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Autore: Momoko The Butterfly    26/08/2012    2 recensioni
All’inizio, non avrebbe pensato che una semplice donna umana potesse scatenare in lui tanti affanni e cambiamenti, che gli facesse provare delle vere emozioni; le stesse che lui repelleva con tanto disgusto perché ritenute deboli e inutili.
Però, dopo averla conosciuta, qualcosa di lei lo aveva scosso. Era il suo sorriso, i suoi modi cordiali, la sua sincerità o i suoi occhi smeraldini illuminati dalla passione? Forse tutto, forse niente. Ma probabilmente Clara gli aveva solo ricordato i piaceri dell’essere umano, che lui aveva da tempo – forse volutamente – dimenticato.

La mia prima fanfiction, enjoy ♥
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Nuovo personaggio, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8
Non dovresti fare promesse, se sai che non le manterrai.

 
 
 
 
A quelle parole Allen reagì d’istinto, allontanando da sé Tyki con una violenta spinta. Il Noah indietreggiò pericolosamente, ma non cadde; rimase però molto sorpreso. Non si aspettava certo una reazione simile dall’Esorcista; da quell’Esorcista.
Quando lo vide in volto, notò che aveva gli occhi lucidi e lo sguardo rabbioso, rivolto a lui.
- Fa male ascoltare la verità, eh, Shounen? – gli chiese sarcastico.
L’albino non rispose, continuando a guardarlo nel peggior modo possibile.
- Però… - proseguì il Noah, aspirando il fumo della sigaretta con un ghigno divertito in volto - … è così.
- Non è vero! – ringhiò all’improvviso Allen. Una lacrima gli scese lungo la guancia – Non è assolutamente vero!
Strinse i pugni, talmente forte che le nocche diventarono bianche e i polsi tremarono.
- Quella notte… - mormorò, con la voce tremula ma carica di rabbia – … Ti ho salvato solo perché ho avuto pena di te!
Tyki sorrise, soffocando una risatina piena di dissenso. Quel ragazzino era capace di sorprenderlo ogni volta. Tirava fuori dal cilindro nuovi trucchi per tentare di sbalordirlo, ma alla fine era facile scoprire il trucco che realizzava l’illusione.
Allen era rosso di rabbia. Prima che potesse commentare la reazione del Noah, questo gli fece segno di ‘no’ con il dito, schioccando la lingua e trattenendo un’altra risata.
- Risposta sbagliata – disse.
- Non esistono risposte giuste e sbagliate! – esclamò l’albino, irritato.
Com’era possibile che quell’uomo trovasse divertente qualsiasi cosa?! Sembrava quasi che lui fosse una sottospecie di pagliaccio che lo facesse ridere in continuazione! Era davvero insopportabile.
- Ne sei sicuro? – domandò retorico Tyki – Allora perché reagisci in questo modo?
A quelle parole Allen si calmò improvvisamente. Lasciò andare i pugni, che si distesero lungo il fianco, e volse lo sguardo a terra.
Il terzo apostolo fece un sorrisetto compiaciuto. Amava metterlo in quel tipo di situazioni. Gli ricordava perché adorava uccidere gli Esorcisti.
Calò il silenzio.
Il sole ormai era scomparso dietro le colline, e il blu della notte stava lentamente prendendo il sopravvento.
Le ombre dei due ex nemici percorrevano tutto il viale allungandosi, fino a perdersi nel nulla dell’ombra. Le prime stelle cominciavano a punteggiare il cielo, come lumini sbiaditi immersi nel nero.
Una folata di vento scompigliò i capelli dell’Esorcista, e stuzzicò quelli del Noah. Il fumo della sua sigaretta fu portato via e si dissipò così nell’aria.
 
Due parole, due sole parole, scaturirono dalle labbra dell’albino, che col volto chino osservava sconfitto il terreno, sempre più irraggiungibile a causa dell’avanzata della notte.
- Hai ragione.
Tyki lo guardò stupito, spalancando gli occhi e lasciando la sigaretta a penzoloni sul labbro inferiore. Davvero gli aveva dato ragione?
- Hai assolutamente ragione – rimarcò Allen, sollevando piano il capo con un sorriso scoraggiato – So che, come Esorcista, ho un compito preciso, e non devo pensare ad altro. So che ci saranno persone che non potrò aiutare, che dovrò abbandonare al loro destino… Ma…
Incontrò lo sguardo di Tyki, sempre più attonito.
- … Ho ricevuto questo potere! – esclamò improvvisamente sollevando il braccio sinistro, la sua Innocence – E voglio sfruttarlo per dare alla gente il futuro che io non ho potuto avere! E per aiutare chi non ha più a che fare con questa guerra!
 
Dopo qualche attimo di silenzio, Allen udì Tyki scoppiare in una fragorosa risata, talmente forte che a un certo punto lo vide sedersi a terra, contro la parete della collina dalla parte interna della stradina. Rise e rise, senza mai smettere, e per un momento l’albino pensò che fosse impazzito.
Si ricredette quando lo sentì biascicare qualcosa, contro la risata che non voleva saperne si arrestarsi.
- Ah! Ah! Ah! Va bene! Mi arrendo! – esclamò alla fine, alzando le mani al cielo in segno di resa – Mi hai distrutto; contento, Shounen?
Allen non capì. Ma Tyki continuò a parlare, mentre smetteva gradualmente di ridere, incontrollato.
- Con tutta questa determinazione io non so proprio dove sbattere la testa. Seriamente… - disse, spegnendo la sigaretta contro un sasso sul terreno. Poi si alzò – Però hai il mio rispetto, Shounen.
L’Esorcista lo guardò allontanarsi con calma, dalla parte opposta alla sua.
- Ora che non devo più ucciderti, mi sento quasi sollevato. Resta un Esorcista, e cerca di sistemare in fretta la faccenda del Quattordicesimo. Sarebbe un vero peccato perdere qualcuno così divertente, eh eh eh…
Si girò nella sua direzione, guardandolo con un sorriso incoraggiante, diverso dai soliti che lui gli rivolgeva mentre combattevano all’ultimo sangue; i sorrisi predatori di chi non vede l’ora di sentire il sangue caldo scorrere via dal tuo corpo.
- Bye bye, Shounen – disse, salutandolo, mentre gli dava già le spalle. E se ne andò.
 
Allen lo guardò sparire con una strana espressione, a metà tra lo stupito e il confortato. Non si sarebbe mai aspettato una scena simile da quel Noah. Quando non fu più in grado di distinguerlo dalle ombre della notte che, sinistre, ondeggiavano col vento, riprese a camminare verso l’Ordine, determinato più che mai a seguire i suoi ideali; e gli insegnamenti di Mana.
Tyki invece tornò fino alla villa, all’interno della quale fu fatto entrare dal Maggiordomo, che richiuse poi l’immenso portone producendo un grande cigolio. Quando Clara gli andò incontro, sorrise divertita, coprendosi con un dito chiuso le rosee labbra.
- Cosa c’è? – domandò il terzo apostolo senza riuscire a capire la situazione.
La giovane soffocò una risatina.
- E’ la prima volta che vi vedo con quello strano sorriso in volto – affermò indicandolo – Sembra che vi siate fatto un nuovo amico, eh?
- Chissà… - ammise il Noah, con un occhio chiuso e uno, aperto, gettato truffaldino su Clara.
La giovane sorrise timidamente. Ormai era diventato una specie di gioco tra loro: sembravano volersi lanciare a vicenda delle frecce di Cupido. Uno dei due cominciava, e l’altro finiva in bellezza, anche se ancora non erano giunti a nessun tipo di conclusione; perché alla fine entrambi avevano sì provato a esprimere in modo non esplicito i loro sentimenti, ma senza mai lasciare nell’altro una traccia duratura di quel tentativo.
Serviva uno stimolo, un pretesto per far sì che o Clara o Tyki si dichiarasse all’altro. Tuttavia, in quei giorni, a parte l’inaspettata visita di Allen, non era successo proprio nulla di interessante.
Ai due innamorati non serviva che aspettare, attendere pazientemente che capitasse qualcosa che li spingesse ad esprimersi.
Per quella sera, intanto, cenarono tranquilli e si coricarono con la stessa calma, senza aver potuto attuare nulla.
 

Il giorno dopo il sole tardò a presentarsi. L’autunno era alle porte, e persino l’erba delle colline aveva perso quel suo verde brillante per far posto al giallo pallido e al freddo; e alla nebbia.
Al mattino il vento freddo entrava dagli spifferi producendo ululati sinistri che risuonavano per tutta la villa. Il maggiordomo aveva acceso tutti i camini, e faceva la spola da una stanza all’altra occupandosi di tenerle tutte pulite e ordinate, con meticolosa precisione.
Clara era andata a far visita alla madre. Era conscia che tenere Tyki nascosto nella propria abitazione fosse rischioso, e per sembrare più naturale e innocente possibile si faceva vedere spesso per strada, a svolgere mansioni dettate dal lavoro che stava solo in quel momento iniziando a prendere in mano, e a fare delle passeggiate con il Maggiordomo al seguito; come se tutto fosse normale.
Tyki rimaneva sempre all’interno della villa.  Usciva però in giardino cercando la tranquillità all’ombra di un grosso albero, o percorrendo il breve viale che separava il cancello della proprietà dal suo ingresso. Non ritornava mai in forma di Noah e non usava il suo potere, per evitare di essere scoperto da uno dei servitori o da Clara stessa. Si limitava quindi a vivere una sorta di vita – ammesso che si potesse definire tale – come uomo e soltanto uomo.
Tuttavia, quella specie di prigionia che lo costringeva a non muoversi mai cominciava sul serio a pesargli. Perché era sì consapevole di essere al sicuro, nella villa assieme alla giovane nobile, ma anche che in quelle misere condizioni la sua libertà sfumava, persa nel vento.
Arrivò, un giorno, mentre passeggiava nel vasto giardino, a pensare di preferire la sua vita da Noah. E dire che lui dal Conte, non poteva più tornarci, ormai. L’aveva tradito per vivere come un uomo, e come uomo ora doveva vivere, accettando con maturità ogni conseguenza.
Tuttavia, questi pensieri negativi sparivano completamente una volta che, tornando all’interno della residenza, incontrava lo sguardo di Clara: quei suoi due smeraldi brillanti incastonati gli facevano dimenticare qualsiasi rimpianto e gli ricordavano il motivo della sua difficile e sofferta scelta.
Sapeva che lei l’amava, e lui altrettanto. Ma la loro storia non poteva decollare. Era in una fase di stallo. Anzi: non era nemmeno cominciata.
Serviva che qualcuno facesse la prima mossa.
Mentre stava comodamente seduto all’ombra di un grosso albero frondoso, le cui foglie producevano un rilassante fruscio, pensò:
“E se… facessi io il primo passo?”
Si portò una mano al fianco, sul quale ora rimaneva solo un ricordo del dolore che aveva provato settimane prima: una grossa cicatrice, più recente delle altre. Ripensava alla voce di Clara, come ad una serie di rumori soffusi e dispersi con confusione nella memoria, mentre lo pregava di svegliarsi stringendogli la mano. Doveva ripagare al debito, in qualche modo. Voleva farle sapere di non essere totalmente indifferente al suo gesto, al suo amore. Per questo si mise a riflettere sul dichiararsi per primo.
In fondo, si amavano tutti e due. E rendere ciò qualcosa di concreto, di veritiero, era l’unica cosa che volevano entrambi.
Ma… il loro sarebbe mai stato un amore veritiero?
 
In una domenica di metà settembre, più mite del solito, le immense porte della residenza presero a bussare. I servitori non c’erano, essendo per loro giornata di riposo.
Clara andò ad aprire curiosa. Nessuno era mai venuto a trovarli, dopo Allen Walker. Che fosse di nuovo lui?
Si stupì molto nel trovarsi davanti il Dottor Landers, il medico amico di famiglia che aveva curato Tyki.
- Buona giornata, cara – aveva salutato l’anziano, facendo un gesto eloquente con la piccola bombetta.
- Buona giornata a lei, dottore – rispose con un sorriso la giovane, mentre lo faceva accomodare e gli prendeva cappello e giacca.
- Sono passato a salutarti, bambina. Da domani andrò a lavorare fuori da Londra.
Clara spalancò gli occhi smeraldini per la sorpresa.
- Davvero? – domandò stupita.
- Già – replicò il dottore – Ho deciso di avvicinarmi di più al mio nipote, che vive a Manchester. Pare che lì ci sia molto da fare, tra una fabbrica e l’altra, i malati si accumulano. Per questo sono passato a trovarti. Inoltre, desidererei sapere come sta il tuo amico, se si è ristabilito e quant’altro.
La giovane, che era rimasta alla notizia del trasferimento incredula, sentendo l’ultima parte del suo discorso cadde dalle nuvole, ritornando alla realtà.
- Oh, sì. Sta molto meglio, grazie a voi – disse, riponendo i suoi effetti su un appendiabiti vicino.
Proprio in quel momento apparve Tyki, rientrato con disinvoltura dall’apertura sul retro, dove si estendeva il grande giardino. Come vide l’uomo di fermò di colpo. Guardò Clara. Poi di nuovo il medico.
La giovane lo raggiunse, afferrandolo per una mano e attirandolo vicino all’ospite, contenta.
- Tyki, questo è il Dottor Landers. E’ stato lui a salvarvi – affermò, con aria festosa.
- Molto piacere – fece l’anziano, con un sorriso, mentre tendeva la mano per stringerla al Noah – Sono Alex Landers.
Tyki rispose al saluto.
- Tyki Mikk.
- Vedo che state già meglio, eppure sono passate solo due settimane – osservò il medico, sorpreso.
- Mi riprendo in fretta – fece schietto il Noah – Comunque, la ringrazio.
Il Dottor Landers fece una risatina goffa.
- Di nulla, di nulla! – esclamò. Poi tornò serio, rivolgendosi a Clara – Bambina mia, avrei bisogno di parlarti.
- Di cosa? – domandò la giovane, leggermente sorpresa.
- Affari. Dato che sto per trasferirmi, devo chiederti un paio di favori. Sta’ tranquilla, non c’entra nulla il denaro – rispose l’anziano massaggiandosi la testa con aria imbarazzata – Riguarda il mio precedente studio.
- Ah, bene. Si accomodi pure nel salotto – lo invitò Clara.
Mentre l’uomo si avviava da solo, la giovane si voltò verso Tyki.
- Scusatemi, devo assentarmi cinque minuti, ma non preoccupatevi. Tornerò subito – pronunciò con un sorriso dolce, seguendo l’ospite nel salottino.
Rimasto da solo in piedi all’ingresso, Tyki prese la strada opposta e si avviò su per le scale, con l’aria scocciata.
Il vecchio gli aveva fatto perdere un’occasione d’oro. Ora avrebbe dovuto aspettare che finisse di parlare con Clara, e che questa tornasse al suo solito umore di sempre perché, quasi sicuramente, dopo aver conversato con lui, sarebbe rimasta o triste o scossa.
Probabilmente il giorno dopo tutto sarebbe tornato normale, ma durante la mattina la giovane faceva visita alla madre e svolgeva delle commissioni. Il pomeriggio si sarebbe sicuramente occupata dello studio di quel dottore e chissà quando lui avrebbe avuto di nuovo l’opportunità di parlarle! E di confessarle il suo amore!
Visibilmente nervoso, si sedette sul letto. Nella sua mente si stampò il volto rugoso dell’uomo.
Perché, vedendolo, si era sentito strano? Perché aveva avuto l’impressione che fosse tutto fin troppo strano per essere realmente com’era?
Prima che gli venisse presentato, Clara gli disse che aveva uno studio a Londra. Be’, Clara svolgeva tutte le sue commissioni proprio lì. Possibile che non lo avesse mai incontrato, o che quantomeno lui non l’avesse mai contattata? I telefoni li possedevano eccome.
Veniva a farle visita proprio di domenica, il giorno in cui i suoi servitori erano a casa. Le chiedeva di parlarle in privato. Lui sentiva una strana sensazione ogni volta che lo pensava. Come se si trovasse di fronte a un… Akuma.
 
Un urlo di terrore improvviso attirò la sua attenzione. Un urlo femminile.
Proveniva dal piano di sotto.
Veloce, Tyki si sollevò con energia dal letto e corse fuori, percorrendo il corridoio e scendendo con rapidità le scale.
Raggiunse il salottino, spalancò la porta con violenza.
I mobili erano stati rivoltati. Le preziose porcellane erano in frantumi sul tappeto. I divanetti e il tavolino erano stati sbalzati via.
Davanti a lui, apparve la figura tremante di Clara, a terra e con le lacrime agli occhi. Di fronte a lei un essere dalla forma sferica, dalla quale spuntavano grossi cannoni e con una faccia bianca come la morte. Un pentacolo nero era stampato su di essa. Il suo volto era un misto di malignità e sofferenza.
Un Akuma! Come aveva pensato Tyki.
L’essere puntò i cannoni sulla giovane, ridacchiando in modo sinistro. Clara piangeva, mormorando il nome di quello che fino a qualche attimo prima era il Dottor Landers. Ora, tutto ciò che rimaneva di lui era accasciato sul pavimento: un involucro di pelle svuotata, simile a un vecchio costume di gomma.
L’Akuma sorrise in modo sadico. Le bocche dei cannoni brillarono di una luce violacea.
Partì un colpo. Poi un altro. E un altro ancora.
Clara gridò, coprendosi il volto con le mani, terrorizzata.
Una grossa esplosione devastò la stanza, portando via un pezzo di parete e scoprendola al giardino. Una nube di polvere e detriti si sollevò, densa e soffocante come se potesse essere persino tangibile. Venne poi risucchiata all’esterno, lentamente.
Quando si fu diradata, Clara aprì lentamente gli occhi, ancora spaventata.
Era… ancora viva?
Una voce le fece sollevare lo sguardo, liquido di lacrime.
- State bene?
La giovane spalancò gli occhi per la sorpresa.
Tyki era sopra di lei.
L’aveva protetta.
Annuì piano alla sua domanda, ancora tremante di paura per aver creduto di morire sul serio.
Il Noah del Piacere sorrise, sollevato.
Le sue mani si ricoprirono improvvisamente di stelle nere.
Clara esclamò:
- Tyki! Le vostre mani!
Il terzo apostolo se le guardò con indifferenza.
- Va tutto bene – disse solo.
In breve tempo infatti i simboli si dissolsero, e lui tornò come prima, senza alcuno graffio o ferita.
Clara non capiva. Cos’era quel mostro? Che cosa era successo al Dottor Landers? Perché c’era la sua pelle squarciata sul pavimento? E perché Tyki non era morto prendendo quei colpi al posto suo??
Il Noah si alzò un po’ tremolante, scrollandosi la polvere dal gilet con aria seccata, per nulla spaventato dal mostro dietro di lui.
Difatti, dopo essersi girato nella sua direzione, gli gridò, con autorità:
- Che diamine stai facendo, Akuma? Vattene da qui immediatamente! Obbedisci al tuo padrone!
La creatura sferica però rise, puntando nuovamente i cannoni verso di lui.
E a quel punto Tyki capì.
Era stato il Conte a mandarlo! Aveva capito dove si stava nascondendo?!
“Accidenti!”
 
Fu un attimo.
L’Akuma fece partire i colpi.
Tyki circondò Clara con le proprie braccia. Si sollevò con lei da terra. Sparì sul soffitto.
La stanza bianca e blu fu definitivamente rasa al suolo.
 
La giovane vide i suoi piedi staccarsi dal suolo. Il rumore della distruzione riempì le sue orecchie. Si ritrovò al primo piano della villa, mentre Tyki era davanti a lei, tenendola in braccio sicuro si sé.
Cominciò a tirarla, a correre lungo il corridoio.
Lei fece appena in tempo a sollevarsi col braccio libero il vestito e a seguirlo che un’altra esplosione la fece sbalzare in avanti, scaraventandola a terra con violenza.
 Quando provò a rialzarsi, avvertì un dolore indicibile alla caviglia. Ricominciò a piangere, terrorizzata.
- Tyki! Tyki! – lo chiamò disperata, stesa a terra, con il braccio teso verso di lui nel tentativo di afferrarlo.
Questo le corse incontro e la aiutò a sollevarsi. L’Akuma comparve dietro di loro, avanzando con un ghigno malefico impresso sul volto bianco.
I due nobili erano troppo lenti. Il mostro li stava raggiungendo.
Tyki strinse a sé Clara e scattò contro il muro. La giovane, temendo di finirci contro, gridò spaventata. Invece si ritrovò semplicemente nella stanza accanto, incredula.
Immersa in quel caos senza fine, non si era persino accorta di stare volando. I suoi piedi si trovavano a qualche centimetro da terra e scivolavano veloci senza toccarla.
Il Noah attraversò un altro muro, ritrovandosi così all’esterno della residenza. L’Akuma era lontano, ma presto li avrebbe raggiunti. Tornò a camminare sull’erba, posando con delicatezza una Clara sconvolta ai piedi di un albero, e chiedendole di non muoversi.
- Aspettate qui, e non muovetevi per nessun motivo – la raccomandò.
Poi fece per correre via, quando si sentì chiamare.
- Tyki! Cosa sta succedendo?! – gli domandò la giovane, stringendosi nelle ginocchia, ancora scioccata e con la caviglia dolorante.
Il Noah si chinò sul suo viso.
- Dopo vi spiegherò tutto – disse, con tono calmo e rassicurante, prendendole la mano e stringendogliela per darle sicurezza.
Clara rilassò il viso, tirando su col naso.
- Tutto?
- Tutto.
 
I due si separarono. Tyki lasciò la presa sulla candida mano della giovane e sparì, insediandosi all’interno della densa nebbia bianca di detriti. Saettò tra i cumoli di mattoni e travi frantumati e si guardò attorno. Riconobbe, suo malincuore, un pezzo di ceramica lucida bianca, con decorazioni blu floreali: parte del bellissimo salottino. E ora di quella stanza rimanevano solo indistinte macerie grigie e polverose.
Il Conte l’avrebbe pagata cara per tutto quello che aveva fatto a Clara. Gettò con rabbia il coccio e avanzò di qualche passo verso i resti di una parete.
Improvvisamente, udì un’esplosione, e altri mattoni volarono per aria, assieme a vetro e legno scheggiati. Tyki fece un balzo all’indietro ed evitò per un soffio un proiettile violaceo che si scagliò veloce subito alle sue spalle contro un albero. Questo si sgretolò come fosse diventato di sabbia. In mezzo ad una nuova nube di polvere, comparve l’Akuma.
Ghignava in modo terrificante, mentre teneva puntate le sue letali armi contro il Noah. Questo continuava a guardarlo con disprezzo.
Un minuto prima che le bocche dei cannoni iniziassero a brillare, fece un passo avanti e sbottò:
- Millennio ti ha mandato a finirmi? Che spreco!
Tese una mano, e sparò un raggio luminoso che colpì l’Akuma in pieno, facendolo esplodere in tante piastre metalliche e resti di cannoni incendiati. I pezzi volarono ovunque, e uno di essi gli finì addosso; usando i suoi poteri lo evitò lasciando che gli attraversasse la testa; come un fantasma.
Poi si guardò attorno. Il silenzio aveva inghiottito le macerie della villa. Tyki rimase in ascolto per un momento, ma non udì proprio nulla.
Si preparò a tornare indietro, preoccupato per Clara, quando la sentì urlare.
“Che succede?!” Si chiese mentre cominciava a correre all’impazzata tra i detriti, schivando i cumuli di legno che avevano preso fuoco dopo l’esplosione dell’Akuma. Quando raggiunse l’albero vicino al quale aveva lasciato la giovane, la trovò tra le grinfie di due Akuma di livello tre. Si dimenava e piangeva, pregando di essere aiutata disperatamente.
I due mostri ridevano di gusto, quando videro il terzo apostolo avvicinarsi. Strinsero di più la presa sulla nobile, che gridò ancora e si dibatté come un pesce preso all’amo. Tyki serrò i denti. In condizioni normali, avrebbe potuto far fuori le due creature con immensa facilità. Eppure qualcosa lo bloccava.
Aveva paura che si difendessero usando Clara come ostaggio o peggio, che la ferissero per ripicca.
- Se la rivuoi – ringhiò il primo Akuma, che teneva tra i suoi artigli la giovane – Vieni alle Rovine.
Poi sparì, assieme al compagno e all’ostaggio, in un batter d’occhio.
Tyki rimase da solo, davanti all’albero. In volto aveva ancora l’espressione di chi non perdona. Si guardò alle spalle. Vide i resti della villa. Poi davanti a sé: c’era una foresta che si protendeva per molti metri, e non riuscì a vederne la fine.
 
Si sedette nel punto esatto dove aveva lasciato Clara prima che venisse rapita.
Il Livello uno era soltanto una distrazione. In effetti, lui da solo non avrebbe potuto fare granché; anzi, non aveva fatto granché.
Il vero pericolo era rimasto nascosto aspettando un suo momento di distrazione. E al minimo cenno, era entrato in azione. Avevano scelto proprio il momento perfetto.
E ora Clara era nelle loro mani; nelle mani del Conte: quelle viscide e crudeli mani guantate di bianco…
Che il suo fosse solo un modo per attirarlo in trappola, era palese. Ed era altrettanto chiaro che se non fosse intervenuto per salvarla, l’avrebbero uccisa senza pietà. Millennio era fatto così.
Aveva due scelte: morire, o lasciar morire.
“Direi che sono messo piuttosto bene!” Esultò ironicamente alzandosi in piedi.
Ripensò alle parole dell’Akuma:
‘- Vieni alle Rovine.’
 
Le Rovine… il nome proprio di un posto non molto famoso, ma conosciuto.
Trent’anni prima, una residenza era stata divorata da un incendio. I padroni, due giovani appena sposati, morirono tra le fiamme lasciando i resti della loro abitazione. Quel posto, impraticabile, venne denominato ‘Rovina’ e il caso dell’incendio chiuso definitivamente senza particolari dettagli.
Non c’era molto da vedere. Circolavano anche un paio di storielle nelle quali si parlava persino di spettri che si aggirassero nel punto in cui erano morti i vecchi proprietari, quando la nebbia si alzava molto fitta.
Naturalmente non c’era neanche bisogno di dire che non esisteva nessun fantasma. Erano solo delle sciocche voci infondate. Jasdebi erano andati sul posto un po’ di tempo prima alla ricerca del cuore, ma non vi avevano trovato ‘un tubo’, come dissero, o per meglio dire esclamarono in preda alla rabbia, appena ritornati.
- Il palcoscenico ideale per la dipartita di un compagno! – esclamò Tyki, imitando la voce grave e cavernosa dell’ex capo.
Nervoso e frustrato, s’incamminò verso le macerie della villa di Clara. Calciò via un ciottolo e si sollevò dal terreno, esaminando i piani alti che, fortunatamente, erano ancora quasi del tutto intatti.
Volò fino a quella che poco prima era la camera della giovane nobile. Un bel pezzo di parete era scomparso, esponendo la lussuosa stanza all’esterno. Il Noah avanzò ciondolante al suo interno, osservando con poco interesse i mobili rotti e il tappeto impolverati, come se potessero aiutarlo a trovare una soluzione.
In realtà stava pensando. Cosa poteva fare, cosa non doveva fare, se doveva andare da solo, o se avrebbe invece dovuto trovarsi degli alleati. Il tempo a sua disposizione si accorciava ogni secondo che passava. La lotta per la vita di Clara era un conto alla rovescia al termine del quale nessuno sapeva cosa sarebbe successo.
Ma Tyki l’amava. L’amava tanto e non poteva lasciarla uccidere.
Se per farla sopravvivere si era ribellato al Conte, non poteva certo abbandonarla ora che era di nuovo in pericolo! Che senso avrebbe avuto il suo tradimento? Che senso avrebbe avuto rischiare di morire?
E dire che oggi le si voleva pure dichiarare. Non c’era limite alla sfortuna; ma lui alla cattiva sorte non ci aveva mai creduto…
Doveva andarci, doveva salvarla. Non gli importava di morire, non gli importava niente. Clara era sua, per lei aveva fatto enormi sacrifici. E se il Conte voleva liberarsi semplicemente di lui, non doveva usare le persone a lui care come esca per riuscirci.
C’era una sola cosa da fare, in quel momento: andare là, salvare Clara, e sistemare la faccenda. Una volta per tutte.

 

 

Si era fatto il tramonto, e le colline brillavano d’oro.
Tyki aveva indossato una camicia bianca e una giacca nera. Gli stessi vestiti che aveva quando aveva affrontato Allen Walker sulla vecchia Arca. Il suo frac aveva ben quattro buchi, davanti e dietro. Dopo essere stato ferito dal Conte, si era rovinato a tal punto che nemmeno Clara era stata capace di rammendarlo.
Non aveva portato nulla con sé. Aveva le Tease con lui, e ciò era sufficiente.
Camminava nella foresta, diretto verso le Rovine, il passo calmo e misurato.
La sua mente stava costruendo un piccolo piano per salvare Clara. Faceva delle ipotesi su dove potessero averla nascosta e poi cercava il modo per trarla in salvo. Ma ogni volta si accorgeva di quella piccola macchia che gli smontava l’intera pianificazione. E allora si diceva che lui non era mai stato una persona dalla mente infallibile. In ogni suo schema c’era sempre un’imperfezione. Quando credeva di aver ucciso Allen non aveva messo in conto che la sua Innocence lo proteggesse; e quando lo aveva combattuto sull’Arca non aveva calcolato il fatto che lui riuscisse a ribaltare la situazione volgendola dalla sua parte. Era Cheryl il pianificatore, non lui.
Ora però doveva farsi venire qualche idea. Altrimenti sarebbe andato incontro al suicidio senza speranze di salvezza per Clara. Doveva agire intelligentemente.
“E’ una parola!” esclamò mentalmente. E senza che se ne rendesse conto pensò al fatto di non essere andato a scuola. Davvero avrebbe fatto qualche differenza averla frequentata?
Avrebbe voluto proprio saperlo.
Poi ebbe un’idea.
Tese una mano in avanti, e da essa ne uscì una Tease: una piccola farfalla nera e viola con i semi delle carte impressi sulle ali. Un altro modo per manifestare la sua passione per il poker.
- Vai avanti. Trova Clara e poi torna indietro.
Con un veloce sbatter d’ali, il golem si librò in aria e, leggiadro, sparì in cielo oltre le fronde arboree.
Il Noah lo guardò volare via, sicuro che quella sua genialissima idea avrebbe portato buoni risultati.
 
Subito dopo, udì un rumore provenire dalla foresta: un misto di voci maschili e femminili sommesso, proveniente da una piccola radura alla sua destra.
Voltò la testa in quella direzione e poi si fermò. Tese un orecchio per ascoltare meglio, e riconobbe qualche suono.
“Sembra la voce del Guercino, questa” pensò annuendo piano nel confermare le sue ipotesi. Sì, uno era l’Esorcista dai capelli rossi con la benda. Poi c’era una ragazza, sicuramente la cinesina.
Ce n’era anche un’altra, fin troppo riconoscibile.
“E questa e quella del piccoletto” terminò così la sua analisi.
Si inoltrò nella direzione dalla quale provenivano le voci, facendo attenzione a non farsi scoprire. Per sicurezza, usò i suoi poteri per evitare di calpestare le foglie e i rametti secchi che si trovavano sulla sua strada.
Si accostò a un albero e da quello guardò verso la radura. Nonostante il buio che avanzava, li riconobbe tutti.
Vide una ragazza alta, dai capelli corti e di un verde scuro tendente al nero. L’aveva già vista e non gli fu difficile ricordare come si chiamava: Linalee. C’era poi un ragazzo, i capelli rossi sparati in aria da una fascia scura e una benda sull’occhio destro. Il giovane Bookman Junior, Lavi. E poi vide l’ormai indimenticabile figura di Allen Walker. Erano disposti a triangolo e parlottavano tra loro sul fatto di aver sbagliato strada o roba simile. A Tyki sembrò di capire che i tre Esorcisti erano lì per indagare sulle voci delle presenze spettrali del luogo; probabilmente per verificare che non avessero a che fare con l’Innocence.
Al Noah scappò quasi da ridere. Jasdebi avevano scoperto prima di loro che lì non c’era nulla.
“Che stupidi…” pensò mentre li guardava discutere in maniera animata.
 
- Allen, secondo me dovremmo tornare indietro – diceva preoccupata Linalee.
- No Allen! Dobbiamo continuare per di là! – Esclamava Lavi afferrando il compagno per un braccio e tirandolo nella direzione che indicava agitando il dito in quella direzione.
L’albino si lasciava strattonare dal rosso, mentre cercava di ragionare assieme alla cinese. Era completamente in balia dei due.
 
Tyki restò ad osservarli per un po’. Poi gli venne in mente un’altra, geniale, idea.
Annullò i suoi poteri, individuò dietro di sé un ramo caduto a terra e lo pestò col piede, spezzandolo e facendo più rumore che poté.
I tre esorcisti si voltarono con uno scatto improvviso nella sua direzione, zittendosi tutti nello stesso momento. La boscaglia però rendeva loro impossibile vedere il Noah.
- Chi c’è? – domandò Lavi mettendo mano la martello nel suo fodero.
Tyki restò nascosto nell’ombra, osservando gli esorcisti come fossero dei piccoli coniglietti spauriti e lui il lupo famelico. Quando decise che era il momento di uscire allo scoperto, si raccomandò di usare molto tatto perché, in caso contrario, le cose si sarebbero messe male prima ancora di poter pensare a salvare Clara.
Nella penombra emerse la sua figura, alta e sicura di sé, davanti ai tre Esorcisti. Apparve col suo solito e quasi provocatore sorriso, che mise subito in guardia Lavi. Il ragazzo estrasse il martello, lo ingrandì e lo puntò minaccioso verso il suo nemico.
Linalee si vide pronta ad attivare la sua Innocence mentre Allen, dietro di lei, rimase come paralizzato. Ebbe l’impressione di stare rivedendo un vecchio amico e non un nemico.
Tyki si vide puntare contro la pesante arma del rosso, con le croci sulle sue estremità ad un palmo dal naso. Eppure non indietreggiò.
- Cosa ci fai qui, Tyki Mikk? – gli ringhiò contro il giovane Bookman, tenendo ben salda la presa sul lungo manico.
Il Noah piegò il busto verso sinistra, riuscendo finalmente a vedere in faccia l’Esorcista che, col martello davanti al viso, non era riuscito a vedere.
- Ma allora è un’abitudine… - cercò di dire mentre tentava di non ridere. Si riferiva alla notte in cui aveva incontrato Allen nella foresta e questo gli aveva domandato, nello stesso identico modo, la stessa identica cosa.
Poi ricordò di essere diplomatico e di non agitare gli animi. Quei ragazzi erano assai suscettibili quando volevano e a lui servivano in atteggiamenti, se non amichevoli, almeno pacifici.
“Tatto… tatto…” Si ripeté come un disco rotto per non fare passi falsi.
- Nulla di particolare… - rispose allora come fece tempo addietro.
Lavi non parve ascoltarlo minimamente. Sollevò il grosso martello con una facilità e una scioltezza che solo lui e la sua arma possedevano, e si preparò a colpire il Noah.
- Gouka Kaijin, Hiba-
Non finì neanche di annunciare il suo attacco che Allen gli si parò davanti, aprendo le braccia e gridando al ragazzo di fermarsi.
- Aspetta, Lavi! Non attaccarlo!
L’Innocence del rosso però stava già ricadendo verso il basso, e colpì la testa di Allen talmente forte da schiacciarlo a terra e procurargli un enorme bozzo sulla nuca.
L’albino si rialzò con uno sguardo assassino in volto, rivolto al compagno che ora mormorava scuse su scuse e si preoccupava di non subire ripercussioni indietreggiando fino a nascondersi dietro a Linalee.
- Sta’ attento, Allen-kun! – esclamò Linalee, preoccupata per la sua salute.
Lavi gli si parò davanti e sbracciandosi contro di lui, sbraitò:
- Che cosa fai, Allen?! Ma lo sai chi è lui?
- Lo so! E non è più un nostro nemico!
 
A quelle parole i due Esorcisti si calmarono. Il giovane Bookman abbassò le braccia, lasciandole penzolare confuso; Linalee si zittì.
Non capivano cosa volesse dirgli. Ed entrambi – soprattutto Lavi – avevano una faccia a dir poco allibita. Sapevano che Allen aveva il cuore d’oro, ma fino a questo punto… ?
- Spiegati meglio – lo incalzò il rosso, mentre rivolgeva un’occhiataccia di sfuggita al Noah, del quale per nulla si fidava e voleva fidarsi.
L’albino prese un profondo respiro e iniziò a raccontare di quando lo aveva trovato nella foresta, delle cose che aveva scoperto e del fatto che ora Tyki non faceva più parte dei Noah.
Linalee parve capire; era sempre stata molto fiduciosa nei confronti del suo compagno, e sapeva che non avrebbe mai potuto mentirle. Lavi credeva sì alla sua storia, ma rimaneva comunque assai sospettoso del terzo apostolo. Il fatto che questo continuasse a guardarlo come a volerlo prendere in giro, lo innervosiva e non poco. Di lui aveva brutti ricordi. Certamente non gli pareva che avesse tradito il Conte; sembrava più una sorta di montatura. Una farsa per appropriarsi dell’Innocence e ucciderli.
Rimase in allerta, fidandosi dell’amico , ma non pienamente. Più che altro era di Tyki che non si fidava.  Lo avrebbe tenuto d’occhio e, al minimo problema, lo avrebbe fatto fuori.
Gli Esorcisti non devono fraternizzare con i Noah. E’ una regola che tutti sanno e rispettano. E’ un dovere assoluto, un tabù da non infrangere. Persino lui, che come Bookman doveva osservare imparzialmente il mondo da entrambi i lati, era conscio che ciò era impossibile.
 
Allen finì di raccontare. Attese in silenzio che i compagni si esprimessero.
Si fece avanti Linalee, che gli rivolse un sorriso amichevole e gli disse:
- Va bene.
Eppure anche lei la pensava come Lavi: era certa della sincerità dell’albino, ma non di quella del Noah. Perché nemmeno lei aveva bei ricordi di lui.
Il giovane Bookman allora disse, dopo una lunga riflessione, schietto e conciso:
- Allen, Io di lui non mi fido. Ma di te sì.
E mentre il compagno lo guardava sollevato, si mise di fronte a Tyki, squadrandolo, minaccioso.
- Se fai loro qualcosa, qualsiasi  cosa, e questa è solo una trappola, te la vedrai con me.
Il Noah del piacere gli rivolse un’occhiata maligna. Nemmeno il suo sarcasmo tagliente avrebbe potuto smorzare la determinazione di quel Guercino. Non restava che rendergli lo sguardo con altrettanto odio.
Non doveva però lasciare che si creassero delle antipatie. Quei tre ragazzini gli sarebbero stati molto utili per salvare Clara, non doveva mandare quell’occasione unica a farsi friggere. Avrebbe dovuto comportarsi civilmente e cercare di non farsi ammazzare dal rosso.
Mah, lui che si comportava civilmente con degli Esorcisti… Era una cosa senza senso!


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♣ Angolo di Momoko 

Eccomi tornata dalle vacanzeee!! :D
Tyki: *con zero enfasi* evviva... *si protegge la faccia temendo ripercussioni*
Mi siete mancate tutte ç_ç E anche tu, Tyki :)
Tyki: *sollevato* D... davvero? o.o
Sì :) Ora dimmi, vorresti qualcosa?
Tyki: *preoccupato* Cosa ti hanno fatto mentre eri in vacanza?! OAO'
Nulla... :) 
Allen: bentornata!
Grazie^^
Allen: ehm... Tyki... cosa posso fare per te?
Tyki: ò_ò Ma che diamine vi succede? *indica Momoko* tu dovresti pestarmi a sangue; *indica Allen* e tu pure. Che cosa ho fatto?
Allen: poverino... lui non lo sa...
Già... Poverino...
Tyki: che cosa non so?! COSA???!!! Volete dirmelo sì o nooo???!!
*Tutto diventa nero*

Eccomi qua con la parte seria delle note d'autore xDD Ormai 'sti sketch sono diventati una cosa di routine... Però mi diverto xDD Perdonatemi se a voi non fanno ridere. Ma un po' di sfogo che non sia il ballare/cantare priva di decenza per casa ci vuole ò_ò
Ebbene sì, sono tornata e la fanfiction ormai volge alla fine. Ho in mente di scrivere qualche altra long in futuro, terminata questa, sempre su D. Gray-man.
L'ultima parte di questo capitolo mi fa schifo ç_ç Dico davvero, non so come mi è uscita. La parte centrale invece mi piace assai. Mi ci voleva un po' di distruzione per movimentare la storia, che stava cascando nella noia più mortale del mondo.
Per ringraziare voi lettrici, ho deciso che alla fine del prossimo capitolo e dell'ultimo vi svelerò qualche retroscena della storia. E poi... *si imbarazza* mi sarei fatta un ritratto >///< Il ritratto di Momoko The Butterfly, ovviamente ù_ù ; non della disgraziata che sta' dietro al nome xD 
Spero di poterlo postare se non alla fine del prossimo, alla fine dell'ultimo capitolo, assieme a tante altre cose^^
Non so se questo sarà un modo per ringraziarvi a sufficienza, ma sappiate comunque che vi sono molto grata :)
Ringrazio mille volte chiunque abbia recensito, chi l'ha messa tra le preferite, le ricordate e le seguite; e anche chi ha letto rimanendo però nell'ombra ;) Che poi alla fine uno scrive per sé stesso e per gli altri, non per ricevere riconoscimenti, recensioni e co. xD Oh, be', almeno io la penso così^^

A prestoooooo <3
 
Momoko
   
 
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