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Autore: rolly too    26/08/2012    5 recensioni
Kidd ha tirato troppo la corda, e il suo migliore amico si è trasformato nel nemico più pericoloso con cui abbia mai avuto a che fare. Perché Killer è forte, determinato, e soprattutto è stanco di lui e del suo comportamento. Davanti a una minaccia tanto grande e tanto dolorosa, nemmeno il Capitano Kidd sa più che cosa fare, e forse nemmeno il suo storico nemico e amante può aiutarlo, e anzi, potrebbe anche essere in pericolo.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Killer | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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 La porta si aprì cigolando e Penguin seppe anche da prima di voltarsi che era Law.
«Come ti senti?» gli domandò senza neanche guardarlo.
«Sto bene.»
«Ti ostini ancora a mentire su queste cose?»
«Non c'è nient'altro da dire.»
«Come ti senti?» tentò ancora Penguin.
Law sbuffò.
«Ban e Hoeru lasceranno la ciurma. Eustass-ya vuole farmi la pelle. Tu mi hai dato il permesso di uccidere il tuo amante. Sto bene.»
«Non è più il mio amante.» Quelle parole avevano un suono strano. Era strano anche quel pensiero, in realtà, ma era molto più inconsistente delle parole. Non c'era bisogno di parlare di nuovo con Killer, era fin troppo ovvio che le cose tra loro erano finite e non c'era modo di tornare indietro.
«Quello che è.» tagliò corto Law.
La cabina che Penguin divideva con Shachi era poco illuminata, fresca. Penguin si era chiuso dentro quella mattina presto, e a nessuno era venuto in mente di disturbarlo. Ma Law, a quanto pareva, non aveva intenzione di lasciargli il tempo di riflettere. Gli si avvicinò e si sdraiò sul letto, accanto a lui. Incrociò le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e chiuse gli occhi.
«Non potremo rimanere immersi ancora a lungo.» disse. «Non abbiamo quasi più niente da mangiare, e anche il carburante sta finendo.»
«Come facciamo? Se emergiamo, la ciurma di Kidd ci ucciderà.»
«Intanto stiamo cercando di allontanarci. Vuoi davvero che lo uccida?»
Killer. Allora era venuto a parlare di questo.
La verità era che Law sapeva quanto fosse difficile per lui. Non era uno stupido, e lo conosceva bene. E poi, a dispetto delle apparenze, sapeva essere comprensivo.
«Non lo so nemmeno io. Abbiamo litigato, non penso che ci rimanga molto da dirci.»
«È così grave?»
«Sì, te l'ho detto. Probabilmente non ci parleremo mai più.»
«Capisco quello che vuoi dire.»
Penguin annuì. Lui era nella stessa situazione, d'altra parte. Non aveva speranze di recuperare un rapporto civile con Kidd, figurarsi tornare a essere amanti. Che entrambi fossero ancora innamorati l'uno dell'altro non era nemmeno da discutere, era fin troppo ovvio. Il fatto era che in mezzo c'erano troppe cose, troppi rancori.
«Killer... Non so, è come se fosse impazzito. Non lo capisco più, ecco.»
«Ti ha detto che cosa è successo con Eustass-ya?»
«Sì.»
«Pensi che abbia ragione a essere così infuriato?»
«Sì, credo di sì. Questo però non gli dà il diritto di andare in giro a fare quello che ha fatto.»
Law sospirò e annuì con un gesto secco.
«A volte si fanno le cose senza motivo.» disse. «Quando non si riesce più a fare ordine nella propria testa. E Killer-ya... L'ho trovato molto confuso.»
«Può darsi. Io, comunque, non riesco a perdonarlo.»
«Lo so.»
Seguirono diversi istanti di silenzio e Penguin non riuscì a non chiedersi che cosa volesse ottenere Law parlando con lui. Perché non c'era solo la volontà di aiutarlo, nella sua voce. Non era raro che Law si chiudesse in una stanza con qualcuno della ciurma e parlasse con lui fino a tirargli fuori i problemi e ad aiutarlo a fare ordine tra i pensieri, ma in questo caso era diverso. Sembrava che nemmeno Law sapesse bene perché si trovava lì.
«Ban e Hoeru lasceranno la ciurma.» disse all'improvviso Law.
Penguin si prese qualche istante per riflettere prima di rispondere. D'altra parte, che cosa c'era da dire? I due sembravano piuttosto determinati ad andarsene, anche se sapeva bene che Ban aveva passato l'intera notte in lacrime a quell'idea. L'aveva sentito singhiozzare, attraverso le pareti sottili del sottomarino.
«Potrebbero ancora cambiare idea.» replicò lentamente. «Sono giovani, è normale che prendano le decisioni d'impulso.»
«Penso che ci abbiano riflettuto, invece.»
«Non è ancora detto, però.»
«Abbiamo bisogno di un altro meccanico, e di un nuovo cuoco.» La voce di Law si era improvvisamente fatta dura, fredda e Penguin sapeva che il suo capitano stava solo cercando di nascondere il proprio dolore, di chiuderlo dentro di sé e di andare avanti a testa alta, come faceva sempre.
«Aspetta a prendere queste decisioni, capitano. Forse resteranno.»
«Forse. Ma probabilmente no. Forse è meglio così.»
Quelle parole erano inaspettate anche per lui.
«Cosa vuoi dire?»
Law fece un respiro profondo, aprì gli occhi e fissò il soffitto.
«Niente di particolare. Stavo solo pensando che se se ne vanno è meglio.»
«Meglio per chi, Law?» sbottò Penguin sedendosi di scatto sul letto. «Per te? Per loro? Per la ciurma? Perché è meglio se i nostri compagni vogliono andarsene?»
Perché un uomo come lui diceva cose simili? Law non era un capitano allegro come poteva essere Cappello di Paglia, né aveva la sua irruenza, ma sicuramente aveva la medesima determinazione quando si trattava di aiutare i propri compagni. Penguin sapeva che Law non avrebbe mai fatto nulla di sensazionale come attaccare il Governo Mondiale o introdursi a Impel Down per loro, ma non significava nulla. Se Law avesse avuto anche solo la sensazione che uno di loro fosse stato in pericoloso, sarebbe corso in suo aiuto. A qualsiasi costo.
L'amore che provava nei loro confronti era sconfinato, la dedizione che metteva nel proteggerli infinita. Eppure, sembrava quasi sollevato nel sapere che due di loro preferivano andare via da lì invece che rimanere con lui.
«È meglio e basta.» tagliò corto Law per risposta. «Non me ne faccio nulla di gente che ha paura di tutto come loro due.»
Penguin rimase in silenzio. Avrebbe risposto se non avesse sentito la voce di Law incrinarsi, anche se solo per un istante; se non si fosse accorto che aveva chiuso di scatto gli occhi pur di non mostrare che erano lucidi di lacrime.
«Se vogliono andarsene, va bene.» concluse il capitano alzandosi dal letto. «Se hanno paura allora hanno sbagliato a imbarcarsi. Che scendano a terra, e se ne stiano in un posto sicuro. Se va bene a loro, non ho niente da dire.»
Si alzò e si avvicinò alla porta senza nemmeno voltarsi una volta verso Penguin, che si limitò a fissare la sua schiena, stupefatto.
Law aprì la porta e mosse un passo verso l'esterno.
«È una scelta loro.» disse.

Ban guardò gli occhi chiari di Hoeru e si passò le mani su entrambe le guance, ancora bagnate dalle lacrime.
«Ho troppa paura per restare.» disse con voce flebile «Ma ho anche paura ad andare via.»
Hoeru annuì.
«Il capitano» prese un profondo respiro per riuscire a controllare la voce che tremava «ha detto che se vogliamo andare è una scelta nostra, ma mi sento in colpa.»
Hoeru annuì di nuovo.
«Quando siamo andati via dalla sua cabina sembrava che stesse per mettersi a piangere.»
«È umano.»
«Lo so, ma è la prima volta che lo vedo così abbattuto! Non l'hai notato? Mangia poco, passa tutto il giorno a dormire...»
«Sta male.»
«Lo so, lo so. E se fosse costretto a combattere? Non ce la farebbe mai in quelle condizioni. Ecco, allora noi dovremmo dare una mano, e invece vogliamo andare via...»
«È pericoloso.»
«Restare o andare via?»
Hoeru scrollò le spalle e si limitò a fissarlo.
Forse intendeva dire entrambe le cose. Restare era pericoloso, ma anche andare via lo era.
«Che cosa pensi che farai quando saremo di nuovo a terra?»
«Sono un cuoco.»
Ban apprezzava Hoeru e sapeva che con le sue capacità culinarie sarebbe stato in grado di trovare presto un nuovo lavoro. Se non imparava a esprimersi in modo più umano, però, avrebbe avuto dei problemi. Anche se rideva sempre, sembrava essere incapace di mettere più di un paio di parole una di seguito all'altra. In quel momento, però, non c'era niente da ridere. Era solo difficile capire che cosa volesse dire.
Ban sospirò.
In quella nave, di problemi ce n'erano tanti. Tutti loro avevano tante cose da nascondere, tanti scheletri in tanti armadi. Nessuno faceva domande, lì. Ban non sapeva come fossero entrati i suoi compagni nella ciurma, quelli che erano arrivati prima di lui. Non sapeva com'era la vita di Jean Bart quando era schiavo e non sapeva nemmeno come avevano fatto a catturarlo. Non aveva idea di ciò che avessero fatto gli altri prima di diventare pirati. Tutto ciò di cui era certo era che avevano deciso di seguire Trafalgar, e anche lui aveva fatto lo stesso.
Aveva promesso a se stesso che l'avrebbe seguito e adesso lo abbandonava come il peggiore dei codardi, perché aveva paura.
«Mi sento un mostro.»
Hoeru rimase ancora in silenzio. Gli si avvicinò con il suo passo lento, cadenzato, e gli batté un paio di volte la mano sulla spalla, forse per fargli coraggio. Ban non aveva mai capito il suo amico fino in fondo, anche se erano cresciuti insieme. In ogni caso, sarebbe stato con lui ancora una volta, con i suoi silenzi e le sue risposte monosillabiche.
Ban sospirò. Aveva davvero troppa paura per restare. Era da vigliacchi, lo sapeva, ma non ci riusciva. Non ce la faceva più, si sentiva soffocare. Non riusciva a dormire, a mangiare. Forse era così che si sentiva Law? Ma lui non era come Law. Lui non era capace di mandare giù la paura e il dolore come faceva il capitano. Si limitava a lasciarsi sopraffare.
Bussarono alla porta e prima che uno dei due potesse parlare entrò Shachi.
«Siamo arrivati su un'isola.» disse. «Il capitano ha detto che se volete andarvene dovete prendere i bagagli e scendere, possibilmente in fretta.»
Ban annuì e Hoeru fece lo stesso.
In fretta, per non dare tempo a Kidd di raggiungerli e far del male alla ciurma di cui ormai non facevano più parte; per non dar tempo ai compagni di piangere, e di trasformare quell'addio in qualcosa di molto più doloroso; per non dar tempo a Law di costringerli a restare, né a loro di cambiare idea.
Salirono sul ponte e i loro compagni erano già lì, pronti a salutarli. Il capitano non c'era. Nessuno degli altri si mosse, molti restarono in silenzio. Shachi li abbracciò entrambi, con le lacrime agli occhi, ma non sembrò trovare voce per salutarli.
Fu Bepo il primo a parlare, a bassa voce, rivolgendosi solo a loro due.
«Il Capitano vi augura di stare bene.» mormorò. «Ha detto che se vorrete tornare, per voi ci sarà sempre posto qui.»
Ban annuì, incapace di rispondere, con un nodo in gola dannatamente pesante da mandare giù.
«Dov'è?» chiese Hoeru.
«Nella sua cabina. Dorme.»
Ban sospettava che fosse una menzogna, ma non lo disse. D'altra parte, la tuta di Bepo sembrava umida più o meno all'altezza della spalla, dove si sarebbe posato il volto di Law se si fosse messo a piangere stringendosi a lui. Era un particolare che aveva notato molte volte da quando era con la ciurma, e come lui tutti gli altri, ma tutti lo ignoravano allo stesso modo.
«Digli che...» tentò, ma le parole gli morirono in gola. Riuscì solo a produrre un sorriso triste. «No, non dirgli niente.» Law sapeva già quanto bene gli volesse. Sapeva che se avesse avuto bisogno di lui, avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Non c'era bisogno di farglielo riferire.
Scese camminando lento sulla passerella, con Hoeru che gli andava dietro.
Sentiva gli sguardi dei compagni su di sé, e davanti solo una spiaggia con poca vegetazione intorno e molte pietre. Da quel luogo si faticava a vedere il resto dell'isola, ma sembrava abitata.
«Oltre quelle piante c'è un sentiero.» gridò Penguin dal sottomarino. «Vi porterà in città.»
Quella voce, all'improvviso, sembrava talmente lontana...
«Andiamo.» disse Hoeru, monocorde. Lo superò e Ban si trovò a camminare dietro di lui, osservando la schiena magra coperta da una felpa leggera. Avevano entrambi conservato le loro tute con il simbolo degli Hearts, ma non avevano avuto il coraggio di indossarle mentre se ne andavano. O almeno, lui non ne aveva avuto il coraggio. Non sapeva cosa avesse spinto Hoeru a cambiarsi d'abito.
Superarono quella leggera vegetazione in pochi passi, e si trovarono ben presto davanti al sentiero.
Ban deglutì e Hoeru mosse istintivamente un passo all'indietro, portando la mano alla pistola.
A sbarrare loro la strada c'era Kidd.
   
 
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