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Autore: LyndaWeasley    12/08/2012    4 recensioni
Sebastian/Thad | Slash | Long Fiction;
Passò qualche istante prima che Nick riprese a parlare. «Tu... tu credi nel karma?».
Thad arricciò l’angolo della bocca. «E’ quella roba sul fatto che, prima o poi, tutto torna? Cioè, se fai un’azione cattiva... prima o poi la natura te la farà pagare?».
«Più o meno».
Ridacchiò. «Beh, dopo ore e ore di preghiera, un’impalcatura è crollata nel museo sabotando la nostra noiosissima gita... non vedo perché non dovrei credere al karma».
~~~
«Non farlo, Thad» replicò Sebastian fermandosi improvvisamente e rivolgendogli uno sguardo fin troppo serio.
Ah-ha! Colpito e affondato.
«Non ti piace? Bene. Smythy Smythy Smyyyyyythy!» ridacchiò l’altro, scuotendo la testa in maniera completamente idiota.
Inaspettatamente Sebastian gli si parò di fronte, bloccandolo: ma che stava succedendo? Non sembrava offeso, piuttosto... incazzato. Ma perché? Lui lo chiamava con ogni genere di nomigliolo insopportabile, non sarebbe successo niente se lui avesse cominciato a ricambiargli il favore.
«Mio fratello mi chiamava in quel modo» disse soltanto.

Enjoy! :)
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Warblers/Usignoli | Coppie: Nick/Jeff, Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo volevo dedicarlo a

tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono detti

ad alta voce e con tono convincente: “Io ce la posso fare”.

 

 

 

 

Capitolo 6.

Una No-ia al Museo

 

 

 

 

Quella era una di quelle situazioni talmente imbarazzanti che Thad avrebbe preferito ingoiare quintali di prugne secche piuttosto che viverle. E con ‘imbarazzanti’ intendeva che la vergogna gli usciva fuori da ogni poro della pelle.

Lui era seduto sul suo letto, la schiena rigida e lo sguardo indagatore e confuso; Sebastian se ne stava appoggiato all’armadio con le braccia dietro la schiena e uno sguardo indecifrabile, mentre la piccola Sarah era accovacciata sul tappeto, le gambe strette tra le braccia e gli occhi puntati su Thad.

«Però hai una faccia buffa» se ne uscì lei, rompendo il silenzio con la sua vocetta squillante.

Thad non riuscì a capire se quella fosse una considerazione seria o se lo stesse solamente prendendo in giro. Il fatto era che il viso di quella bimba lo confondeva così tanto... la conosceva da cinque minuti e aveva usato già mezza dozzina di espressioni per rivolgersi a lui. Ora che la guardava bene, somigliava davvero molto a Sebastian: la stessa forma del viso, lo stesso taglio di occhi – anche se quelli di lei erano di un brillante marrone scuro – e, in qualche modo, quando Thad la guardava, gli sembrava di vedere un piccolo Smythe con i capelli lunghi.

Non che la cosa fosse granché rassicurante.

«Tanto per curiosità» cominciò Thad, decidendo di ignorare la precedente critica di Sarah «e se uscissi dalla mia stanza e lasciassi voi due soli – sempre nella mia stanza?».

In effetti non aveva ancora realizzato bene il motivo per cui fossero tutti e tre ammucchiati là dentro, ognuno sulle sue. Guardò Sebastian, che in quel momento sembrava stesse trovando estremamente interessante una macchia scura sul soffitto.

Si sentiva un tantino in trappola: la presenza di ben due Smythe lo stava preoccupando. Già quando ce n’era solamente uno nei paraggi, la cosa non gli piaceva granché.

«Non vedo perché io e mia sorella dovremmo restare nella tua stanza» disse Sebastian.

«E’ quello che mi sto chiedendo da quando siete entrati» rispose Thad. «Anzi, a dire il vero io non capisco perché tutti e tre dovremmo restare segregati qua dentro» saltò su.

Improvvisamente si vergognò un sacco della confusione che regnava in quella stanza: non ci aveva pensato sul momento ma, quando la sua attenzione si focalizzò su una piramide ben costruita di calzini sporchi – probabilmente di Jeff –, arrossì lievemente.

Fregandosene di entrambi, si alzò e si stiracchiò. Aveva il sedere intorpidito e non vedeva l’ora di uscire e sgranchirsi le gambe. Quel teatrino silenzioso stava durando fin troppo e lui non aveva voglia di perdere tempo – anche se, in realtà, non è che avesse molto da fare. Giusto i compiti ma, piuttosto che stare lì imbambolato, avrebbe preferito temporeggiare facendo il giro della scuola senza motivo per tutto il pomeriggio.

«Dove vai?» chiese la bimba.

Thad terminò il suo rito di stiracchiamento e posò lo sguardo su di lei.

«A... ehm... fare i compiti».

«Ma non dire baggianate, Thad» intervenne Sebastian, suscitando risolini da parte della sorella.

Thad lo ignorò e attraversò la stanza a grandi passi, sicuro di avere lo sguardo di entrambi gli Smythe puntato sulla schiena.

Ma perché dovevano essere così inquietantemente inquietanti?

«Posso venire anche io?».

Ma co-? Certo che quella bambina era strana forte, eh. Peggio del fratello. No... no, impossibile, anche se da qualcuno doveva pur aver preso.

«Teoricamente tu non potresti nemmeno stare qua» spiegò Thad.

«In effetti ha ragione, Sarah» concordò Sebastian. «Hai detto che sei con nostra madre?».

La piccola annuì.

«Bene, ti riaccompagno fuori» continuò, avvicinandosi a lei e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. Entrambi sorpassarono Thad – che stava ancora in piedi accanto alla porta – e uscirono. Aggrottò la fronte e, quando fu sul punto di uscire anche lui, Sarah ricomparve di nuovo nella stanza e lo squadrò dal basso verso l'alto.

«Un giorno potresti venire a casa mia a bere un tè» disse. «Vorrei presentarti Jessica e Marika!».

«Chi sarebbero Jessica e Marika?» rispose Thad, leggermente atterrito da quella confessione così inaspettata.

Sarah sorrise. «Le mie Barbie!».

Thad sgranò gli occhi e gli venne in mente un flash di lui circondato da bambole mentre beveva il tè in casa Smythe. Or-ri-pi-lan-te!

«Ahem... sei seria?»

«Certo! Anche se sei strano, mi piaci tanto tanto!» esclamò la piccola, sorridente, per poi uscire sgambettando dalla stanza.

Oh, porca miseria.

 

 

«Io sto davanti».

«Ma tu ci stai ogni volta!».

«Che cavolo dici, non siamo mai andati in gita, come faccio a starci ogni volta?».

«Vabbè ma... voglio starci io!».

«E se ci andassi io?».

«Treeeent davanti e dietro tutti quantiiii!».

Un coro di risa esplose nel cortile dell’accademia Dalton quando Thad improvvisò quel motivetto. Perfino lo stesso Trent prese a sghignazzare, ignorando il fatto che la battuta fosse un tantino crudele.

Finalmente era arrivato il giorno della gita: Thad non stava nella pelle! Sebbene gli fregasse ben poco di vedere musei d’arte italiana, almeno sarebbe uscito dai confini accademici e avrebbe passato un po’ di tempo in compagnia dei suoi amici. La scuola aveva noleggiato un piccolo pullman per accompagnarli in città e, in quel momento, erano tutti seduti sulla scalinata principale aspettando che arrivasse.

Non erano in tanti, considerando il fatto che alcuni non avevano aderito: Thad ne contò una decina.

«Sono contento che andiamo in gita» ruppe il silenzio Jeff, «però devo ammettere che stavo più comodo nel mio letto».

Thad gli sorrise e non poté fare a meno di pensare che un giorno fuori dalle mura della scuola avrebbe solo che fatto bene al suo amico, anche se in quegli ultimi giorni sembrava abbastanza tranquillo rispetto al periodaccio precedente: un po’ d’aria nuova avrebbe sicuramente giovato alla sua salute. Mentale e fisica.

Anche Nick aveva perso un po’ del malumore che lo aveva colto in quel periodo – e i solchi scuri sotto agli occhi erano finalmente spariti: continuava a ripetere che le cose con Sally stavano andando meglio, quindi si supponeva fosse per quello... ma Thad non era molto convinto. Più che altro non sapeva cosa pensare e Nick era un ragazzo un po’ riservato.

«Thad» interruppe i suoi pensieri una voce alle sue spalle. Si voltò e vide Sebastian avvicinarsi a loro con una nonchalance invidiabile.

Perché? Perché un “Thad” detto in modo freddo e distaccato - che lo fece sentire una pezza - e non un “ehi, ragazzi, buongiorno, come state?”.

«Sebastian» replicò.

«Mia sorella ha detto di salutarti» disse l’altro. «E che ti aspetta per una cioccolata calda a casa nostra».

«Non era un tè?».

«Quello che è» fece spallucce Sebastian.

Thad si sentì un po’ in imbarazzo: aveva come la sensazione che, comportandosi con Sarah in modo volutamente distaccato per quei pochi minuti che avevano trascorso assieme, non avesse fatto altro che accattivarsela ancora di più. Ci mancava solo quello. Gli venne in mente quando, al centro estivo parecchi anni prima, un bambino lo aveva preso talmente in simpatia che scollarselo di dosso era stata una vera e propria missione militare. Ricordava anche il pianto isterico del piccolo quando scoprì che Thad aveva fatto di tutto per levarselo dalle balle.

Oh, no. E se la cosa avesse dovuto ripetersi? Non osava immaginare l’ira di Sebastian Smythe vedendo la sua piccola e innocente sorellina piangere disperata per colpa sua. Non aveva ben capito il rapporto dei due fratelli, però gli pareva di aver colto l’essere protettivo di Sebastian nei confronti della bambina. In fondo... era una cosa davvero molto dolce.

«Ahem... grazie» disse soltanto, sentendo gli sguardi di Nick e Jeff puntati addosso.

Aveva raccontato loro la storia omettendo il piccolo particolare dell’invito che, sinceramente, non avrebbe accettato per nulla al mondo.

Qualche secondo dopo arrivò il pulmino – in realtà sembrava un furgoncino bianco dei gelati piuttosto malconcio – e li attese davanti al vialetto. Il fatto che Trent si fosse seduto nel posto davanti suscitò ancora delle risate da parte dei ragazzi.

«Mi sono perso qualcosa?» domandò Sebastian.

«Ti sei perso la canzoncina di Thad» lo informò Jeff, soffocando ancora le risa.

«Ah, niente di che, quindi» rispose l’altro in tono pacato.

Thad alzò gli occhi al cielo. Rimase un po’ infastidito quando Sebastian si sedette accanto a lui: i posti erano molto stretti e già avrebbero dovuto respirare la stessa aria per mezz’ora di viaggio, ci mancava anche il contatto fisico. Si sentiva stranito... quella era la prima volta, pensò, che stavano così vicini. Quasi si sentiva il fiato del compagno sul collo. E... perché la cosa gli dava fastidio? Stava diventando decisamente troppo paranoico.

Per fortuna, tra una cavolata e l’altra, il viaggio passò abbastanza in fretta. Jeff e Trent avevano deciso di intrattenere tutta la comitiva raccontando barzellette e aneddoti demenziali, giusto per passare il tempo. Durante il viaggio, Thad aveva osservato molto Nick e il suo essere coinvolto ogni volta che Jeff apriva bocca. Era sicuro che in quel periodo, entrambi con l’umore sotto alle scarpe, avevano deciso di supportarsi a vicenda e Thad era molto fiero di loro: non aveva più parlato con Jeff riguardo alla ‘previsione’ della veggente, ma sembrava che lui avesse lasciato perdere. D’altronde se c’era qualche novità o qualche problema, lui era il primo a cui Jeff si rivolgeva. Detto francamente, invidiava un po’ la loro amicizia: erano sempre così disponibili l’uno con l’altro, si cercavano a vicenda ed erano sempre andati d’accordo. Non che con lui si comportassero diversamente, però era... non sapeva spiegarlo con esattezza. Li considerava i suoi migliori amici, ma non negava che aveva sempre desiderato un amico come Jeff lo era per Nick e viceversa.

Il pulmino si fermò accanto ad una piazza e tutti gli studenti si precipitarono fuori, respirando finalmente aria fresca: era il minimo, dopo essere stati parecchio tempo in uno spazio così ristretto.

Thad si stiracchiò le braccia e la schiena e un sonoro crock echeggiò nell’aria.

«Che diavolo era?».

«La mia schiena, credo».

«Cristoddio, Thad, che impressione!» esclamò Trent, scrutandolo quasi fosse un alieno.

Thad ridacchiò, godendosi le espressioni di disapprovazione dei compagni, soprattutto la faccia inorridita di Jeff.

«Ora Thad si trasforma in Iron Man!» esclamò Trent, puntandogli un dito contro. Tutti scoppiarono a ridere, perfino Sebastian accennò ad un ghigno divertito. Improvvisamente Thad si accorse di quanto il sorriso di Sebastian fosse contagioso: quando lo vide sorridere fu come travolto da una sensazione di pace e – forse solo perché solitamente il suo sguardo tramandava astio. Ora invece sembrava sereno e il fatto di non avere un ghigno strafottente impresso in faccia lo faceva sembrare addirittura bello.

Cosa che lui non avrebbe dovuto pensare, in teoria... ma in pratica, oh, era solo una considerazione. Non significava niente.

Thad, confuso sul motivo per cui Trent lo avesse paragonato ad Iron Man, assunse un’espressione che sarebbe dovuta essere ‘sexy’.

«Lo dici perché senza armatura sono un genio, miliardario, playboy, filantropo*?».

Altre risa. Anche Thad rise della sua battuta e la cosa gli sembrò un po’ patetica, ma in realtà erano loro che lo facevano sorridere, le loro risate.

 

 

Erano dentro al museo da ormai tre quarti d’ora. Non si erano ancora mossi dalla sala principale, piena di statue e di quadri antichissimi dei quali a Thad non importava una mazza - e probabilmente i suoi compagni pensavano la stessa cosa.

Quel museo aveva come minimo altre dieci sale e se avevano speso tre quarti d’ora – se non di più – solo per una, non osava immaginarsi quanto tempo avrebbero perso per le altre. Gli stava già venendo il latte alle ginocchia e ormai era da cinque minuti che sbadigliava di continuo.

«E se ci infilassimo in qualche sgabuzzino e giocare a Ramino?» propose sottovoce, rivolto a chiunque lo ascoltasse.

Fu Nick a rispondere per primo. «Ci sto. Questa gita è una palla!».

«Se lo dice Nick...»

«Dai ragazzi, silenzio, mancano solo quattro ore e mezza al pranzo» rispose poi Jeff.

Okay, se anche Nick concordava sul fatto che quella gita fosse una noia mortale, la cosa era grave. Si voltò e vide che Sebastian stava scrutando con aria confusa una statua: anche gli altri se ne accorsero e gli rivolsero occhiate curiose.

Solo dopo pochi istanti lui si accorse di essere osservato.

«Che volete?».

Solito tono simpatico.

«Non sembri un tipo amante dell’arte... E’ così interessante quella statua?» domandò Nick, ridacchiando.

«E anche se fosse?» rispose di rimando Sebastian.

«Non la dai a bere a nessuno».

«E va bene» si difese Sebastian alzando le mani, «trovo che questo qua somigli molto a Flint. Chi era?».

Ma co-?

Stava davvero paragonando una statua al loro amico Flint? Thad era indeciso tra lo scoppiare a ridere o mantenere lo sguardo perplesso che era sicuro di aver assunto in quel momento.

«Ma dai» intervenne Trent, «è come se io paragonassi il mio joystick a mia madre. Non ha senso».

«Queste tue battute non hanno senso, Nixon» rispose Sebastian arricciando il naso.

«Invece di bisticciare, perché non troviamo qualcosa da fare?».

«Comunque quel tipo della statua è Donatello, secondo questa mappa del museo» intervenne Thad aprendo l’opuscolo che teneva in mano e appoggiandolo al muro: da piccolo com’era, ora si era rivelato una mappa ben dettagliata del museo, descrivendone tutte le sale con i vari dipinti e/o statue che vi erano all’interno.

Jeff si avvicinò con tranquillità a Thad, che in quel momento sembrava davvero molto concentrato.

«Thad...».

«Mh?».

«Ora recitiamo insieme: “Io, Thad Harwood, sono un pirla”».

L’altro inarcò un sopracciglio. «Ehi!»

«Beh, hai praticamente il nostro biglietto d’uscita in mano e non ci hai detto niente!» sbraitò Jeff, strappando di mano la mappa al compagno con poca grazia. Si mise a scrutarla, in silenzio.

«Ma che vai dicendo?» continuò Thad, senza capire cosa volesse dire. Si voltò verso i compagni e notò che tutti scuotevano la testa con fare scettico. Allora era vero: l’Arte faceva proprio male alla salute mentale come aveva sempre pensato.

Jeff alzò lo sguardo. «Trovato».

«Mi vuoi dire che cacchio stai facendo?».

Il biondo sbuffò. «Questa è una mappa, Thad. Una mappa» ripeté. «Lo sai cosa se ne fanno delle mappe nei film?».

«Di solito se le mettono in testa quando piove, ma non-».

«Passaggi segreti! Per uscire da questo postaccio. Dovreste ringraziarmi, ne ho già trovato uno» continuò, avvicinandosi ai compagni e indicando un punticino poco distante da loro. «Se ci infiltriamo qua dentro poi, scendendo le scale, potremmo ritrovarci nei sotterranei e-».

«Sì, e magari poi sbuchiamo dietro un quadro... Jeff, non siamo a Hogwarts!» esclamò Thad, togliendogli di mano la mappa. «E questo non è un passaggio segreto, ma è il condotto dell’aria e sarà largo come la tua testona. Credo che nemmeno Sebastian con la sua magrezza riuscirebbe ad infilarsici. E’ troppo stretto!».

Jeff parve un po’ abbattuto, ma non poté negare di essersi fatto prendere un po' la mano dall’entusiasmo. A Thad fece tenerezza la sua espressione da cucciolo bastonato e gli sorrise.

«E se invece uscissimo dalla porta principale? Così, giusto per dirne una» disse Sebastian con una punta d’ironia, attirando gli sguardi dei compagni: Thad dovette ammettere che, tra tutte le baggianate che erano state dette nell’ultimo quarto d’ora, quella era la più sensata. Tuttavia... come fare senza catturare l’attenzione degli insegnanti? Insomma, se su dieci ragazzi ne fossero spariti la metà, se ne sarebbero accorti all’istante. L’unica cosa da fare era soffrire in silenzio.

Un paio di minuti dopo erano stati tutti catapultati nella sala successiva che, per fortuna, era almeno un po’ più accogliente della precedente: era più luminosa, decisamente più grande e la luce del sole che entrava dalle poche finestre faceva risaltare i colori caldi della moltitudine di quadri che tappezzavano le pareti. Non che questo avrebbe reso la lezione più interessante o meno noiosa, ma almeno non sembrava di stare in uno scantinato.

Qualcosa gli diceva che avrebbero speso là dentro il triplo del tempo che avevano passato nella sala precedente.

 

Quando, un’ora e mezza dopo, entrarono nella sala successiva, Thad stava boccheggiando: faceva un caldo bestiale, come minimo c’erano il doppio dei gradi che era abituato a sopportare e, per di più, stava raccogliendo tutte le sue forze per non addormentarsi sulla spalla di Trent. Era così morbida e invitante... e lui aveva così tanto sonno...

I suoi pensieri furono interrotti da un uomo che si stava avvicinando a loro.

«Salve» disse rivolto alla professoressa. «Scusate se vi interrompo, ma sono costretto a chiedervi di posticipare la vostra lezione al pomeriggio. Stiamo facendo dei lavori di ristrutturazione nelle sale quattro, sei e sette, e abbiamo avuto problemi con l’impalcatura... non vogliamo correre rischi».

La professoressa rimase un po’ interdetta, ma acconsentì.

«Ragazzi, concludiamo con questa sala, poi continueremo poi nel pomeriggio».

I ragazzi si scambiarono occhiate eloquenti. «D-dio... Lui esiste» boccheggiò Nick, suscitando le risate dei compagni.

«Farò finta di non aver sentito, Duvall!» lo rimproverò la donna, cominciando subito l'ultima spiegazione della mattinata.

Thad non riusciva a capacitarsi di quanto quella botta di culo fosse arrivata al momento giusto: insomma, erano appena le dieci e mezza e, calcolando un’oretta circa in quella sala, sarebbero usciti alle undici e mezza... Il museo avrebbe riaperto alle quattro di pomeriggio e loro avevano il pullman di ritorno alle sei e mezza e, dal museo alla fermata, ci sarebbe voluto un quarto d’ora di cammino, quindi... avrebbero dovuto lasciare il museo alle sei circa. Ciò significava che, tra una cosa e l’altra, avrebbero fatto visita a cinque sale su un totale di dodici.

... Dio esisteva davvero!

 

 

 

Avrebbe pagato oro pur di stare sdraiato su quel prato tutto il pomeriggio. Se c’era una cosa che apprezzava di quella professoressa, era che amava la natura e gli spazi aperti quasi quanto lui; fosse stato per Thad, avrebbe passato tutto il giorno a scrutare le nuvole sopra di lui, ad ascoltare il silenzio che regnava in quel posto e a pensare. Perfino i suoi compagni sembrava si stessero godendo quelle poche ore di pace che gli erano state concesse.

Non lo faceva perché era pigro – forse un po’ – o cose simili, ma perché era una delle poche cose che lo facevano stare bene.

Nick era sdraiato ad occhi aperti accanto a lui; Trent e Sebastian stavano giocando a Ramino ad un paio di metri di distanza da loro e, stranamente, lo stavano facendo in modo tranquillo; Jeff, d’altro canto, era disteso a pancia in giù e sembrava si fosse addormentato; il resto del gruppo era sparpagliato qua e là per il parco del museo e Thad non riusciva a vedere cosa stessero facendo.

«Thad?».

La voce flebile di Nick lo distolse dai suoi pensieri.

«Mh?».

Passò qualche istante prima che Nick riprese a parlare. «Tu... tu credi nel karma?».

Thad arricciò l’angolo della bocca. «E’ quella roba sul fatto che, prima o poi, tutto torna? Cioè, se fai un’azione cattiva... prima o poi la natura te la farà pagare?».

«Più o meno».

Ridacchiò. «Beh, dopo ore e ore di preghiera, un’impalcatura è crollata nel museo sabotando la nostra noiosissima gita... non vedo perché non dovrei credere al karma».

Nick rise e poi si bloccò per paura di non disturbare il sonno dell’amico accanto a loro.

«Hai ragione!».

Anche Thad sorrise, e-

«Un momento... ma questa domanda sul karma era una curiosità o c’è qualcosa dietro?».

«Beh-».

«No senti, Nick, se mi stai dicendo che stai aspettando che il karma alzi le sue chiappette per venirti incontro, ti sputo in entrambi gli occhi in modo agonistico» lo bloccò subito Thad, temendo che cominciasse con i suoi discorsi malinconici e decisamente fuori luogo.

Nick sorrise ancora, un sorriso che significava ‘hai colto nel segno’.

«Non proprio... è che... ci penso spesso e mi chiedo se tutto quello che sto facendo per le persone a me care in questo momento prima o poi mi verrà ripagato con qualcosa di bello» rispose con tono pacato e gentile. «Non che mi dispiaccia rendere felici i miei amici gratuitamente».

«Ci mancherebbe» scherzò Thad.

«Intendevo... non so, non riesco a spiegarmi».

«Ti ho capito, Nick» rispose Thad. «Sei uno dei miei migliori amici, so come ti senti in qualunque momento. Anche se a volte – spesso – faccio il coglione, non significa che sono insensibile. Anche io ho i miei punti deboli»

«E sarebbero?».

«Punto primo, i punti deboli non si rivelano, altrmenti sarebbe troppo facile mettermi KO. Punto secondo, ti ho appena detto che ti capisco anche se mi dici ‘a’, i miei punti deboli dovresti averli capiti tempo fa... Insomma, ti sto praticamente dicendo che ti conosco più del mio ombelico e tu non hai nemmeno idea di cosa mi indebolisce! Sono offeso».

Trascorsero qualche secondo in silenzio, ma a Thad parve un’eternità. Ah! Nick e i suoi cazzo di momenti vomitevoli.

«Senti, Nick... devi smetterla» continuò senza dargli possibilità di risposta. «Non so quali orrendi pensieri ti passino per la testa per farti stare come uno straccio. E il karma? Ommioddio, ma che cazzo ti è capitato di così brutto per deprimerti in questo modo? Nick-Duvall-il-Depresso, tu non ti rendi conto che hai una vita fantastica: hai degli amici come noi che ti scassano sempre le balle, che ci sono sempre per te, che ti assecondano e ti vogliono bene come poche cose al mondo. Hai una famiglia che ti è sempre stata accanto, una sorella con cui condividi praticamente tutto e un padre che è sempre stato fiero di te in qualunque occasione. E hai una ragazza che- okay, escludiamo Sally da questo discorso. Insomma, non hai mai preso un brutto voto, non sei mai stato vittima di bullismo, hai una voce fantastica e fai parte di un gruppo di canto corale che supporta il tuo talento e che sta per vincere le provinciali di quest’anno. Adesso dimmi: cosa-cazzo-ti-affligge?».

Nick continuò a fissare l’amico per qualche secondo, anche dopo che ebbe finito il suo monologo: Thad non riuscì a decifrare quello sguardo. Sembrava un po’ interdetto, ma anche commosso dalle sue parole.

E pensò che forse, senza rendersene conto, aveva centrato proprio il punto del problema: si sentì particolarmente fiero di quel discorso da papino.

«Grazie...» rispose Nick debolmente. «Sarò banale, ma è proprio quello il problema... le ragazze uccidono, Thad».

Thad diede una sbirciatina a Jeff, che stava ancora dormicchiando accanto a lui, e si rivolse a Nick. «Mettiti con Jeff».

L’altro assunse un’espressione accigliata.

«Dai, guardalo» continuò, indicandolo. «E’ così innocente da sembrare una ragazza e nel frattempo così maschio da sembrare... un maschio».

«...»

«Suvvia, hai capito!» esclamò Thad, cambiando posizione e mettendosi a pancia in giù con il mento appoggiato sui palmi.

«Comunque-»

«No, che cazzo, non è giusto!» li interruppe la voce di Trent.

Subito dopo voltarono entrambi lo sguardo verso l’amico e non poterono fare a meno di notare la distesa di carte da Ramino che coprivano il suolo il modo disordinato. Trent era di schiena con entrambe le mani nei capelli, mentre Sebastian lo stava scrutando in maniera indecifrabile. Chissà per quale motivo le espressioni di Sebastian erano la maggior parte delle volte indecifrabili, Thad non ne aveva mai capito il perché. Era forse un talento naturale?

«Ma è possibile?» si lamentò ancora Trent.

«Evidentemente sì» rispose Sebastian, stiracchiandosi. «Su, dai, non ti abbattere».

«No!» esclamò l’altro. «Hai fatto il castello di carte tu ed è filato tutto liscio, sto per mettere l’ultima carta io e booom! soffio di vento! Vaffanculo!».

Thad avrebbe voluto ucciderlo. Il loro discorso serio era stato interrotto da una cazzata colossale e ormai la chiacchierata non avrebbe più preso la piega che avrebbe dovuto, dato che Nick si era già voltato dalla parte opposta per poter sonnecchiare un po’. Evidente la cosa per lui non era così importante – oh, eccome se lo era.

Si alzò e si stiracchiò per bene; per quanto gli piacesse oziare, doveva ammettere che era snervante alzarsi e ritrovarsi pieno di dolori per il troppo ‘dolce far niente’. Certe volte si domandava perché sua madre non lo avesse chiamato “Rottame” anziché Thad.

«Io vado a sgranchirmi un po’ le gambe» comunicò a chiunque lo stesse ascoltando – praticamente nessuno, visto che Nick e Jeff stavano pisolando e Trent e Sebastian erano ancora intenti a raccogliere tutte le carte sparse a terra. «Vabbè».

Si incamminò verso l’estremità del parco con molta tranquillità, avvolto finalmente da una leggera brezza: per essere autunno stava facendo davvero troppo caldo e il blazer dell’accademia certamente non stava aiutando. Così si tolse la giacca – rimanendo solo in cravatta e camicia – e la lanciò per terra accanto a Jeff prima di allontanarsi.

«Aspetta, vengo anch’io».

Sebastian si affiancò a lui, il sorriso a duecentocinquanta denti rivolto verso Thad.

«Perché?».

«Calma, Thaddino, è solo una camminata. Sinceramente, mi si stava appiattendo il culo a forza di stare seduto» sospirò Sebastian grattandosi il naso.

«Chiamami ancora ‘Thaddino’ e ti appendo ad un albero» ribatté Thad, infastidito. Poi gli venne in mente un’idea. «Okay, visto che ti piace darmi ogni genere di soprannome-».

«Veramente per me sei solo Thaddino».

«Comunque» riprese Thad «che ne dici se troviamo un bel nomignolo anche per te? Mmh, vediamo... Sebby? No, troppo banale. Sebs? Naaaah, è troppo carino. Cosa ti sembra di Smythy?».

«Non farlo, Thad» replicò Sebastian fermandosi improvvisamente e rivolgendogli uno sguardo fin troppo serio.

Ah-ha! Colpito e affondato.

«Non ti piace? Bene. Smythy Smythy Smyyyyyythy!» ridacchiò l’altro, scuotendo la testa in maniera completamente idiota.

Inaspettatamente Sebastian gli si parò di fronte, bloccandolo: ma che stava succedendo? Non sembrava offeso, piuttosto... incazzato. Ma perché? Lui lo chiamava con ogni genere di nomigliolo insopportabile, non sarebbe successo niente se lui avesse cominciato a ricambiargli il favore.

«Mio fratello mi chiamava in quel modo» disse soltanto.

Il suo tono duro e distante e quel verbo al passato, gli fecero capire che Sebastian aveva avuto un fratello. Oh, cazzo. Non ne aveva idea... come avrebbe potuto saperlo? Quel ragazzo era così riservato, e poi Thad a malapena sapeva i corsi che frequentava a scuola. Aveva fatto proprio la figura dello scemo, come sempre. Si sentì... in colpa.

Sebastian rilassò le spalle e deglutì, mentre Thad non riusciva a smettere di fissarlo.

«Chiamava? Scusa, Sebastian, io... scusami» borbottò, sinceramente dispiaciuto.

Non gli era stato simpatico fin dal primo momento, però gli dispiacque così tanto di aver fatto una gaffe del genere che avrebbe preferito sprofondare.

«Lascia stare, eh» rispose Sebastian continuando, riprendendo a camminare nella direzione in cui erano diretti. Thad aspettò qualche secondo e poi lo seguì. Non sapeva bene come comportarsi e non era da lui. Cosa avrebbe dovuto dirgli per scusarsi? Magari non delle vere e proprie scuse, visto che lui non aveva alba del fatto che Sebastian avesse perso un fratello.

Improvvisamente gli venne voglia di chiedergli quanti anni ebbe quando morì, se gli somigliava, se era anche lui castano-Smythe, se cantava bene quanto lui...

Gettò un’occhiata nella sua direzione per controllare che fosse tutto a posto: a parte lo sguardo fermo di fronte a lui, sembrava che non fosse successo niente.

«Guarda laggiù» disse lui indicando un punto poco distante da loro. «Andiamo a farci un panino».

Thad notò che Sebastian stava indicando un piccolo furgoncino che vendeva roba da mangiare. Finalmente un po’ di cibo! La fame e il profumo di porchetta non gli fecero nemmeno pensare al fatto che Sebastian lo aveva appena – in un certo senso – invitato a pranzare assieme.

«Due piadine con la porchetta» ordinò Sebastian dopo qualche secondo di indecisione.

Thad stava per dire che gli faceva più gola una di quelle pagnotte belle grosse che erano esposte di fronte a loro ma, per qualche strana ragione, rimase in silenzio.

Frugò nella tasca tirando fuori il portafoglio.

«No, aspetta» disse qualche istante dopo. «Avevo cinque dollari da qualche parte, ne sono sicuro... Dove cazzo sono!?».

«Metti via il portafoglio» gli intimò il compagno, appoggiando qualche soldo vicino alla casa. «Offre la figaggine».

«No, non serve. Non mangio».

Sebastian roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «Senti, sono forse uno dei ragazzi più ricchi di tutto l’Ohio, vuoi che un panino mi faccia andare in bancarotta?» dopodiché prese la piadina pronta che gli aveva appena passato l’uomo e la schiaffò tra le mani di Thad.

Oh...

«G-grazie» disse quest’ultimo, guadagnandosi un’alzata di spalle in risposta. «Senti... non so come scusarmi per la battutaccia di prima».

Entrambi presero a camminare.

«Ovvero?» domandò Sebastian con la bocca piena.

«Beh, tuo fratello... Sai, non sapevo avessi un fratello».

«Ora lo sai».

«Ma com’è...» Thad si bloccò qualche istante. «Com’è che... insomma... se n’è andato?».

«Rubando la macchina nuova di mio padre. E’ stato un grande stronzo» rispose Sebastian continuando a dare enormi morsi al suo pranzo.

Ehi, ma co-?

«... In che senso?» chiese.

«In che senso cosa?»

«Mi stai dicendo che è scappato, praticamente» disse Thad con voce ferma.

«Già» rispose l’altro. «Stronzo, ripeto».

«Io pensavo che fosse morto! Mi hai fatto credere che fosse morto!».

«Io non ti ho fatto credere un bel niente!».

«Beh, da come parlavi e come ti eri abbattuto, pensavo lo avessi perso... Non che fosse fottutamente scappato vivo con la macchina di tuo padre!».

E lui che si era fatto tutte quelle pippe mentali per tutto quel tempo. Un groppo di nervoso gli salì in gola e si stava trattenendo a stento dallo strangolare quel cazzone che camminava accanto a lui.

«Sei riuscito a farmi sentire un gran pirla» commentò aspramente Thad, sospirando.

«Hai fatto tutto da solo» rispose Sebastian.

Forse era vero. Forse no. O forse era semplicemente colpa di Sebastian. Era sempre colpa di Sebastian.

«Ehi, Harwood?».

«Che c’è ora?».

E in una frazione di secondo si ritrovò con il culo all’aria e la faccia dritta in una pozzanghera, mentre la risata di Sebastian Smythe riecheggiava nell’intero parco.

 

 

 

 

 

 

*battuta dal film “The Avengers”. Scusate, non sono riuscita a trattenermi dall’aggiungerla XD

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me.

 

“Credo che stessi dando da mangiare ai dinosauri l’ultima volta che ho aggiornato”.

Ri-cito la prima frase del mio ultimo angoletto. Cioè, davvero... sono passati mesi. Mi potete perdonare? Vero? Vero? *occhietti alla Dianna Agron*
In realtà non è che avevo abbandonato la scrittura perché non avevo tempo o voglia (anche se il tempo viene a mancare comunque), ma perché mi ero ripromessa che, almeno questo capitolo, lo avrei scritto esattamente come me lo immaginavo nella testa. Senza accontentarmi del “Vabbè, tanto i lettori apprezzano lo stesso”.
Mi ci sono messa d’impegno, eh u_u
Vi confido anche che l’avrò cancellato una quindicina di volte, credo.
Aaaaaanyway! State passando delle belle vacanze? :3
Io abbastanza: sono stata a Dublino con un’amica e poi esco spesso con i miei amici. Lo so che non ve ne potrebbe fregare di meno, ma sto temporeggiando perché non ho idea di cosa scrivere riguardo a questo capitolo, LOL :’D
Diciamo che parla da sé. Tornerà la sorellina di Sebastian? Sì. Nick la smetterà di fare l’emo depresso? Sì ( ;) ). Thad la smetterà con le sue pippe mentali? No. Bwahahah!
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente, ovvero therentgirl (ommioddio, non ricordo se te l’ho detto, ma la tua recensione mi ha resa molto aww ç-ç ♥), Lady_Thalia, KIAsia, MartyYeppa, Weh e Somo. Grazie gleeeeeks :3
E anche a tutti quelli che hanno inserito la storia in tutti i posti in cui può essere inserita (che brutta frase), grazie di cuore!
 
A PRESTO si spera,
un arcobaleno per tutti,
Lins ♥



Vi lascio così a caso il mio account di Twitter, dove trollo parecchio e ogni tanto rilascio qualche spoiler (è molto formale detta così). Sono disponibile a qualunque tipo di conversazione :D eeeeooouuuuu
   
 
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