V’era qualcosa di spaventosamente
eretico nelle sue parole.
Eppure, il suo animo
pareva intatto.
Era il sortilegio di perfezione
dei Borgia.
Roma, 1501 A.D.
Nelle prigioni,
il
Rampollo di Castel Sant’Angelo,
scaglia la sua ira sulle testa dei due fratelli
Manfredi.
<< Non osare,
Astorre…! >> urlò il Borgia, stringendo i pugni lungo i fianchi:<<
puntarmi il dito contro! >> sbottò infine, fissandolo con i suoi occhi,
ormai perennemente infiammati dalla forza degli Inferi. Il suo Essere era
completamente in balia del male più puro, squassato da percezioni virili e
magnifiche, di cui non era mai sazio e che continuava a desiderare ora dopo
ora.
<< Altrimenti, mio
signore? >> rimbeccò l’altro mentre il volto diventava paonazzo, con tono
di sfida nella voce. Con un gesto di stizza Astorre sputò a terra e riprese a
fissare il Borgia, che ancora restava immobile, statuario, con il volto
sfigurato dalla rabbia e i pugni stretti tanto da far sbiancare le nocche. Per
un attimo i suoi lineamenti parvero distendersi e tornare ad essere mansueti,
ma nella sua anima s’agitava ancora il cavallo imbizzarrito ch’era in lui.
Sorrise mestamente, poi,
d’improvviso, fece cenno a due guardie d’afferrarlo saldamente per la spalle e
si voltò verso l’altro prigioniero, che giaceva incatenato all’altro angolo
della cella.
<< Liberalo! >>
sbottò in direzione di Petronio, che s’affrettò ad eseguire l’ordine, con la
consueta veemenza, mentre nella sua prigione di carne il suo cuore s’agitava e
si spezzava in due metà.
Con un gesto teatrale il
Borgia si sbottonò la giacca di velluto e se la tolse lentamente, restando con
indosso una sottile camicia di seta dalle ampie maniche. Lentamente, estrasse
la spada dal fodero, facendo vibrare il suono della lama che usciva dal fodero.
Quel suono era pari ad una poesia ai suoi orecchi, una dolce melodia che
gl’infliggeva più piacere di qualsiasi altra cosa.
<< Le mani… >>
disse sotto voce, mentre faceva mulinare la spada attorno al suo corpo:<<
subito… >> aggiunse, lanciando uno sguardo significativo a Petronio, che
stava trattenendo Gian Galeazzo per le spalle.
<< Mio signore non…
>> cercò di dire l’uomo, ma il Borgia lo zittì con un gesto della mano.
<< Ho detto…! >>
aggiunse:<< le mani! >> sbottò, mentre si preparava a vibrare il
colpo.
<< Bastardo! >>
urlò d’impulso Astorre, sputando ancora a terra, dimenandosi con forza:<<
tagliale a me le mani, bastardo! Hai capito, codardo! >> una della
guardie gli assestò un pugno tra le costole, ma l’uomo, s’eppur piegato in due
dal dolore, non smise di divincolarsi, come comandato da una forza superiore.
<< Sei solo un
impotente bastardo! >> urlò ancora, ma il Borgia non parve dagli troppo
conto.
Appena Petronio ebbe ben
disteso le mani di Gian Galeazzo su di un rozzo piano in legno, il Borgia alzò
la spada sopra la testa, reggendola con due mani. Caricò il colpo, mentre nel
suo Essere tutto era un insieme infinito di dolci ed eccitanti percezioni nelle
quali avrebbe vagato per tutta la vita. Fissò per qualche attimo il volto
chinato di Gian Galeazzo.
Il Manfredi non aveva detto
una parola, non s’era opposto al suo fato, aveva semplicemente accettato ciò
che gli sarebbe successo. Non provava nulla nel suo cuore, se non delusione.
Delusione per ciò che aveva pensato fosse Cesare Borgia. Era deluso del
comportamento del figlio del Papa, e per quanto cercasse d’odiarlo, non ci
riusciva. Lo amava, anche adesso, che stava per infliggergli una dura punizione,
non poteva odiarlo, non riusciva a guardarlo con stizza, a rivolgere a lui un
unico pensiero di maledizione, non un unico bruto desiderio di morte. Solo,
poteva offrire la sua anima.
I capelli bruni ondeggiavano
a ritmo con i brividi delle sue membra, mentre la lama era sempre più prossima
alle sue mani. Fu un lampo a saettare nell’aria, poi, un dolore forte lo
pervase, risalendo dalle braccia fino alla sua gola ed al suo petto,
costringendolo ad urlare. Il sangue schizzò nell’aria, ed imbrattò il rozzo
pavimento di pietra della cella, mettendo in fuga i ratti che lo tempestavano.
Le mani caddero a loro volta a terra, mentre le dita si muovevano a scatti su e
giù, sotto l’ultimo influsso dei nervi lacerati.
Gli spasmi del dolore lo
pervasero e gli fecero vibrare le membra, tendere i muscoli a lasciarlo
intontito e privo del controllo delle sue carni. Vide il sangue schizzare quasi
sino ad imbrattare la candida camicia del Borgia, e sotto l’influsso del dolore
più allucinante urlò e pianse senza potersi trattenere, mentre sentiva il cuore
martellargli in petto e le orecchie riempirsi delle sue stesse penose grida.
La vista gli si offuscò, per
via delle lacrima, e gli parve di svenire, ma non cadde, né l’aria che gli si
sentiva mancare cessò di reggerlo in vita.
Forse non era ancora giunto
il momento di morire per lui.
<< No! >> l’urlo
che scaturì dalla gola d’Astorre sovrastò per qualche attimo quello del
fratello minore:<< Bastardo! >> le catene che gli legavano i polsi
tintinnarono, ma non riuscì a divincolarsi.
Per qualche attimo il Borgia
fissò il sangue e le mani mutilate a terra, poi, alzò lo sguardo su Gian
Galeazzo, che, accasciato a terra piangeva e urlava, mentre si premeva i
moncherini tre le gambe, nel disperato tentativo di far diminuire il dolore
insopportabile che gli lanciava stilettate a tutto il torace.
<< Prendetelo…!
>> disse il Borgia, rinfoderando la spada e voltandosi a fissare
l’iracondo Astorre, anche ancora si dimenava, strattonando le catene come un
animale, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di furia.
<< Che sia medicato!
>> ordinò il Valentino.
Il cuore di Petronio perse
un colpo, e riuscì a trattenere le lacrime che gli bruciavano agli occhi. Il
raccapriccio di quella scena gli pulsava nelle tempie, eppure, non aveva potuto
fare nulla, il Borgia lo aveva reso incapace di opporsi ai suoi ordini, lo
aveva assuefatto a sé, e lui non riusciva a liberarsi dal suo controllo. Non lo
amava, e non desiderava il suo bene com’era stato per Astorre e Gian Galeazzo,
ma ogni qualvolta gli passava per la mente d’abbandonarlo, un filo sottile, del
quale non capiva l’esistenza gli impediva di ribellarsi.
Forse era caduto troppo
infondo alla tela dei Borgia per poterne uscire, e già si poteva sentire
divorato.
<< Il bastardo
sodomita morirà… >> aggiunse con stizza:<< ma lentamente… >>
aggiunse, fissando, poi Petronio, che distrutto dal dolore era costretto a
mordersi l’interno della guancia per evitare di scoppiare in lacrime. <<
Ottimo lavoro, Petronio! >> elargì freddo il Borgia.
<< Mio signore…
>> disse in un sussurro l’uomo:<< vi prego di lasciare me alla
guardia della cella questa notte! >> aggiunse alzando la testa, mostrando
gli occhi scintillanti di lacrime.
<< No… >> disse
seriamente il Borgia:<< è più sicuro che tu vada con mia moglie, non
vorrei che qualcuno le facesse del male… >> disse con stizza nella voce,
fissando di sottecchi Astorre, che a quelle parole aveva preso a dimenarsi
ancor più.
<< E poi… >>
prese a dire il Borgia:<< non vorrei che i prigionieri evadano! >>
disse tra i denti, lanciando sguardi orrendi a tutti i presenti. Infine,
avvertì il petto oppresso da una forza innata, potente che gli riscaldava il
sangue del cervello, e non poté più trattenersi. Colpì in pieno volto il
comandante e ringhiò sommessamente, colpendolo ancora più profondamente con il
suo sguardo ghiacciato.
<< No, mio signore,
io… >> cercò di spiegare Petronio, massaggiandosi invano la mascella, che
s’era dissestata per via della violenza del colpo.
<< Non voglio il tuo
giudizio! >> sbottò il Borgia:<< taci e limitati ed eseguire i miei
ordini, idiota! >>. A quell’affermazione, ancora una volto Petronio si
riscoprì incapace di reagire, e si tormentò l’animo senza trovare una risposta.
<< I comandi… >>
riprese a dire il Borgia sotto voce, come se stesse svelando un segreto
pericoloso: << provengono da Dio a
me… >> disse alzando un dito al cielo:<< e da me, a voi! >>
urlò infine, diventando paonazzo in volto.
<< Sei ancora convinto
che Dio ti protegga, bastardo? >> sbottò Astorre, mentre Gian Galeazzo
veniva trascinato via, seguito dalla sua stessa scia di sangue.
Il Borgia si voltò di
scatto:<< certamente, Dio non protegge né te né il tuo fratello sodomita!
>> rimbeccò in un ringhio, riprendendo la giubba di velluto e facendo
cenno a Petronio di seguirlo mentre usciva dalla cella.
<< Sei un bastardo! Mi
senti?! >> urlò Astorre:<< Cesare Borgia è un bastardo! >>.
Il Borgia si incamminò oltre
la soglia della cella:<< bastardo… >> disse:<< …ma bastardo del
Papa! >>.
Il suono dei tamburi ricordava
il cuore calmo d’un uomo, eppure, in quel momento, Gian Galeazzo, non riusciva a trattenere la paura. Il suo
cuore batteva all’impazzata, ed il suo respiro era irregolare come mai prima
d’allora.
Il buio l’avvolgeva ancora,
eppure, da dietro gli edifici più alti riusciva a vedere il cielo che si faceva
un poco più chiaro, rivelando la mistica presenza della luce Divina che presto,
sarebbe tornata a splendere nel cielo per un altro giorno.
Le tenebre scivolavano
ancora per la strada, ed il volto del Borgia era soltanto parzialmente
illuminato dalla fioca luce proveniente dal giorno non ancora nascente.
Nel buio il male si muoveva
sempre più velocemente, tessendo le proprie tele d’oscurità, nascondendosi nella notte, ed il Borgia, pareva
un predatore del buio, pronto a soddisfare la sua malvagia cupidigia.
Era passata una settimana
dall’ultima volta in cui Gian Galeazzo aveva posato il suo sguardo sul viso del
Borgia, e gli pareva un eternità. Era crudele, morbosamente attaccato al
potere. Ma stare senza Cesare Borgia era diventata la sfida più ardua per lui.
Non poteva evitare di fissare il suo profilo statuario, non poteva impedirsi di
perdersi completamente nel suo sguardo, in quegli occhi magnificamente azzurri,
dal taglio insolito e stupendo. Non poteva trattenere il suo amore quando incontrava
la folta chioma riccioluta e bionda. Il solo poterlo fissare era qualcosa di magico
e perfetto, un attimo infinito ed eterno, che gli provocava più desiderio e
felicità di qualsiasi altra cosa.
Per qualche momento, il
Borgia si soffermò a fissare i due prigionieri che venivano condotti fino alla
sponda del Tevere, e per un istante, il suo cuore ebbe un sussulto. Aveva
urlato molto per la rabbia, in quei famigerati giorni, aveva fatto uccidere,
violentare, aveva inflitto torture e dolore, e si era sentito bene,
completamente avvolto dalla sua rabbia. Compiaciuto da ciò che stava facendo.
Eppure, in quel frangente, la più remota luce del suo animo parve ridestarsi.
V’era qualcosa di sacro
nella vita, e lui stava per abusarne.
Puntò il suo sguardo al
suolo, sopraffatto da un’ antica indecisione che non provava più da tempo. Era
famigliare e rassicurante sentirsi dividere in quel modo. Allo stesso tempo, si
sentì spregevole, e come spesso gl’era capitato di fare, fremette di rabbia per
quella sua imperfezione fatale ed irresistibile. Si sentiva vivo quando rilasciava la sua
rabbia, sentiva il suo cuore battere nel petto, il sangue caldo scorrere nelle
vene. Eppure, si sentiva bene anche quando era diviso in due. La sua
indecisione, in un certo senso era allettante ed affascinante come la rabbia.
La gioia, la calma, la quiete e la pace non erano per lui.
Nel suo sangue infuriavano
grandi battaglie, nel suo petto batteva il cuore di un condottiero, non quello
di un uomo di Dio. Nel profondo del suo Essere sentiva un calore, come fossero
delle braccia benevole che l’avvolgevano.
Come poteva porre fine alla
vita che Iddio aveva creato?
Quel pensiero si fece largo
prepotente nella sua mente. Non gli era mai capitato di ripensare agli
insegnamenti antichi, recepiti durante gli anni di studio per diventare un uomo
di Chiesa, eppure, in quel momento, tutto tornava alle sue meningi, forte,
insormontabile.
Alzò lo sguardo e da dietro
gli edifici intravide un striscia di cielo azzurrino, dalla quale proveniva una
luce rossastra, un poco vacua. Doveva prendere una decisione, e doveva farlo in
fretta. Una parte di sé gli diceva che doveva ucciderli, prima che nascesse il
giorno, prima che Nostro Signore potesse vedere e proteggere i Manfredi con la
sua Luce. L’altra sua metà d’Essere diceva ch’era sbagliato ucciderli, facendo
le veci di Dio. Dio non aveva emissari, solo, esisteva la sua voce e
null’altro. Nemmeno il Papa stesso, seppur suo padre, era un vero mandante del
Signore, era solo un uomo avaro, come tutti gli altri. Nostro Signore era puro,
e per quanto i preti fossero arroganti nell’ostinarsi d’essere mandanti di Dio,
non lo erano. E nemmeno lui lo era.
Un’ anima persa era, nulla
più. Un uomo smarrito, intrappolato in un gabbia d’oscurità, diviso tra terra e
Cielo. In conflitto tra bene e male, Dio e Satana. Oggetto d’una disputa infinita.
Condiviso con bramosia tra eresia e verità. Condiviso e amato da ambedue, ma
infine abbandonato al suo destino, padrone come prigioniero del suo Fato. Il figliol
prodigo di due mondi opposti. Ad ogni sua azione v’era un giudizio, lo sentiva.
Entrambi lo volevano, ma infine, nessuno lo desiderava veramente. Non Dio, che
voleva solo dimostrare la sua supremazia sull’oscurità, riconvertendo anche i
più smarriti del suo gregge. Non Satana, che con il suo corpo e la sua mente
voleva solo assediare i Cieli. Era una pedina in bilico, una foglia mossa dal
vento. Desiderato ed odiato allo stesso tempo, amato come un figlio, ma rinnegato
come un appestato.
Nelle di lui membra, come
nella mente, aleggiavano questi pensieri d’amore ed odio. Di vittoria e morte. Due opposti troppo potenti
per essere compresi e chetati da uno solo, troppo irregolari da poter essere
limati, troppo imperfetti da poter essere purificati, troppo potenti da
trattenere in un solo corpo di carne.
Attese con impazienza che i
due prigionieri lo raggiungessero, infine, s’accostò a Gian Galeazzo e gli
sollevò il mento con due dita.
Il calore inebriante della
carne del Borgia lo pervase e lo eccitò profondamente, infine, incontrando i
suoi occhi belli come il cielo, il Regno di Nostro Signore.
Non poté fare a meno di
pensare a quanto profondamente l’amasse. S’era illuso che un piacere terreno e
volgare potesse sostituire l’amore che provava per il Borgia, ma ora più che
mai, capiva che nulla avrebbe mai sostituito lo sguardo dell’uomo, nulla
avrebbe mai potuto intaccare i suoi sentimenti. Nemmeno la morte avrebbe
potuto. Se fosse stato ammesso nel Regno dei Cieli, l’avrebbe atteso, perché
senz’ombra di dubbio sarebbe finito là il Borgia, accanto al Padre. Se fosse
stato dannato per la sua lussuria incontenibile, allora, una volta disceso
all’inferno, avrebbe sperato che il Borgia non lo raggiungesse, e che non si sentisse
in pena per lui. Mai, il dolce e fragile cuore del Borgia doveva essere
intaccato da pensieri così cupi. Mai avrebbe dovuto indugiare in ossessioni e
tribolazioni.
<< Menti, Gian
Galeazzo? >> chiese con voce insolitamente fragile il Borgia, con voce tanto
bassa da essere un sussurro straziato:<< menti quando confessi di amarmi?
>>.
Gli occhi del Borgia
parevano infiammati dalla lacrime amare di un tenero affetto, e Gian
Galeazzo non poté fare a meno di provare
una dolce pena per lui.
<< No… >> disse il
Manfredi, fissandolo quasi inebriato dalla sua bellezza.
Il Borgia ebbe un sussulto
di rabbia, e si sentì quasi infuocare. Satana lo richiamava al suo volere,
eppure, in lui, v’era una luce che lo ispirava a resistere a quelle lusinghe.
<< Menti, dunque tu, quando
dici di amarmi? >> domandò ancora, con voce un poco più alta, trattenendo
un esplosione di furia.
<< No… >>
rispose ancora il Manfredi, sempre più rapito da quell’infinito cielo che
scorgeva negli occhi del Borgia.
Era infinito, quel cielo, azzurro
e così bello… era il cielo della sua amata Faenza. Il cielo che tutti i gironi
aveva visto sopra le mura della sue città. Il cielo infinito e adorabile del
Regno di Dio. Era buffo pensare a quanto il Borgia rappresentasse per lui.
L’amore infinito non solo per un uomo, ma anche per la sua Faenza. L’azzurro
dei suoi occhi conteneva l’essenza stessa dell’amore che provava per la sua
città, per il cielo che la sovrastava, ed al contempo rappresentava in modo
distinto la sua fede di cristiano, che adora il suo Dio e che spera nella vita
nel Regno dei Cieli.
<< Menti tu, dichiarando
il tuo amore per me? >> sbottò ormai irrequieto il Borgia, sentendosi
trascinare sempre più nell’ombra, aggrappandosi però alla luce ch’era in lui
con tutte le forze. Un altro rinnego e non avrebbe più potuto evitare di
sprofondare nelle tenebre più ribollenti.
<< No >> disse
sicuro il Manfredi, fissandolo negli occhi:<< No! >> ripeté.
Il Borgia ebbe un moto di
rabbia incontrollabile, ed il suo volto s’imporporò. Satana aveva vinto, non
poteva più aggrapparsi ad una speranza vana, non poteva più contare sull’aiuto
e la protezione di Dio. Non aveva abbastanza forza divina per potersi opporre
all’incombente presenza del male più puro.
<< Ebbene…! >>
prese a dire tra i denti:<< tre volte ti è stato chiesto di porre fine
alla tua follia, e tre volte tu hai rifiutato… è così… con un rinnego di
troppo, che decidi il tuo destino con il destino stesso di tuo fratello!
>> disse:<< vi è qualcosa di sacro negli affetti delle persone… ed
è con l’unico affetto di tuo fratello, se ancora ne serba, che morirai!
>> fece una pausa e indietreggiò di qualche passo, fissandolo con sguardo
così duro d’apparire di marmo. << Non hai il mio affetto…! >> disse
infine, mentre nei suoi occhi brillava l’ombra di qualche lacrima d’amara
rabbia.
Le orecchie di Gian Galeazzo
parvero non cogliere quelle ultime frasi. Era completamente rivolto a lui, con
tutto sé stesso. Dalle labbra del Borgia provenivano solo le parole che voleva
sentirsi dire. Proveniva solo la forte dichiarazione di un amore
incondizionato, che li univa e li divideva.
<< Che siano legati!
>> sbottò il Borgia, facendo un cenno con la mano a due delle sue più
fidate guardie.
Appena i due fratelli
Manfredi furono legati, le due guardie li condussero fino all’acqua del Tevere,
e il fecero immergere sin all’altezza del petto. Infine, attesero che il Borgia
d’esse loro l’ordine.
Astorre gridava e si
dimenava, spezzando la sacralità di quell’attimo.
Il cielo, da dietro i tetti
degli edifici si tingeva sempre più di rosso, mentre anche l’empireo, più in
alto, si faceva più vacue e limpido, proclamando l’inizio del nuovo giorno.
“Prima che il gallo canti, tu, per ben tre volte,
mi rinnegherai”.
Il Borgia sentì risuonare i
rinneghi di Gian Galeazzo nella sua mente. Tre volte l’aveva rinnegato,
insolente come un ragazzino viziato aveva mantenuto la sua idea fino in fondo.
E sarebbe morto per quello.
Con i suoi occhi azzurri e
determinati lanciò un ultima occhiata al cielo. Non ancora albeggiava, ma
presto l’avrebbe fatto. << Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai
per ben tre volte … >> mormorò tra sé e sé, infine, abbassò il suo
sguardo cupo sul volto di Gian Galeazzo, ma non vi era paura nei suoi occhi.
<< O morte, o vittoria,
è questo il destino dei forti … >> sussurrò ancora il Borgia: <<
Muori, maledetto sodomita! Che la tua anima sia dannata in eterno! >>
ringhiò infine, fremendo per la rabbia. In quell’attimo la follia pura lo
avvolse, e si sentì bene nell’emanare quella sentenza di morte.
Dio poteva anche aver dato
la vita al Manfredi dall’alto del Cielo, ma lui
gli avrebbe dato la morte, accompagnato dalla fiamma di Satana.
<< A morte! >>
ringhiò, fissando senza pietà i due fratelli.
Astorre esplose in un urlo
senza precedenti, che risuonò per l’aere immobile. S’agitò come un ossesso,
facendo sciabordare l’acqua cheta del Tevere. Infine, venne preso per la
collottola ed il suo capo fu completamente immerso nella profondità dell’acqua.
Il capo di Gian Galeazzo si
chinò lentamente, mentre al contatto con l’acqua gelida mille spilli parvero pungergli il volto.
Mentre il suo capo s’immergeva nelle profondità del fiume il cuore nel suo
petto esplose in mille battiti incontrollati. La paura lo colse per ultima, ma
più spietata che mai. Gli chiuse la gola e, quando dovette riprendere fiato i
suoi polmoni s’inondarono completamente e gli parve che la sua gola venisse
graffiata da degli artigli. Cercò di tossire, ma non fece altro che aumentare
la sua agonia. L’acqua penetrò anche nella bocca, e parve esplodergli nella gola.
Quando fu perfettamente
conscio di non potere più resistere alla potenza dell’acqua voltò lo sguardo a
suo fratello, che si dimenava tra i fluttui, allo stremo delle forze. Fu un
attimo, ma i due si scambiarono un ultimo nostalgico e significativo sguardo.
“Come farò senza di te”. Quella frase si fece largo nella mentre di Gian
Galeazzo, era l’ultima dimostrazione d’affetto che suo fratello gl’aveva
rivolto prima che lui partisse per Roma, prima che succedesse tutto quello.
Sentì che, invano, i suoi
occhi si riempivano di lacrime, poi, vide ancora suo fratello, e lo sguardo che
si scambiarono fu più significativo di qualsiasi altro.
Astorre non avrebbe mai
potuto incolpare suo fratello per la loro morte. L’amore non perdona nessuno.
Gian Galeazzo, con sguardo
sempre più satinato dal pelo dell’acqua intravide la figura statuaria del
Borgia, che, dalla riva fissava la scena immobile. Ricordò i suoi lineamenti, i
suoi capelli dorati e i suoi occhi azzurri come il cielo. Infine, delle nuvole
allungate e vacue presero ad aleggiare davanti ai suoi occhi, e di sotto il
cielo celeste… v’erano le mura della sua amata Faenza. Un brivido lo colse,
infine, il cielo divenne infinito davanti ai suoi occhi.
S’assopì.
E così naufragò nel suo
cielo spinto dalla forza della acque che lo aveva preso.
Quando le membra dei due
fratelli furono completamente immobili, il Borgia diede l’ordine di abbandonare
i cadaveri, e questi, empiti d’acqua scivolarono mestamente nelle profondità
del Tevere, che per sempre avrebbe celato quell’omicidio.
Nel petto del Borgia
esplosero sensazioni differenti, ma inebrianti. La felicità l’avvolse, la rabbia,
il piacere e per ultima; l’indecisione, la paura.
Lanciò un’ occhiata
all’empireo, sempre più nitido. Infine, il suo cuore ebbe un sussulto quando
avvertì il canto d’un gallo in lontananza. Il suono s’amplificò nelle sue
orecchie, e gli parve di morire. Lanciò un ultima occhiata nervosa e spaventata
all’acqua, dove ormai i cadaveri
sprofondavano velocemente.
Per tre volte aveva
rinnegato Dio, ogni qual volta poneva la medesima domanda a Gian Galeazzo
faceva il gioco di Satana, come ogni
quel volta udiva la risposta pura e genuina dell’uomo e la rifiutava.
Le magnifiche percezioni di
piacere, felicità e soddisfazione di qualche attimo prima svanirono,
lasciandolo nudo davanti alla gravità del suo gesto.
Mentre la luce del giorno
s’alzava sempre più forte, avvertì l’impellente bisogno di scappare e di
rifugiarsi nel buio più profondo, nascondendosi al mondo tutto con la sua
vergogna.
Corse via, rapidamente, come
un bambino impaurito, a rotta di collo verso Castel Sant’Angelo e si rifugiò per
gironi nell’oscurità delle sue stanze, dilaniato da dubbi e dolori indicibili.
In ultimo, fece esplodere la
sua rabbia, e cadde per sempre in quel baratro di male sul quale aveva
indugiato per tempo immemore. S’era crogiolato nelle percezioni che la tenebra
donava, ed infine, se n’era totalmente abbandonato, squassato dalla profonda
paura di dover chiedere perdono a Nostro Signore.
Si concesse totalmente tra
le braccia di Satana, e lasciò che il male più puro lo pervadesse per gironi e
l’erodesse nelle profondità più intime del suo Essere.
Infine, dopo otto giorni,
evase dalla sua prigione di oscurità e dolore, per riemergere nella luce.
Il suo viso distrutto dalla
rabbia non sarebbe più stato palpabile, i suoi occhi azzurri di fanciullo
parevano incandescenti e falcati come quelli di un animale, ed erano il punto
di spicco di un anima morta, che si nascondeva dietro i lineamenti sereni e
modellati di una maschera nera.
Non si sarebbe mai più
mostrato dilaniato dalla malattia e distrutto nello spirito. Si sarebbe
rifugiato nel buio tetro che vedeva nelle forme della maschera.
Il suo cuore batteva freddo
e cupo nel petto, mosso dalla sola ed unica bramosia di procurare dolore e
sofferenza, violato dal desiderio di potere e conquista.
La sua vita s’era ridotta
alla disperata ricerca di sentimenti effimeri e virili, votata al male. Il suo
Essere era continuamente stimolato ad uccidere, per ritrovare quelle percezioni
fatali e sfuggenti.
Infine, la sua follia lo
consumò sempre più profondamente, mostrando ancor più le due facce di cui s’era
sempre avvalso. Ora, non v’era più il buon Cesare, combattuto tra bene e male.
Ora, v’era solo il Duca
Valentino, il braccio armato del Papa, unico e solo figlio di Satana.
Ascoltate bene queste mie parole,
perché sono le ultime che pronunzierò come
Essere Senziente:
non era un bruto.
Era un’ anima persa.
Un’ anima in collera, furibonda e letale.
Ascoltatemi bene, perché
è di tal dolce sentimento
che trabocca il mio cuore.
Io sono Gian Galeazzo Manfredi,
io…
Amo, Ora e per Sempre,
Cesare Borgia.