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Autore: Lue    19/08/2012    6 recensioni
“Italia, Spagna o Portogallo, puoi scegliere”.
Sherlock sollevò leggermente un sopracciglio, guardandomi sorpreso.
“Prego?”.
“Andiamo in vacanza!”, risposi con un sorriso raggiante. Poi gli mostrai Hamish nel lettino, che ridacchiava tenendosi alla spalliera, “L’ho appena promesso ad Hamish!”.
Sherlock emise una risatina sprezzante.
“No che non ci andiamo, in vacanza”.
[SPIN-OFF DI "Quello che non ti ho detto mai"]
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di urla, linguacce e capriole marine

 
“Italia, Spagna o Portogallo, puoi scegliere”.
Sherlock sollevò leggermente un sopracciglio, guardandomi sorpreso.
“Prego?”.
“Andiamo in vacanza!”, risposi con un sorriso raggiante. Poi gli mostrai Hamish nel lettino, che ridacchiava tenendosi alla spalliera, “L’ho appena promesso ad Hamish!”.
Sherlock emise una risatina sprezzante.
“No che non ci andiamo, in vacanza”.
Il mio sorriso si trasformò in una smorfia di delusione, ma mi ripresi subito.
“Invece sì”, affermai dirigendomi verso la culla di Hamish. Non potevo vedere il suo viso ma, con un pizzico di soddisfazione, immaginai l’espressione che doveva aver assunto Sherlock. Presi in braccio Hamish, che gorgogliava contento dall’alto dei suoi due anni quasi-e-mezzo, e ritornai alla carica.
“Io e Hamish vogliamo andare in vacanza”, decretai deciso.
Vacassa!”, esclamò lui che stava velocemente imparando a parlare, e tendeva a ripetere le ultime parole delle nostre frasi.
Sherlock sbuffò spazientito.
“John, ho da lavorare, non andremo in vacanza”.
Ero deluso, certo, ma me lo aspettavo: era stato sciocco da parte mia anche solo pensare che Hamish lo avrebbe intenerito, ma dopotutto tentare non era costato nulla.
“AAAAAAAAHHHHUUUUUUUUUAAAAAHHHHH!”.
Sobbalzai, rischiando di far cadere Hamish, che era scoppiato in un pianto disperato, alternato da grida che avrebbero mandato in tilt l’accordatore elettronico di Sherlock.
VACAAASSAAAA!”, singhiozzò, stringendosi al mio maglione.
Vidi la mia stessa espressione sconvolta riflessa negli occhi di Sherlock che, però, si riprese subito e alzò gli occhi al cielo.
“Ma per favore!”, esclamò esasperato, “Non facciamo scenate!”.
Credo che a volte dimenticasse di aver a che fare con un bambino di due anni.
Infatti Hamish non solo non smise di piangere ma continuò con, se possibile, più foga. Tanto che, pochi secondi dopo, Mrs Hudson si era già precipitata su per le scale, preoccupata.
“Ma cosa state facendo a quel povero bambino?!”, esclamò, guardandoci scioccata.
Hamish singhiozzò.
“Pa’!”, disse, indicando Sherlock con un dito.
Mrs Hudson squadrò Sherlock con profonda disapprovazione, e si mosse per prendere Hamish dalle mie braccia.
“Oh, Sherlock”, lo rimproverò, sedendosi su divano con Hamish in grembo, “Non si fa!”.
Lui boccheggiò sconcertato.
“Ma non sono stato io! Perché è sempre colpa mia?”, protestò, facendomi dubitare per un attimo di chi tra lui e Hamish fosse il bambino.
Pensai fosse giunto il momento di intervenire.
“Io e Hamish vogliamo andare in vacanza. E Sherlock non vuole”.
Mrs Hudson scosse la testa.
“Sherlock, caro, non dire stupidaggini. Dovete andare in vacanza. Il piccolo Hamish deve svagarsi un po’!”, si girò verso Sherlock, e io ne approfittai per fargli una linguaccia.
… Dicevamo, di bambini e adulti?
Lui spalancò la bocca in un’espressione a dir poco oltraggiata.
“In. Vacanza. NON. CI. VENGO”, scandì con rabbia.
Io, previdente, mi ero già coperto le orecchie con le mani. Ma Sherlock e Mrs Hudson no. Sobbalzarono violentemente entrambi quando Hamish ricominciò a urlare.
 
I due giorni seguenti non subirono alcuna variazione rispetto a quello. Era una guerra. Ogni volta che io tiravo fuori la questione vacanze, Sherlock ribadiva la sua posizione e Hamish cominciava ad urlare.
Quando, all’alba del terzo giorno, mi accorsi che le cose non sembravano cambiare, esasperato mi rivolsi a Sherlock.
“Non puoi fare uno sforzo?”, sbottai, “Una settimana di vacanza può farti solo bene!”.
Lui non alzò gli occhi dal suo vocabolario di giapponese.
Sherlock”, intimai.
Lui sbuffò e, finalmente, si decise a degnarmi di uno sguardo.
“Una settimana senza nemmeno un caso”, mormorò scuotendo la testa, “Pensi davvero che potrei farcela?”, bloccò con un gesto il mio tentativo di rispondere, “La risposta è no, John, non sopravvivo senza casi per più di una giornata, è piuttosto sciocco da parte tua pensare che ce la farei per un’intera settimana”.
Ritornò al suo libro. Significava che la conversazione era finita.
Per lui forse.
“È passato quasi un anno da quando sei tornato. E non abbiamo mai fatto nemmeno un weekend fuori”, lui alzò gli occhi dal vocabolario, “Come una famiglia, Sherlock. Noi siamo una famiglia. Ma cos’è? Ti va stretta questa etichetta? Va bene finché siamo a casa, ma quando poi si tratta di fare cose che fanno tutte le famiglie ti tiri indietro. Non è giusto! Io voglio … voglio andare al mare e giocare sulla sabbia con Hamish mentre tu pucci i piedi nell’acqua! E voglio … andare al cinema! Qualche volta almeno … Portare Hamish al parco con te! A volte …”, mormoro, “A volte è come se tu fossi tornato solo per il tuo lavoro”.
Lo lasciai lì, con un’espressione spaesata sul viso, e mi sentii un po’ in colpa perché sapevo che sarebbe rimasto a pensarci tutto il giorno. Ma, dopotutto, se l’era meritato.
 
Avevo appena immerso Hamish nella vasca a bagno e lui stava sguazzando in quei quattro centimetri di acqua tiepida, quando avvertii distintamente il suono del violino di Sherlock. Aveva iniziato a suonare.
Mi aiuta a pensare”, mi aveva detto una volta. Ma era questo il problema con Sherlock: non potevi mai sapere se i suoi pensieri avrebbero portato a qualcosa di buono o meno.
“Mi sa tanto, Hamish, che per quest’anno non andremo in vacanza”, sospirai mentre lui dirigeva verso acque sconosciute la sua barchetta di gomma.
Vacassa?”, mi si rivolse deluso, mentre la barchetta di gomma – che era poi una precisa imitazione del Titanic, regalatagli da Mycroft – si ribaltava e proseguiva la sua navigazione nella striscia d’acqua della vasca.
Scossi la testa, poi, presa la spugna, esclamai: “Su, Capitano, diamoci una pulita!”.
Lui, mogio mogio, si fece strofinare e insaponare senza emettere alcun suono.
“Dai”, gli dissi, schizzandogli un po’ d’acqua addosso. Hamish ridacchiò e, con una gran serie di splash, mi bagnò tutto.
Così quando, pulito e profumato, lo portai in salotto, io ero fradicio.
Sherlock aveva smesso di suonare ed era sul divano.
Mi sedetti di fianco a lui, tenendo Hamish sulle ginocchia.
“Composto qualcosa?”.
Lui scosse la testa. Poi, sospirò.
“Una settimana, non un giorno di più”, proclamò in fine, evitando accuratamente di guardarmi, “E mi porterò dietro dei fascicoli che mi ha dato Lestrade, così avrò qualcosa da fare in spiaggia”.
“Esistono i giornali, le parole crociate …”, commentai, cercando di trattenermi dal gettargli le braccia al collo, perché Hamish sarebbe rotolato giù. Ma ci sarebbe stata tutta la notte per ringraziarlo.
Lui mi fulminò con lo sguardo.
“Hamish?”, esclamai rivolto al nostro bambino, “Andiamo in vacanza!”.
Vacassa?”, guardò Sherlock negli occhi.
“Immagino di sì”, sospirò nuovamente.
Hamish scoppiò in uno strillo di gioia e gli si gettò addosso. Sherlock, colto di sorpresa ma in fondo sollevato che le cose fossero tornate a posto, se lo strinse al petto.
Poi, rivolgendosi a me, disse: “John, vai a cambiarti, sei tutto bagnato, mia madre ci aspetta a pranzo. Abbiamo sempre declinato perché tu dovevi lavorare all’ambulatorio”.
Lo fissai, sorpreso.
“Ma, Sherlock, non lavoro all’ambulatorio da quasi un anno, ormai!”.
Lui alzò le spalle, con aria innocente.
“Ah, sì? Non lo sapevo …”.
Scossi la testa. Poi ci guardammo e scoppiammo a ridere.
“Lo sai che ti amo, non è vero?”, gli sussurrai all’orecchio.
Lui trattenne, con scarsi risultati, un sorrisino soddisfatto.
“Vai a cambiarti, sei tutto bagnato”, ribadì.
Io mi alzai. Arrivato alla porta della camera mi girai e gli feci la linguaccia.
 
“Sherlock! Esci dall’acqua! Sono le sette e mezza! Dobbiamo fare la doccia e poi cenare!”.
Lui, per tutta risposta, fece l’ennesima capriola subacquea.
Sherlock! Per l’amor del cielo! Hamish vuole tornare in albergo!”.
Sherlock, appena riemerso, gettò un’occhiata a nostro figlio, che ridacchiava divertito costruendo l’ennesimo castello di sabbia.
“A me non sembra”, constatò, ritornando alle sue acrobazie marine.
“E va bene”, sospirai.
Mi risedetti sulla sabbia accanto a Hamish, munendomi di una paletta verde.
“Allora, Hamish, costruiamo un bel palazzo da far vedere a papà se esce … quando esce dall’acqua …”.





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Eccoci al secondo spin-off di Quello che non ti ho detto mai !
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito l'altro e la long da cui sono tratti!
A presto, un bacio! :)
Lu

   
 
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