanto sarei stata via.
- Ci rivedremo -, rispose sicuro. Non c'era bisogno di aggiungere nient'altro, era una promessa la sua, sapevo che quando sarei tornata, l'avrei trovato ancora vivo. Continuammo a ballare, strinsi John un po' di più, poiché quel giorno avrei avuto un aereo che avrebbe messo una distanza oceanica tra noi due. Ma intanto era ancora domenica mattina.

Sunday morning and I'm falling
I've got a feeling I don't want to know
Early dawning, Sunday morning

Ciao! Ehi, vi ricordate di me?? Ok, forse no, ed è colpa mia dato che non mi son fatta sentire per più di 2 mesi, porcammerd@!!! Scusate, mi sono fatta prendere dall'estate e dalle operazioni pre-partenza per il Galles...mmm quindi che dire di questo capitolo....Allora c'è molto Frusciante, c'è un po' di Red Hot Chili Peppers, e come un'amica mi ha detto "ma questa non era una fanfiction sugli Oasis?!" Be', no, insomma è una multiband crossover, ma comunque non preoccupatevi se mi avete cominciato a seguire per via dei Gallaghers, perchè presto torneranno (il prossimo capitolo sarà un pezzo importantissimo della loro storia!). Diciamo che sto spaziando un po' per dare un po' l'idea di ciò che succedeva a metà anni '90 oltre gli Oasis. Un po' di cenni, allora Funky Monks è una bellissima canzone presente su Blood Sugar Sex Magik, forse mio album preferito dei peperoncini, 
http://www.youtube.com/watch?v=398xVamo2_UI
Clara è la figlia che Flea ha avuto con Loesha (lui ha ancora tatuato il nome di lei sul petto) Le frasi scritte sui muri di casa di John spiace dirlo ma c'erano davvero, e parte delle frasi che Flea dice a Cassandra durante il loro dialogo sono riprese da un'intervista del bassista. Quel che viene detto di Anthony Kiedis e del suo incontro con gli Oasis è preso da "Scar Tissue", l'autobiografia del cantante dei Peppers.
Se non siete molto pratici dei Red Hot Chili Peppers e delle loro usanze, questo è un video che mostra cosa vuol dire suonare "Socks On Cocks" http://www.youtube.com/watch?v=qqM86gj58OA Flea mette a dura prova il suo calzino, giocando con la forza di gravità ;) L'ultima canzone è Sunday Morning dei Velvet Underground & Nico, e l'album da cui è tratta è apparentemente uno dei preferiti di John. La canzone è straconosciuta, ma vi coniglio di sentirvi l'intero album ;) 
shttp://www.youtube.com/watch?v=eF_CQGHqztsnch
Se non siete molto pratici dei Red Hot Chili Peppers e delle loro usanze, questo è un video che mostra cosa vuol dire suonare "Socks On Cocks" http://www.youtube.com/watch?v=qqM86gj58OA Flea mette a dura prova il suo calzino, giocando con la forza di gravità ;) Vi saluto e vi lascio una delle foto che più mi piace di John, è assieme a Sunny, l'altra figlia di Flea a cui ha fatto da padrino, purtroppo non sono riuscita a trovarne nessuna di lui con la piccola Clara, ma questa rende l'idea di certo. Grazie mielle per continuare a seguirmi Cheeers!!
e streets you crossed, not so long 

 

 

 

   
 
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