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Autore: lilly81    06/03/2007    25 recensioni
Brevi ed intensi racconti, capsule da mandare giù tutte d’un fiato, per narrare momenti qualunque della convivenza tra Bulma ed il principe dei saiyan. NUOVI AGGIORNAMENTI!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Convivendo in

“Convivendo in... capsule

 

Episodio VI

 

 

 

 

 

Il fumo contornò le labbra senza rossetto come il languido bacio di un fantasma, avvolse la frangetta scostata ai lati della fronte pallida, si disperse nel colore nero della notte.

Sospeso oltre il davanzale in voluttuosa attesa, tra gli indugi della sua mano, si approssimò con audacia ad agguantare la sua bocca come un amante insaziabile molte volte ancora ed altrettante fu respinto con una smorfia seccata e alla fine ridotto in cenere.

La sigaretta tra le dita dava a Bulma un’aria matura ed assorta, non fosse altro perché a quell’ora della sera l’angoscia e la solitudine si facevano più forti, si gonfiavano in gola e le scavavano lo sguardo.

Da qualche sera aveva preso l’abitudine di accendersene una prima di coricarsi: un monologo di sguardi annoiati e sbuffi caliginosi in direzione della luna che quella sera non si era levata a farle da platea, dove l’atto principale in cui raggiungere il vertice del suo pathos, era la domanda esistenziale su quando quel bastardo di Vegeta avrebbe varcato la sua porta e si sarebbe infilato in quel letto che disertava da oltre venti giorni.

Il saiyan aveva preso le sue cose ed era ritornato a dormire nella sua stanza come non accadeva da molto tempo, da quando nell’ultimo periodo della loro convivenza, con la stessa naturalezza con cui respirava, andava a trascorrere la notte insieme a lei anche quando, sfiniti dal giorno trascorso, si coricavano l’uno da un lato e l’una dall’altro.

Ora, se lui aveva smesso di respirare il profumo delle sue lenzuola, di desiderarla, di toccarla, di farla sua, non era per colpa di un’altra donna, ma di un uomo a cui lo accomunava l’origine e la stirpe di guerriero.

Nel pensare a Goku, Bulma provò un moto di risentimento che non avrebbe ritenuto possibile nei suoi confronti.

Non bastavano a reprimerlo il ricordo di tutte le volte in cui lui l’aveva tolta dai pericoli, né il suo sorriso candido ed ingenuo, o la mano che avrebbe passato dietro la zazzera cespugliosa per chiederle scusa senza sapere per cosa.

Bulma avrebbe voluto schiaffeggiare entrambi se questo non avesse comportato rompersi una mano contro l’acciaio che avevano a posto della pelle.

Goku era stato una mina vagante che aveva infranto il suo equilibrio familiare, delicato e precario quanto un vaso di cristallo sull’orlo di un tavolo.

Lo sapeva che prima o poi sarebbe successo, che per lui Vegeta sarebbe stato capace di rinunciare a tutto ciò che avevano costruito insieme.

Questo era solo l’inizio.

Fece l’ultimo tiro e mentre la brezza assorbiva la nuvola di fumo, concluse che se Vegeta avesse avuto per lei lo stesso morboso interesse che nutriva per l’altro saiyan, sarebbe stato l’uomo più innamorato e più fedele che una donna avesse potuto desiderare accanto.

Ma Goku evidentemente era su un gradino più in alto.

Non sapeva quest’ultimo che oltre al principe dei saiyan, anche l’amica dell’infanzia aveva ingaggiato una lotta personale per sottrargli ogni primato.

Strofinò il mozzicone sul marmo del davanzale annerito in più punti, ognuno per ogni sigaretta spenta, poi entrò nel bagno, lo gettò nel water e tirò lo scarico.

Lo specchio riflesse la sua immagine e da quel che vide Bulma capì che il fumo le stava facendo venire le fosse sotto gli occhi, che le avrebbe fatto spuntare le rughe prima del tempo, che le aveva messo addosso un tanfo da saloon western.

Aveva iniziato da un po’ di tempo senza neanche rendersene conto: aveva preso la prima sigaretta dal pacchetto di suo padre, che ne aveva sempre incollata una sotto i baffi.

Dopo un delicato intervento a motore acceso, aveva trovato l’integratore giusto per i suoi nervi e così aveva continuato a farne uso, dapprima nelle pause di lavoro, poi dopo cena e da qualche giorno, per il crescente nervosismo, anche prima di mettersi a letto.

Dopo la brutta cera che lo specchio le aveva rinfacciato, mettendo in guardia vanità ed ego, Bulma aveva capito che era arrivato il momento di correre ai ripari e di smettere.

Frattanto si lavò il viso con acqua fredda, tolse i residui di trucco con un batuffolo di cotone e si strofinò i denti con vigore.

Si spogliò e prima di foderarsi in lenzuola di lino, uscì dalla stanza con la sola casacca del pigiama per recuperare il pc portatile lasciato nel salotto ed ordinare, una volta nel letto, quelle cartelle che aveva lasciato in sospeso nel pomeriggio.

Il buio del salotto non era filtrato neanche dalle luci del giardino, lasciate spente durante la notte per risparmio di energia.

Così mosse la mano a tentoni contro il muro e spinse l’interruttore:

“Spegni quella maledetta luce!” la voce contrariata di Vegeta la fece sussultare.

Quando riuscì a trovare tra gli interruttori quello collegato alla luce più fioca dell’abatjour accanto al divano, lo trovò adagiato lì con gli occhi strizzati come gli fosse stato spruzzato a tradimento un liquido caustico.

Aveva addosso solo i pantaloni leggeri del pigiama.

“Per quale ragione stai dormendo qui sul divano?” il fatto era deducibile dal cuscino che aveva portato dalla sua stanza da letto.

Aveva ancora la voce impastata quando mormorò a denti stretti che la colpa era di due dannate zanzare:

“E da quando il principe dei saiyan non riesce a liberarsi di due miseri insetti?” il sarcasmo Bulma lo usava come il sale, in ogni occasione in cui ci andava messo lo teneva sempre a portata di mano.

“Da quando l’ultima volta ho fatto crollare una parete, o lo hai dimenticato?”.

Era visibilmente infastidito da quel brusco risveglio, si era messo a sedere ed aveva raccolto la testa tra le mani come gli dolesse.

Bulma sospirò frustrata, si sedette accanto a lui, si portò al petto le gambe nude poggiando il mento sulle ginocchia:

“Da quando ci siamo ridotti a questo?” mormorò come a sé stessa.

Vegeta rialzò la testa, ignorò la sua domanda senza voltarsi a guardarla, e per liquidarla prima si servì di un’osservazione molto offensiva:

“Hai lo stesso tanfo di tuo padre”.

Ma ella non si scompose come si sarebbe aspettato, al contrario:

“Ho deciso di smettere di fumare, incomincerò da domani” lo informò con distacco.

“E adesso che cosa vuoi? Se non te ne sei accorta, stavo dormendo, faresti meglio ad andartene”.

Le labbra di Bulma si piegarono in un riso amaro:

“Se si fosse trattato di Goku, non ti sarebbe importato di dormire”.

Non una contrazione scompose il suo volto, restò concentrato sul disegno geometrico appeso al muro di fronte fino a quando lei non proseguì e disse:

“Tu sei ossessionato da lui”.

Allora la sua mascella si indurì ed una ruga si accentuò intorno alla tempia impercettibilmente.

Ad un tratto la sentì muoversi, avvicinarsi senza esitazione, allargare una delle gambe nude e sedersi su di lui faccia a faccia.

Bulma aveva nella spina dorsale più sicurezza di quanta ne avesse lui nell’istante in cui la vide sbottonarsi la casacca del pigiama e lasciarla cadere alle sue spalle, svelando nude ed invitanti le rotondità dei suoi seni:

“Sono ventisette giorni che hai smesso di farlo” cercò la sua mano e la strinse contro il petto, facendogli sentire la pienezza ed il desiderio “toccami, ti prego, toccami”.

Le labbra sottili del saiyan si dischiusero: non erano un ghigno, né un sorriso, né un diniego, fu l’attimo in cui il respiro si spezza mentre la brama invade le vene e la vista si annebbia.

Bulma guidò la sua mano lungo il pendio dei suoi seni, nel solco che li divideva, sulle curve rotonde culminanti in due piccole sporgenze indurite, con lentezza ed attenzione come fosse la prima volta che gli ostentava le sue bellezze.

Lui non capiva dove volesse arrivare, il perché della fermezza del suo sguardo azzurro che andava oltre la passione e l’audacia, si inerpicava per cammini più impervi, si aggrappava a rocce friabili svelando la precarietà del suo equilibrio, pretendeva risposte e conferme.

La lasciò fare senza chiederle niente, troppo tardi per sciogliere le catene infuocate con cui lo aveva fatto prigioniero.

Bulma era maestra nell’arte della seduzione e la usava come meglio poteva quando non aveva altri mezzi a sua disposizione, e da quando era Vegeta ad andarci di mezzo lo faceva senza misure dando tutta sé stessa.

“Goku potrebbe farti sentire questo?” chiese suadente.

Vegeta chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro, ai lati della bocca un’increspatura rasentava un mezzo sorriso:

“Siete due cose distinte, da come parli si direbbe che sei gelosa di lui”

“Perché viene prima di tutto” replicò fermando la mano e dando sfogo a qualcosa di molto distante dal desiderio “Goku è un’ossessione, non puoi fare a meno di pensare a lui, va contro ogni tuo volere, neanche per me hai lo stesso interesse, valgo molto di meno, se non ci fosse lui a cui rivolgere costantemente il tuo pensiero, non avresti alcun obiettivo nella vita” parlò svilita e seria.

“Voglio soltanto combattere contro di lui, non voglio averlo tra i piedi per tutta la vita, ecco la differenza che passa tra voi due!”.

Le lunghe ciglia fremettero mentre provò a scandagliare una delle osservazioni più sentimentali che le avesse mai fatto.

“Devo dedurre che sono io quella che vorresti avere tra i piedi per tutta la vita…” in risposta il saiyan assalì famelico uno dei suoi capezzoli, come un mendicante addenta un morso di pane trovato sull’asfalto.

“Lascialo in pace” proseguì la donna trovando la forza di farlo smettere, di afferrare i suoi capelli ed inclinargli il capo all’indietro per guardarlo meglio negli occhi “a Goku è stata data la possibilità di tornare nel mondo dei vivi per un solo giorno. Ha il diritto di starsene tranquillo con la sua famiglia”.

Lo vide sogghignare:

“E’ qui che ti sbagli. Lui non torna per la sua famiglia, torna per combattere, in questo mi somiglia” fece con una punta di orgoglio, insolita quando l’accenno era rivolto al suo rivale più acerrimo.

“E’ soltanto uno stupido torneo!” e tornò ad offrirgli quasi con rabbia quel calice delizioso che gli aveva sottratto dalla bocca.

Era stato nell’istante in cui la voce di Goku aveva echeggiato nei laboratori della Capsule corp., annunciando la partecipazione al torneo di arti marziali, che si era sbriciolato il suo equilibrio familiare: quella sera stessa Vegeta aveva smesso di dormire con lei, come se l’eccitazione di quel pensiero fosse maggiore di quella fisica che potevano sperimentare insieme.

In lui si era ridestato quel tormento che negli ultimi anni aveva sotterrato, ma senza metterci sopra nessuna pietra, perché quella fossa in cui giaceva l’odio e la vendetta restasse sempre aperta alla possibilità di un risveglio.

Quei sentimenti erano due cadaveri risuscitati che con le braccia ossute protese in avanti lo avevano afferrato per la gola, succhiato il raziocinio e quanto di umano fosse germogliato nel suo cuore.

Esigevano allenamento, concentrazione e solitudine.

L’unico a beneficiarne era stato il piccolo Trunks che trascorreva gran parte del tempo insieme a lui nella stanza gravitazionale.

Su Bulma, sul suo profumo, i suoi seni vogliosi, le sue gambe levigate, quei due cadaveri ci avevano gettato il loro putridume: era una distrazione che non si sarebbe potuto concedere durante quel mese.

Ora, per il grande Vegeta contavano soltanto Goku ed il giorno in cui la sua faccia pulita e generosa avrebbe mangiato polvere e sputato fiele.

Ma il tumulo consacrato all’odio e alla vendetta era rimasto ancora aperto ad attenderne il ritorno, la vanga per rigettarci terreno sopra era lì a sua disposizione, e in quegli attimi di inebriamento pensò che Kakaroth poteva andarsene anche all’inferno, che un soldato prima della guerra ha bisogno di imprimersi nella mente le ragioni per cui fare ritorno.

Ora, i suoi seni travolgenti, la bocca arroventata, le gambe dischiuse già pronte ad accoglierlo erano validi motivi ma non gli unici perché erano soltanto il dettaglio di un quadro più complesso, di un discorso più importante che la sua coscienza ebbra ed esaltata non sarebbe stata capace di argomentare.

Si lasciò andare e basta perché aveva bisogno di lei più di quanto volesse ammettere, perché Kakaroth era il tormento e Bulma la tregua, perché in certi momenti le giustificazioni non contano niente.

Allora, la sua lingua si mescolò nel gusto di menta e di tabacco della sua bocca, dietro l’orecchio annusò ancora il profumo spruzzato quella mattina dal sapore zuccheroso.

Con un’unica manovra la sottomise al suo corpo fremente e strappò l’ultima barriera di cotone.

“Non pensi che dovremmo almeno andare in camera mia?” sibilò Bulma soggiacendo ai suoi baci intrepidi e a carezze inenarrabili.

A Vegeta quella stanza non era sembrata mai così lontana:

“Potrebbe arrivare Trunks…” ribadì lei con meno convinzione mentre ruotava il collo prima da un lato e poi dall’altro per assecondare meglio la sua lingua.

“Era talmente stanco quando è andato a dormire che non lo tireresti dal letto neanche se gli dicessi di aver costruito un luna park tutto per lui in giardino” scese tra le sue gambe facendola inarcare dal godimento.

Vegeta allungò un braccio, spense il lume e tornò ad amarla.

Faceva bene ad imprimere nella memoria il trasporto palpitante di quegli attimi poiché erano gli ultimi che avrebbe condiviso con lei prima di vedere l’inferno.

 

 

FINE

 

 

Grazie mille a quanti hanno commentato la capsula n°5, sono rimasta molto sorpresa che ci sia stato qualcuno in più del solito. Continuate a farlo perché i giudizi sono sempre molto stimolanti.

A chi non avrà niente da dire, grazie lo stesso per avermi dedicato del tempo. Ciao!!

 

 

   
 
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