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Autore: Strekon    07/03/2007    2 recensioni
[Ravenloft]
Esiste un mondo in cui il male regna. I tiranni comandano e vengono premiati da forze sovranaturali che vedono in loro la radice stessa della malvagità. In questo mondo l'unica cosa che si può fare è sopravvivere, e tentare di non impazzire...
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Dopo un rapido viaggio in carrozza (di cui ho molto apprezzato la comodità dopo il mio soggiorno a Falkovnia). Sono giunta al cuore di Dementlieu. Port-a-Lucine nel complesso sembra essere molto antica, ma molti dei singoli edifici trasudano uno spirito di modernità. Costruita sul lato di una collina che discende fino all’orlo della Baia Parnault. […] Al centro della città in cima alla collina, vi è la Cattedrale Ste. Mere des Larmes, attorno alla quale si sviluppano un numero distinto di distretti. […] A Nord-Est vi è il Quartier Marchand, dove risiedono parecchi centri di affari. […] Di giorno, i moli del quartiere sono affollati…[…]…alla notte l’area diventa quasi deserta, eccezion fatta per furfanti e marinai ubriachi…”
 
da Gazetteer Volume III, Report One: Dementlieu

 
Capitolo 1
Rendez-Vous


 
Alexander Schneider attraversò la porta di legno, rovinata dalla pioggia, e uscì nel vicolo. Aveva messo da parte abbastanza denaro per acquistare strumenti e materiali da artigiano. Alexander avrebbe dato prova delle sue conoscenze di armaiolo.
Infilò il pacchetto annodato in uno straccio lacero dentro la sacca appesa alla spalla.
Il vicolo era umido per l’acquazzone della sera precedente. La pioggia di quell’inizio estate non lasciava tregua alla città.
I tombini dei vicoli come quelli spesso rigettavano il liquame delle fogne in strada, se le piogge erano troppo abbondanti. I topi scorrazzavano liberi per la città in quelle occasioni.
Alexander calò il mantello dietro la schiena e si incamminò lungo il lato opposto della strada. Avrebbe dovuto trovare un nuovo lavoretto per mantenersi. Il denaro gli sarebbe bastato soltanto per pochi giorni, ancora.
Stava per raggiungere la via principale, quando una carrozza color pece vi si fermò d’avanti. Alexander rallentò il passo senza toglierle gli occhi di dosso.
Era una carrozza di altri tempi, scura e intarsiata, ma rovinata dalla scarsa manutenzione. Sicuramente era appartenuta a qualche nobile.
Un vecchio raggrinzito dal portamento aristocratico, scese dal sedile del cocchiere. Le code della sua giacca strisciarono nel rivolo al centro del vicolo. Fece un gesto aulico e aprì la porticina della carrozza. Con uno scatto una scaletta di metallo sferragliò verso il basso sospinta dalla forza di gravità.
“La mia padrona vorrebbe parlarvi, monsieur” disse l’uomo, inchinandosi malamente e mostrando il capo addobbato da pochi capelli lunghi e grigi.
Alexander si diede un’occhiata attorno e aprì bocca.
“Perché? Chi è la vostra padrona?” disse, preoccupato. Aveva avuto guai con qualche nobile in passato, ma quella carrozza senza stemmi e quel cocchiere non gli facevano venire in mente nulla. Non avere grane con i ricchi era uno dei motivi per cui era emigrato a sud, lontano da Lamordia.
“Madame Araby Touvache, monsieur” disse l’uomo con devozione.
Il nome non disse nulla ad Alexander, ma il suo buon senso lo portò a ragionare in maniera razionale. Assentì con il capo e con un gesto morbido fece scivolare la pistola dalla fondina alla sua mano destra, nascosta dietro la schiena. Si avvicinò alla carrozza ed entrò.
V
Nathan calò il cappuccio sulle spalle appena mise piede nella locanda. L’odore era pungente e la luce scarsa. Nonostante fosse mattina i tavoli erano pieni e l’alcool bagnava le gole degli avventori.
Raggiunse il bancone e richiamò l’oste facendo rullare una moneta d’argento sul legno impregnato di sudore e cognac.
“Buongiorno…viaggiatore?” disse l’oste sbattendo uno straccio unto sulla mensola dietro di se.
Nathan non rispose. Allungo una sacca di pelle rossastra e una fiasca con il tappo in ottone.
“Riempile” disse semplicemente. Poi sfilò il sacchetto di monete dalla cintura e lo sbatté sul bancone.
“E’ tutto quello che ho. Fattele bastare” disse, poi si appoggiò al bancone, rivolto verso la sala.
Nathan sentì l’oste afferrare i suoi ultimi risparmi e sparire nel retro, in cucina. Viaggiare era diventato più costoso e in quella zona era difficile cacciare liberamente. L’unica cosa che poteva fare era trovarsi un lavoretto per racimolare qualche moneta.
“Ehi monsieur!” un uomo ubriaco ciondolò verso Nathan. Lo schivò con un movimento rapido.
“Avete un arpa enorme sulle spalle, monsieur!” disse l’ubriaco, tentando di mantenersi in piedi.
“E’ un arco” disse Nathan, senza degnarlo di uno sguardo.
“Un arco? Per Ezra, è l’arco più grande e inutile che abbia mai visto!” replicò l’uomo alticcio. Nathan lo ignorò e l’oste tornò con la sua sacca di cibo e la fiasca piena d’alcool.
“Grazie” disse semplicemente. Afferrò le sue provviste e le infilò nello zaino sotto il mantello. Abbassò il cappuccio sulla nuca e uscì dalla locanda maleodorante.
Dovette fermarsi subito. Il passo era bloccato da un carrozza nera. La porticina laterale era aperta e un vecchio rugoso e quasi calvo faceva un mezzo inchino nella sua direzione.
“Monsieur, la mia padrona vorrebbe chiederle un immenso favore…”

 
V
 
Kaspar Sdarestky era affannato. Fuggiva da quasi una settimana con il terrore di poter essere raggiunto. La sua fuga da Borca era stata improvvisa e pericolosa.
Sudato, sporco, lacero e distrutto. Kaspar era solo un’idea di quello che una volta poteva essere un uomo di quasi trent’anni. Scansò una donna in mezzo alla strada e si infilò in una stradina buia che odorava di palude.
Con il fiato rotto si accasciò a terra, strisciando la schiena contro la parete. Strinse gli occhi, li sbatté un paio di volte e si guardò attorno. Infilò le mani nella pozzanghera al centro della strada e si sciacquò la faccia con l’acqua macera delle fogne.
Pettinò i capelli all’indietro prima di estrarre dalla sacca sulle spalle un astuccio di cuoio scuro. Liberò la fibbia e ne svolse il contenuto. Le mani gli tremarono mentre la siringa di vetro succhiava il liquido trasparente dalla boccetta.
Kaspar lo osservò con occhi sottili, lo miscelò con una polvere bianca dentro un piccolo flacone e poi lo risucchiò nella siringa.
Strinse il braccio con un laccio di cuoio e lo tirò più che poté. Non contento afferrò coi denti l’estremità del laccio e tirò ancora, verso l’esterno.
E finalmente la siringa gli penetrò le carni. Il liquido scese lungo la vena. Scivolò col sangue fino ad arrivargli al cervello. Il fiatone sparì e i muscoli gli si rilassarono. Sentì un tonfo sordo e la vista lo abbandonò.
A Kaspar sembrò un secondo, ma probabilmente ne passò di più. Riaprendo gli occhi vide un ometto non troppo alto, vecchio, col naso uncinato e una ragnatela di rughe sul volto. Vestiva bene, nonostante tutto, ma puzzava peggio della fogna.
“Monsieur, la mia padrona vorrebbe parlarle” disse l’uomo, indicando alla sua sinistra.
Kaspar seguì la mano del vecchio e vide una carrozza stagliarsi sulla strada principale, a neanche un passo da se.
“Chi siete…?” chiese Kaspar, stordito dalla droga. L’uomo non rispose. Si avvicinò e lo aiuto a mettersi in piedi. Poi lo accompagnò fin dentro la carrozza.
   
 
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