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Autore: Hivy    23/08/2012    2 recensioni
"Non era un bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.
Era solo focoso.
Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei Borgia."
Cesare Borgia, Duca Valentino, primogenito di Papa Alessandro VI; da mesi impegnato nella conquista del suolo romagnolo, nell'anno 1500 giunge a Faenza, città difesa dalla famiglia Manfredi.
Una furiosa lotta lo attende, ma le ragioni che lo muovono e lo colmano di ardimento, sono oscure.
La più ardua battaglia dei fratelli Manfredi sarà riuscire a resistegli restando uniti, sino in fondo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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Capitolo V

V’era qualcosa di spaventosamente

eretico nelle sue parole.

Eppure, il suo animo

pareva intatto.

Era il sortilegio di perfezione

dei Borgia.

 ***

 

Roma, 1501 A.D.

Nelle prigioni,

 il Rampollo di Castel Sant’Angelo,

scaglia la sua ira sulle testa dei due fratelli Manfredi.

 

<< Non osare, Astorre…! >> urlò il Borgia, stringendo i pugni lungo i fianchi:<< puntarmi il dito contro! >> sbottò infine, fissandolo con i suoi occhi, ormai perennemente infiammati dalla forza degli Inferi. Il suo Essere era completamente in balia del male più puro, squassato da percezioni virili e magnifiche, di cui non era mai sazio e che continuava a desiderare ora dopo ora.

<< Altrimenti, mio signore? >> rimbeccò l’altro mentre il volto diventava paonazzo, con tono di sfida nella voce. Con un gesto di stizza Astorre sputò a terra e riprese a fissare il Borgia, che ancora restava immobile, statuario, con il volto sfigurato dalla rabbia e i pugni stretti tanto da far sbiancare le nocche. Per un attimo i suoi lineamenti parvero distendersi e tornare ad essere mansueti, ma nella sua anima s’agitava ancora il cavallo imbizzarrito ch’era in lui.

Sorrise mestamente, poi, d’improvviso, fece cenno a due guardie d’afferrarlo saldamente per la spalle e si voltò verso l’altro prigioniero, che giaceva incatenato all’altro angolo della cella.

<< Liberalo! >> sbottò in direzione di Petronio, che s’affrettò ad eseguire l’ordine, con la consueta veemenza, mentre nella sua prigione di carne il suo cuore s’agitava e si spezzava in due metà.

Con un gesto teatrale il Borgia si sbottonò la giacca di velluto e se la tolse lentamente, restando con indosso una sottile camicia di seta dalle ampie maniche. Lentamente, estrasse la spada dal fodero, facendo vibrare il suono della lama che usciva dal fodero. Quel suono era pari ad una poesia ai suoi orecchi, una dolce melodia che gl’infliggeva più piacere di qualsiasi altra cosa.

<< Le mani… >> disse sotto voce, mentre faceva mulinare la spada attorno al suo corpo:<< subito… >> aggiunse, lanciando uno sguardo significativo a Petronio, che stava trattenendo Gian Galeazzo per le spalle.

<< Mio signore non… >> cercò di dire l’uomo, ma il Borgia lo zittì con un gesto della mano.

<< Ho detto…! >> aggiunse:<< le mani! >> sbottò, mentre si preparava a vibrare il colpo.

<< Bastardo! >> urlò d’impulso Astorre, sputando ancora a terra, dimenandosi con forza:<< tagliale a me le mani, bastardo! Hai capito, codardo! >> una della guardie gli assestò un pugno tra le costole, ma l’uomo, s’eppur piegato in due dal dolore, non smise di divincolarsi, come comandato da una forza superiore.

<< Sei solo un impotente bastardo! >> urlò ancora, ma il Borgia non parve dagli troppo conto.

Appena Petronio ebbe ben disteso le mani di Gian Galeazzo su di un rozzo piano in legno, il Borgia alzò la spada sopra la testa, reggendola con due mani. Caricò il colpo, mentre nel suo Essere tutto era un insieme infinito di dolci ed eccitanti percezioni nelle quali avrebbe vagato per tutta la vita. Fissò per qualche attimo il volto chinato di Gian Galeazzo.

Il Manfredi non aveva detto una parola, non s’era opposto al suo fato, aveva semplicemente accettato ciò che gli sarebbe successo. Non provava nulla nel suo cuore, se non delusione. Delusione per ciò che aveva pensato fosse Cesare Borgia. Era deluso del comportamento del figlio del Papa, e per quanto cercasse d’odiarlo, non ci riusciva. Lo amava, anche adesso, che stava per infliggergli una dura punizione, non poteva odiarlo, non riusciva a guardarlo con stizza, a rivolgere a lui un unico pensiero di maledizione, non un unico bruto desiderio di morte. Solo, poteva offrire la sua anima.

I capelli bruni ondeggiavano a ritmo con i brividi delle sue membra, mentre la lama era sempre più prossima alle sue mani. Fu un lampo a saettare nell’aria, poi, un dolore forte lo pervase, risalendo dalle braccia fino alla sua gola ed al suo petto, costringendolo ad urlare. Il sangue schizzò nell’aria, ed imbrattò il rozzo pavimento di pietra della cella, mettendo in fuga i ratti che lo tempestavano. Le mani caddero a loro volta a terra, mentre le dita si muovevano a scatti su e giù, sotto l’ultimo influsso dei nervi lacerati.

Gli spasmi del dolore lo pervasero e gli fecero vibrare le membra, tendere i muscoli a lasciarlo intontito e privo del controllo delle sue carni. Vide il sangue schizzare quasi sino ad imbrattare la candida camicia del Borgia, e sotto l’influsso del dolore più allucinante urlò e pianse senza potersi trattenere, mentre sentiva il cuore martellargli in petto e le orecchie riempirsi delle sue stesse penose grida.

La vista gli si offuscò, per via delle lacrima, e gli parve di svenire, ma non cadde, né l’aria che gli si sentiva mancare cessò di reggerlo in vita.

Forse non era ancora giunto il momento di morire per lui.

<< No! >> l’urlo che scaturì dalla gola d’Astorre sovrastò per qualche attimo quello del fratello minore:<< Bastardo! >> le catene che gli legavano i polsi tintinnarono, ma non riuscì a divincolarsi.

Per qualche attimo il Borgia fissò il sangue e le mani mutilate a terra, poi, alzò lo sguardo su Gian Galeazzo, che, accasciato a terra piangeva e urlava, mentre si premeva i moncherini tre le gambe, nel disperato tentativo di far diminuire il dolore insopportabile che gli lanciava stilettate a tutto il torace.

<< Prendetelo…! >> disse il Borgia, rinfoderando la spada e voltandosi a fissare l’iracondo Astorre, anche ancora si dimenava, strattonando le catene come un animale, con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di furia.

<< Che sia medicato! >> ordinò il Valentino.

Il cuore di Petronio perse un colpo, e riuscì a trattenere le lacrime che gli bruciavano agli occhi. Il raccapriccio di quella scena gli pulsava nelle tempie, eppure, non aveva potuto fare nulla, il Borgia lo aveva reso incapace di opporsi ai suoi ordini, lo aveva assuefatto a sé, e lui non riusciva a liberarsi dal suo controllo. Non lo amava, e non desiderava il suo bene com’era stato per Astorre e Gian Galeazzo, ma ogni qualvolta gli passava per la mente d’abbandonarlo, un filo sottile, del quale non capiva l’esistenza gli impediva di ribellarsi.

Forse era caduto troppo infondo alla tela dei Borgia per poterne uscire, e già si poteva sentire divorato.

<< Il bastardo sodomita morirà… >> aggiunse con stizza:<< ma lentamente… >> aggiunse, fissando, poi Petronio, che distrutto dal dolore era costretto a mordersi l’interno della guancia per evitare di scoppiare in lacrime. << Ottimo lavoro, Petronio! >> elargì freddo il Borgia.

<< Mio signore… >> disse in un sussurro l’uomo:<< vi prego di lasciare me alla guardia della cella questa notte! >> aggiunse alzando la testa, mostrando gli occhi scintillanti di lacrime.

<< No… >> disse seriamente il Borgia:<< è più sicuro che tu vada con mia moglie, non vorrei che qualcuno le facesse del male… >> disse con stizza nella voce, fissando di sottecchi Astorre, che a quelle parole aveva preso a dimenarsi ancor più.

<< E poi… >> prese a dire il Borgia:<< non vorrei che i prigionieri evadano! >> disse tra i denti, lanciando sguardi orrendi a tutti i presenti. Infine, avvertì il petto oppresso da una forza innata, potente che gli riscaldava il sangue del cervello, e non poté più trattenersi. Colpì in pieno volto il comandante e ringhiò sommessamente, colpendolo ancora più profondamente con il suo sguardo ghiacciato.

<< No, mio signore, io… >> cercò di spiegare Petronio, massaggiandosi invano la mascella, che s’era dissestata per via della violenza del colpo.

<< Non voglio il tuo giudizio! >> sbottò il Borgia:<< taci e limitati ed eseguire i miei ordini, idiota! >>. A quell’affermazione, ancora una volto Petronio si riscoprì incapace di reagire, e si tormentò l’animo senza trovare una risposta.

<< I comandi… >> riprese a dire il Borgia sotto voce, come se stesse svelando un segreto pericoloso: <<  provengono da Dio a me… >> disse alzando un dito al cielo:<< e da me, a voi! >> urlò infine, diventando paonazzo in volto.

<< Sei ancora convinto che Dio ti protegga, bastardo? >> sbottò Astorre, mentre Gian Galeazzo veniva trascinato via, seguito dalla sua stessa scia di sangue.

Il Borgia si voltò di scatto:<< certamente, Dio non protegge né te né il tuo fratello sodomita! >> rimbeccò in un ringhio, riprendendo la giubba di velluto e facendo cenno a Petronio di seguirlo mentre usciva dalla cella.

<< Sei un bastardo! Mi senti?! >> urlò Astorre:<< Cesare Borgia è un bastardo! >>.

Il Borgia si incamminò oltre la soglia della cella:<< bastardo… >> disse:<< …ma bastardo del Papa! >>.

 

***

 

Il suono dei tamburi ricordava il cuore calmo d’un uomo, eppure, in quel momento, Gian Galeazzo,  non riusciva a trattenere la paura. Il suo cuore batteva all’impazzata, ed il suo respiro era irregolare come mai prima d’allora.

Il buio l’avvolgeva ancora, eppure, da dietro gli edifici più alti riusciva a vedere il cielo che si faceva un poco più chiaro, rivelando la mistica presenza della luce Divina che presto, sarebbe tornata a splendere nel cielo per un altro giorno.

Le tenebre scivolavano ancora per la strada, ed il volto del Borgia era soltanto parzialmente illuminato dalla fioca luce proveniente dal giorno non ancora nascente.

Nel buio il male si muoveva sempre più velocemente, tessendo le proprie tele d’oscurità,  nascondendosi nella notte, ed il Borgia, pareva un predatore del buio, pronto a soddisfare la sua malvagia cupidigia.

Era passata una settimana dall’ultima volta in cui Gian Galeazzo aveva posato il suo sguardo sul viso del Borgia, e gli pareva un eternità. Era crudele, morbosamente attaccato al potere. Ma stare senza Cesare Borgia era diventata la sfida più ardua per lui. Non poteva evitare di fissare il suo profilo statuario, non poteva impedirsi di perdersi completamente nel suo sguardo, in quegli occhi magnificamente azzurri, dal taglio insolito e stupendo. Non poteva trattenere il suo amore quando incontrava la folta chioma riccioluta e bionda. Il solo poterlo fissare era qualcosa di magico e perfetto, un attimo infinito ed eterno, che gli provocava più desiderio e felicità di qualsiasi altra cosa.

Per qualche momento, il Borgia si soffermò a fissare i due prigionieri che venivano condotti fino alla sponda del Tevere, e per un istante, il suo cuore ebbe un sussulto. Aveva urlato molto per la rabbia, in quei famigerati giorni, aveva fatto uccidere, violentare, aveva inflitto torture e dolore, e si era sentito bene, completamente avvolto dalla sua rabbia. Compiaciuto da ciò che stava facendo. Eppure, in quel frangente, la più remota luce del suo animo parve ridestarsi.

V’era qualcosa di sacro nella vita, e lui stava per abusarne.

Puntò il suo sguardo al suolo, sopraffatto da un’ antica indecisione che non provava più da tempo. Era famigliare e rassicurante sentirsi dividere in quel modo. Allo stesso tempo, si sentì spregevole, e come spesso gl’era capitato di fare, fremette di rabbia per quella sua imperfezione fatale ed irresistibile.  Si sentiva vivo quando rilasciava la sua rabbia, sentiva il suo cuore battere nel petto, il sangue caldo scorrere nelle vene. Eppure, si sentiva bene anche quando era diviso in due. La sua indecisione, in un certo senso era allettante ed affascinante come la rabbia. La gioia, la calma, la quiete e la pace non erano per lui.

Nel suo sangue infuriavano grandi battaglie, nel suo petto batteva il cuore di un condottiero, non quello di un uomo di Dio. Nel profondo del suo Essere sentiva un calore, come fossero delle braccia benevole che l’avvolgevano.

Come poteva porre fine alla vita che Iddio aveva creato?

Quel pensiero si fece largo prepotente nella sua mente. Non gli era mai capitato di ripensare agli insegnamenti antichi, recepiti durante gli anni di studio per diventare un uomo di Chiesa, eppure, in quel momento, tutto tornava alle sue meningi, forte, insormontabile.

Alzò lo sguardo e da dietro gli edifici intravide un striscia di cielo azzurrino, dalla quale proveniva una luce rossastra, un poco vacua. Doveva prendere una decisione, e doveva farlo in fretta. Una parte di sé gli diceva che doveva ucciderli, prima che nascesse il giorno, prima che Nostro Signore potesse vedere e proteggere i Manfredi con la sua Luce. L’altra sua metà d’Essere diceva ch’era sbagliato ucciderli, facendo le veci di Dio. Dio non aveva emissari, solo, esisteva la sua voce e null’altro. Nemmeno il Papa stesso, seppur suo padre, era un vero mandante del Signore, era solo un uomo avaro, come tutti gli altri. Nostro Signore era puro, e per quanto i preti fossero arroganti nell’ostinarsi d’essere mandanti di Dio, non lo erano.  E nemmeno lui lo era.

Un’ anima persa era, nulla più. Un uomo smarrito, intrappolato in un gabbia d’oscurità, diviso tra terra e Cielo. In conflitto tra bene e male, Dio e Satana. Oggetto d’una disputa infinita. Condiviso con bramosia tra eresia e verità. Condiviso e amato da ambedue, ma infine abbandonato al suo destino, padrone come prigioniero del suo Fato. Il figliol prodigo di due mondi opposti. Ad ogni sua azione v’era un giudizio, lo sentiva. Entrambi lo volevano, ma infine, nessuno lo desiderava veramente. Non Dio, che voleva solo dimostrare la sua supremazia sull’oscurità, riconvertendo anche i più smarriti del suo gregge. Non Satana, che con il suo corpo e la sua mente voleva solo assediare i Cieli. Era una pedina in bilico, una foglia mossa dal vento. Desiderato ed odiato allo stesso tempo, amato come un figlio, ma rinnegato come un appestato.

Nelle di lui membra, come nella mente, aleggiavano questi pensieri d’amore ed odio. Di  vittoria e morte. Due opposti troppo potenti per essere compresi e chetati da uno solo, troppo irregolari da poter essere limati, troppo imperfetti da poter essere purificati, troppo potenti da trattenere in un solo corpo di carne.

Attese con impazienza che i due prigionieri lo raggiungessero, infine, s’accostò a Gian Galeazzo e gli sollevò il mento con due dita.

Il calore inebriante della carne del Borgia lo pervase e lo eccitò profondamente, infine, incontrando i suoi occhi belli come il cielo, il Regno di Nostro Signore.

Non poté fare a meno di pensare a quanto profondamente l’amasse. S’era illuso che un piacere terreno e volgare potesse sostituire l’amore che provava per il Borgia, ma ora più che mai, capiva che nulla avrebbe mai sostituito lo sguardo dell’uomo, nulla avrebbe mai potuto intaccare i suoi sentimenti. Nemmeno la morte avrebbe potuto. Se fosse stato ammesso nel Regno dei Cieli, l’avrebbe atteso, perché senz’ombra di dubbio sarebbe finito là il Borgia, accanto al Padre. Se fosse stato dannato per la sua lussuria incontenibile, allora, una volta disceso all’inferno, avrebbe sperato che il Borgia non lo raggiungesse, e che non si sentisse in pena per lui. Mai, il dolce e fragile cuore del Borgia doveva essere intaccato da pensieri così cupi. Mai avrebbe dovuto indugiare in ossessioni e tribolazioni.

<< Menti, Gian Galeazzo? >> chiese con voce insolitamente fragile il Borgia, con voce tanto bassa da essere un sussurro straziato:<< menti quando confessi di amarmi? >>.

Gli occhi del Borgia parevano infiammati dalla lacrime amare di un tenero affetto, e Gian Galeazzo  non poté fare a meno di provare una dolce pena per lui.

<< No… >> disse il Manfredi, fissandolo quasi inebriato dalla sua bellezza.

Il Borgia ebbe un sussulto di rabbia, e si sentì quasi infuocare. Satana lo richiamava al suo volere, eppure, in lui, v’era una luce che lo ispirava a resistere a quelle lusinghe.

<< Menti, dunque tu, quando dici di amarmi? >> domandò ancora, con voce un poco più alta, trattenendo un esplosione di furia.

<< No… >> rispose ancora il Manfredi, sempre più rapito da quell’infinito cielo che scorgeva negli occhi del Borgia.

Era infinito, quel cielo, azzurro e così bello… era il cielo della sua amata Faenza. Il cielo che tutti i gironi aveva visto sopra le mura della sue città. Il cielo infinito e adorabile del Regno di Dio. Era buffo pensare a quanto il Borgia rappresentasse per lui. L’amore infinito non solo per un uomo, ma anche per la sua Faenza. L’azzurro dei suoi occhi conteneva l’essenza stessa dell’amore che provava per la sua città, per il cielo che la sovrastava, ed al contempo rappresentava in modo distinto la sua fede di cristiano, che adora il suo Dio e che spera nella vita nel Regno dei Cieli.

<< Menti tu, dichiarando il tuo amore per me? >> sbottò ormai irrequieto il Borgia, sentendosi trascinare sempre più nell’ombra, aggrappandosi però alla luce ch’era in lui con tutte le forze. Un altro rinnego e non avrebbe più potuto evitare di sprofondare nelle tenebre più ribollenti.

<< No >> disse sicuro il Manfredi, fissandolo negli occhi:<< No! >> ripeté.

Il Borgia ebbe un moto di rabbia incontrollabile, ed il suo volto s’imporporò. Satana aveva vinto, non poteva più aggrapparsi ad una speranza vana, non poteva più contare sull’aiuto e la protezione di Dio. Non aveva abbastanza forza divina per potersi opporre all’incombente presenza del male più puro.

<< Ebbene…! >> prese a dire tra i denti:<< tre volte ti è stato chiesto di porre fine alla tua follia, e tre volte tu hai rifiutato… è così… con un rinnego di troppo, che decidi il tuo destino con il destino stesso di tuo fratello! >> disse:<< vi è qualcosa di sacro negli affetti delle persone… ed è con l’unico affetto di tuo fratello, se ancora ne serba, che morirai! >> fece una pausa e indietreggiò di qualche passo, fissandolo con sguardo così duro d’apparire di marmo. << Non hai il mio affetto…! >> disse infine, mentre nei suoi occhi brillava l’ombra di qualche lacrima d’amara rabbia.

Le orecchie di Gian Galeazzo parvero non cogliere quelle ultime frasi. Era completamente rivolto a lui, con tutto sé stesso. Dalle labbra del Borgia provenivano solo le parole che voleva sentirsi dire. Proveniva solo la forte dichiarazione di un amore incondizionato, che li univa e li divideva.

<< Che siano legati! >> sbottò il Borgia, facendo un cenno con la mano a due delle sue più fidate guardie.

Appena i due fratelli Manfredi furono legati, le due guardie li condussero fino all’acqua del Tevere, e il fecero immergere sin all’altezza del petto. Infine, attesero che il Borgia d’esse loro l’ordine.

Astorre gridava e si dimenava, spezzando la sacralità di quell’attimo.

Il cielo, da dietro i tetti degli edifici si tingeva sempre più di rosso, mentre anche l’empireo, più in alto, si faceva più vacue e limpido, proclamando l’inizio del nuovo giorno.

“Prima che il gallo canti, tu, per ben tre volte, mi rinnegherai”.

Il Borgia sentì risuonare i rinneghi di Gian Galeazzo nella sua mente. Tre volte l’aveva rinnegato, insolente come un ragazzino viziato aveva mantenuto la sua idea fino in fondo. E sarebbe morto per quello.

Con i suoi occhi azzurri e determinati lanciò un ultima occhiata al cielo. Non ancora albeggiava, ma presto l’avrebbe fatto. << Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai per ben tre volte … >> mormorò tra sé e sé, infine, abbassò il suo sguardo cupo sul volto di Gian Galeazzo, ma non vi era paura nei suoi occhi.

<< O morte, o vittoria, è questo il destino dei forti … >> sussurrò ancora il Borgia: << Muori, maledetto sodomita! Che la tua anima sia dannata in eterno! >> ringhiò infine, fremendo per la rabbia. In quell’attimo la follia pura lo avvolse, e si sentì bene nell’emanare quella sentenza di morte.

Dio poteva anche aver dato la vita al Manfredi dall’alto del Cielo, ma lui gli avrebbe dato la morte, accompagnato dalla fiamma di Satana.

<< A morte! >> ringhiò, fissando senza pietà i due fratelli.

Astorre esplose in un urlo senza precedenti, che risuonò per l’aere immobile. S’agitò come un ossesso, facendo sciabordare l’acqua cheta del Tevere. Infine, venne preso per la collottola ed il suo capo fu completamente immerso nella profondità dell’acqua.

Il capo di Gian Galeazzo si chinò lentamente, mentre al contatto con l’acqua gelida  mille spilli parvero pungergli il volto. Mentre il suo capo s’immergeva nelle profondità del fiume il cuore nel suo petto esplose in mille battiti incontrollati. La paura lo colse per ultima, ma più spietata che mai. Gli chiuse la gola e, quando dovette riprendere fiato i suoi polmoni s’inondarono completamente e gli parve che la sua gola venisse graffiata da degli artigli. Cercò di tossire, ma non fece altro che aumentare la sua agonia. L’acqua penetrò anche nella bocca, e parve esplodergli nella gola.

Quando fu perfettamente conscio di non potere più resistere alla potenza dell’acqua voltò lo sguardo a suo fratello, che si dimenava tra i fluttui, allo stremo delle forze. Fu un attimo, ma i due si scambiarono un ultimo nostalgico e significativo sguardo.

“Come farò senza di te”. Quella frase si fece largo nella mentre di Gian Galeazzo, era l’ultima dimostrazione d’affetto che suo fratello gl’aveva rivolto prima che lui partisse per Roma, prima che succedesse tutto quello.

Sentì che, invano, i suoi occhi si riempivano di lacrime, poi, vide ancora suo fratello, e lo sguardo che si scambiarono fu più significativo di qualsiasi altro.

Astorre non avrebbe mai potuto incolpare suo fratello per la loro morte. L’amore non perdona nessuno.

Gian Galeazzo, con sguardo sempre più satinato dal pelo dell’acqua intravide la figura statuaria del Borgia, che, dalla riva fissava la scena immobile. Ricordò i suoi lineamenti, i suoi capelli dorati e i suoi occhi azzurri come il cielo. Infine, delle nuvole allungate e vacue presero ad aleggiare davanti ai suoi occhi, e di sotto il cielo celeste… v’erano le mura della sua amata Faenza. Un brivido lo colse, infine, il cielo divenne infinito davanti ai suoi occhi.

S’assopì.

E così naufragò nel suo cielo spinto dalla forza della acque che lo aveva preso.

 

Quando le membra dei due fratelli furono completamente immobili, il Borgia diede l’ordine di abbandonare i cadaveri, e questi, empiti d’acqua scivolarono mestamente nelle profondità del Tevere, che per sempre avrebbe celato quell’omicidio.

Nel petto del Borgia esplosero sensazioni differenti, ma inebrianti. La felicità l’avvolse, la rabbia, il piacere e per ultima; l’indecisione, la paura.

Lanciò un’ occhiata all’empireo, sempre più nitido. Infine, il suo cuore ebbe un sussulto quando avvertì il canto d’un gallo in lontananza. Il suono s’amplificò nelle sue orecchie, e gli parve di morire. Lanciò un ultima occhiata nervosa e spaventata all’acqua,  dove ormai i cadaveri sprofondavano velocemente.

Per tre volte aveva rinnegato Dio, ogni qual volta poneva la medesima domanda a Gian Galeazzo faceva il gioco di Satana,  come ogni quel volta udiva la risposta pura e genuina dell’uomo e la rifiutava.

Le magnifiche percezioni di piacere, felicità e soddisfazione di qualche attimo prima svanirono, lasciandolo nudo davanti alla gravità del suo gesto.

Mentre la luce del giorno s’alzava sempre più forte, avvertì l’impellente bisogno di scappare e di rifugiarsi nel buio più profondo, nascondendosi al mondo tutto con la sua vergogna.

Corse via, rapidamente, come un bambino impaurito, a rotta di collo verso Castel Sant’Angelo e si rifugiò per gironi nell’oscurità delle sue stanze, dilaniato da dubbi e dolori indicibili.

In ultimo, fece esplodere la sua rabbia, e cadde per sempre in quel baratro di male sul quale aveva indugiato per tempo immemore. S’era crogiolato nelle percezioni che la tenebra donava, ed infine, se n’era totalmente abbandonato, squassato dalla profonda paura di dover chiedere perdono a Nostro Signore.

Si concesse totalmente tra le braccia di Satana, e lasciò che il male più puro lo pervadesse per gironi e l’erodesse nelle profondità più intime del suo Essere.

Infine, dopo otto giorni, evase dalla sua prigione di oscurità e dolore, per riemergere nella luce.

Il suo viso distrutto dalla rabbia non sarebbe più stato palpabile, i suoi occhi azzurri di fanciullo parevano incandescenti e falcati come quelli di un animale, ed erano il punto di spicco di un anima morta, che si nascondeva dietro i lineamenti sereni e modellati di una maschera nera.

Non si sarebbe mai più mostrato dilaniato dalla malattia e distrutto nello spirito. Si sarebbe rifugiato nel buio tetro che vedeva nelle forme della maschera.

Il suo cuore batteva freddo e cupo nel petto, mosso dalla sola ed unica bramosia di procurare dolore e sofferenza, violato dal desiderio di potere e conquista.

La sua vita s’era ridotta alla disperata ricerca di sentimenti effimeri e virili, votata al male. Il suo Essere era continuamente stimolato ad uccidere, per ritrovare quelle percezioni fatali e sfuggenti.

Infine, la sua follia lo consumò sempre più profondamente, mostrando ancor più le due facce di cui s’era sempre avvalso. Ora, non v’era più il buon Cesare, combattuto tra bene e male.

Ora, v’era solo il Duca Valentino, il braccio armato del Papa, unico e solo figlio di Satana.

***

 

Ascoltate bene queste mie parole,

perché sono le ultime che pronunzierò come

Essere Senziente:

non era un bruto.

Era un’ anima persa.

Un’ anima in collera, furibonda e letale.

Ascoltatemi bene, perché

è di tal dolce sentimento

che trabocca il mio cuore.

Io sono Gian Galeazzo Manfredi,

io…

Amo, Ora e per Sempre,

 Cesare Borgia.

 ***

-Angolo Autrice-

E' tristissimo dovere dire addio ad una narrazione, è triste dovere dire addio al vostro sostegno anche per questa storia... E' la seconda che termino di scrivere e pubblicare per intero, -e credo ci vorrà ancora mooolto pima di riuscirne a compierne un'altra- ed è sempre emozionante!

So di non essere una scrittrice impeccabile, e so di avere molto da imparare e da fare prima di potermi definire tale, ma tengo particolarmente a questa storia, per motivi per i queli non sto ad annoiarvi anche oggi... 

Volevo solamente dire GRAZIE.

Un ringraziamento d'obbligo e sentito, -che spero arrivi a destinazione- va a Cesare Borgia, che mi ha prestato la sua figura per esprimere qualcosa, e che è sempre la principale fonte delle mie ispirazioni... 

Un saluto a tutti!

Ci rivedremo, se vi va...

Ossequi,

la solita Hivy


  
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