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Autore: Yuki Kiryukan    31/08/2012    9 recensioni
Seconda serie di Awakening.
Rebecca e Zach sono stati separati per due lunghi mesi. Ognuno preso ad affrontare i problemi della propria realtà.
Ma Rebecca è ottimista, poiché è viva nel suo cuore, la promessa di Zach, sul suo ritorno, di cui lei non ha mai dubiato.
Ma quando arriverà il momento di rincontrarsi, Rebecca, non ha idea quante cose siano cambiate, e si ritroverà ad affrontare da sola, i suoi incubi peggiori.
Dal capitolo 6:
"Non ci pensai nemmeno un secondo in più, che gli buttai le braccia al collo. Gli circondai le spalle, stringendolo forte contro il mio petto.
Inspirai a fondo il suo profumo virile che mi era tanto mancato. Mi venne da piangere quando sentii il suo corpo aderire perfettamente al mio. Come se fossimo stati creati appositamente per incastrarci.
Zach aveva mantenuto la sua promessa, ed era tornato da me. Io l’avevo aspettato, e adesso, non vi era cosa più giusta di me tra le sue braccia.
L’unica cosa che stonava, o meglio, che mancava, era il fatto che non fossi...ricambiata.
Quando finalmente, sentii le sue mani poggiarsi sulle mie spalle, non mi sarei mai aspettata...un rifiuto".
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cursed Blood - Sangue Maledetto'
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Ciao a tutti! ^-------^ Ecco qui, il secondo capitolo di Rebirth! *.*
Forse è un pò lunghetto...spero che non vi annoierete! ^^'' 
Qui, parleremo un pò di Misa! Vi è mancata? xP Vi avviso che la troverete un pochino diversa da prima...ma credo che sia normale dopo due mesi di progionia...
Beh, vi lascio alla lettura!
Un grazie come sempre, a chi recensisce i capitoli, infondendomi tanto coraggio! :)
A presto!! <3
Yuki!

                                                                           
 

                                                      La Prigioniera 




Chiamarla “stanza” era un complimento. La parola più appropriata per definire quelle quattro mura era: “cella”.

Era piccola ed angusta. Le pareti erano rivestite da piccole mattonelle bianche e lucide, da far venire il mal di testa. Il soffitto, bianco anch’esso, con una grande luce a neon.

La “cella” era poco decorata. Una finestra piccola e sbarrata, posizionata nel lato più remoto della stanza, troppo in alto per essere raggiunta.

Un’angusta rientranza era il bagno, se così si poteva definire, costituito solo da un gabinetto, e da una doccia senza piatto. Una minuscola scrivania, ed una sedia.

Poi, c’era il grande letto bianco a due piazze.

E Misa era li, proprio dove mi immaginavo di trovarla. Rannicchiata su duro materasso, con la schiena contro il muro, le gambe al petto, il mento poggiato sulle ginocchia.

Indossava la vestaglia bianca, fornitale dallo Scudo Rosso. In quei due mesi, era dimagrita più di quanto già non fosse, sembrava davvero pelle e ossa.

La catena che le cingeva la caviglia sottile, le faceva sembrare ancora più piccola quell’esile gamba. I polsi, anch’essi recisi dal freddo metallo, sembravo sul punto di spezzarsi.

I capelli castani si erano leggermente allungati, seghettandole non più la nuca, ma metà collo. I vispi occhi color palude avevano perso la loro vivacità.

La Misa spavalda e birichina, e persino irritante, che avevo conosciuto, era completamente sparita.

Non appena ci vide entrare in massa nella stanza, grugnii seccata, e si strinse ancor più le ginocchia al petto, rannicchiandosi fino ai limiti di quella parola.

Julia era seria in volto   << Siamo di pessimo umore come sempre, non è vero? E dire che ti anche portato il pasto >> disse, mettendo in bella mostra l’asse della flebo.

Misa passò in rassegna di tutti i volti di coloro che la circondavano, soffermandosi più tempo del mio, e mi parve che sospirasse, nel vedermi.

  << Avanti, il braccio >> continuò Julia, cacciando dal carrello che avevo trasportato delle provette.

Misa la guardò, poi si concentrò sulla sacca contenente il liquido rosso scarlatto.

La donna si irritò  << Prima il prelievo >> insistette.

La ragazza si rannicchiò ancora di più. Sembrava volesse sparire    << Misa è una brava ragazza.... >> sussurrò. Li capiva soltanto lei quei suoi ragionamenti, apparentemente privi di logica.

Julia sospirò spazientita, e fece un cenno d'intesa ai due agenti.

Senza bisogno di parole, i due si azionarono immediatamente, e andando verso Misa, l’afferrarono per le spalle. Con forza, la fecero distendere sul letto, allargandole le braccia, ignorando le sue lamentele, che si tramutarono ben presto in stridule urla.

Distolsi lo sguardo. Sapevo che erano le procedure.

Julia e l’equipe medica svolgevano esperimenti e ricerche sul sangue “infettato” dalla Chimera che prelevavano da Misa, per  approfondire la conoscenza sui quei batteri, ma provavo sempre una grande compassione per lei, tanto che il mio risentimento nei suoi confronti si affievoliva.

Julia prese l’ago, afferrandole il braccio  << Sta ferma, altrimenti non riesco ad individuare la vena, e tutto questo durerà solo di più >> l’intimò.

Conficcò l’ago nel braccio con una pressione crudele, e le provette cominciarono a riempirsi di quel liquido rossastro.

Notai le guance di Misa rigarsi dalle lacrime  << Brava ragazza...brava ragazza... >> ripeteva a cantilena.

Julia riempì cinque provette, infine cacciò l’ago, senza preoccuparsi di tamponare la ferita con del cotone. Poi, passò all’altro braccio, e vi inserì l’ago della flebo, collegata al sangue.

Era il metodo che aveva utilizzato anche la mia defunta madre, per tenere a freno la fame della Chimera che aveva in corpo. E sembrava funzionare, anche se Misa aveva cominciato a soffrire di una spossatezza cronica.

  << Fatto >> disse Julia, riponendo le provette nell’apposito recipiente, e facendo cenno ai due agenti di poterla lasciare.

Loro obbedirono, e Misa tornò in posizione fetale. Sembrava una bambina impaurita.

Julia mi si avvicinò  << Tu resti qui come le altre volte, Rebecca? >>

Annuii, sorridendo  << Si. Chiamerò gli agenti per farmi uscire >>

La donna annuì  << Come vuoi... >>  guardò di sottecchi Misa  << Non può farti nulla, ma attenta lo stesso >>

  << Si, non preoccuparti >>

La seguii con lo sguardo fino a quando varcò la soglia della cella, poi tornai a concentrarmi sulla Chimero.

Presi la sedia, e la avvicinai al bordo del letto, come facevo sempre. Presi il vassoio dal carrello, e lo aprii. Assomigliava molto al cibo che distribuiscono ai ricoverati in ospedale, soprattutto per la bassa qualità degli alimenti.

Guardai la flebo attaccata al suo braccio, poi parlai:  << Non ti accontenterai solo di quella, vero? >>  Senza aspettare una sua risposta, continuai: << Allora, oggi il menù è... >>

  << Quello di sempre >> la sua vocetta sembrava provenire da molto lontano  << Riso in bianco, patate bollite e acqua >>

  << Si... >> constatai, osservando che il menù rimaneva invariato ogni giorno  << Però, oggi ti ho portato una cosa >>

Frugai nella borsa a tracolla che mi ero portata dietro, e ne cacciai un piccolo quadrato di cartone.

Lo aprii e gli e ne mostrai il contenuto  << Guarda! Pizza. Si è raffreddata ma...è sempre buona >>

Ne avevo fatto avanzare uno spicchio da quella che mi era stata servita a pranzo. Mangiare quella roba ogni santo giorno avrebbe fatto venire la nausea a chiunque, e i Chimeri non facevano eccezione.

Qualche settimana prima era riuscita anche a farle avere una bistecca al sangue. Purtroppo, non riuscivo nei miei intenti clandestini tutte le volte che ci provavo.

Le alzò di poco la testa, più che sorpresa  << Pizza? >> chiese, con gli occhioni sgrananti, come una bambina che apre un pacco regalo inatteso.

Annuì, ed inaspettatamente, mi ritrovai a sorridere. Quel suo lato infantile non era scomparso.  << Pizza >> ripetei, soddisfatta   << È uno spicchio piccolo, ma tanto per cambiare >>

Lei allungò le braccia, visibilmente desiderosa di mettere sotto i denti qualcosa di diverso, e soprattutto buono, ma le catene gli e lo impedirono.
Entrambe, le guardammo con disappunto, poi sospirai, avvicinandole la pizza, e mettendogliela in mano 

  << Mi spiace, almeno per mangiare bisognerebbe toglierle. Ma non ho le chiavi.... >>

Lei sembrò non ascoltarmi nemmeno. Afferrò la pizza e ne addentò un sostanzioso boccone. Sembrava quasi impossibile credere che la sua bocca così piccola e delicata fosse capace di un simile morso.

Lo masticò voracemente, e ingoiò, pronta ad addentarne un altro pezzo.

Poi, alzò gli occhi su di me.  << Senti... >> squittì con la sua vocetta  << Perché lo fai? >>

Mi accigliai  << La pizza? Beh, mi sembrava carino… >>

Lei gonfiò le guance  << Intendo, perché sei così gentile con me >>

Quella domanda mi colse impreparata. In due mesi che andavo a farle costantemente visita, non me l’aveva mai chiesto. Era un segnale positivo?

  << Fin da quando sono venuta qui... >> continuò  << Mi hai sempre trattata con riguardo… >> inclinò la testa, come era solita fare  << Non mi odi più? >>

Inizialmente, non risposi.

Non sapevo nemmeno io quale fosse il motivo che mi spingesse a riservarle tanti riguardi.

Non che il risentimento che nutrissi nei suoi confronti fosse scomparso. Aveva ucciso Mark, e non avrei mai potuto perdonarla.

Ma era pur sempre una compagna di Zach. Una parte mi me mi gridava di trattarla con apprensione.

Probabilmente, lo facevo più per Zach che per lei.

Senza contare, che essere trattenuti in un posto del genere, senza nessun amico, o una figura di riferimento, avrebbe mandato in esaurimento chiunque.

Poi, chissà perché,  avevo la viva sensazione, che se non ci fossi stata io a mostrarle un po’ di gentilezza, quella ragazza sarebbe caduta a pezzi davanti ai miei occhi.

Mi sedetti ed accavallai le gambe   << Ci deve essere per forza un motivo? >> le chiesi.

Lei intanto, aveva finito la pizza, e si era sporcata gli angoli della bocca col pomodoro    << Si >> disse, annuendo con decisione  << Siamo nemici noi, no? >>

Mi strinsi le spalle   << Beh, a me va di essere gentile >> risposi  << Non ci trovo nessuna ragione in particolare >>

Lei incurvò le sopracciglia sottili, ed io le passai l’acqua.

Non potei fare a meno di notare le occhiaie violacee sotto gli occhi, i lividi che emergevano sul suo corpo bianco quando tese i muscoli per afferrare la borraccia.

  << Senti… >>  dissi poi, prendendo la ciotola del riso  << Non pensi che sarebbe meglio dire tutto quello che sai, invece di prolungare la tua agonia? >>

Lei si irrigidì immediatamente, e la borraccia d’acqua cadde a terra.

In quei due mesi, non era passato giorno in cui David, e la squadra degli interrogatori, non tartassassero Misa di domande. 

Dalla natura delle Chimere, il loro impianto, a chi fosse il loro creatore, quale fosse il suo nascondiglio, e via si seguito.

Ma lei non diceva nulla, sopportando in silenzio tutti i provvedimenti che David prendeva per spronarla a confessare.

Era esclusa la possibilità che non conoscesse le risposte. Questo lo sapevano tutti, soprattutto io, che ero a conoscenza del fatto che avesse capacità mnemoniche eccezionali.

Misa mi guardava con fare circospetto  << Misa è una brava ragazza >> disse  << Le brave ragazze non tradiscono >>

Mi indispettì  << Quell’uomo non merita la tua… la vostra lealtà! >>

  << Non sai cos’ha fatto per noi! >> si imbronciò.

  << Invece si. Quel pazzo vi ha trasformati in assassini! >>

A quella frase, sembrò sconvolgersi  << No! >> strillò, e sembrò sul punto si saltarmi addosso, ma le catene la trattenerono.

La ciotola cadde a terra, e il riso si sparse sul pavimento    << Non sai nulla tu! Non sai nulla! >>  chiuse gli occhi in una morsa  << Nulla! >>

Io non mi mossi. I capricci di un bambino era nulla in confronto a lei, ma avevo imparato a gestirla.

  << Vorrei aiutarti >> riprovai, mantenendo la calma  << Ma se non mi dici… >>

  << Il padre ha detto che sono brava! L’ha detto! >> continuò, senza lasciarmi finire la frase   << Io non dico nulla! >>

Si rannicchiò come prima, tenendosi le mani sulle tempie.

Io sospirai, e mi alzai dalla sedia.  << Quell’uomo è malato. Saresti davvero una brava ragazza se ti decidessi a collaborare >> sentii un groppo alla gola  << Perché non lo capisci? >>

Lei mi ignorò, così decisi che la mia visita finiva li.

Pensavo di aver fatto dei passi avanti in quei due mesi, ma non era cambiato quasi nulla.

Nulla...

Mi voltai, diretta verso la porta, e diedi tre colpi decisi. Subito, la serratura scattò, e i due agenti spalancarono il portone.

Prima di uscire, mi voltai per guardarla: non si era mossa, piegata su se stessa, con volto nascosto nelle ginocchia.

Serrai le labbra, scoraggiata  << Ci vediamo… >> le dissi, poi lasciai che la porta si chiudesse alle mie spalle con un pesante tonfo.

  << Bisognerebbe pulire la stanza >> dissi ai due agenti.

Loro annuirono con noncuranza, ma ebbi la netta sensazione che non l’avrebbero fatto. Forse per dispetto nei suoi confronti.

  << Sa ritrovare la strada, signorina Rebecca? >>

Annuii, desiderosa di andarmene al più presto  << Si, grazie >>

Detto questo, girai i tacchi, diretta verso l’ascensore. I sottolivelli mi trasmettevano un senso tale di claustrofobia che cominciava a mancarmi il fiato dopo un po’.

Salii fino al terzo piano. Di solito, quando finivo un allenamento, mi dirigevo o in mensa, o nella mia stanza, concedendomi un attimo di riposo, visto che poi Evan coinvolgeva tutti in qualche sua trovata.

E in quel momento, avevo proprio bisogno di una dormita rifocillante. Sentivo i nervi a pezzi.

  << Ehilà, Rebeccuccia! >>

Mi fermai, colta alla sprovvista. Nella sede, c’era una sola persona che mi chiamava in quel modo assurdo.

Mi voltai, e come immaginavo, la chioma rosso fuoco di Kim Armstrong mi occupò la visuale.

Era una ragazza di vent’un anni, sempre allegra ed esuberante. Portava la chioma rossa raccolta nella sua solita alta coda di cavallo.

Vestiva in modo molto bizzarro: Dei cortissimi ed inguinali pantaloncini di jeans, un aderente top arancione, che le metteva in risalto il seno prosperoso, contornato da due bretelle rosse che si allacciavano alla cintura marrone.

A volte aveva anche intere cinture di proiettili a contornarle la vita. Non a caso, era il leader della squadra dei tiratori scelti.

Notai che dalla tasca degli shorts emergeva il suo inseparabile pacchetto di sigarette. Non andava mai in giro senza, ed emanava sempre odore ti tabacco, che stranamente, non era per nulla fastidioso.

Quel suo vizio incallito, mi faceva sempre pensare a Ryan. E la stesa cosa faceva Amy. Spesso, la sorprendevo a sorridere nostalgica quando vedeva Kim fumare con la stessa voracità del suo uomo.

  << Salve, Kim >>  la salutai, con un cenno del capo e della mano.

Lei in tutta risposta, mi batté delle pacche, affettuose ma decise, sulla schiena  << Che è tutta ‘sta formalità? >> disse ridendo.

Quella sua spigliatezza mi ricordava Evan. Non a caso, i due andavano d’amore e d’accordo. Tralasciando i cinque anni di differenza, sarebbero stati una coppia coi fiocchi.

Ma Kim sembrava essere più interessata a Joshua, il capo degli arcieri, che però aveva messo gli occhi su Bett, i braccio destro di Julia...

Insomma, a volte quella sede sembrava peggio di una soap-opera amorosa. Ma la cosa non sembrava dispiacere a nessuno, anzi, forniva un argomento su cui spettegolare.

E forse, in un ambienta tanto serioso e cupo, era quello che occorreva per risollevare il morale, troppo spesso a terra.

  << Ho sentito che hai completato l’addestramento >> esordì Kim, con un sorriso a trentadue denti  << Complimentoni! Si vede che sei in gamba! >>

Arrossii da capo a piedi  << Grazie... >>

Oltre che sembrare un soap-opera, li le notizie si diffondevano più velocemente della peste, o forse Evan aveva appeso manifesti per tutta la sede, incapace di contenere il suo entusiasmo.

<< Anche Amy è entrata nella vostra squadra, vero? >> chiesi, più per fare conversazione che altro. Non aveva dubbi sul fatto che Amy fosse eccezionale.

Kim annuì con vigore, senza perdere il sorriso  << Anche lei ha un sacco di talento da vendere! Devo ammettere, che mi sento più sicura ad avere qualcuno come lei in squadra, in grado di guardarmi le spalle. E in questo periodo, ne abbiamo bisogno >>

Capii che alludeva all’imminente battaglia contro i Chimeri, che presto sarebbe ricominciata, ed annuii mestamente.

Feci per rispondere, ma fui interrotta.

Di colpo, divenne tutto buio, e delle luci rosse cominciarono a lampeggiare per i corridoi.

  << Ma che cazzo… >> imprecò Kim guardandosi intorno.

Io ero allibita. La voce dell’altoparlante mi rimbombò nelle orecchie, facendomi accelerare il ritmo cardiaco, come non avveniva da tempo: allarme intrusione.
  
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