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Autore: RobTwili    28/08/2012    22 recensioni
Alexis sta scappando, non sa nemmeno lei da cosa. A due esami dalla Laurea in Medicina alla Stanford-Brown, decide di mollare tutto e tutti e fuggire lontano.
Attraversa l’America e approda nel Bronx.
Il sobborgo della Grande Mela non le offre un caldo benvenuto e subito si rende conto che non tutta l’America è come l’assolata Los Angeles.
Ryan ha sempre vissuto nel Bronx, sul corpo e sul cuore i segni di una vita vissuta all’insegna delle lotte tra bande e dell’assenza di una famiglia su cui poter contare.
Alexis comincia a cadere in quel vortice che Ryan crea attorno a lei. Vuole a tutti i costi salvarlo, portarlo sulla retta via; non c’è infatti qualche legge che costringe una ragazza ad aiutare chi è senza speranze?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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YSM
 
 
«Ryan, io credo che sia giusto dirti che per me quello che c’è stato prima in camera mia… voglio dire… il fatto che noi abbiamo… che abbiamo fatto… quella cosa, ehm… non significa nulla. Cioè, io lo so che magari per te ha qualche significato ma davvero, per me non è stato nulla. Un momento di debolezza, ero sconvolta per Aria e Dollar, sei piombato in casa mia e mi hai baciata; insomma, vorrei che tu capissi che non mi piaci. Sei un bel ragazzo, certo, ma… ecco… secondo te cosa è stato? Ahh» gemetti frustrata, portandomi le mani tra i capelli e guardando la mia immagine riflessa allo specchio. Ero un’emerita idiota; perché se fossi andata da Ryan a parlargli in quel modo di certo si sarebbe messo a ridere e non avrebbe più smesso di prendermi in giro. Andare da lui a parlare di quello che era successo – qualsiasi cosa fosse –significava offrirgli su un piatto d’argento un nuovo motivo per deridermi; e non era proprio quello di cui avevo bisogno.
Mi serviva un piano B, qualcosa da mettere in atto, qualcosa che non fosse parlare con Ryan; qualcosa come… l’indifferenza. Sì, fingere che poche ore prima non fosse successo nulla sembrava il modo migliore per superare quello che c’era stato.
Avevo bisogno di distrarmi per cancellare dai miei ricordi quelle immagini e sensazioni, dovevo uscire da quella casa e lasciare che l’aria fresca mi schiarisse le idee, perché altrimenti rischiavo di impazzire; insomma, prima di andarmene avrei parlato con Ryan, ma non c’era nessuna fretta, la Florida non sarebbe scappata di certo. Potevo fare la spesa; avrei comprato poche cose, l’indispensabile per un altro paio di giorni, così da non lasciare troppi avanzi nel frigo – anche se ero sicura che i ragazzi avrebbero di sicuro consumato tutto.
Presi la borsa e, dopo aver controllato che non piovesse più, indossai le scarpe e il cappotto, pronta per uscire; quando mi chiusi la porta di casa alle spalle feci un respiro per prendere un po’ di coraggio, preparata ad affrontare Hunts Point e i suoi mille pericoli.
«Ciao lentiggini». Sussultai al suono di quella voce, facendo cadere le chiavi di casa a terra; mi accucciai, rischiando di perdere l’equilibrio. I miei movimenti impacciati fecero sghignazzare qualcuno; sentii persino una risata a stento trattenuta. Alzai lo sguardo e incrociai quello di Sick, il ragazzo che non era in grado di rimanere serio; nonostante si mordesse la mano per non ridere non riusciva a smettere di scuotere le spalle per l’attacco di risa.
«Sono felice di essere comica come il solito, Sick» sbottai, senza spostare lo sguardo. La verità era che non volevo incontrare gli occhi sarcastici di Ryan, sicura che sarei arrossita dall’imbarazzo. Dopo quello che era successo in camera mia aveva ancora il coraggio di salutarmi in quel modo stupido? Forse evitare di parlare era la soluzione migliore, sì. Mi alzai, cercando di raggiungere la scala prima che Ryan potesse bloccare il passaggio, costringendomi a scendere tre rampe di fianco a lui. Fortunatamente ci riuscii. Corsi giù per la gradinata il più velocemente possibile, rischiando di scivolare più volte sui gradini. Mi lasciai però Ryan e i ragazzi alle spalle, sospirando sollevata quando richiusi il portone dello stabile dietro di me.
Birra, mi serviva della birra. Birra che avrei consumato quella sera stessa, sdraiata sul mio divano con un film horror a tenermi compagnia; perché non era proprio serata per guardare film romantici. Avrei mangiato qualcosa in piedi e avrei bevuto un paio di birre; poi, esausta e forse un po’ ubriaca, mi sarei addormentata sul divano. Non era poi un cattivo modo per passare la serata.
«Lexi, aspetta». Non feci nemmeno in tempo a svoltare l’angolo di Whittier Street che uno dei ragazzi, alle mie spalle, mi chiamò. Fortunatamente non era Ryan; per questo, quando Brandon smise di correre dopo avermi raggiunto, rallentai il passo perché ero curiosa di capire che cosa avesse da dire. «Puoi fermarti un secondo?» ridacchiò, quando si accorse che non accennavo a smettere di camminare per la voglia di raggiungere il negozio di liquori. Gli obbedii, fermandomi a un paio di isolati dal Phoenix, senza attraversare l’incrocio nonostante ci fosse il semaforo pedonale con la luce verde accesa. «Grazie» scherzò, mimando un inchino. A quel suo gesto non riuscii a trattenere un sorriso, lasciando che le mie labbra si curvassero all’insù sotto alla spessa sciarpa di lana grigia e azzurra che portavo al collo. «Io volevo solo ringraziarti. Qualsiasi cosa tu abbia fatto… o detto a Ryan prima ha funzionato. Sembra essere meno pazzo, è quasi più tranquillo. Grazie Lexi, ti siamo tutti debitori». La sua mano si appoggiò alla mia spalla per stringerla con un po’ di forza; riuscii a sentire il calore del suo corpo nonostante il giaccone e la felpa che portavo sotto. Brandon mi era davvero riconoscente e le sue parole erano sentite: era difficile credere che potesse mentire quando il suo sguardo – rispetto a quel pomeriggio – era rilassato e quasi felice. Si sbagliava solo su un piccolo particolare, però.
«Io non ho fatto o detto nulla a Ryan. Credo si sia accorto da solo che andare dai Misfitous da solo era un’idea cretina». Di certo Ryan non aveva cambiato idea per essere venuto a letto con me, perché non avevo tutto quel potere per cambiare le sue decisioni. Semplicemente era trascorso un po’ di tempo e poi il suo cervello aveva capito che non era la cosa migliore da fare, se voleva rimanere vivo. Brandon non riuscì a trattenere un sorriso alla mia affermazione, come se sapesse che avevo appena raccontato una bugia. Ma Brandon non poteva saperlo, perché Ryan – orgoglioso com’era – non avrebbe mai raccontato a nessuno quello che era successo, visto che si era trattato di un momento di debolezza. Ryan non si mostrava mai debole.
«Certo, ci credo. Grazie comunque». Ammiccò verso di me, prima di girarsi per tornare a casa lentamente. Non aveva fretta, non correva come aveva fatto per raggiungermi. Sospirai alzando gli occhi al cielo e guardai di nuovo davanti a me, attendendo che non ci fossero macchine sulla strada. Senza aspettare che il semaforo diventasse ancora verde, attraversai arrivando al lato opposto e guardando prima a destra e poi a sinistra. Ero di fronte a un bivio: potevo andare direttamente al supermercato a comprare le birre o fare un paio di isolati in più, fermarmi per prendere una birra al Phoenix, salutare Peter e andare al negozio passando per Coster Street. In fin dei conti era un solo isolato in più, e non avevo nemmeno salutato Peter quella mattina.
Camminai velocemente verso il Phoenix, concentrandomi sulle mie gambe e contando i miei passi per tenere la mente occupata: non volevo pensare di nuovo al 198 di Whittier Street e agli inquilini del terzo piano perché non era proprio il caso. Quando varcai la soglia del locale, Peter mi accolse con un radioso sorriso al quale risposi felice, rilassandomi un po’. L’atmosfera che si respirava dentro a quel locale contrastava con il freddo che c’era fuori e riusciva a rallegrarmi. Soprattutto perché dopo la notizia che Ryan aveva dato a Peter quella stessa mattina, Shirley, l’altra cameriera, aveva subito ceduto il testimone al nuovo proprietario aiutandolo a servire i clienti anche quel giorno.
«Ciao Lexi» mi salutò, indicandomi con un gesto del capo uno sgabello davanti al bancone. Mi allungò un boccale di birra con un simpatico «offre la casa», prima ancora che io potessi fiatare. «Come stai? Va un po’ meglio di questa mattina?». Alla sua affermazione sospirai, alzando lo sguardo e soffermandomi su due cornici nere appese sul muro dietro al bancone: erano Aria e Dollar in due diverse foto; ritratti entrambi sorridenti e intenti a bere una birra proprio in quel locale. Vedere quelle foto mi fece ricordare il funerale, causandomi un groppo in gola che cercai di sciogliere con la birra.
«Va peggio, direi» bofonchiai, tornando a guardare negli occhi scuri di Peter. Il suo sorriso si spense appena e la sua mano accarezzò la mia, sopra al bancone. A quel gesto mi ritrassi subito, nascondendo la mano in tasca del giaccone e avvicinando l’altra al boccale perché non tentasse di nuovo di toccarmi. «Devo andare, scusami» mi giustificai, lasciando la birra a metà e uscendo dal locale dopo aver spintonato un ragazzo che mi aveva sbarrato la strada. Che cosa mi era venuto in mente? Perché ero andata al Phoenix sapendo che c’era Peter? Credevo avesse smesso di provare a essere più che gentile con me, gli avevo chiaramente detto che non ero interessata a lui. Perché tornava a comportarsi in quel modo proprio quel giorno? Perché il tocco della sua mano era risultato quasi fastidioso se comparato a quello che mi aveva sfiorato quel pomeriggio?
Calciai un sasso con tutta la forza che avevo e quello andò a sbattere contro una vetrata dalla parte opposta della strada facendo fischiare qualcuno. Mi guardai attorno, cercando di capire da dove provenisse quella risata che non riuscivo a riconoscere. Non era Ryan, non era nemmeno dei ragazzi; eppure… eppure ero sicura di aver già sentito quel suono gutturale da qualche parte. Istintivamente portai la mano sul cellulare, sbloccandolo e componendo un numero che sapevo a memoria. Era stupido e idiota, ma c’era una strana sensazione che non mi permetteva di essere tranquilla; sensazione che divenne certezza quando dall’angolo della strada vidi uscire Dead e Pitt.
«Hai litigato con il fidanzatino?» ghignò Dead, avvicinandosi pericolosamente a me. Mi guardai attorno, estraendo il cellulare dalla tasca e avviando la chiamata mentre lo portavo dietro alla mia schiena, perché dall’altra parte della cornetta potessero sentire. «Insomma, un calcio così forte a un minuscolo sassolino da una ragazza così piccola… che ti ha fatto il piccolo Calloway, eh?» continuò, avvicinandosi con l’altro ragazzo a me. Indietreggiai di nuovo, finendo con le spalle contro a un muro e sussultando spaventata.
«Che cosa ci fate qui? Non è il vostro territorio» azzardai, sperando di riuscire a dare qualche informazione in più sulla mia posizione. Speravo solo che in linea ci fosse qualcuno. Dead ghignò, fingendosi divertito al punto che diede una pacca sulla spalla a Pitt che espirò il fumo della sigaretta, unendosi a lui in quella risata finta.
«Territorio di confine, ricordi? Il tuo piccolo Calloway non te l’ha detto che il Phoenix è nel territorio di confine? Questa strada è territorio di confine, quindi è di chi vince la battaglia, piccola puttanella di Calloway. Vediamo se ti ha insegnato qualcosa… una parte di questa strada è sotto il dominio dei Misfitous, l’altra degli… come si chiamano, Pitt? Turkey? Crow? Ah no, Eagles. Hai il cinquanta percento di possibilità di essere nella parte del tuo piccolo Calloway ma potresti essere anche in quella sbagliata. Ti do l’opportunità di scegliere se rimanere in questo marciapiede o attraversare la strada e andare nell’altro. Se al mio tre ti troverai sul marciapiede dei Misfitous… be’, credo che Calloway prima di scoparsele debba istruirle. Farà così con la prossima, giusto Pitt?». Il biondo ghignò, annuendo in un gesto di assenso alle parole di Dead. Perché in quella stupida via non c’era nessuno? E perché nessuno accorreva in mio aiuto? Non avevano risposto alla chiamata? Mi guardai attorno, cercando di capire quale lato della strada potesse essere sotto al controllo dei Misfitous e quale degli Eagles, ma non riuscivo a leggere i cartelli con i nomi delle vie vicine. «Uno…» cominciò a contare Dead, avvicinandosi a me lentamente. Lì, sarei rimasta ferma in quel punto. Che quel muro fosse sotto al controllo degli Eagles o dei Misfitous non mi interessava, perché ero sicura che Dead mi avrebbe uccisa in entrambi i casi, visto che non c’erano testimoni. «Due…» continuò, estraendo un coltello da dietro la schiena e alzandolo perché potessi vederlo. Finsi di essere coraggiosa e non abbassai lo sguardo, rimanendo in piedi immobile in attesa che lui e Pitt si avvicinassero a me per ferirmi, o peggio, uccidermi. «E tre…». Il sorriso sul volto di Dead si allargò a dismisura, producendo una smorfia spaventosa che mi fece socchiudere gli occhi per qualche secondo, in attesa di sentire la lama fredda affondare sulla mia gola.
«Sei dalla parte sbagliata della strada, Dead». Nell’udire quella frase sospirai sollevata, portando la nuca ad appoggiarsi al muro dietro di me. Non ero mai stata così felice di sentire quella voce e di vedere i ragazzi. Ryan e Brandon si misero tra me e Dead, nascondendomi. Rimasi immobile, in attesa di capire che cosa stesse succedendo, visto che non riuscivo più a vedere nulla.
«Ed ecco il cavaliere che corre a salvare la sua puttanella. È così importante per te che comincio a credere che deve davvero essere brava. Potresti lasciarmela per una notte?» scherzò, senza spostarsi. Ryan e Brandon non si erano mossi, quindi anche Dead e Pitt dovevano essere rimasti fermi al loro posto.
«Chissà che cosa dirà la gente quando scoprirà che volevi uccidere qualcuno nel nostro territorio. Un Peripheral per di più. Si chiederanno che razza di O.G. hanno i Misfitous, non trovi?» lo provocò Ryan, avanzando di un passo verso di lui mentre la sua mano destra si muoveva lentamente verso la cintura dei pantaloni, dietro alla sua schiena. «Non credi che farà una figura da fighetta, Brandon? Si chiederanno con che coraggio ha violato il patto, no?». Ryan si girò a guardare Brandon di fianco a lui e vidi la sua mano destra impugnare una pistola per poi puntarla verso Dead che imprecò, sussultando e cominciando a indietreggiare. «Quindi io direi che la finiamo di fare queste stronzate e ci vediamo domani sera, o magari dopodomani, che ne dici Dead? In un territorio neutrale, con le bande al completo. Una piccola rivincita per ricordare che hai ucciso un ragazzo e una donna che aspettava un bambino. Sai, gli Eagles non tollerano proprio la violazione di certe leggi, spero tu possa capirmi, no? Se succedesse qualcosa a Kristin mentre torna dal lavoro Mike non ne sarebbe affatto contento, giusto? Pensa se BB Child poi dovesse rompersi un paio di ossa. Povero, così giovane e già con qualche cicatrice sul corpo…». Ricordai perché Ryan mi sembrasse pericoloso: la sua voce, il suo tono così basso che sembrava stesse sibilando; stava intimidendo Dead e Pitt, e ci riuscì, visto che, spaventati, se ne andarono senza dire niente. Vidi la mano di Ryan tornare dietro alla sua schiena per nascondere la pistola che aveva preso in mano; si scambiò uno sguardo con Brandon prima di girarsi verso di me per ammonirmi con un’occhiata. «Che cazzo ci fai qui, tu?» sbottò, incrociando le braccia al petto, in attesa di una mia risposta.
«Stavo andando a fare la spesa, non posso?» cercai di affrontarlo, nascondendo il mio telefono dentro al giaccone e guardandomi attorno per capire da che parte fosse il supermercato. Non avevo mai camminato per quelle vie di Hunts Point ma sapevo che Coster Street si congiungeva a Randall Ave, per questo –quando vidi alcune macchine sulla strada alla fine di Coster Street alla mia sinistra – capii che sarei arrivata al supermercato andando in quella direzione.
«Perché cazzo sei venuta qui? Coster Street è territorio di confine» proruppe di nuovo, avvicinandosi di un passo a me tanto che istintivamente mi allontanai da lui, incapace di rimanere per troppo tempo a così poca distanza dal suo corpo. Feci un nuovo passo indietro ma Ryan mi seguì, come se volesse di nuovo avvicinarsi a me.
«Perché sono andata al Phoenix, non posso? Mi è proibito? E non lo so che Coster Street è territorio di confine, ok? Non so queste stupide cose da gang e non mi interessano. Ma fammi il favore di dire a Dead che non sono la tua puttanella, perché è la seconda volta che vuole farmi del male convinto che io lo sia». Non aspettai nemmeno una sua risposta, cominciai a camminare lungo Coster Street – lungo il marciapiede che era territorio degli Eagles – per arrivare il più presto possibile a Randall Ave. Non mi interessava di Ryan e Brandon, sapevano badare a loro stessi molto più di quanto potessi farlo io. Loro avevano armi, muscoli e conoscenza di vie e stupidi trattati del Bronx.
«Ehi lentiggini, potresti almeno ringraziare perché ti abbiamo salvato il culo». Qualcosa mi strattonò il braccio, costringendomi a girarmi. Era un tocco familiare, ma la forza non era certo dolce. Quel gesto si mischiò al ricordo del tocco di Ryan sul mio corpo, facendomi vacillare appena. No, non c’era niente del dolce Ryan di quel pomeriggio in quello sguardo severo e furioso davanti a me. Probabilmente mi ero immaginata tutto.
«Grazie?» domandai ironica, pronta per esplodere. Gli avrei detto che non dovevo ringraziarlo per nulla, visto che era per colpa sua e dei suoi stupidi amici gangster se avevo rischiato di morire per due volte. Gli avrei anche ricordato che forse era lui a dovermi ringraziare, viste le innumerevoli volte in cui mi avevano svegliato nel cuore della notte perché potessi medicarli.
«Ehi, ragazzi, basta. Siamo stati fortunati che Lexi ha avuto il sangue freddo di chiamarti e abbiamo capito dov’era. Non è successo nulla e tutto si è sistemato, andiamo Ryan. Lexi sta attenta, d’accordo? Ci vediamo a casa». Brandon si mise davanti a me, riparandomi da Ryan – o forse facendo da scudo a lui contro la mia ira – e lo spintonò dalla parte opposta, senza che avessi il tempo di aggiungere altro. Perché diamine dovevo sempre fare la figura della stupida quando era Ryan a comportarsi da idiota?
Avevo un assoluto bisogno di birra, tanta birra. Così tanta da non ricordare nemmeno come mi chiamavo. Quando entrai nel supermercato non badai nemmeno alla commessa che mi salutò cordialmente, mi diressi verso il reparto liquori, prendendo tre confezioni di birra e andando subito dopo alla cassa, senza fare caso al sorriso cordiale della cassiera. «C’è qualche festa?» scherzò, cercando di farmi parlare. Presi il portafoglio dalla borsa, allungando dieci dollari sopra al rullo. Non aspettai nemmeno il resto, imbustai le tre confezioni di birra uscendo dal supermercato senza salutare. Non ero dell’umore adatto; Ryan mi aveva di nuovo fatta arrabbiare, esattamente come succedeva da quasi nove mesi.
Arrivai a casa e sistemai le birre in frigo, scaldandomi una pizza surgelata al microonde e indossando un paio di pantaloni della tuta e una maglia a maniche corte mentre aspettavo che la mia cena finisse di scongelarsi. Mentre mi toglievo la maglia sentii qualcosa picchiettare sul mio stomaco e ricordai che indossavo ancora la catenina di Ryan. Abbassai lo sguardo, prendendo quel piccolo ciondolo d’argento e rigirandomelo tra le dita. «Vaffanculo Ryan Calloway» sibilai, indossando la maglia scura che avevo preso dalla valigia di fianco al mio letto e dirigendomi verso la cucina. Aprii il forno e misi la pizza sul piatto tagliandola in quattro spicchi poi, dopo aver preso tre bottiglie di birra tra tutte quelle che avevo comprato, andai a sedermi sul divano, appoggiando il piatto sul tavolino di fronte a me.
A metà film avevo già finito la pizza e bevuto due bottiglie. Ricordavo di aver barcollato fino al frigo per prendere la quarta prima di cominciare la terza, poi del film non ero riuscita a vedere il finale, troppo impegnata a bere.
Per questo, la mattina dopo, quando mi svegliai su quel divano mi maledissi da sola nel momento in cui provai ad alzarmi: la testa mi doleva e la stanza girava, in più c’era la sensazione di nausea che si faceva ogni istante più forte. Cercando di combattere contro il mio appartamento che sembrava muoversi come un peschereccio durante una tempesta riuscii ad arrivare al bagno per vomitare. Quando mi alzai dal pavimento per sciacquarmi il viso e vidi la mia immagine riflessa allo specchio mi resi conto che la mia idea di ubriacarmi la sera prima per scordare quello che era successo era così stupida da far apparire l’idea di Ryan di andare dai Misfitous da solo quasi come una genialata. Avevo un assoluto bisogno di bere qualcosa di caldo, possibilmente con molto limone.
Limone che non avevo, visto che in frigo c’erano solamente verdure e birra. Presi un respiro profondo portandomi le mani tra i capelli e capendo che dovevo attraversare il pianerottolo e bussare al 3B se volevo guarire da quella sbornia, così, cercando di camminare lungo i muri per non cadere rovinosamente a terra, arrivai davanti alla porta e, dopo qualche secondo di indecisione, bussai.
«Ciao Lexi, tutto bene?» mi salutò preoccupato Paul, scostandosi perché potessi entrare in casa. Speravo con tutta me stessa che in casa non ci fosse Ryan, perché – anche se avevo affogato tutti i miei problemi con la birra – non ero ancora pronta a vederlo. Speranza che svanì quando lo vidi seduto sul divano a fumare assieme a Brandon e Sick. Stavano discutendo di qualcosa veramente importante, perché non fecero nemmeno caso a me, tanto che mi rivolsi a Paul, appoggiandomi alla porta dietro di me.
«Io… non sto bene e ho bisogno di un limone, potresti prestarmelo per favore? Te lo riporto il prima possibile». Parlavo lentamente e a bassa voce, sperando di passare inosservata a Ryan e a Sick, perché avevo paura delle loro battute. Paul annuì con un sorriso, avvicinandosi al frigo e sparendo dietro allo sportello dopo averlo aperto per cercare il limone. Ricomparve davanti a me giocherellando con quell’agrume scherzando un po’ prima di tendere la mano perché potessi prenderlo. «Grazie» mormorai, stringendo il limone tra le dita e appoggiando una mano sul pomello della porta per uscire.
«Lexi, che succede? Come mai sei qui da noi?» urlò Sick, attirando l’attenzione di tutti su di me. Socchiusi gli occhi, cercando di pensare il più velocemente possibile a una scusa per quel limone. Dire che mi ero presa una sbronza la sera prima non mi sembrava una buona cosa, visto che sicuramente poi avrebbero investigato per scoprire che cosa mi avesse turbata.
«Ho… stamattina non sto molto bene, ho vomitato perché probabilmente ieri sera ho fatto indigestione e volevo farmi qualcosa di caldo usando il limone ma non ne avevo a casa». Come scusa – visto che comunque era una mezza verità – poteva reggere. Speravo solo che non si avvicinassero troppo a me per vedere le mie profonde occhiaie e quanto la luce mi infastidisse.
«Sei incinta? Lo Spirito Santo ha colpito ancora o è stato Peter?» sogghignò Sick, ridendo di gusto tanto che si picchiò la mano sulla coscia, dondolandosi avanti e indietro. Probabilmente per il suo cervello da scemo era una signora battuta, qualcosa a cui tutti i presenti dovevano ridere. Nessuno dei presenti però cominciò a ridere, visto che Paul e Brandon gli riservarono un’occhiataccia e Ryan rimase fermo a guardarmi.
«Sei un idiota» sbottai, voltandomi verso la porta senza badare alla testa che mi doleva e al 3B che girava attorno a me. Uscii da quell’appartamento sentendo l’eco delle risate di Sick e, quando mi chiusi la porta di casa alle spalle, cercai di respirare rimanendo in piedi solo perché la mia schiena era appoggiata al legno dietro di me. Con movimenti lenti scaldai un po’ d’acqua, aromatizzandola con il limone e lo zucchero e, dopo essermi seduta sul divano, mi rilassai bevendo. Ricordavo quando – dopo la prima sbronza – Edge mi aveva insegnato quel rimedio per non avere troppo mal di stomaco la mattina dopo. Io, lui e Soph avevamo bevuto così tante volte quel miscuglio che alla fine era diventato una specie di rito post sbronza.
Passai tutta la giornata sul divano, guardando qualche film che trasmettevano sui canali che il mio vecchio televisore riusciva a prendere e per pranzo mi preparai un po’ di tè che accompagnai con qualche biscotto perché non volevo rischiare di vomitare di nuovo. Alla sera però, ritornata in forze e decisamente affamata, mi preparai un panino che riempii con maionese, pomodoro e mozzarella, esattamente come avevo visto fare alla protagonista del film che finii di guardare prima di andare a farmi una doccia.
Quando, quella sera, mi distesi a letto, mi ricordai che non avevo ancora parlato con Ryan; ma, come mi ero promessa, non sarei stata di certo io quella che avrebbe affrontato l’argomento. Dovevo anche restituirgli la collana che portavo al collo, ma sembrava che nemmeno si fosse accorto di non averla più con sé, quindi probabilmente non era così importante per lui. Ci avrei pensato il giorno dopo, magari.
 
Svegliarsi la mattina perché un raggio di sole ti colpisce in pieno viso non è mai un brutto risveglio, se però i tuoi vicini decidono di piantare un chiodo nel muro confinante con la tua camera tutto cambia significato. Grugnii infastidita da quel continuo rumore e, sbuffando, mi misi a sedere sul letto, sistemandomi la maglia che si era attorcigliata attorno al mio busto durante la notte. «Lentiggini, vuoi aprire questa cazzo di porta?» urlò qualcuno. Sbuffai capendo che non c’era nessun chiodo, solamente un pugno che sbatteva contro la mia porta. Mi alzai dal letto lentamente, raccogliendo i capelli in una coda e passando per la cucina per addentare una brioche; poi, dopo qualche minuto, aprii la porta, trovandomi davanti Ryan con il mento completamente ricoperto di sangue.
«Ho un piccolo problema» spiegò entrando in casa senza che l’avessi nemmeno invitato. Camminò fino alla cucina, spostando una sedia con un piede e sedendosi senza aggiungere altro. Camminando, aveva macchiato il mio pavimento di sangue, visto che il suo naso continuava a sanguinare. Quando si accorse che non mi muovevo, si girò verso di me, per capire che cosa mi bloccasse sulla soglia.
«Accomodati pure» mormorai ironica, chiudendo la porta alle mie spalle per andare in camera a prendere l’occorrente per medicarlo. Quando tornai in cucina, lo trovai nella stessa posizione: schiena dritta e gambe aperte perché probabilmente non voleva sporcare anche i pantaloni – visto che la felpa era tutta macchiata – ma il mio pavimento. Mi misi i guanti, cercando di estraniarmi per non pensare che avrei dovuto medicare Ryan. Era un paziente, non c’era nessun coinvolgimento con lui, di nessuna natura. Con movimenti meccanici spruzzai il disinfettante sul batuffolo di cotone e cominciai a pulire il sangue rappreso dal suo mento e dalle sue labbra, continuando a ripetermi che era solo un paziente e niente di più. Ero quasi sicura che il suo naso non fosse rotto, semplicemente aveva preso una botta forte. Sapevo infatti che si poteva perdere sangue dal naso in seguito a una forte contusione anche senza romperlo.
«Così… sei incinta?» chiese, guadagnandosi una mia occhiataccia. Che cavolo di domande faceva? Credevo fosse più intelligente e soprattutto meno deviato di Sick. Non gli risposi nemmeno, fingendo di non aver sentito cosa aveva appena detto. «Dove hai nascosto la tua curiosità? Non mi chiedi come è successo?» domandò sogghignando, mentre strofinavo il cotone appena sopra alle sue labbra. Ignorai la sua domanda portando le mie mani sul suo naso e muovendolo per sentire se fosse rotto o meno. Come immaginavo non era rotto, aveva semplicemente preso una botta.
«Perché dovrei? Tanto inventerai qualcosa a caso. Saresti capace di dire che è stato Rumpelstiltskin che ti ha picchiato con il suo bastone» ironizzai, prendendo un pezzo di cotone per cercare di fermare il sangue che scendeva sempre più lentamente dal suo naso. Sfiorai inavvertitamente il suo labbro con l’indice e cercai di non far vedere quanto quel contatto mi avesse destabilizzata, concentrandomi di nuovo sul suo naso.
«Questa è davvero una buona scusa, la utilizzerò in futuro» sghignazzò, aspettando che dicessi qualcosa; probabilmente credeva rispondessi di nuovo alla sua battuta, ma non lo feci. Attese in silenzio per qualche secondo, ma non vedendo nessuna reazione da parte mia non disse nulla. Sembrava pensieroso, sentivo il suo sguardo studiarmi e cercavo di fingermi concentrata sul cerotto che stavo applicando sul suo naso. «Mi stai evitando?» chiese, sorpreso. Lo vidi aggrottare la fronte cercando di capire perché lo stessi evitando, così mi sentii in dovere di spiegare.
«Non ti sto evitando Ryan, ti sto ignorando, è diverso». Gettai il cotone sporco di sangue nel cestino e dopo aver disinfettato la tavola con l’alcol mi tolsi i guanti, evitando di guardare Ryan che era ancora seduto; le mani appoggiate alle cosce e quel cerotto bianco sul naso che lo rendevano quasi ridicolo. Perché diamine non se ne tornava nel suo appartamento? L’avevo medicato, no? Bene, non doveva fare colazione, picchiare qualcuno o divertirsi con Butterfly? Che cosa stava aspettando?
«E mi ignori dall’altro ieri» concluse. Da quando si era fatto così attento al mio ignorarlo o meno? Da quando gli interessava sapere se lo ignoravo e perché? Perché non tornava a essere il solito idiota che se ne fregava di tutto e tutti e uccideva le persone dopo avergli rubato i soldi?
«Almeno non fingo che non sia successo» mormorai sovrappensiero, accartocciando il sacchetto quasi con rabbia. Non mi ero nemmeno accorta di aver pronunciato quelle parole – così convinta di averle solamente pensate – fino a quando non vidi Ryan alzarsi davanti a me e appoggiare le sue mani sulle mie spalle per scrollarmi.
«Mi ignori perché io fingo che non sia successo?». C’era quasi una nota divertita nella sua voce; nota che mi fece arrabbiare ancora di più tanto che mi scostai dal suo tocco, allontanandomi di qualche passo da lui. Possibile che dovesse sempre sogghignare in quel modo, alzando solo un angolo delle labbra? Mi infastidiva, cominciava seriamente a infastidirmi.
«No, ti ignoro e basta. Non posso? Va contro le leggi degli Eagles ignorare l’O.G.?». Cercai di sembrare più alta con scarsi risultati, visto che non riuscivo a sfiorare nemmeno il suo collo. Speravo però che a intimidirlo fosse il mio sguardo, più che la mia stazza fisica. Per questo mi concentrai per guardarlo con tutto l’odio che provavo verso di lui. Non sembrò funzionare però, visto che Ryan sospirò, portandosi una mano tra i capelli e avvicinandosi a me.
«Vuoi davvero sapere perché fingo che non sia successo nulla?» chiese, senza aspettare una mia risposta. Non feci nemmeno in  tempo ad annuire che continuò: «perché non voglio voler pensare anche a te, Alexis. Perché preferirei morire io stesso piuttosto di vedere di nuovo il sangue di qualcuno dei miei su quel fottuto flag e perché pensare che tu, che sei così piccola e...fragile, potresti morire mi fa imbestialire. Non so controllare i miei sentimenti, cazzo. Per me è tutta rabbia e godo quando mi sfogo e tiro un pugno. La sensazione delle ossa che si rompono contro la mia mano mi dà una scarica di adrenalina che mi costringe a continuare fino a quando non sento più un muscolo dell’altra persona muoversi. Non voglio dipendere da nessuno e non voglio che nessuno dipenda da me. Ci siamo io, gli Eagles e le risse contro i Misfitous. Non voglio perdere la lucidità perché devo pensare che ogni mia azione può provocare la mia morte e qualcuno ci potrebbe rimanere male. Non è mai stato così per me e mai lo sarà. Quindi no, quello che c'è stato nemmeno lo ricordo e di sicuro non accadrà mai più. Se voglio sfogarmi senza impegno vado da Butterfly, come ho sempre fatto. Lei c’è, quello è il suo compito». Prese un respiro profondo, rilassandosi appena. Cercavo di non far vedere i miei occhi lucidi ma era quasi impossibile; le parole di Ryan erano state in grado di illudermi in un primo momento per poi ferirmi. Perché la verità era che lui non si isolava da tutti perché non gli interessava, ma semplicemente perché così era più facile. Ryan era una persona che stava bene da sola, per questo non aveva mai avuto una Signora ma semplicemente una ragazza da sbattersi quando gli faceva più comodo. Per questo Butterfly ricopriva quel ruolo, perché a lei andava bene essere la valvola di sfogo di Ryan, quella era la sua parte. Perché per Ryan tutti avevano un ruolo; tutti tranne me.
«E il mio? Qual è il mio compito?» domandai, respingendo tutte le lacrime che ormai offuscavano la mia vista. Era stupido, certo. Che cosa mi aspettavo da Ryan? Non era esattamente quello che volevo dirgli io, che non mi interessava ciò che era successo e che era stato solo uno sbaglio? Allora perché continuavo a mordermi il labbro per trattenere le lacrime che non volevo Ryan vedesse?
Ryan indietreggiò appena, avvicinandosi alla porta e dandomi le spalle per qualche istante, senza rispondere alla mia domanda. Sembrò pensarci poi, mentre abbassava la maniglia per uscire, mormorò: «Il tuo compito è quello di tenerci vivi il più possibile». Non aggiunse altro, si chiuse semplicemente la porta alle spalle, lasciandomi ancora una volta da sola in quella casa all’improvviso troppo silenziosa.
No, non dovevo piangere. Era giusto così e soprattutto volevo che andasse in questo modo. Così me ne sarei andata nel giro di una settimana, tempo di salutare bene tutti e di spedire le mie cose. Se Ryan mi avesse parlato in modo diverso sarebbe stato strano. In fin dei conti aveva espressamente detto che di me non gli interessava nulla visto che c’era Butterfly. No, non era vero ma mi piaceva crederlo, era più facile da superare e andava bene così. Perché era stupido piangere per Ryan, per questo andai subito in bagno a sciacquarmi il viso: le gocce d’acqua che scendevano lungo le mie guance non erano lacrime, solamente acqua. Mi asciugai il viso e dopo aver preso un respiro profondo decisi di uscire dal mio appartamento per fare un po’ di spesa. Niente Coster Street o Phoenix però; avrei raggiunto direttamente il negozio e dopo aver comprato qualcosa di diverso dalla birra sarei tornata a casa, sì.
Uscii dal mio appartamento tenendo lo sguardo basso perché speravo di non trovare Ryan di nuovo, invece, mentre giravo la chiave nella toppa per chiudere la porta, sentii un rumore di tacchi sul pianerottolo che mi fece capire subito di chi si trattasse.
«Tette secche, sei ancora qui?» sghignazzò Butterfly, fermandosi davanti alla porta del 3B per guardarmi. Nonostante il freddo indossava solamente una giacca di pelle e sotto una magliettina striminzita che sottolineava la curva del suo seno imbottito di silicone. Ai piedi calzava un paio di stivali con un tacco decisamente troppo alto per me, tanto che sembrava alta quasi quanto Ryan. «Spiegami perché non hai ancora levato il tuo culo rachitico da qui» continuò poi, con la finezza che la contraddistingueva.
Mi avvicinai alle scale ignorandola, perché Butterfly non meritava di certo la mia attenzione; poi però cambiai idea e decisi che forse era meglio essere gentile con lei e non abbassarmi al suo livello. «Me ne vado tra una settimana al massimo» spiegai, voltandomi appena in tempo per vedere sul suo volto un’espressione stupita che cercò di nascondere subito.
«Per fortuna, non ne potevo più di te». Fece comparire sul suo viso un sorriso finto quanto il suo seno, poi bussò alla porta del 3B, aspettando che qualcuno le aprisse per farla entrare. Non aspettai nemmeno di vedere a chi avesse rivolto quel: «ti sono mancata, tesoro?» prima che la porta si chiudesse, visto che cominciai a scendere la scala di corsa per andare il più presto possibile al supermercato.
Una volta uscita dallo stabile non avevo poi così fretta di arrivare al negozio, più rimanevo fuori di casa più mi sentivo tranquilla; visto che ultimamente Whittier Street cominciava a farmi strani effetti: ragionavo in modo disconnesso e il più delle volte reagivo troppo istintivamente. Whittier Street mi stava cambiando, troppo. Era questa la conclusione a cui ero giunta mentre pagavo il conto di quella spesa che mi avrebbe permesso di sopravvivere per la settimana successiva.
Cercai di camminare il più veloce possibile verso casa perché le due buste pesavano e a ogni passo rischiavo di farle cadere a terra: spargere la spesa sui marciapiedi di Hunts Point non era decisamente nella lista delle cose da fare. Per questo, quando le appoggiai sopra al tavolo della mia cucina, sorrisi soddisfatta, togliendomi il giaccone e indossando una felpa e un paio di pantaloni della tuta. Dopo aver sistemato tutta la spesa presi un paio di limoni, dirigendomi verso il pianerottolo. L’ultima cosa che volevo era lasciare debiti a Hunts Point; anche se si trattava solo di un limone non  volevo che i ragazzi fossero in debito con me. Bussai, sperando che non mi aprisse Ryan – visto che non avevo voglia di parlargli e sinceramente nemmeno di salutarlo prima di andarmene; anzi, non volevo più aver a che fare con lui – e sorrisi sollevata vedendo Brandon che ghignò, notando i limoni che avevo in mano.
«Non andremo di certo in rovina per un limone, Lexi» scherzò, spostandosi dalla porta per farmi entrare in casa. Non pensai di guardarmi attorno per controllare che non ci fosse Ryan, troppo distratta da Brandon che mi fece ridere quando mi scompigliò i capelli. Per questo quando, ridendo, indietreggiai scontrandomi contro qualcosa, urlai spaventata.
«Tette secche vuoi stare attenta?» sbottò Butterfly, spintonandomi perché mi allontanassi da lei. Era seduta su uno sgabello poco distante dalla porta, indossava solamente una maglia che non era della sua taglia – probabilmente di uno dei ragazzi – e stava fumando una sigaretta tranquillamente. «Ryan hai trovato qualcosa?» domandò poi, rivolgendo lo sguardo verso l’angolo con i divani e la TV. Seguii la sua occhiata e quasi mi strozzai con la mia stessa saliva: Ryan – vestito solamente con dei pantaloni della tuta grigi, senza maglia o canottiera – continuava a spostare i cuscini della sua poltrona, in cerca di qualcosa. Ma che cosa stava cercando mezzo nudo?
«Sei riuscito a trovarla?» chiese Brandon, dandomi delle pacche leggere sulla schiena perché tornassi a respirare. Lo ringraziai con un gesto della mano, cercando di non concentrarmi troppo sul corpo di Ryan ricoperto di tatuaggi. In fin dei conti l’avevo visto – e toccato – un paio di giorni prima, no?
«No, cazzo. Sono talmente abituato a indossarla che non riesco a ricordare da quando non ce l’ho più. Sono sicuro che il giorno del funerale di Dollar e Aria ce l’avevo per…». Si immobilizzò all’improvviso, con il cuscino della poltrona in mano. Lo rimise a posto lentamente, come se avesse trovato quello che stava cercando. «Credo di ricordare dove ho messo la mia collana. Devo averla nascosta in camera» mormorò, lanciandomi un’occhiata prima di sparire verso la sua camera.
Improvvisamente sentii le guance in fiamme e mi ritrovai a deglutire, cercando di respirare: la collana che portavo al collo sembrò diventare pesante tanto quanto un macigno.
La collana di Ryan… non l’aveva lasciata dentro al suo cassetto in camera, non era possibile, visto che ce l’avevo io al mio collo. Allora perché aveva mentito? Si aspettava che davanti a tutti io la mostrassi, rivelando che la indossavo? Non l’avrei mai fatto, o avrei dovuto spiegare come l’avevo trovata, di fianco al mio letto, avvolta tra i miei vestiti mentre mi rivestivo, dopo aver fatto l’amore con Ryan. O forse, semplicemente, avrebbe bussato alla mia porta cinque minuti dopo, intimandomi di dargli la collana perché era sua e io non avevo il diritto di tenerla, certamente, sarebbe successo così.
«Brandon… tieni pure i limoni; io… io vado. Ci vediamo» salutai, senza badare a Butterfly che cominciò a lamentarsi per la mia maleducazione, visto che non mi ero scusata per la mia presenza lì. Chiusi la porta del 3B correndo verso il mio appartamento come se ci fosse un mostro che mi seguiva, poi, una volta arrivata al sicuro, mi levai la felpa e, raggiunto lo specchio, guardai la mia immagine riflessa e quella catenina color argento che arrivava fino al mio stomaco. Presi in mano il pendente che sfiorava la mia pelle abbronzata e lo rigirai tra le dita, sfiorando le ali dell’aquila rialzate. Fino a quando Ryan non mi avesse chiesto la collana l’avrei tenuta io; doveva imparare che non era sempre il capo e che ogni tanto anche lui doveva abbassarsi al livello delle altre persone. Bastava un semplice «Alexis hai ritrovato la mia collana per caso? Potresti gentilmente ridarmela? » e l’avrei tolta subito. Quanto teneva a quella collana Ryan, visto che aveva detto che non se l’era mai tolta e la indossava sempre?
 
 
 
 
 
 
Saaaaaalve!
Dunque, eccoci con il capitolo 19 che, contrariamente a quanto avevo detto, è il penultimo capitolo prima dell’epilogo. Quindi i capitoli totali saranno 21 e non 22 come precedentemente annunciato, ci sono però due OS con pov diverso da quello di Lexi che saranno pubblicate. Quindi non gioite tanto perché YSM è quasi finita, visto che ci sono anche le due OS :D
Per quanto riguarda questo capitolo invece…
Per quanto riguarda Coster Street… è una via che esiste (come tutte quelle citate nel corso della storia) e si trova poco distante da Whittier Street. Come ho già ribadito non ho rispettato le divisioni di Bloods e Crips quindi non so o meno se Coster Street sia una via di confine per le due bande, ma fingiamo che sia vero, su, lasciatemi questa piccola convinzione.
Quando Dead offende gli Eagles, fingendo di non ricordare il loro nome dice prima Turkey e poi Crow che come tutti saprete significa Tacchino e Corvo, questo per sminuirli abbondantemente, ecco.
Per quanto riguarda lo sfogo di Ryan… quello che ha mentre Lexi lo medica… quella parte l’ho scritta il 23 marzo nelle bozze del mio cellulare mentre andavo a lezione e ogni volta che la rileggo io mi metto a piangere, non chiedetemi perché (cioè lo so che la risposta è che sono idiota, ma non ditemelo, datemi la speranza di non esserlo) e niente…
Mistero della collanina risolto, mhh? Ryan non ha assolutamente lasciato la collanina da Lexi per farle un regalo, semplicemente si è sfilata nella foga del momento. Avevo cercato di farlo capire nel capitolo scorso, descrivendo la catenina come lunga (Lexi continua a dire che le arriva dallo stomaco) perché si potesse capire che si era tolta sfilando la felpa. Poi avevo cominciato a spiegarlo nelle prime recensioni, ma mi ero accorta che vi aveva assolutamente intrippato questa cosa e ho smesso di dirlo, tanto in ogni caso questa scena era prevista e vi avrei spiegato tutto qui.
Niente, non mi pare di avere altro da aggiungere… come sempre ringrazio seguiti, preferiti e da ricordare che aumentano sempre di più, ringrazio tutte le persone che leggono e quelle che hanno addirittura il coraggio di recensire! :)
Come sempre lascio il link al gruppo spoiler dove potete iscrivervi senza problemi visto che accetto tutti: Nerds’ corner. Vi comunico che tra domani e dopodomani inserirò nel gruppo una OS riguardante YSM che non voglio per diversi motivi pubblicare in EFP, quindi se vi va di leggerla sapete che potete trovarla lì.
Ci vediamo presto per l’ultimo capitolo prima dell’epilogo.
Rob.
   
 
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