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Autore: _Misery    31/08/2012    1 recensioni
Io non vi conosco.
Roma, linea B della metropolitana: vecchi, studenti, turisti, cani, conducenti e un altro migliaio di macchiette s'incontrano (e si scontrano), come sempre, in una giornata d'ordinaria afa. In sottofondo, il canto sotterraneo degli emarginati.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Trattasi di anticiclone balcanico, dicono i meteorologi'
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Gente di metrò






Io non voglio essere qui.
Me ne rendo conto mentre la metropolitana scorre e mi ferisce gli occhi – troppo rossa e bianca, troppe righe e sempre troppi vetri.
Io sono ancora una bambina, e non voglio essere qui. Il mondo ha preso una piega distorta e grottesca da giorni: la salsedine ha un buon odore persino nelle periferie di Roma, per i vicoli dall’aria tremolante, ma ormai il mare mi ha strappato la vecchia pelle invernale di dosso e il mio corpo ondeggia. Non credo abbia fatto in tempo a rimettere la nuova, è come se fossi nuda e ridicola in uno spettacolo di maschere.
Io non vi conosco.
L’orrore è in ogni insignificante, comune, volgare particolare: adesso è difficile vederlo nascondersi, ama brillare alla piena luce del sole. Ma anche la grazia dev’essere da qualche parte, fuori di casa, dal mio cervello…
 

Vi prego, signori, sono povera e vivo in una baracca, non ho luce e non ho acqua…
Solo venti centesimi…

 
… Dio santo, Roma è diventata davvero una fogna.
Tutto è così sporco, ci sono stranieri ovunque… extra-comunitari, o come diavolo si chiamano. Marocchini, rumeni, zingari – sbucano fuori come formiche, topi.
Roma è uno schifo.
Eccoli, se ne stanno tutto il giorno buttati per strada, ubriachi e puzzolenti, e con che faccia vengono a chiedere l’elemosina? Questa c’ha pure il velo e la pelle di un colore indefinito, ci mancano solo le pulci e la scabbia… sembra indiana, però.
Sto soffocando, senti che aria! Elena, spostati su quel sedile, per favore, e metti via la PSP che è meglio. La ceretta l’hai fatta?
Ah, ma al sindaco gliele dovrebbero proprio dire certe cose! Vai a lavorare, se hai tutto questo bisogno; non venire a infastidire la gente onesta, sei inguardabile. Mio marito tiene un negozio e non si lamenta mica, quest’anno è riuscito a portarci a Rimini. È un bel posto, Michi vuole tornarci l’anno prossimo.
Ele, dai! Qualche scemo le sta pure dando retta…
 

Almeno per un bicchiere di latte…
Grazie, che Dio ti benedica!

 
Riempio le cuffie di canzoni d’inverni fatati, di chitarre e batterie assordanti, eppure quella strega continua a borbottare ed io non riesco ad avere silenzio. Non abbastanza.
Non ti sento, ma mi fai venire il mal di testa lo stesso. Le tue ragazzine hanno evidentemente cercato di abbronzarsi, nelle ultime settimane, e tu guardi al resto del mondo con disprezzo; quelle papere coprono i loro risolini con le mani e telefoni nuovi di zecca, e tu stai già pensando al tuo stupido appartamento borghese in qualche stupido complesso borghese con più aiuole che residenti.
Mi chiedo se abbia mai provato la sensazione di un paese che ti si dilania attorno; mi chiedo se conosca il gusto della paura quando si attraversa il mare di notte, e quello della speranza che non si distacca poi tanto dalla cieca ostinazione.
Cieca. Lei è mai scappata senza guardarsi intorno, per non cadere? Se l’è mai sentito raccontare dalla propria famiglia col dannato, costante monito a non perdere quella memoria? Che vita ha avuto per permettersi il biasimo?
A guardarvi, mi viene voglia di affrontare quella Minerva bellissima e terribile che al campus tutti guardano solo da dietro – e prenderla, questa benedetta laurea.
E mi viene voglia di distribuire venti centesimi fino alla fine dei miei giorni, anche se non mi fa stare bene, né sentire migliore. In metro c’è sempre un biglietto da timbrare, sempre e comunque…
 

“... nel giorno del settimo anniversario di Katrina, un altro uragano spaventa gli Stati Uniti: Isaac, come…”

 
La mamma diceva che cambiare un po’ aria ci avrebbe fatto bene, che superare un oceano e visitare città piene di sole ci avrebbe aiutato a guarire: eccoci, tre americani biondi e rosolati in metropolitana, stretti tra maree di estranei che conoscono molto meglio la propria meta.
Se non altro perché possono leggere le indicazioni senza dover tirare a indovinare.
No, in tutta onestà posso dire che questo viaggio non mi ha fatto bene, che non sto guarendo. In stazione hanno tentato di vendermi qualcosa di cui non ho afferrato il nome preciso, gli occhi di mia sorella implorano di tornare a casa e mia madre sorride per forza davanti a fontane e Colossei: il sangue dalla ferita è meno violento, forse, ma non è che possa smettere di colare solo perché io sto cercando di dimenticare.
Non è che cambiando aria papà sarà di nuovo seduto in salotto ad aspettarci, quando torneremo a casa; non è che le tempeste lasceranno in pace il mio paese (non riesco a leggere le notizie su quello schermo, ma vedo le immagini), o il mondo si farà più luminoso. E la gente continuerà a guardarci come fossimo intrusi o una semplicissima fonte di guadagno, in ogni caso.
Questa massa di sardine sembra non sapere niente della superficie, e io sono solo un ragazzino…
 

… L’amore del Signore! Sapete cosa mi dicevano…?
 

Ogni volta che vedo un povero, scappo: io sono forse più ricca? Oggi due persone hanno passato il tornello senza pagare, dietro di me, probabilmente maledicendo la mia lentezza. Li ho lasciati fare. Che volete, ormai gli anni mi pesano sulle ossa e questo noioso cappellino di paglia ogni tanto tende a volarsene via; e un po’ di realtà sbattuta proprio sul muso non può che far bene alla gente.
Me lo diceva, Luigi. Prova paura, se vuoi; ma gli occhi, quelli non li devi chiudere mai. A meno che la luce non sia troppo forte o il buio troppo fitto.
Poi, non so bene cosa sia successo – io sono sempre stata maestra elementare, ho amato con tutta l’anima (e con molto più dolore) le creature che vedevo crescere… ho avuto la forza di lasciare un marito violento e bambino… ed è stato grazie a Luigi se la vita m’è tornata indietro, un po’ migliore. Solo che nel frattempo dobbiamo esser diventati un po’ troppo vecchi, e il cuore dell’una non è stato più abbastanza per gli spasimi dell’altro. Il suo aveva un suono debole, quasi viscido nell’ultima visita dal cardiologo.
Gli occhi, però, non li ho mai chiusi. Sarà per questo che mi pare di rivederlo sempre, fino alla fine.
La ragazza col velo verde e rosa passa al prossimo vagone, un altro vecchio sta solo cercando qualche sguardo per raccontare una storia di guerre e d’amore, forse.
Io scendo qui, anche se non è ancora la mia fermata; non importa se le scarpe non sono più buone, proseguirò a piedi, sotto qualche platano. Che cosa potrebbe mai succedermi? Morirò di fatica per strada, con il sole sulle guance, o al massimo tornerò a casa…
 

… al mio paese? Dicevano che ogni volta che la luce va e viene è perché è passato un angelo…

 
E io non faccio che aprire porte e accogliere persone, e guidare sempre dritto e aprire altre porte ancora, e immaginare i passeggeri che si siedono tranquilli accanto ad un finestrino… anche se in metropolitana c’è poco da ammirare, ma (per chi non è claustrofobico, almeno) un muro nero e pieno di tubi non ha niente da invidiare alla campagna o a qualche periferia.
Questo è il mio lavoro da quasi vent’anni, però lo trovo rassicurante, in qualche modo. Emozionante.
Può sembrare strano, ma questa specie di rituale che mi accompagna tutti i santi giorni è come un saluto marziale… insomma, riuscite a comprendere la solennità di una tale macchina, pur con il motore un po’ stanco e i pannelli imbrattati, che ogni mattina si risveglia dal suo sonno metallico, corre e si ferma apposta per voi? Riuscite a sentire la vita fluire continuamente, soffiare sui volti, tra le teste, inzuppare le pareti?
Io sì, la sento. E quando mi preparo per tornare a casa, alle sette – e magari è inverno, e allora fuori è già buio e freddo ma pieno di luci –, mi sembra proprio che i sedili continuino a sussurrare. Vibrano addirittura, quando li saluto.
A volte mi chiedo che cosa succederebbe qui, se dovessi andare in pensione. O che cosa capiterebbe a me, semmai un giorno volessero rimodernare tutto… i cerchi si chiudono… probabilmente finirei alla rimessa assieme ai vecchi treni, in fondo è come se fossimo diventati fratelli…
 

… certo, forse sottoterra non ci arrivano, o è solo molto più difficile vederli.

 
Il buio scende piano, da fuori vengono strane luci, sui gradini.
Poche persone, ultimi rumori. Un’altra giornata sta finendo, anche il mio compare rinfila le sue carte nella tasca rovinata. Sono strane, tutte bianche e piene di segni rossi e neri e facce capovolte, ma sembra proprio che lui ci si diverta un mondo.
Anzi, più che divertirsi le sfida, come se ad ogni vincita il destino fosse costretto a donargli qualcosa. Sì, credo sia così, glielo si vede negli occhi opachi.
Mi alzo con una bella stiracchiata e m’avvicino al cappello, tanto per controllare. Qualche moneta c’è, ma la vita non è cambiata poi molto. Tutta quest’umanità sulla banchina sembra molto più pulita di noi, ma quando annuso quel che ci lascia non è difficile sentire la puzza.
Anche oggi ho abbaiato guardandoli negli occhi, ma sfuggono come aria; hanno un corpo molle e devono sempre trascinarselo dietro. Non sanno nemmeno che cosa stiano facendo, su questa terra, e io parlo e non mi capiscono. Come potrebbero, con quella loro lingua sgraziata e priva d’emozioni?
Eppure io qualcosa l’ho imparato, a forza di stare qui. «Castro Pretorio!» ringhio. «Castro Pretorio, Castro Pretorio! Ahu, ahuuuuuu!»
 Ma a che cosa può valere, tanto ciechi e sordi rimarrete. Noiosi. Noiosi.
Chiudo gli occhi e non vi sento più. Il compare, accaldato, si libera del suo strano pelame liscio e sporco e mi sfiora la testa, ma io non sto dormendo.
Una pulce mi ronza nell’orecchio, la giornata è finita.












 

Duuunque, qualche giorno fa io e la mia migliore amica ci siamo avventurate per università e questa cosa, di nuovo, è uscita una volta tornata a casa stanchissima e dolorante. Ovviamente dopo un po' l'entusiasmo iniziale passa e non mi sembra più tanto buona, ma sentivo il bisogno di scriverla. Se non altro perché la metro mi affascina e spaventa in modo unico e sono una brutta ficcanaso, cerco sempre di capire che cosa passi per il cervello della gente. Assorbo tutto ._.
Insomma, la Minerva di cui sopra è la statua piazzata nel bel mezzo della città universitaria alla Sapienza: si dice che, se la guardi negli occhi, poi non riuscirai a laurearti. E quando me la sono trovata davanti all'improvviso, diciamo che m'è preso un colpo, nemmeno fosse Medusa XD non è proprio rassicurante, fortuna che passavo da dietro...
La storia del passaggio dell'angelo penso sia russa, o almeno così mi hanno riferito; Castro Pretorio è solo la prima fermata dopo (o prima, dipende dai punti di vista :P) la stazione Termini, m'è rimasta particolarmente impressa e ho pensato che chissà, magari un cane che vive lì sotto e si ritrova il cartello costantemente davanti agli occhi può anche... "impararlo"? Una cosa del genere.
Detto ciò, lascio ai posteri l'ardua sentenza e mi ritiro ad aspettare la pioggia!
   
 
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