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Autore: Aurelia major    27/02/2007    2 recensioni
Cosa succede quando una persona amabile e amichevole ne incontra una scontrosa e sarcastica ? Guai probabilmente , anche perché c'è chi vuole assolutamente fare amicizia e chi cerca d'impedirglielo a tutti i costi ...
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Ultima chiamata , i passeggeri per il volo Madrid – Tokyo sono pregati di recarsi all’uscita numero 9. Ripeto, i passeggeri del volo AJ-2806 da Madrid a Tokyo sono pregati di recarsi al gate d’imbarco numero 9.

La convocazione, prima in spagnolo e poi in inglese, risuonò nei meandri dell’aeroporto superando il brusio che si levava dalla folla di viaggiatori che gremiva i corridoi dello spazio internazionale. Haruka, che aveva accuratamente evitato di finire nel trappolone teso dai gestori di duty-free agli incauti turisti a base di svariati oggetti inutili e terrificanti souvenir, quali bambole di matador e nacchere variopinte, era già da tempo in attesa ai cancelli d’imbarco. Già di indole preferiva evitare la ressa, ma in questo caso, per di più, non vedeva l’ora di tornare a casa. Non che quella trasferta da tempo programmata non fosse stata di suo gradimento, anzi, proprio la summa di quanto aveva sperimentato a Jerez l’aveva riempita d’impazienza. Erano quasi pronti, mancava un passo alla perfezione e per questo motivo era ansiosa di rimettersi al lavoro per completare gli aggiustamenti al telaio della macchina. Se avessero completato l’allestimento del veicolo prima del previsto infatti, avrebbe avuto tempo ulteriore per familiarizzarsi col prototipo completo e questo le avrebbe dato alcuni vantaggi supplementari che potevano rivelarsi inestimabili.

Oddio, a voler essere sincera fino in fondo, doveva riconoscere pure che era decisamente stufa dell’andazzo al quale aveva dovuto sottostare nelle ultime due settimane.

E non si lamentava del fatto che l’avessero messa alla sferza e fatta lavorare come un mulo, all’opposto, non chiedeva di meglio. Quello che le rodeva era tutto quanto girava intorno alla sua figura professionale. O, per meglio dire, quanto concerneva il marketing, tipo le estenuanti sessioni fotografiche destinate alla pubblicità della marca di olio automobilistico che la sponsorizzava. Durante una di queste era stata ad un passo dal perdere le staffe e mandare a quel paese il fotografo, che continuava a blaterare sulla sua scarsa predisposizione all’obiettivo, e al contempo informare i vari assistenti, che ogni due minuti si precipitavano a ritoccarle il make-up, con parole succinte sulla sede ultima e piuttosto specifica del loro corpo cui destinare quel pennello da trucco.

Questo avveniva durate il giorno, dopo le prove poi, al calar delle tenebre, ogni maledetta sera le toccava sorbirsi una delle tante feste date nella villa privata di qualche riccone andaluso. Party dove non poteva assolutamente mancare, pena trascurare le basilari regole delle pubbliche relazioni. Così, invece di restarsene nel riposo più assoluto a sorseggiare sangria e a imparare il flamenco come avrebbe preferito, le toccava mettersi in tiro, predisporsi a fare la brillante e andare a rapportarsi con della gente alla quale normalmente non avrebbe dedicato neppure cinque minuti di tempo. Suoi mentori in questi circoli che per lei equivalevano ad un girone dantesco erano Hitomi, che non la perdeva di vista un attimo, preoccupata com’era che da un momento all’altro la sua pupilla potesse sbottare e palesare la noia che la pervadeva, e il capo-team che fortemente l’aveva voluta come pilota. Senza contare il suo principale finanziatore, un grassone azzimato e alquanto cafone, che per la maggior parte del tempo la conduceva presso i suoi ospiti tutto soddisfatto, come se stesse esibendo un raro esemplare di animale. Insomma non aveva un attimo di privacy, le stavano appiccicati tutto il tempo, e mentre giravano per i vari gruppi, presentandola ai tizi importanti, e signora, che erano intervenuti a quest’ennesimo party, le suggerivano con chi era utile fermarsi a scambiare due chiacchiere e chi no. Al che era praticamente obbligata ad abbandonare coloro che magari aveva trovato interessanti e con cui si stava intrattenendo piacevolmente, il più delle volte si trattava di belle e giovani signorine, per precipitarsi a fare un’ingessata conversazione con quelli che contavano sul serio. Magari tenendoli a bada con qualche facezia curiosa e autoreferenziale che li facesse ridere, tanto sottolineare quanto fosse cordiale e da rendere il fare la sua conoscenza un vero piacere.

In conclusione, per dare un’adeguata spinta d’avvio alla sua carriera, stava facendo tutte quelle cose che detestava e che rifuggiva come la peste. Non le faceva bene all’umore e la rendeva più irritabile di sempre, ma sapeva quanto fosse necessario, si ripeteva che se l’era voluta e andava imperterrita fino in fondo.

Oltre a ciò c’era un’altra questione che andava risolta quanto prima, poiché occorrevano delle urgenti migliorie da doversi obbligatoriamente apportare prima che il campionato prendesse il via. E non riguardavano solo la sua monoposto o il suo senso frustrato dell’affabilità sociale.

Anche il suo telaio in effetti aveva bisogno di qualche modifica. Probabilmente più d’una, giacché se n’era resa conto durante quei dieci giorni passati continuamente assediata da un parterre variegato di persone, non ultime alcune donzelle che l’avevano tallonata stretta. E lì , quando la marcatura si era fatta ad uomo, per un pelo, ad essere precisa per alcuni centimetri, la sua messinscena non era saltata e aveva inteso che aveva bisogno di parecchie rettifiche.

Beh, era innegabile che aveva tutte le apparenze di un ragazzo e passava agevolmente per tale. Ma doveva stare molto attenta al suo agire col gentil sesso, che a quanto pareva le spagnole non ci mettevano molto ad andare al sodo, e a come parlava, particolarmente quando si riferiva a sé stessa. Ma più di ogni altra cosa aveva bisogno di adeguato abbigliamento.

Tralasciando la questione del volume anatomico, che aveva risolto parzialmente indossando sempre pantaloni dalla vita e cavallo basso, problema che non sussisteva però con la tuta da pilota, visto che le imbottiture simulavano il simulabile adeguatamente, restavano altre abitudini che doveva sradicare.

Giusto per non andare per il sottile, una mattina in hotel poco c’era mancato che tutto andasse a puttane a causa di un paio di mutande che si era dimenticata in giro! Ovviamente non si trattava in assoluto di un capo guarnito di pizzi o di allettanti trasparenze, era un paio di slip normalissimo, ma era più che evidente che erano da donna. Con orrore li aveva notati con la coda dell’occhio e aveva fatto appena in tempo ad agguantarli rapida prima che la cameriera entrasse con la sua colazione.

"E fosse solo quello." Si disse sfiduciata mentre saliva sull’aereo e cercava il suo posto. Tutto si poteva dire del suo seno tranne che fosse prosperoso, affatto, nel suo caso era obbligatorio definirlo quale uno sterno leggermente, proprio appena, appena sporgente. Eppure aveva dovuto rinunciare ai reggiseno sportivi che fino a quel momento avevano adeguatamente supplito alla bisogna. Adesso le toccava bendarsi come la mummia di Tutankamen o, nella migliore delle ipotesi, applicarsi una fascia elastica di tessuto impalpabile che si era fatta appositamente confezionare. Al sarto alla quale l’aveva commissionata aveva spiegato che si trattava di una panciera per curare un fastidioso mal di schiena provocatole dall’abitacolo della macchina. Fortuna che l’uomo era un tipo discreto e che i suoi addominali avevano grosso modo la stessa massa del suo torace e che il tessuto era deformabile, sennò come avrebbe fatto?

Quest’episodio le aveva chiarito definitivamente le difficoltà alle quali stava andando incontro, ma siccome non aveva nessuna intenzione di tirarsi indietro, aveva immediatamente spedito Hitomi a caccia. Sarebbe stato compito suo trovarle altri orpelli simili ed eventualmente farseli modificare per adattarli alla sua figura, tanto era brava ad inventarsi frottole.

Restava comunque un altro ostacolo che non era affatto da poco: come si sarebbe comportata quando quell’altra faccenda sgradevole, che per il momento fortunatamente non si era presentata, ma che presto sarebbe giunta, avrebbe fatto capolino? Perché la sua natura, non è che si sarebbe arrestata innanzi alla situazione creatasi nel frattempo, eh no, quanto prima avrebbe preteso dazio. E dire che già normalmente a lei quel simpatico problemino che ogni ventotto giorni a stento tollerava dava immenso fastidio, figuriamoci adesso!

Urgevano contromisure, analgesici a pacchi e mutande ( ancora mutande ? maledizione !) a tenuta stagna come lo scafandro di un palombaro!

Haruka sospirò, non sarebbe stata una passeggiata e lo sapeva fin dall’inizio. Si contorse sull’angusto sedile e cercò di sistemare in un modo più confortevole le lunghe gambe.

Se avesse accettato l’offerta del partner spagnolo del suo promotore a quest’ora sarebbe stata in prima classe, comodamente seduta ad ascoltare musica e sorseggiare acqua tonica. Invece eccola lì, per questioni di prudenza, poiché lei e Hitomi , alla luce di quanto sopra, avevano concluso che per i primi tempi era meglio adottare un basso profilo. Per cui doveva arrangiarsi a lottare con lo spazio ridotto e il tedio del lungo viaggio. Tanto sulla compagnia di quest’ultima non si poteva contare, cadeva in catalessi subito dopo il decollo. Quanto a lei, benché ne avesse bisogno, proprio non le riusciva di assopirsi in quelle posizioni impossibili.

"E pensare che quando vivevo in quel centro d’accoglienza ero costretta a dormire su una branda con un materasso di crine e senza riscaldamento!" Pensò con un ghigno amaro riandando con la mente a quel periodo breve, ma infame, che aveva trascorso in quell’ostello saturo di adolescenti disadattati. Beh, in un certo senso quei mesi l’avevano temprata e addirittura, oggi, riteneva che finanche i frequenti scontri che aveva avuti con gli altri ospiti del luogo erano stati profittevoli. Altrimenti avrebbe corso il rischio di finire in uno stato d’inedia mentale e fisica pericolosa. E forse era anche grazie alle lotte che aveva affrontato se adesso era qui.

Forse era il caso di approfittare delle lunghe ore di silenzio e immobilità date dal volo per sviscerare alcuni elementi ai quali non aveva dato giusto rilievo durante la frenesia degli ultimi tempi.

Innanzitutto quest’impazienza di tornare a Tokyo. Per lei era davvero una novità. Quando c’era venuta per la prima volta si era trattato di pura esigenza e d’allora , ogniqualvolta se n’era allontanata, aveva vissuto il distacco con disinteresse, ché poco gliene importava a conti fatti. Ora invece pareva proprio che quel senso di non appartenenza sperimentato tra miriadi di ragazzi abbandonati a sé stessi ed intensificato dal vagare da famiglia in famiglia che in passato l’avevano resa alquanto glaciale, le faceva comprendere alla fin fine l’importanza di avere una casa a cui far ritorno.

Certo la sua non sarebbe stata una di quelle tipiche dettata dallo stereotipo, non era un allegro focolare domestico popolato d’amorevoli volti che l’avrebbero attesa a braccia aperte, sarebbe stata comunque sola. In ogni caso si trattava di un posto suo, quali non ne aveva mai avuti. Finalmente un punto fermo, un posto dove potersi trattenere e dove, sperava, la sua smania di muoversi e mutare frequentemente l’ambiente in cui viveva potesse acquietarsi. Forse in lei c’era un po’ della natura nomade di sua madre, chissà, restava il fatto che fino ad oggi aveva continuamente rifuggito l’idea di un asilo inamovibile poiché si era sempre sentita una persona transitoria.

A tutt’oggi invece ne sentiva l’esigenza, ora che le cose si stavano muovendo della direzione che voleva, finalmente si sentiva i grado di affrontare una routine. In un certo senso era gradevole la continuità di quanto aveva vissuto fino alla partenza e che stava per riprendere. Andava a scuola, tornava casa, lavorava all’autodromo e viceversa. Inoltre il suo ingresso al liceo statale al quale si era iscritta era stato a dir poco trionfale. Giacché, tralasciando gli studi che non le avevano mai dato particolari difficoltà, era la sua natura narcisistica che ne stava uscendo oltremodo gratificata. Infatti questa veniva quotidianamente appagata da stuoli di studentesse che, alla vista di quel nuovo studente alto, biondo e parecchio affascinante, avevano avute tutte un grazioso soprassalto.

La maggioranza sospirava per lei, le lasciava messaggi d’amore nell’armadietto e, le più audaci, spesso le preparavano anche il pranzo. Il tutto, ad ulteriore gloria del suo ego straripante, coronato dall’invidia evidente degli altri studenti, i quali si sentivano minacciati dalla sua avvenenza come un branco di pecore che avessero avvistato un lupo!

La sua natura era e, ne era certa, sarebbe sempre rimasta solitaria. Nonostante ciò non poteva negare che il civettare continuo che aveva con quel codazzo di femmine adoranti che la seguivano dappertutto le piaceva e parecchio. Anche perché si poteva dire che quest’atteggiamento non fosse altro che la conseguenza di un altro fattore. Invero l’unica pecca di questa sua nuova vita era la sua volontaria astensione da qualsiasi attività sportiva. Il rischio che avrebbe corso qualora ne avesse intrapresa una non valeva la candela, Hitomi aveva insistito molto e lei ne aveva convenuto. Passava per un maschio, come si sarebbe comportata qualora avesse dovuto dividere gli spogliatoi con gli altri studenti? Per cui aveva rinunciato del tutto a qualsiasi tipo di competizione adducendo come motivazione che il suo programma d’allenamento professionale era incompatibile con quello scolastico. In effetti era vero, indiscutibile, ma ciò non toglieva che la cosa le bruciava, soprattutto quando avvistava i corridori che si pavoneggiavano sui campi d’addestramento come se fossero dei campioni, invece delle autentiche mezze seghe che in realtà erano. In quei momenti la voglia di dimostrare quanto fossero limitati diventava incontenibile e quindi, per distrarsene e anche per una sorta d’infantile rivalsa nei loro riguardi, si dedicava vieppiù a fare la libertina, guadagnandosi in questo modo la rapida nomea di casanova incontrastato della scuola.

Che poi tutto quel flirtare, per sua espressa intenzione e per la manifesta delusione delle concupite, portasse spesso ad un nulla di fatto, non era importante. Insomma le serviva solo a riempire gli spazi vuoti che altrimenti avrebbe passato in occupazioni meno gradevoli.

Haruka si raddrizzò ancora una volta nello spazio insufficiente e mormorando silenziosamente un’imprecazione tentò di accoccolarsi come meglio poteva. Fissò per qualche minuto il sole che calava sopra la coltre delle nubi e nel frattempo lasciò che i suoi pensieri vagassero liberamente. Effettivamente era ora di essere un poco onesta con la sua coscienza, giacché, checché ne dicesse e sebbene fosse compiaciuta di come stavano procedendo le cose, doveva ammettere che non bastavano una manciata di giorni esaudenti per cancellare quanto si era lasciata dietro.

Che poi, cos’era? Voleva abbandonare i contesti che l’avevano vista protagonista precedentemente, quindi dov’era il nodo? Non vedeva difficoltà di sorta nel qual caso, se non quell’assurdo senso di vuoto che talvolta sentiva e al quale non riusciva a dare nome e forma. Avvertiva chiaramente una mancanza e rabbiosamente non riusciva a darle una collocazione precisa. Anche perché era del tutto imprevedibile, poteva stringerla nella sua morsa quanto meno se l’aspettava e come una voce in sogno continuava a ripetersi senza svelarsi. Questa sorta di velata ossessione era cominciata pressappoco dopo il suo definitivo distacco del vecchio liceo. Anche se, a volergli dare un’ubicazione temporale e dimensionale, non aveva una continuità tale da consentirlo. Per di più poteva intensificarsi e affievolirsi a capriccio, senza alcun criterio. Sì, c’era molto di sentimentale in queste emozioni e la cosa non le piaceva affatto, quindi cercava di non dargli in nessun modo importanza.

Così facendo sembrò per un certo periodo che questi attacchi (di melanconia? Rimpianto? Mah. ) si diradassero e non ci aveva pensato più. Ma in seguito, durante il suo impegnativo soggiorno spagnolo, era accaduto qualcosa che le aveva fatto cambiare idea.

Stremata com’era dal duro lavoro in pista e nei salotti, si era presa un break di 36 ore e ne aveva approfittato per andare a vedere la celeberrima Barcellona. Era stata una visita lampo, non programmata, per cui aveva tentato di vedere quanto più possibile in quel tempo risicato. E girando a casaccio tra le vie del centro ad un certo punto, attraversando l’oscuro Barrio Gotico, si era ritrovata all’improvviso sul porto. Spensierata si era diretta verso l’ardita struttura del ponte ligneo di recente costruzione e , una volta lì , era rimasta incantata dalla vista del mare luccicante sotto di lei.

E in quel momento , sola tra la folla di stranieri, l’azzurro splendente del mediterraneo che contrastava col cielo plumbeo, l’aveva ipnotizzata. Quel colore terso, tipico del mare invernale, le aveva nuovamente messo addosso quella sorta di nostalgia della quale non riusciva a liberarsi. Così, perdendosi nella contemplazione del moto instancabile delle onde, per un attimo le erano balenate davanti allo sguardo spire di lunghi capelli che parevano confondersi fino a diventare tutt’uno col mare e lo scintillio di un paio d’occhi che di quelle acque avevano la medesima lucentezza.

Aveva scosso la testa per liberarsi da quella malia e stringendo i denti si era sollecitata a non lasciarsi sopraffare. Quale prova di forza era rimasta immobile a fissare l’azzurro in movimento come a sfidare quella visione. Che osasse pure a ripresentarsi! Avrebbe resistito, cazzo se l’avrebbe fatto!

Ma nonostante tutto era stata una vittoria parziale, perché aveva dovuto trattenersi a lungo prima di disperderla del tutto e, passeggiando nei paraggi, anche perché nonostante tutto non riusciva ad allontanarsene, aveva cercato invano un modo per liberarsi da quella che considerava una manifesta debolezza da superare quanto prima.

C’era poco da fare, alla fine aveva inteso perfettamente a chi la riportasse quella specie di illusione caduca. Il che non faceva che rafforzare ulteriormente la sua risoluzione. E questo valeva tanto per la persona, quanto per quel che le aveva e stava provocando. Inoltre la spaventava soprattutto quanto percepiva, sentiva quasi i tentacoli del suo potere estendersi su di lei. Ora più che mai non poteva mettersi in balia di un altro essere umano, maledizione a lei!

Haruka esalò un sospiro collerico ed impaziente, causato dai suoi stessi pensieri e da quel volo che sembrava non dovesse mai finire. Le sembrava di essere inchiodata a quella poltroncina da un anno. Volentieri sarebbe sfuggita a quel che stava meditando, ma , sapendo di non potersene sottrarre a lungo, pena ostinarsi a dolersi inutilmente, continuò imperterrita. Incrociò le braccia, chiuse gli occhi e , vieppiù aiutata dal buio che le hostess avevano fatto scendere nella carlinga , tornò sulla delicata questione.

A che pro recriminare su quanto non era stato? Non poteva abbandonarsi a simili fantasie, doveva badare ad essere realistica. Ok , d’accordo, era vero. Il senso di conforto provato in compagnia di quella marmocchia le mancava, anzi , aveva iniziato a capirne la valenza solo una volta che se n’era allontanata, ma a che serviva piangere sul latte versato ?

Non c’erano margini di ritorno, assolutamente. E se pure ci fossero stati, non se ne parlava! Perché, tolto il litigio col quale s’erano dette praticamente addio, la Tenou Haruka che quella aveva conosciuta, non doveva esistere più. E all’attuale Haruka non restava che accontentarsi di quel poco che avevano condiviso. Che poi in sostanza non era un granché! Quindi che cavolo aveva da scervellarsi tanto?

"Granché sto par de palle! Che faccia di bronzo che ho , se fossi onesta con me stessa ammetterei seduta stante che darei qualsiasi cosa in questo momento solo per avere ancora l’occasione di sedermi in un angolo, abbandonarmi, chiudere gli occhi e sentirla suonare ! "

"Vero, sacrosanto , ineccepibilmente espresso nella forma e nei contenuti."Risuonò un’altra voce nella sua testa, ed era una voce stentorea , impossibile da ignorare e dall’oratoria altrettanto efficace.

" Così alla fine, dopo le vicissitudini schifose cui sei stata protagonista, mandi tutto all’aria per cosa? Per essere dipendente da un’altra persona? Cosa della quale sai benissimo non essere in grado. Fuggiresti a gambe levate al primo accenno d’oppressione. L’hai già fatto e saresti capace di rifarlo, lo neghi ?

E stiamo parlando della stessa ragazza che considera quel che fai, quel che ti gratifica , quello che hai raggiunto dopo aver lottato con le unghie ed i denti e che ami alla follia , una degradazione, uno svilimento morale ed intellettuale. Nient’altro che un modo miserabile per guadagnare quattrini! Che ne sa lei di quel che provoca la mancanza del vile danaro? Quel che a te è costato sudore, sangue e mortificazioni, a lei bastava chiederlo. Pensi sul serio che potrebbe capirlo, pure se glielo spiegassi un milione di volte? Andiamo, una come lei, con te e con l’ambiente dal quale provieni, non c’entra un emerito cazzo! Qualora, incautamente, ti aprissi a le parlassi, sul serio credi che potrebbe capire? E’ una marmocchia presuntuosa, della quale hai punta fiducia. E dillo infine che soprattutto non hai la minima cognizione di come reagirebbe ai tuoi teneri trasporti! Sveglia testa di cazzo! Tu e quella siete due elementi che non possono fare lega tra loro, neppure nel più fantasioso sogno ad occhi aperti che puoi creare nella tua testa offuscata dal desiderio!"

Tutto vero, ognuno di quegli argomenti era incontestabile, lo sapeva bene e non c’era null’altro da aggiungere. Brama e realtà non andavano a braccetto, così come necessità emotive e differenze inconciliabili non potevano fondersi come per magia.

Perciò anche stavolta, come sovente, fin troppo sovente per la sua giovane età, esattamente come aveva dovuto fare più volte nel corso degli anni, si predispose alla rinuncia . Doveva sigillare la porta sull’eco di quei riverberi che palesavano il suo bisogno e poteva farlo solo chiudendosi ancora una volta e sempre più ermeticamente in sé stessa.

"Non riesci a dormire?" Chiese Hitomi, con voce impastata, aprendo un occhio. I contorcimenti di Haruka infine avevano avuto ragione del suo sonno, fino la svegliarla del tutto.

" No..." Ammise contrita , una contrizione che con il pisolino disturbato della donna non aveva nulla a che fare. "Non è che avresti un sonnifero?"

   
 
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