“Convivendo in... capsule”
Episodio VI
Il fumo contornò le labbra senza rossetto come il
languido bacio di un fantasma, avvolse la frangetta scostata ai lati della
fronte pallida, si disperse nel colore nero della notte.
Sospeso oltre il davanzale in voluttuosa attesa, tra
gli indugi della sua mano, si approssimò con audacia ad agguantare la sua bocca
come un amante insaziabile molte volte ancora ed altrettante fu respinto con
una smorfia seccata e alla fine ridotto in cenere.
La sigaretta tra le dita dava a Bulma un’aria matura
ed assorta, non fosse altro perché a quell’ora della sera l’angoscia e la
solitudine si facevano più forti, si gonfiavano in gola e le scavavano lo
sguardo.
Da qualche sera aveva preso l’abitudine di
accendersene una prima di coricarsi: un monologo di sguardi annoiati e sbuffi
caliginosi in direzione della luna che quella sera non si era levata a farle da
platea, dove l’atto principale in cui raggiungere il vertice del suo pathos,
era la domanda esistenziale su quando quel bastardo di Vegeta avrebbe varcato
la sua porta e si sarebbe infilato in quel letto che disertava da oltre venti
giorni.
Il saiyan aveva preso le sue cose ed era ritornato a
dormire nella sua stanza come non accadeva da molto tempo, da quando
nell’ultimo periodo della loro convivenza, con la stessa naturalezza con cui
respirava, andava a trascorrere la notte insieme a lei anche quando, sfiniti
dal giorno trascorso, si coricavano l’uno da un lato e l’una dall’altro.
Ora, se lui aveva smesso di respirare il profumo
delle sue lenzuola, di desiderarla, di toccarla, di farla sua, non era per
colpa di un’altra donna, ma di un uomo a cui lo accomunava l’origine e la
stirpe di guerriero.
Nel pensare a Goku, Bulma provò un moto di
risentimento che non avrebbe ritenuto possibile nei suoi confronti.
Non bastavano a reprimerlo il ricordo di tutte le
volte in cui lui l’aveva tolta dai pericoli, né il suo sorriso candido ed
ingenuo, o la mano che avrebbe passato dietro la zazzera cespugliosa per
chiederle scusa senza sapere per cosa.
Bulma avrebbe voluto schiaffeggiare entrambi se
questo non avesse comportato rompersi una mano contro l’acciaio che avevano a
posto della pelle.
Goku era stato una mina vagante che aveva infranto
il suo equilibrio familiare, delicato e precario quanto un vaso di cristallo
sull’orlo di un tavolo.
Lo sapeva che prima o poi
sarebbe successo, che per lui Vegeta sarebbe stato capace di rinunciare a tutto
ciò che avevano costruito insieme.
Questo era solo l’inizio.
Fece l’ultimo tiro e mentre la brezza assorbiva la
nuvola di fumo, concluse che se Vegeta avesse avuto per lei lo stesso morboso
interesse che nutriva per l’altro saiyan, sarebbe stato l’uomo più innamorato e
più fedele che una donna avesse potuto desiderare accanto.
Ma Goku evidentemente era su un gradino più in alto.
Non sapeva quest’ultimo che oltre al principe dei
saiyan, anche l’amica dell’infanzia aveva ingaggiato una lotta personale per
sottrargli ogni primato.
Strofinò il mozzicone sul marmo del davanzale
annerito in più punti, ognuno per ogni sigaretta spenta, poi entrò nel bagno,
lo gettò nel water e tirò lo scarico.
Lo specchio riflesse la sua immagine e da quel che
vide Bulma capì che il fumo le stava facendo venire le fosse sotto gli occhi,
che le avrebbe fatto spuntare le rughe prima del tempo, che le aveva messo
addosso un tanfo da saloon western.
Aveva iniziato da un po’ di tempo senza neanche
rendersene conto: aveva preso la prima sigaretta dal pacchetto di suo padre,
che ne aveva sempre incollata una sotto i baffi.
Dopo un delicato intervento a motore acceso, aveva
trovato l’integratore giusto per i suoi nervi e così aveva continuato a farne
uso, dapprima nelle pause di lavoro, poi dopo cena e da qualche giorno, per il
crescente nervosismo, anche prima di mettersi a letto.
Dopo la brutta cera che lo specchio le aveva
rinfacciato, mettendo in guardia vanità ed ego, Bulma aveva capito che era
arrivato il momento di correre ai ripari e di smettere.
Frattanto si lavò il viso con acqua fredda, tolse i
residui di trucco con un batuffolo di cotone e si strofinò i denti con vigore.
Si spogliò e prima di foderarsi in lenzuola di lino,
uscì dalla stanza con la sola casacca del pigiama per recuperare il pc
portatile lasciato nel salotto ed ordinare, una volta nel letto, quelle
cartelle che aveva lasciato in sospeso nel pomeriggio.
Il buio del salotto non era filtrato neanche dalle
luci del giardino, lasciate spente durante la notte per risparmio di energia.
Così mosse la mano a tentoni contro il muro e spinse
l’interruttore:
“Spegni quella maledetta luce!” la voce contrariata
di Vegeta la fece sussultare.
Quando riuscì a trovare tra gli interruttori quello
collegato alla luce più fioca dell’abatjour accanto al divano, lo trovò
adagiato lì con gli occhi strizzati come gli fosse stato spruzzato a tradimento
un liquido caustico.
Aveva addosso solo i pantaloni leggeri del pigiama.
“Per quale ragione stai dormendo qui sul divano?” il
fatto era deducibile dal cuscino che aveva portato dalla sua stanza da letto.
Aveva ancora la voce impastata quando mormorò a
denti stretti che la colpa era di due dannate zanzare:
“E da quando il principe dei saiyan non riesce a
liberarsi di due miseri insetti?” il sarcasmo Bulma lo usava come il sale, in
ogni occasione in cui ci andava messo lo teneva sempre a portata di mano.
“Da quando l’ultima volta ho fatto crollare una
parete, o lo hai dimenticato?”.
Era visibilmente infastidito da quel brusco
risveglio, si era messo a sedere ed aveva raccolto la testa tra le mani come
gli dolesse.
Bulma sospirò frustrata, si sedette accanto a lui,
si portò al petto le gambe nude poggiando il mento sulle ginocchia:
“Da quando ci siamo ridotti a questo?” mormorò come
a sé stessa.
Vegeta rialzò la testa, ignorò la sua domanda senza
voltarsi a guardarla, e per liquidarla prima si servì di un’osservazione molto
offensiva:
“Hai lo stesso tanfo di tuo padre”.
Ma ella non si scompose come si sarebbe aspettato,
al contrario:
“Ho deciso di smettere di fumare, incomincerò da
domani” lo informò con distacco.
“E adesso che cosa vuoi? Se non te ne sei accorta,
stavo dormendo, faresti meglio ad andartene”.
Le labbra di Bulma si piegarono in un riso amaro:
“Se si fosse trattato di Goku, non ti sarebbe
importato di dormire”.
Non una contrazione scompose il suo volto, restò
concentrato sul disegno geometrico appeso al muro di fronte fino a quando lei
non proseguì e disse:
“Tu sei ossessionato da lui”.
Allora la sua mascella si indurì ed una ruga si
accentuò intorno alla tempia impercettibilmente.
Ad un tratto la sentì muoversi, avvicinarsi senza
esitazione, allargare una delle gambe nude e sedersi su di lui faccia a faccia.
Bulma aveva nella spina dorsale più sicurezza di
quanta ne avesse lui nell’istante in cui la vide sbottonarsi la casacca del
pigiama e lasciarla cadere alle sue spalle, svelando nude ed invitanti le
rotondità dei suoi seni:
“Sono ventisette giorni che hai smesso di farlo”
cercò la sua mano e la strinse contro il petto, facendogli sentire la pienezza
ed il desiderio “toccami, ti prego, toccami”.
Le labbra sottili del saiyan si dischiusero: non
erano un ghigno, né un sorriso, né un diniego, fu l’attimo in cui il respiro si
spezza mentre la brama invade le vene e la vista si annebbia.
Bulma guidò la sua mano lungo il pendio dei suoi
seni, nel solco che li divideva, sulle curve rotonde culminanti in due piccole
sporgenze indurite, con lentezza ed attenzione come fosse la prima volta che
gli ostentava le sue bellezze.
Lui non capiva dove volesse arrivare, il perché
della fermezza del suo sguardo azzurro che andava oltre la passione e
l’audacia, si inerpicava per cammini più impervi, si aggrappava a rocce
friabili svelando la precarietà del suo equilibrio, pretendeva risposte e
conferme.
La lasciò fare senza chiederle niente, troppo tardi
per sciogliere le catene infuocate con cui lo aveva fatto prigioniero.
Bulma era maestra nell’arte della seduzione e la
usava come meglio poteva quando non aveva altri mezzi a sua disposizione, e da
quando era Vegeta ad andarci di mezzo lo faceva senza misure dando tutta sé
stessa.
“Goku potrebbe farti sentire questo?” chiese
suadente.
Vegeta chiuse gli occhi e gettò la testa
all’indietro, ai lati della bocca un’increspatura rasentava un mezzo sorriso:
“Siete due cose distinte, da come parli si direbbe
che sei gelosa di lui”
“Perché viene prima di tutto” replicò fermando la
mano e dando sfogo a qualcosa di molto distante dal desiderio “Goku è
un’ossessione, non puoi fare a meno di pensare a lui, va contro ogni tuo
volere, neanche per me hai lo stesso interesse, valgo molto di meno, se non ci
fosse lui a cui rivolgere costantemente il tuo pensiero, non avresti alcun
obiettivo nella vita” parlò svilita e seria.
“Voglio soltanto combattere contro di lui, non
voglio averlo tra i piedi per tutta la vita, ecco la differenza che passa tra
voi due!”.
Le lunghe ciglia fremettero mentre provò a
scandagliare una delle osservazioni più sentimentali che le avesse mai fatto.
“Devo dedurre che sono io quella che vorresti avere
tra i piedi per tutta la vita…” in risposta il saiyan assalì famelico uno dei
suoi capezzoli, come un mendicante addenta un morso di pane trovato
sull’asfalto.
“Lascialo in pace” proseguì la donna trovando la
forza di farlo smettere, di afferrare i suoi capelli ed inclinargli il capo
all’indietro per guardarlo meglio negli occhi “a Goku è stata data la possibilità
di tornare nel mondo dei vivi per un solo giorno. Ha il diritto di starsene
tranquillo con la sua famiglia”.
Lo vide sogghignare:
“E’ qui che ti sbagli. Lui non torna per la sua
famiglia, torna per combattere, in questo mi somiglia” fece con una punta di
orgoglio, insolita quando l’accenno era rivolto al suo rivale più acerrimo.
“E’ soltanto uno stupido torneo!” e tornò ad
offrirgli quasi con rabbia quel calice delizioso che gli aveva sottratto dalla
bocca.
Era stato nell’istante in cui la voce di Goku aveva
echeggiato nei laboratori della Capsule corp., annunciando la partecipazione al
torneo di arti marziali, che si era sbriciolato il suo equilibrio familiare:
quella sera stessa Vegeta aveva smesso di dormire con lei, come se
l’eccitazione di quel pensiero fosse maggiore di quella fisica che potevano
sperimentare insieme.
In lui si era ridestato quel tormento che negli
ultimi anni aveva sotterrato, ma senza metterci sopra nessuna pietra, perché
quella fossa in cui giaceva l’odio e la vendetta restasse sempre aperta alla
possibilità di un risveglio.
Quei sentimenti erano due cadaveri risuscitati che
con le braccia ossute protese in avanti lo avevano afferrato per la gola,
succhiato il raziocinio e quanto di umano fosse germogliato nel suo cuore.
Esigevano allenamento, concentrazione e solitudine.
L’unico a beneficiarne era stato il piccolo Trunks
che trascorreva gran parte del tempo insieme a lui nella stanza gravitazionale.
Su Bulma, sul suo profumo, i suoi seni vogliosi, le
sue gambe levigate, quei due cadaveri ci avevano gettato il loro putridume: era
una distrazione che non si sarebbe potuto concedere durante quel mese.
Ora, per il grande Vegeta contavano soltanto Goku ed
il giorno in cui la sua faccia pulita e generosa avrebbe mangiato polvere e
sputato fiele.
Ma il tumulo consacrato all’odio e alla vendetta era
rimasto ancora aperto ad attenderne il ritorno, la vanga per rigettarci terreno
sopra era lì a sua disposizione, e in quegli attimi di inebriamento pensò che
Kakaroth poteva andarsene anche all’inferno, che un soldato prima della guerra
ha bisogno di imprimersi nella mente le ragioni per cui fare ritorno.
Ora, i suoi seni travolgenti, la bocca arroventata,
le gambe dischiuse già pronte ad accoglierlo erano validi motivi ma non gli
unici perché erano soltanto il dettaglio di un quadro più complesso, di un
discorso più importante che la sua coscienza ebbra ed esaltata non sarebbe
stata capace di argomentare.
Si lasciò andare e basta perché aveva bisogno di lei
più di quanto volesse ammettere, perché Kakaroth era il tormento e Bulma la
tregua, perché in certi momenti le giustificazioni non contano niente.
Allora, la sua lingua si mescolò nel gusto di menta
e di tabacco della sua bocca, dietro l’orecchio annusò ancora il profumo
spruzzato quella mattina dal sapore zuccheroso.
Con un’unica manovra la sottomise al suo corpo
fremente e strappò l’ultima barriera di cotone.
“Non pensi che dovremmo almeno andare in camera
mia?” sibilò Bulma soggiacendo ai suoi baci intrepidi e a carezze inenarrabili.
A Vegeta quella stanza non era sembrata mai così
lontana:
“Potrebbe arrivare Trunks…” ribadì lei con meno
convinzione mentre ruotava il collo prima da un lato e poi dall’altro per
assecondare meglio la sua lingua.
“Era talmente stanco quando è andato a dormire che
non lo tireresti dal letto neanche se gli dicessi di aver costruito un luna
park tutto per lui in giardino” scese tra le sue gambe facendola inarcare dal
godimento.
Vegeta allungò un braccio, spense il lume e tornò ad
amarla.
Faceva bene ad imprimere nella memoria il trasporto
palpitante di quegli attimi poiché erano gli ultimi che avrebbe condiviso con
lei prima di vedere l’inferno.
FINE
Grazie mille a quanti hanno commentato la capsula n°5, sono rimasta
molto sorpresa che ci sia stato qualcuno in più del solito. Continuate a farlo
perché i giudizi sono sempre molto stimolanti.
A chi non avrà niente da dire, grazie lo stesso per avermi dedicato del
tempo. Ciao!!