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Autore: SiriusBlack91    22/08/2012    0 recensioni
Questa raccolta di storie è un'insieme di storie di dinosauri, vita di tutti i giorni raccontata sotto gli occhi degli animali stessi, nel loro ambiente naturale! So che non sarò scientificamente preciso in quanto le teorie cambiano in continuazione e poi, infonso, sono tutte semplici teorie della vita sociale di queste creature estinte milioni di anni fa! In ogni caso, spero che vi piaceranno e se secondo voi ho commesso qualche errore di tipo scientifico sarò felice di avere la vostra opinione al riguardo :)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rettili a vela
280 milioni di anni fa
Inizi del Permiano
Bromacker, Germania
I primi rettili avevano ormai conquistato quasi tutto ciò che si andava formando delle terre emerse.
Le loro forme ancestrali ricordano mostri creati dalla fantasia di cantastorie medioevali, che raccontavano di coraggiosi cavalieri in guerra contro creature demoniache per salvare villaggi o giovani principesse.
La loro bizzarria nelle forme non era che l’inizio di una continua evoluzione che dopo milioni di anni avrebbe portato alla nascita di creature altrettanto strane, i dinosauri.
In questa era geologica si è visto un’esplodere di forme viventi che non ha eguali nel corso della vita sulla terra. Andavano formandosi le prime piante e con queste le prime creature a cibarsene, i cosiddetti erbivori. E dall’altra parte della medaglia, c’erano anche altre creature, specializzate nel predare e uccidere, i carnivori.
Due specie in particolare, avevano una caratteristica in comune, che mise in difficoltà i primi paleontologi che ne fecero la scoperta: l’Edafosauro e il Dimetrodonte.
Ciò che li accomunava era una vistosa “vela” posta sulla spina dorsale che correva lungo tutta la schiena fino all’inizio della coda. Questa particolarità anatomica era caratterizzata da delle spine neurali enormemente allungate sulle vertebre cervicali e dorsali, che erano probabilmente ricoperte da pelle, da cui il termine “schiena a vela”.
Non se ne conosce la vera natura, ma è probabile che fosse uno strumento di termoregolazione corporea, oppure veniva utilizzata anche durante i riti di accoppiamento o di ricerca di una compagna, per attirarne l’attenzione.
La differenza sostanziale sta nella forma del cranio e, soprattutto, quella dei denti.
Per quanto riguarda l’Edafosauro, il cranio è piccolo rispetto alle dimensioni del corpo e mostra chiari adattamenti da erbivoro, infatti la dentatura è di due tipi: denti a piolo nella parte iniziale, per strappare la vegetazione, e una struttura definita “a superficie triturante”, un chiaro riferimento alla masticazione della vegetazione stessa.
Invece, per il Dimetrodonte, non è affatto difficile intuire che si trattasse di una specie carnivora, in quanto la dentatura è formata da grandi e forti denti semi-ricurvi, atti ad afferrare la preda e strapparne grossi pezzi di carne. Ad agevolare il lavoro dei denti, c’è una grossa mandibola la cui struttura permetteva di contrarre le fauci in una forte morsa, per appunto bloccare la preda stessa.
Queste due specie convivevano nello stesso ambiente, con clima quasi sempre arido e temperature di circa 20° superiori alle attuali.
Un grosso branco di Edafosauri si crogiolava al sole, come enormi lucertole, in una grande piana alluvionale che mesi prima era stata totalmente invasa dall’acqua. La siccità non era un fenomeno raro in quel periodo e gli animali vi si erano ormai adattati.
Il fatto di vivere in branco forniva agli animali una maggiore protezione dai carnivori, soprattutto per gli esemplari giovani e quelli più vecchi.
Una madre si stava godendo il calore del sole, girando il capo ogni tanto per dare un’occhiata al piccolo che giocava insieme ai suoi fratelli. Erano trascorse poche settimane dalla schiusa delle uova e i cuccioli crescevano ad un ritmo impressionante, arrivando all’età adulta nel giro di un anno e mezzo.
Le grandi dimensioni di queste creature li costringevano ad assimilare un’altrettanto grande quantità di cibo, e il fatto che non lo masticassero completamente prima di ingerirlo ne causava che dovessero passare parte del loro tempo a digerire.
Attività che non dispiaceva affatto alle creature. Fatta eccezione per i piccoli che erano in continua attività, il che gli permetteva di svilupparsi con una forza e resistenza ossea maggiore.
Per non parlare dei giovani maschi, in perenne lotta tra loro per potersi aggiudicare una femmina e poter quindi proliferarsi.
Dall’altra parte della valle, a circa un chilometro di distanza dalla massa di erbivori, un’altra femmina si stava prendendo cura dei suoi cuccioli. La sua specie, però era totalmente estranea alla vita di gruppo, tanto che le femmine erano solite cacciare via i maschi dopo la deposizione delle uova.
Questa femmina di Dimetrodonte, aveva imparato a sue spese cosa significasse permettere a un grosso maschio della sua specie di gironzolare liberamente nei pressi del suo nido.
Alcuni giorni prima, tornando dalla caccia, vide il grosso maschio nutrirsi delle sue uova. Lei riuscì a cacciarlo via, procurandosi un grosso graffio alla parte sinistra della testa e con tre uova mancanti.
Così ora si prendeva cura delle restanti due uova, restando in continua vigilanza, privandosi perfino del cibo da diversi giorni, riuscendo a nutrirsi solo di qualche piccola lucertola. Mancava poco alla schiusa delle uova e non poteva permettersi di perdere anche quelle altre cinque che le restavano.
La femmina riposava all’ombra dell’albero dove aveva creato il nido, una grossa buca ricoperta di terreno, per mantenere equilibrata la temperatura all’interno, quando iniziò a sentire dei piccoli “crack” provenire dalle sue spalle. Si alzò piano girandosi in direzione delle uova dietro di lei e, iniziando a scavare, vide che finalmente si stavano schiudendo.
Piccole testoline sbucavano dai gusci emettendo timidi pigolii in direzione di quella che evidentemente era la loro madre. Lei di rimando emise dei bassi gorgoglii, iniziando ad aiutarli nell’impresa di muovere i primi passi.
La colorazione dei cuccioli non era molto diversa dagli adulti:
era un verde acceso, con striature gialle verticali lungo tutta la vela dorsale e piccole macchie nere sulla testa sul contorno degli occhi, che negli adulti cambiava solo per il fatto che il pigmento verde diventava più scuro .
I piccoli avanzarono alla luce del sole, iniziandosi a riscaldare grazie alla funzione di termoregolazione della vela. Correvano li intorno, contenti della lunga “prigionia” all’interno delle uova. Ben presto iniziarono a pigolare lamentandosi per la voglia di cibo, richiesta che venne prontamente elargita dalla madre. La notte precedente aveva ucciso una lucertola troppo curiosa che si era avvicinata al nido di soppiatto e ora ne offriva la carcassa ai suoi piccoli.
Sarebbero rimasti ben poco tempo con lei, che li avrebbe abbandonati a se stessi nel giro di un paio di settimane, quindi conveniva ai piccoli di imparare dalla madre quante più cose potevano per poter sopravvivere in seguito.
Una volta abbandonati, avrebbero dovuto imparare a riconoscere in fretta i pericoli, derivanti soprattutto da altri esemplari adulti della loro stessa specie. Atti di cannibalismo erano comuni tra alcune specie di carnivori, causando un’ulteriore decimazione degli esemplari che sarebbero arrivati all’età adulta.
Infatti, due settimane dopo la nascita, i piccoli vennero abbandonati al loro destino dalla madre, ritrovandosi a dover affrontare da soli le difficoltà del loro mondo.
I cinque cuccioli si ritrovarono subito a dover combattere contro la morte, in quanto tre grossi maschi di Dimetrodonte li avevano presi di mira. E tra questi, c’era anche l’individuo che aveva attaccato il nido quando le uova non erano ancora schiuse.
I piccoli iniziarono a correre zampettando velocemente sul terreno insidioso, pieno di ostacoli ma anche di ottimi nascondigli. Due riuscirono a rifugiarsi in una buca nel terreno molto profonda, evidentemente scavata da altri piccoli rettili, riuscendo a scampare per poco alle fauci di uno dei maschi.
Il capo-gruppo si gettò all’inseguimento di quello che gli parve il cucciolo più ben cresciuto, correndo all’impazzata pregustando già il sapore della carne e del sangue. Il piccolo scappava più veloce che poteva, incespicando sul terreno e affaticandosi sempre di più per lo sforzo. Riuscì ad infilarsi in un piccolo tronco, in cui il grosso maschio tentò di affondare le mascelle restandovi incastrato.
Il piccolo non sapeva se restarvi dentro o tentare la fuga approfittando del fatto che il maschio era temporaneamente bloccato. Il cuore gli batteva all’impazzata per la paura e forse fu l’adrenalina in circolo che lo spinse d’improvviso ad uscire dal suo nascondiglio.
Fu questione di un attimo, nemmeno il tempo di vederlo arrivare, e il cucciolo si ritrovò stretto nella morsa delle forti mascelle di un altro maschio. Quello che era rimasto incastrato riuscì a liberarsi, per poi iniziare a scontrarsi con l’altro per avere il cucciolo appena catturato.
I restanti due cuccioli erano braccati dal terzo maschio che riusciva prontamente a bloccargli la strada verso ogni rifugio possibile, mancando per poco un paio di volte di riuscire ad acciuffarli.
Sembrava che non avessero speranza, iniziando anche loro a stancarsi per il grande sforzo della fuga. Uno dei due ebbe l’idea di arrampicarsi su un albero vicino, siccome ci era già riuscito qualche giorno prima in un momento di gioco. Essendo più piccoli e agili degli adulti, il cucciolo non ebbe troppi problemi ad arrampicarsi sulla corteccia aggrappandosi con gli artigli e spingendosi fino ad un ramo abbastanza in alto da rendergli salva la vita.
Il maschio sbuffò contro il piccolo, in ovvio segno di rabbia per la mancata cattura, e aveva quasi pensato di provare a farlo cadere colpendo con la testa il tronco, se non fosse stato per un movimento alla sua destra che gli rilevò la posizione dell’altro cucciolo.
Questo tentava di arrampicarsi ad un albero poco lontano da quello dove era salito il fratello, ma non avendoci provato mai in precedenza aveva non poche difficoltà con i primi tentativi. Un fattore che gli costò caro, siccome il maschio riuscì facilmente ad afferrarlo nelle sue fauci mentre il piccolo tentava ancora di salire.
I tre maschi ruggirono soddisfatti della caccia, seppur di magra consistenza. Avrebbero tentato di tirar fuori dal buco gli altri due cuccioli, in quanto con le grosse zampe avrebbero facilmente scavato la buca fino a raggiungerli, ma un suono in lontananza li attrasse a ben altra attività.
La caccia agli Edafosauri.
Il gruppo si diresse in direzione del grosso branco di erbivori, dirigendosi ognuno in una direzione diversa con l’intenzione di accerchiarli e tentare di dividere esemplari giovani, decisamente prede molto più grosse e nutrienti dei piccoli Dimetrodonti.
Il gruppo si diresse quindi verso il grosso branco di erbivori, ancora ignari dell’imminente attacco.
L’atmosfera afosa e il sole opprimente rendevano faticosa l’attraversata della valle, ma era un fattore che avrebbe giocato anche a favore dei predatori, in quanto la mancanza di vento non avrebbe permesso agli erbivori di fiutarne la presenza in anticipo.
Il fattore sorpresa era di vitale importanza per i predatori, all’epoca come oggi, in quanto gli dava un vantaggio sulle prede permettendogli di avvicinarsi a brevissima distanza senza essere scoperti.
I tre carnivori, ormai giunti alla posizione del branco di Edafosauri, si divisero con una tattica predatoria infallibile:
due avrebbero accerchiato i placidi erbivori ai lati del branco, mentre il terzo, sicuramente il maschio a capo del gruppo, avrebbe corso in linea retta giusto in mezzo alle prede disperdendole ai lati. In questo modo avevano possibilità di catturarne anche più di uno.
La tensione era al massimo per i carnivori. Se fossero riusciti nell’impresa, si sarebbero aggiudicati un pasto abbastanza nutriente da bastargli per qualche giorno.
Una volta che i due furono in posizione ai lati, il grosso maschio al centro iniziò ad avvicinarsi di soppiatto al branco, totalmente ignaro di ciò che stava per accadere.
Alcuni piccoli Edafosauri giocavano tra loro ai margini del branco, pur sempre vigilati da una grossa femmina adulta che lanciava sguardi attenti ad ogni lato della loro zona. Sembrava quasi sentire qualcosa di strano nell’aria, ma non riuscendo a scorgere alcun pericolo se ne restò sdraiata al sole a controllare i cuccioli.
Fu questione di secondi, quando il predatore scelse la sua preda e partì all’attacco!
Il grosso Dimetrodonte aveva puntato proprio quel gruppetto di cuccioli e la femmina, visibilmente anziana, e si stava dirigendo verso di loro a tutta carica. Alcuni adulti riuscirono a vederlo solo quando ormai era a pochi metri dalla sua preda, iniziando a lanciare versi di allarme per tutto il branco.
In risposta, questo iniziò a spostarsi come una enorme massa di pesanti zampe e vele dorsali, alzando un polverone che rese difficile la visibilità. Fu questo l’ennesimo fattore a favore dei carnivori, permettendo agli altri due posizionati ai lati di sferrare attacchi agli erbivori senza essere visti in tempo.
Si gettarono nella calca degli erbivori, cercando di disperdere i cuccioli dagli adulti, mentre il maschio Alfa combatteva contro la vecchia femmina tenendola ferma con le forti mascelle tentando di soffocarla.
La femmina si dibatteva dando serie difficoltà al maschio, essendo leggermente più grande di lui.
I due maschi corsero in aiuto del compagno, gettandosi a mascelle aperte contro la femmina, colpendola ai fianchi causandole gravi ferite e copiose fuoriuscite di sangue. La femmina riuscì a resistere ancora per poco, soccombendo infine alla potenza dei tre predatori. Era almeno riuscita a far fuggire i cuccioli, che ora erano ognuno sotto la protezione della propria madre insieme al resto del branco che guardava la scena svariati metri lontani.
Poi, come se nulla fosse, se ne andarono spostandosi in una zona diversa dove stabilirsi, magari alla ricerca di un corso d’acqua. I predatori restarono li a gustarsi il pasto guadagnato con tanta fatica, litigando tra loro per i pezzi migliori. Forse avrebbero anche loro cercato una zona diversa dove stabilirsi, magari avrebbero proprio seguito quel branco avendo così la possibilità di cacciare ancora.
Lo spirito di adattamento in quel periodo della storia della Terra era una caratteristica vitale per ogni specie che si era sviluppata, determinandone la proliferazione o la totale estinzione!
   
 
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