When you’re screaming in the night
Capitolo XXI Then it ain’t so groovy when you’re screaming in the night.
Era
notte.
Roger
si sentiva in ansia.
Il
piccolo gruppo si fermò alla prima tabaccheria sulla strada
per fare
rifornimento di sigarette. Immediatamente il batterista accese una
delle sue preziose valvole di sfogo, fortuna che non era solo.
Dominique lo guardava con una faccetta strana, quasi divertita. Per
forza, non sapeva niente. Altrimenti col cavolo che l’avrebbe
accompagnato. Anthea cercava di fare conversazione con Chrissie,
senza molti risultati. Si misero in auto e viaggiarono per un buon
quarto d'ora, fino a che non entrarono in un quartiere della classe
media. Una serie infinita di vie parallele, tutte uguali, villetta e
giardino, villetta e giardino, villetta e giardino. Quasi nauseante.
Taylor
parcheggiò sotto un platano, vedendo in lontananza la
biondina che
si avviava a testa alta fino al piccolo cancello in legno, incastrato
tra due siepi verdi tagliate da poco. Teneva per mano Robert che
trotterellava dappertutto sotto gli occhi vigili di John, che
sembrava non voler smettere di controllarlo.
Roger
era stato avvertito, ma quando Anthea indicò soddisfatta il
cognome
che compariva sulla targa accanto al campanello, la lettura lo
ferì
come una coltellata in pieno petto, anzi, forse alle spalle.
Staffell.
La
donna premette il pulsante e aprì la piccola barriera di
legno senza
farsi problemi, fino ad arrivare alla porta, dove fu il suo amico
bassista ad aprirgli.
«Ciao!»
esclamò, sospettosamente sorridente «Non vi
aspettavamo così
presto! Dorothy! Sono arrivati!» strillò,
rivolgendo uno sguardo al
soffitto.
La
comitiva sfilò per entrare nell’atrio,
imboccò un piccolo di
corridoio da cui si dipartivano le scale per il piano superiore, e si
affacciò sul salotto, non enorme, ma sufficiente per dare un
posto a
sedere a tutti.
«Roger!»
Il
batterista, quasi spaventato, si voltò di scatto. Dalle
scale si
irradiò la voce familiare, che davvero troppe volte e nelle
occasioni più disparate aveva pronunciato quel nome;
riempì il
corridoio, come se avesse voluto correre tanto lontana, mentre lui
era ancora lì. I passi arcinoti in ogni piccolo scatto si
mossero,
dietro di lui, verso di lui. Lenti. Impacciati. La
penombra
ancora la celava, quindi l'uomo si fermò, spaventato dalla
verità
che poteva presentarsi ai suoi occhi.
Sarebbe
stata esattamente come la ricordava?
Nei
suoi sogni più divampanti di quando era ancora un ragazzino,
quando
sognava di averla, di sbatterla, dall’inconcretezza di quella
dimensione al di fuori di ogni possibile previsione di tempo e di
spazio fino ai fin troppo concreti abbracci madidi di passione
durante le loro notti di fuoco e fiamme.
Nell’amore
che li aveva legati da ragazzi, poi attorcigliati da adulti fino a
condurli alla pazzia per ben due volte, a convincerli che era meglio
lasciar perdere, che in realtà, quell’amore che
credevano di
provare, non era tagliato per loro, che la libertà era
più
importante.
Nel
dolore della separazione, che li aveva resi ciechi sfruttatori di
chiunque avesse potuto riempire il vuoto nel loro cuore.
Dorothy
era esattamente come se la ricordava: folle, minuta, coi capelli
lunghi e corvini che incorniciavano il viso di madreperla,
dispiaciuto e un po’ triste, come quello del marito, e le
iridi
color nocciola racchiuse negli scrigni delle sue palpebre. Escluso
il piccolo cerchietto d'oro siglato al suo dito e la pancia
spropositata, che sosteneva con una mano, mentre usava
l’altra per
reggersi al corrimano.
Poteva, quello, cambiare le cose tra di loro?
Fine.
» - Can I go to Cath now? - No, you can’t.
Mi
è sembrato carino concludere questo percorso oggi,
nell’anniversario
della pubblicazione del primo capitolo di Made in Hell. Alla fine la
vita è un cerchio, credo che non sia mai stato
così lampante che
Tim e Dorothy, che erano insieme all’inizio delle cose,
sarebbero
stati insieme anche alla fine. Ho pensato che intitolare questa fan
fiction con una citazione di Headlong, che è, fino a prova
contraria, la canzone di Tim e Dot, avrebbe lasciato intravedere
quello che era il finale, ma mi sono sbagliata.
Ho
scritto questa fan fiction circa un anno fa, era più o meno
settembre, io e MrB avevamo da poco finito la stesura di Made in
Hell, o comunque non mancava molto.
Ricordo
che in quel periodo ero in fissa con Don’t Cry dei GNR,
adesso
rileggo questi ultimi capitoli e trovo allusioni a quel testo che da
allora non mi ha mai abbandonata, diventando anzi uno dei punti fermi
che mi accompagnano ogni giorno. Credo che sia meraviglioso ritrovare
delle tracce di quello che ti succede in quello che scrivi. Mi sento
nostalgica, forse rileggerò i miei vecchi scritti.
Visto
lo stato presente delle cose, dubito che oltre ad un altro paio di
capitoli, ci saranno altre tracce soliste del mio percorso serio
in questa sezione, quindi vorrei approfittarne per ringraziare di
cuore alcuni di voi, in particolar modo MrB, naturalmente, come ho
già detto, senza di lei Dorothy non sarebbe mai esistita,
anzi visto
che ci sono vi suggerisco di leggere anche il suo sequel di Made in
Hell, che è il prequel di When you’re screaming in
the Night (lol)
– se volete drammaticità e scene strappalacrime,
sapete che lei è
il boss in sezione – e poi Deaks, Midori, Blue Drake, Sheer
Heart
Attack, la nuova arrivata Moonwalk e tutti coloro che mi hanno
accompagnata, anche nell’ombra, fino alla fine di questo
percorso.
Un
saluto a tutti voi e i miei migliori auguri per i vostri progetti
futuri.
Se
avrete bisogno di me, un mp e via, sono sempre attiva anche se
sparisco :)
-Mayhem (prima la Cath LOL)