Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: sissy    27/02/2007    2 recensioni
E' la prima volta che piango di gioia. Non ricordo di aver mai pianto di gioia. Non ricordo di aver mai avuto motivo di piangere di gioia. Eppure, ho pianto tanto in vita mia...
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Credere nella felicità

Credere nella felicità

È la prima volta che piango di gioia.

Non ricordo di averlo mai fatto.

Non ricordo un motivo per cui avrei mai dovuto farlo.

Eppure, ho pianto tanto in vita mia...

Sprofondo ancora un altro po’ lungo il sedile stringendo le dita tra le dita fredde. Chiudo gli occhi lasciando che altre lacrime cadano a rigarmi le guance, solcandole in un nuovo torrente di felicità. Sono felice, e non riesco a smettere di piangere. Sbatto le palpebre e prendo un respiro profondo, soffiando fuori l’aria dai polmoni in un lungo sospiro. Tra le ciglia ancora imperlate poso lo sguardo oltre il vetro del parabrezza. L’umidità ha steso un velo di sottili goccioline d’acqua sul vetro, ma dietro di esso riesco a vedere comunque il baracchino dei panini, con le sue luci al neon e le due persone dietro il bancone: una ragazza ed un signore bello tondo, probabilmente il padre. Ha poca importanza chi siano.

Fisso il ragazzo col giubbotto di pelle marrone che, mani in tasca, fa la sua ordinazione.

Senza alcun bisogno che comandi il mio cervello, le mie labbra si incurvano in un sorriso. Col magone che mi stringe la gola mando giù a forza la saliva salmastra e cerco di trattenere altre lacrime. Non voglio essere vista mentre piango come una sciocca. Quindi, scivolo ancora un pochino a nascondermi dietro il profilo del cruscotto. Mi sento quasi una spia che mette il naso appena oltre il bordo di un muro. E a questo pensiero rido di me stessa. Riso e pianto si confondono insieme. Penso di essere pazza e rido ancora. E piango ancora! Dio, sono pazza... Pazza di gioia!

E mi mordo il labbro superiore. E sorrido. Da inguaribile freddolosa mi stringo le braccia intorno al corpo, tirando il più possibile le maniche del cappotto sulle mani. Inclino la testa da un lato e continuo a fissare il ragazzo al baracchino. Forse sto solo sognando... Ma lo stomaco che brontola e fa le capriole è troppo reale, per fortuna.

Abbasso piano le palpebre ed altre due lacrime cadono dagli occhi.

Nel buio del mio silenzio vedo una bambina coi capelli lisci e scuri nascondersi dietro il frigorifero, mentre un vetro cade in frantumi. Non vuole vedere sua madre che spinge a terra la nonna con in braccio la sua sorellina. Non vuole vedere suo padre che le dà una spinta indietro e soccorre la piccolina e la nonna. Se potesse, vorrebbe non sentire nemmeno le urla dei genitori ed il pianto della sorella. Non vorrebbe sentire il fragore del vetro della camera da letto che cede ad un pugno della madre e rovina al suolo in mille pezzi... Oggi la bambina ha quattro anni. È il suo compleanno.

Mando giù un sonoro, amaro, boccone. Col dorso della mano destra mi stropiccio gli occhi, poi cerco un fazzolettino di carta nella tasca della giacca. Mi soffio il naso con l’unico esemplare che riesco a trovare e torno a guardare davanti a me. La ragazza dietro il bancone sta porgendo al giovane due bottigliette d’acqua. L’uomo del baracchino, intanto, affetta un salume.

Il momento delle lacrime amare passa e torno ad increspare le labbra felice. Un istante dopo, il mio sguardo vaga nel vuoto della strada buia.

La bambina dai capelli lisci e scuri vuole giocare con la mamma. Ha due telefoni finti che possono comunicare tra loro. Vuole che la mamma giochi con lei a telefonarsi da una stanza all’altra.

Ricordo ancora il colore beige degli apparecchi, le cornette con i microfoni tondi, la ruota con i buchini per girare i numeri, i lunghi fili attorcigliati.

La bambina piange perchè la mamma non vuole mai giocare con lei, perchè non vuole mai raccontarle una favola. Il suo papà lavora tanto la notte, e di giorno dorme, ma l’aiuta a completare l’album delle figurine di “Kiss me Licia”, ed ogni sera gliene legge una parte prima di andare via. La bambina preferisce in assoluto la pagina in cui c’è la figurina di Marrabbio che si ritrova con una padella in testa.

Un sorriso a metà si ferma sul mio volto; gli occhi restano fissi sull’asfalto nero. In realtà vedo, nitida, la figurina di Marrabbio dell’album di “Kiss me Licia”, l’unico che riuscii a completare.

Scuoto il capo lentamente e sbatto ripetutamente le palpebre per scacciare questa immagine dalla mia mente e tornare al presente. Non faccio in tempo a pensare a quanto sia fortunata a starmene qui, al calduccio di quest’automobile, aspettando il mio panino caldo dalle mani premurose del mio ragazzo, che i ricordi ricominciano ad errare da soli nel mio cervello.

La bambina adesso è cresciuta, vive con la mamma ed il marito, ma non è felice. Piange ogni notte perchè vorrebbe vedere il suo papà, farsi abbracciare da lui, farsi coccolare. Solo, stare un po’ insieme. Piange e vuole fuggire da quell’uomo violento che la picchia, picchia lei e sua sorella, per futili motivi, per gelosia, per stare ad ascoltare le bugie e gli inganni della mamma, che ogni notte promette che farà qualcosa, che chiamerà papà e le lascerà andare a vivere con lui, ma che non mantiene mai la parola. Non le difende mai... Le costringe a raccontare menzogne su menzogne, per non lasciarle mai troppo tempo con il loro padre. Inventa che il telefono è rotto, dice che non possono dormire a casa sua al di fuori delle feste di Natale e Pasqua, dice che lui è cattivo. Usa i soldi ed i regali che papà fa loro per pagare le rate della macchina del marito; fa vestire le bambine solo con la tuta. Niente gonne, niente abiti carini.

Ma la bimba dai capelli lisci sa che il suo papà non è cattivo. Come sa che la mamma beve di nascosto.

Si vergogna tanto... Per questo non parla.

Mentre le labbra tremano lottando contro una nuova ondata di pianto, mi afferro le braccia con le mani e cerco di scacciare via il rancore.

Eppure, dopo tanto tempo, non posso perdonarla...

La bambina e la sua sorellina riescono a raccontare tutto al papà. Lui le accoglie a braccia aperte senza pensarci due volte. Non vuole che soffrano ancora e per questo chiama subito la mamma, parla con lei, si mettono d’accordo per fare le cose per bene, senza scossoni, senza cause in tribunale. Le bambine sono felici, ma la madre ci ripensa: per tutti gli anni della durata del processo continuerà ad accusare le figlie di mentire, di essersi inventate tutto, di essere pazze.

Ma io non sono pazza. Mia sorella non è pazza.

Adesso mi mordo il labbro inferiore e sento il gusto metallico del sangue sulla punta della lingua. Ma non sto piangendo, nonostante gli occhi lucidi. Mi manca mio fratello, il fratello che ora vive con mia madre e con suo padre. Vorrei che un giorno potesse credere alla verità, ma lo sento così lontano... Probabilmente sbaglio anch’io, ma il rancore è tanto, e non riesco a perdonarla. A volte sembra che abbia capito, che voglia riavvicinarsi, ma poi, un attimo dopo, tutto torna come prima: lei è la vittima e noi siamo le pazze.

E adesso, mentre il ragazzo con la giacca di pelle marrone viene verso la macchina con due panini fumanti in mano, e le bottigliette d’acqua infilate nelle tasche laterali del cappotto, non voglio più pensare al resto. Solo un ultimo, fuggevole ricordo.

La mamma che scopre di avere l’epatite C e che non ci fa fare le analisi per paura della reazione di papà. Io, con la paura e questo grande segreto, che mi confido con lui, chiedendogli in lacrime di farci fare le analisi a tutti i costi, nascondendone il vero motivo a mia sorella, ancora molto legata alla mamma, nonostante tutto. Allora avevo diciassette anni e la causa era finita da poco più d’uno.

Non voglio più ascoltare le bugie di mia madre. E non voglio più mentire per nessuna ragione al mondo. Né voglio più piangere.

Il ragazzo entra in macchina e mi porge il mio panino salame e mozzarella. Mi sorride mentre lo fa, ed io ricambio. Nel ridere una lacrima sfugge al mio controllo e mi riga la guancia. Ma lui, prontamente, la raccoglie, accarezzandomi il viso. Lui sa tutto, ogni cosa. È la prima ed unica persona a sapere ogni cosa oltre mia sorella. Lui, il ragazzo dai capelli scuri, gli occhi grandi ed il pizzetto, col nome da immortale e la gentilezza di un uomo capace di amare senza chiedere nulla in cambio.

Lui è l’uomo che mi fa stare bene, che mi crede, che mi ama nonostante i difetti, che ha deciso di rischiare con me. È grazie a lui se da un mese a questa parte dormo la notte, io, che non ho mai dormito bene.

Ci abbracciamo, forte forte, ed io che lo stringo quanto più posso. La forza delle sue braccia intorno a me mi dà conforto e sicurezza. So di non essere sola, e so che le persone buone e sincere esistono ancora.

E tra i miei pensieri, recito una preghiera, un ringraziamento, per questo piccolo grande miracolo.

Non avrei mai creduto di poter essere tanto felice, tanto libera.

Non posso cambiare ciò che è stato, ma ringrazio Dio, il cielo, il destino, me stessa, per avermi fatto incontrare quest’uomo meraviglioso. Perchè adesso rido, e sono felice. E questo mi basta.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: sissy