Il Diavolo e la lucertola
“Levati dai
piedi. Non ho spiccioli per te, vecchio!”
L’uomo scansò
malamente il mendicante, proseguendo nel suo cammino con aria scocciata.
L’individuo
incappucciato sospirò. Dopo l’ennesimo rifiuto, non riuscì a trattenere la
rabbia, che sempre accumulava dentro di sé, incassando ogni colpo senza
reagire.
“Potrebbe
essere più gentile!” urlò, con gli occhi lucidi di tristezza “E comunque non
sono un vecchio!”
La sua
esclamazione si perse inutilmente nell’aria, come un soffio di vento nel
deserto.
Fiato
sprecato. Per quanto urlasse e per quanto cercasse di sembrare minaccioso, Bido veniva sempre bistrattato alla stregua di un animale
indifeso. Ma in fondo, non c’era poi da stupirsi tanto di questo fatto; perché
un animale indifeso, Bido la chimera, lo era per
davvero. Mezzo uomo, mezzo lucertola; il frutto di un esperimento andato a buon
fine, se così si può dire.
Già. Perché
di tutti gli altri che come lui
avevano subito il medesimo trattamento, Bido poteva
sicuramente considerarsi il più sfortunato.
Sfortunato
perché debole; sfortunato perché piccolo. Sfortunato perché brutto.
“Non avete il diritto di trattarmi così solo
per il mio aspetto!”
Lo aveva
urlato. Oh, quante volte lo aveva urlato alla gente. Eppure, non era mai
servito a nulla. Per quanto si sforzasse di far capire alle persone il suo
disagio, sembrava che nessuno se ne rendesse conto, o peggio: sembrava che non
gliene importasse niente. Giravano i
tacchi, e se ne andavano. Alcuni, facendo finta di non vederlo, altri
insultandolo senza ritegno.
In fondo, un
po’, era anche colpa sua. Farsi rispettare non era mai stato il suo punto
forte. E ora che il suo corpo era stato modificato in quel modo, la situazione
non sembrava migliorare.
Teoricamente,
una chimera dovrebbe avere maggior forza e resistenza di un comune essere
umano. Ma Bido, sebbene fosse conscio di non trovarsi
proprio nell’ultimo anello della catena alimentare, si sentiva alla pari di un
insetto. Il corpo piccolo, la testina calva ricoperta di macchie verdognole e
la grossa coda che si trascinava dietro erano la causa principale della sua
insicurezza. Con un aspetto del genere, nessuno sarebbe riuscito a guardarsi
allo specchio con la convinzione di essere forte; con la certezza, cieca e
assoluta, che tutti lo avrebbero rispettato.
Per questo
motivo, Bido si sentiva profondamente arrabbiato, e triste.
Anche se
negli ultimi anni aveva trovato un posto in cui stare, in fondo al suo cuore,
il piccolo rettile viveva nel timore che un giorno, anche coloro che più gli
erano vicini, lo avrebbero lasciato indietro, perché stanchi della sua
debolezza.
E questo
pensiero lo tormentava. Perché Bido odiava essere
solo. Si era sentito solo da umano, e ora, non aveva la minima intenzione di
finire allo stesso modo. Perché la vita gli aveva dato una seconda chance, una
possibilità che non poteva permettersi di smarrire, ma che, inconsciamente,
stava perdendo a causa di quei pensieri che costantemente lo colpivano a ogni
ora del giorno e della notte.
E così, anche
quel giorno, quando la sera calò sulla ridente cittadina di Dublith,
la piccola chimera, vestita di stracci e senza un centesimo, fece ritorno alla
sua tana, con gli abiti intrisi dalla pioggia che insistente si era scagliata
su tutta la città.
Mentre
l’acqua precipitava a dense gocce dal cielo, Bido
correva, arrampicandosi sui tetti delle case, sfruttando quel solo vantaggio
che il suo lato animale gli offriva: mani e piedi appiccicosi come ventose. Di
grande utilità, ma orribili al tatto.
Quando
finalmente arrivò a destinazione, s’intrufolò in un vicoletto, dove una piccola
porticina di legno spuntava inosservata sul muro, quasi interamente circondato
da casse e scatoloni di varie dimensioni.
Arrivato ai
piedi dell’uscio, Bido vi bussò, e una voce all’interno
disse qualcosa.
“Parola
d’ordine?”
Il piccolo
rettile tirò un profondo sospiro, dopodiché parlò.
“Niente è impossibile.” Asserì, e in un
attimo la porta si spalancò.
Bido varcò la soglia e si tolse il cappuccio, incontrando gli
sguardi dei presenti.
Quello in cui
si trovavano era un magazzino pieno di scorte di vario genere, dalle bottiglie
del miglior whisky ai vini della più pessima annata. Il pavimento, interamente
fatto di legno, si estendeva per una buona metratura, rendendo quel posto
apparentemente invivibile adatto ad ospitare almeno cinque o sei persone.
Fradicia e
infreddolita, la lucertola si lasciò sfuggire uno starnuto, attirando
l’attenzione di una ragazza, che se ne stava poggiata contro il muro a braccia
conserte.
“Si può
sapere dove sei stato ancora?” domandò questa, con sguardo accigliato.
Bido abbassò il capo, come un bambino rimproverato dalla
maestra.
“In giro a
raccogliere informazioni per il signor Greed.” mentì,
sperando di farla franca come al solito.
Quando udì la
sua risposta, la ragazza si spinse in avanti, staccandosi dal muro.
Era un mezzo
serpente, lei. Come Bido e tutti gli altri presenti
in quel luogo, Martel - questo era il suo nome - era stata
sottoposta allo stesso esperimento, diventando una chimera.
Tuttavia, a
differenza del piccolo compagno, lei aveva imparato ad accettarsi per quello
che era, senza crogiolarsi nella disperazione di aver perso la sua umanità e il
suo reale aspetto.
“Datti una
lavata, sei tutto sporco.” aggiunse la ragazza, prima di varcare la porta che
conduceva al piano superiore.
Quando Martel sparì dalla scena, Bido
tirò un sospiro di sollievo.
Lo faceva
sentire a disagio. Ogni volta che lei lo interrogava su dove fosse andato o su
cosa avesse fatto, il suo corpo veniva invaso dalla paura, che scorreva nelle
sue vene proprio come il veleno di una serpe.
Era strano:
in quel posto pieno di uomini nerboruti, quella che più spaventava il piccolo
rettile era una donna, l’unica presente in quel luogo, e decisamente la più
debole del gruppo.
“Lasciala
stare, oggi è un po’ su di giri.”
All’improvviso,
la voce di un terzo individuo risvegliò Bido dai suoi
pensieri.
Poco distante
dalla lucertola, infatti, la chimera Dolcetto fumava una pipa lunga e sottile, intimandolo
di non dare troppo peso al tono duro che Martel aveva
usato.
“È tutto il
giorno che ha quell’aria scocciata, e nessuno di noi ne capisce il motivo. Bah!
Donne…”
A quelle
parole, Bido si sentì più tranquillo. Forse, non era
ancora giunto il momento che tanto temeva, quello che lo vedeva lasciato da
parte come qualcosa che non serve più e di cui nessuno ha bisogno.
“Grazie…”
Fu ciò che il
rettile disse, senza guardare negli occhi il suo interlocutore.
Dolcetto alzò
un sopracciglio, aspirando un altro tiro della sua pipa.
“Puoi
guardarmi in faccia mentre ti parlo, non mordo mica…
anche se per metà sono un cane.” disse con tono pacato, nella speranza di
smuovere l’altro dal suo evidente disagio.
Bido alzò il capo di scatto e lo guardò negli occhi,
interpretando il suo invito come un ordine.
“S… sì! G-grazie.”
Il mezzo cane
inclinò leggermente la testa in avanti con aria furbetta.
“… Dolcetto.”
suggerì come aggiunta ai suoi ringraziamenti.
Bido deglutì, e ripeté la frase completamente rosso
d’imbarazzo.
“Grazie… Dolcetto.” quando pronunciò il nome del compagno, spostò
lo sguardo altrove, concentrandosi sulla parete bianca del muro.
Dolcetto
sorrise.
“Ahah! Beh, dovremo lavorarci un po’ su…”
disse ridacchiando. Con un balzo, scese dalla cassa di legno su cui era seduto
e fece per dirigersi verso la stessa porta che aveva imboccato Martel un attimo prima.
Prima di
varcare l’uscio, il cane si girò verso la lucertola, invitandola a seguirlo.
“Che fai lì
immobile? Il signor Greed ci aspetta. Non vorrai
farlo arrabbiare, vero?”
Bido scosse la testa terrorizzato. Se stuzzicare la rabbia di
Martel era pericoloso, irritare quella del signor Greed equivaleva a garantirsi un abbandono più che
assicurato, se non qualcosa di peggio. O almeno, queste erano le supposizioni
del rettile, che nonostante il profondo sentimento di stima nei confronti del
suo capo, non era mai stato totalmente convinto di ciò di cui fosse capace.
Così, volendo
evitare ogni conseguenza negativa, la lucertola seguì il cane al piano
superiore, dove si trovava l’area principale del locale: un ampio bar notturno
di nome Devil’s Nest. Un
appellativo perfetto, se ci si pensava. “Il covo del diavolo”, un rifugio dove
il Signore delle Tenebre ospitava gli sventurati che, per un motivo o per un
altro, non avevano potuto accedere alle porte del Paradiso. Una sorta di
piccolo Inferno, ma che di tale aveva solo il nome. Perché lì dentro, sebbene
vivessero gli energumeni peggiori del quartiere, nessuno alzava mai le mani
sull’altro. Andavano tutti d’amore e d’accordo, proprio come bravi coinquilini
che condividono la stessa casa. In un posto del genere, Bido
avrebbe dovuto sentirsi tranquillo, e in fondo, un po’ lo era.
Tuttavia, la
scarsa fiducia in se stesso lo faceva tentennare anche di fronte all’evidenza
dei fatti. In cuor suo, lui sapeva di trovarsi in un luogo sicuro. Ma
l’insistenza di quei pensieri così paurosi non lo scostava minimamente
dall’idea di sentirsi comunque diverso e inferiore a tutti loro, che almeno
potevano vantare un aspetto minaccioso e un carattere forte.
Quando le due
chimere giunsero nella sala, Dolcetto si ricongiunse a Martel
e ad altri due omoni, mentre Bido ne approfittò per
starsene in disparte. Il signor Greed non era ancora
arrivato, così, non avendo ordini a cui obbedire o persone con cui parlare, il
rettile si mise ad osservare il quotidiano via vai di coloro che popolavano il
locale.
Alla sua
sinistra, un ampio tavolo da biliardo era occupato da due loschi figuri, che
non accettando mai di perdere, rinnovavano la rivincita al termine di ogni
partita. Bido li osservò, facendosi passare il tempo
tra una buca e l’altra. Ma dopo un po’, fissare quella superficie verde
gl’infastidì gli occhi, i quali si accorsero in un istante che qualcuno di
importante stava facendo ingresso dall’entrata principale.
Immediatamente,
il bruciore che Bido aveva avvertito svanì, e il suo
cuore cominciò a palpitare sempre più forte.
Non era
paura, né un segno d’amore. Semplicemente, ammirazione. Un’ammirazione profonda
ed intensa, che mai aveva provato per nessun’altra cosa o persona.
Eccolo, era
là: il Signore delle Tenebre, l’uomo che
non è un uomo. Il signor Greed era entrato nella
stanza e tutti avevano interrotto le loro attività, riservandogli un saluto.
Come spesso accadeva, anche quella volta il capo del Devil’s
Nest non era solo: a fianco a sé aveva due belle
fanciulle, truccate di molto e vestite di poco.
Bido sorrise, e i suoi occhi brillarono. Era sempre il solito
sciupa femmine, il signor Greed. Non tornava mai
senza portare qualcosa di nuovo. D’altronde, era per questo che viveva:
ottenere. Per quante cose avesse, niente gli bastava mai. Il capo bramava ogni
giorno cose sempre diverse, e poi, come un buon cacciatore, otteneva ciò che
aveva desiderato, tenendo a bada il suo stomaco, nell’attesa che la fame si
rinnovasse, lamentando altra selvaggina. E di cosa aveva bisogno tutti lo
scoprivano a fine giornata, quando rientrava con il suo bottino di guerra.
Quel giorno,
aveva avuto voglia di donne. E le aveva prese, e portate con sé nella sua tana.
Quella tana dove poi le faceva cadere vittime del suo fascino maturo, di quel
corpo così bello a cui nessuna di loro sapeva resistere.
Ah… il signor Greed era veramente degno
di chiamarsi uomo. I capelli dritti,
neri come la pece; lo sguardo deciso e sensuale; il fisico muscoloso ed
asciutto; i lineamenti squadrati e il sorriso accattivante…
Bido avrebbe potuto elencare ogni singola dote del capo
riempiendo enormi pile di fogli, ma voleva che quel sentimento di profonda
stima rimanesse un segreto. Nessuno avrebbe capito ciò che provava. Tutti, lì
dentro, mostravano rispetto per il loro superiore, ma nessuno aveva negli occhi
la stessa luce che brillava nei suoi, ogni volta che il Diavolo tornava nel suo
covo, degnandoli della sua presenza.
Dopo neanche
un minuto dal suo ingresso, il capo s’accomodò su uno dei morbidi divani posti
al centro della sala e cominciò a ridere e scherzare insieme al suo bottino.
Bido lo guardava da lontano, vedendolo interagire
tranquillamente anche con Martel e Dolcetto.
La lucertola
sospirò malinconica. Come invidiava quel loro coraggio: nessuno si poneva alcun
tipo di scrupolo nel parlare col signor Greed. Tutti
si comportavano come se il capo fosse esattamente sul loro stesso livello. E
questo, di contro, faceva lo stesso.
Forse, non
era poi così pericoloso rivolgersi al signor Greed
come a un loro pari. O almeno, non lo era se si trattava degli altri. Ma Bido, che era oltretutto penalizzato dal suo complesso
d’inferiorità, non se la sentiva di interagire con lui senza essere
interpellato. Così, passavano giorni in cui non ci scambiava neanche mezza
parola. Perché se non era il capo il primo a chiamarlo, lui non osava farsi
avanti nemmeno sotto costrizione. Non aveva paura di ciò che avrebbe potuto
fargli, quanto di cosa avrebbe potuto dirgli.
Bido non voleva essere giudicato da lui, perché
sapeva che ciò gli avrebbe spezzato il cuore. Se n’era convinto, e ormai ci
credeva. Per questo, anche quando era lui a chiamarlo, le gambe gli tremavano e
il cuore non cessava di battere rumorosamente nel suo petto.
Inoltre, come
se non bastasse, ad aggravare la situazione c’era la questione della razza:
sebbene il signor Greed avesse tutti gli attributi
per definirsi un vero uomo, di lui tutto
si poteva dire, meno che fosse tale. Perché di un uomo Greed
aveva l’aspetto, le molecole e il cuore. Ma era un essere dalle capacità
inumane, in grado di rigenerare ogni ferita del suo corpo in brevissimi
istanti. Era addirittura capace di farsi ricrescere arti e organi interi, senza
l’intervento di nessuno. Era, in un certo senso, quasi immortale.
E questo
fatto tanto affascinava Bido quanto lo intimoriva.
Sapere che colui dal quale prendeva ordini non era altri che un homunculus, un
uomo artificiale, dotato di poteri e capacità fuori dal comune, era una
consapevolezza allo stesso tempo straordinaria e spaventosa.
Ah! Anche
solo quella breve, ma incisiva definizione gli calzava a pennello: “uomo
artificiale”. Suonava importante, e decisamente fuori dal comune. Quel termine,
“artificiale”, conteneva un insieme di lettere che unite in una sola parola
facevano schioccare la lingua sul palato, producendo un contrasto di consonanti
che suscitavano un senso di potenza e rispetto. A Bido
piaceva pronunciare quella parola, ma lo faceva sempre di nascosto, quando
nessuno poteva sentirlo, né vederlo.
Mentre la
chimera fantasticava in disparte, al centro della sala, Martel
sussurrava qualcosa all’orecchio del capo, rendendolo partecipe di un fatto che
si ripeteva ormai da tempo.
“Bido ha un atteggiamento strano ultimamente…”
disse, seriamente preoccupata della cosa “Esce spesso fuori dal locale senza
che gli sia ordinato. Sospetto che vada a fare qualcosa che vuole tener
segreto.”
“Seguilo.”
La risposta
del Boss fu più che esaustiva. Non si sarebbe occupato personalmente della
cosa, perché non ne aveva desiderio, né voglia. Però, la questione lo
incuriosiva già da un po’. Sì, perché Bido aveva
sempre avuto un comportamento molto strano. A differenza di tutti gli altri
reietti che ospitava, lui era l’unico che non gli dava soddisfazione. Perché
non rideva, né mostrava alcun tipo di emozione che potesse simboleggiare un
senso di gratitudine nei suoi confronti, per averlo salvato; per averlo reso parte di qualcosa in un mondo troppo
crudele per ospitare creature come loro, che non erano uomini, né animali, ma
mostri.
Greed stesso, per quanto abusasse con piacere delle sue
capacità, non si definiva un uomo, ma qualcosa che aveva fallito nello scopo di
essere perfetto. Perché la sua immortalità era pura apparenza. Lui non moriva,
ma poteva farlo dieci, cento, mille volte. Finché il suo corpo si sarebbe
rigenerato, lui avrebbe continuato a vivere senza saper attribuire alla morte
il giusto valore che le spetta. E questo, più che un privilegio, rappresentava
una condanna. La condanna di non saper distinguere l’esistenza dalla non
esistenza; la pena di non capire per quale ragione gli uomini siano tanto
attaccati alla vita, e altrettanto intimoriti all’idea di morire. Perché Greed aveva visto la morte, ma non la conosceva. E questo,
lo rendeva l’essere più incerto del mondo, che nel dubbio viveva e moriva in egual
misura, senza mai intraprendere una scelta concreta.
In fin dei
conti, nessuno può realmente conoscere la vera sofferenza che si nasconde nel
cuore degli altri.
Neanche Bido, che vedeva il suo capo alla stregua di una divinità,
poteva immaginare quanto, in realtà, lui e l’homunculus fossero simili.
Perché anche Greed, nel lento scorrere dei suoi duecento anni, era stato
rifiutato, escluso, ritenuto feccia e maltrattato da chi come lui portava sulla
pelle quel simbolo rosso come il sangue: un drago che si morde la coda; la
rappresentazione simbolica dell’infinito ripetersi degli eventi, del morire e
del resuscitare senza mai uscire da quel cerchio, senza mai conoscere la vera
realtà delle cose.
Gli
homunculus erano così: inseguivano la loro coda e il loro istinto. E questa era
la loro natura e la loro condanna. Perché mentre continuavano a vivere, tutto
intorno a loro cambiava e moriva. Nascevano nuove civiltà e tutto si evolveva,
mentre loro rimenavano sempre allo stesso punto, per mesi, anni, e secoli.
Non era bello
vivere nell’incertezza. Ma se Greed avesse potuto
scegliere tra la vita eterna o la morte eterna, sicuramente avrebbe optato per
la prima. Perché il pensiero dell’oscurità e del silenzio lo terrorizzava come
nessun altra creatura vivente. Non conoscendo affatto la vera identità della
morte, questa rappresentava per Greed la più grande
minaccia dell’universo. Perché la morte
eterna era la morte vera, quella da cui non si può tornare indietro e la
stessa che tutti fuggono aggrappandosi alla vita.
Ottenere la
vita eterna era dunque l’unica via di fuga dal conoscere la vera essenza della
morte, che lui assimilava alla solitudine, in quanto priva di suoni e di
rumori.
Perché per Greed essere soli era come essere morti. La morte che lui
aveva sperimentato, quella da cui ogni volta risorgeva come il drago che aveva
tatuato sulla mano, non somigliava a quella che lui definiva la morte eterna. Ciò che più riteneva
simile a un tale trionfo dell’oscurità era invece la solitudine, quel
sentimento triste che ti isola dal mondo e dalle cose; quello stesso mondo e
quelle stesse cose che lui bramava e voleva ottenere più di ogni altra cosa.
Non avrebbe
accettato di morire. Non prima di aver riempito quel vuoto che gli lacerava il
petto dal giorno della sua nascita. Quella voragine interiore che i suoi simili
avevano allargato e che lui, con tanta fatica e sudore, cercava ogni giorno di
restringere sempre di più, nell’attesa di tirare quel tanto agognato e profondo
sospiro di soddisfazione.
***
Il giorno
successivo, in una delle tante vie secondarie della piccola città di Dublith, Bido si guardava
intorno.
Quel giorno
aveva avuto l’impressione che qualcuno lo stesse osservando. Non sapeva
spiegarsi con precisione il motivo di quella sensazione, ma da quando aveva
messo piede fuori dal Devil’s Nest,
un’ansia incontrollabile aveva cominciato a scorrere sulla sua pelle, facendolo
rabbrividire come in preda a un forte gelo. Deglutì, e cercò di scacciare
quell’orribile fastidio, determinato a portare a termine il compito che si era
imposto di svolgere, come tutte le mattine.
Lentamente,
si coprì col cappuccio della sua veste sgualcita, badando a nascondere bene le
sue sembianze animalesche, e si diresse fuori dal vicoletto.
Dietro di
lui, a una discreta ma giusta distanza, Martel lo
spiava nell’ombra, aggrottando le sopracciglia confusa dal suo atteggiamento.
“Cosa ha intenzione di fare?” si domandò fra sé e sé la donna serpente,
mentre si sporgeva con cautela da un muretto, osservando la scena più da
vicino.
Bido si era messo in un angolo di strada e teneva fra le mani
un barattolo di latta, invocando l’attenzione dei passanti con le seguenti
parole:
“Donate uno
spicciolo a un povero mendicante, fate un’opera di bene.”
Nell’udire
quelle parole, Martel spalancò le palpebre shockata: Bido stava chiedendo l’elemosina, o era solo una sua impressione?
Sperò di
essersi sbagliata, ma la verità continuò a manifestarsi sotto ai suoi occhi.
“Vi prego,
non siate insensibili, donate una moneta ai meno fortunati.”
Non appena il
piccolo rettile disse così, un passante lo insultò pesantemente, guardandolo
con aria sprezzante.
“Trovati un
lavoro, straccione!”
Di fronte a
quella scena, Martel digrignò i denti infuriata. Ce
l’aveva a morte, non con l’uomo che aveva bistrattato il suo compagno, ma con Bido stesso.
Ogni giorno,
quando la lucertola lasciava il locale di nascosto, era quello ciò che faceva:
si metteva in ridicolo sotto gli occhi dei cittadini, subendo insulti e
talvolta anche calci e sputi.
Era così che Bido aveva in mente di ringraziare il signor Greed di tutto ciò che aveva fatto per lui?
Non poteva passarla
liscia. Bido avrebbe dovuto scusarsi personalmente
col capo per quell’atteggiamento imperdonabile e poco ortodosso. Lo avrebbe
portato da lui, subito. E il Boss avrebbe deciso per lui la giusta punizione.
La donna
serpente uscì dal suo nascondiglio e afferrò il compagno per un lembo dei suoi
stracci, sollevandolo alla sua altezza.
Bido rabbrividì ancora, e deglutì intimorito.
“S… signora… !”
Lo sguardo di
lei era accigliato e ardente come il fuoco.
“Ora tu vieni
subito con me. Ti porto a fare due chiacchiere con il signor Greed. Temo che dovrai dargli delle spiegazioni.”
La lucertola
inghiottì ancora un po’ di saliva e il suo cuore cominciò a battere ancora più
forte: il signor Greed lo avrebbe giudicato e, con
molta probabilità, gli avrebbe riservato una punizione più che terribile e definitiva.
***
Quando le due
chimere entrarono nel locale, il signor Greed era
comodamente rilassato sul divano, con le gambe incrociate sul tavolino e lo
sguardo serio.
Bido non lo aveva mai visto così: accanto a lui non sedeva
nessuno. Gli altri abitanti del Devil’s Nest erano dietro di lui, in piedi, nella penombra in
attesa di ordini.
Martel fece sedere il compagno sul divano di fronte a quello
del capo, dopodiché, si ricongiunse agli altri rimanendo in silenzio a braccia
conserte.
Bido deglutì ancora. In quel momento, dietro al signor Greed avrebbe potuto esserci chiunque, ma la presenza del
Boss davanti a lui era l’unica cosa che contava.
L’homunculus
aveva ancora lo sguardo basso, e Bido non sapeva che
espressione avessero i suoi occhi che, come nella maggior parte delle occasioni,
erano occultati dalle lenti scure dei suoi piccoli occhiali da sole.
Non se li
toglieva quasi mai. E se accadeva, voleva dire che si era verificato qualcosa
d’importante, che signor Greed riteneva valesse la
pena osservare direttamente con i suoi occhi.
Bido cominciò a stringere le dita dei piedi. Il silenzio
della scena era angosciante. Sentiva che presto avrebbe detto “addio” a quel
tetto che lo aveva protetto per diversi inverni, assicurandogli un luogo caldo
in cui passare la notte e un posto in cui vivere.
All’improvviso,
quando ritenne che la staticità della scena fosse stata sufficientemente lunga,
il signor Greed disse qualcosa, rompendo il silenzio
circostante.
“Il cappuccio.”
Bido alzò lo sguardo confuso.
Il capo tirò
un sospiro e si spiegò meglio.
“Sarei felice
di vedere la tua faccia quando ti parlo. Pensi che si possa fare?”
Parole
pronunciate con tono secco, le sue. Tanto secco e provocatorio che la lucertola
non esitò un attimo a obbedire.
Si scoprì il
volto, mettendo in mostra quelle sembianze animalesche di cui tanto si
vergognava.
Greed lo guardò per un po’, dopodiché, fece qualcosa di
totalmente inaspettato. Lentamente, portò la mano destra al volto e si sfilò
gli occhiali, lasciando Bido completamente di stucco.
Non si
sarebbe mai aspettato un gesto simile. Era come se, ora che si era spogliato
del suo prezioso cappuccio, Greed volesse mettersi al
suo stesso livello, privandosi di quella che solo e soltanto lui sapeva essere
nient’altro che una maschera pronta a difenderlo nei momenti più difficili.
Dopo qualche
altro secondo di silenzio, il capo riprese a parlare, giungendo all’argomento
principale del loro colloquio.
“Ebbene… non credi che sia il caso di dirmi dove vai la
mattina senza il mio consenso?”
Sebbene le sue
parole non fossero ancora quelle forti e taglienti che Bido
immaginava, il tono del capo era profondamente risentito. Nella sua voce… si poteva percepire una certa delusione.
Bido deglutì e abbassò nuovamente lo sguardo. Con le mani,
stringeva due lembi del suo mantello nel tentativo di reprimere le lacrime che
insistenti spingevano nei suoi occhi.
Pian piano,
dalla sua bocca cominciarono ad uscire le prime, tentennanti parole, che lo
vedevano rivelare ciò che aveva fatto con profonda vergogna e risentimento nei
confronti di se stesso.
“I-io… ho cercato di… m-mettere da
parte qualche soldo… per il signor Greed.”
Il capo
schiuse le labbra e inclinò la testa da una parte, continuando ad ascoltarlo.
“C-credevo che… così facendo… vi avrei dimostrato la mia gratitudine…”
Mentre la
voce balbettante della lucertola si perdeva flebile nella stanza, le chimere
osservavano prima Bido, poi il signor Greed, cercando di leggere nei suoi occhi la reazione che
avrebbe avuto.
“M… mi dispia-ce…”
Bido continuava a scusarsi. Ormai le lacrime gli avevano
completamente rigato il volto come le cascate di un fiume in piena.
Si
vergognava. E più le parole uscivano dalla sua bocca, più si sentiva meritevole
di una punizione severa.
“Tutti qui… sono così utili al signor Greed…”
continuò il piccolo rettile, tirando in ballo la vera origine del suo
comportamento “Tutti… sono così capaci e forti… invece io… io…”
Non riuscendo
a concludere quel discorso, la chimera alzò nuovamente lo sguardo, gridando le
ultime parole di sfogo.
“Io volevo solo… volevo solo rendermi utile in qualcosa! Per voi: per
il signor Greed!”
Ci fu
silenzio. Ancora un silenzio lungo e angosciante.
Bido era tornato a fissare le proprie mani, che mai avevano
smesso di stringersi alla sua veste, preparandosi a subire l’aspra sentenza che
ormai era convinto di ricevere.
“Ah, ho capito…” riprese il capo “quindi era solo questo… e io che immaginavo chissà che.”
Ma in un
attimo, tutto sembrò cambiare radicalmente. Il tono sollevato del signor Greed era giunto alle orecchie di Bido,
liberandolo in un istante da quel mattone di paura che aveva avuto sullo
stomaco per tutto il tempo. Il capo non era arrabbiato? Com’era possibile? Che Bido avesse dato troppa importanza al suo gesto, finendo
per immaginarsi il peggio senza accorgersi che stava esagerando? Possibile… oppure no.
“Questa cosa…”
Il tono
dell’homunculus si fece nuovamente più scuro, per poi diventare forte e infuriato
quando con un pugno colpì la testa del sottoposto, digrignando i denti colmo di
rabbia:
“… MI
FA INCAZZARE DA MORIRE!”
Bido si portò le mani alla nuca, cercando di placare il
dolore.
Greed era furioso, e non smetteva di urlare, mentre con voce
indiavolata inveiva contro di lui, cercando d’impartirgli una lezione che
evidentemente non aveva ancora appreso.
“Ascoltami, idiota!”
Con furia, lo prese per il
collo del mantello, fissandolo negli occhi con attenzione. Le sue iridi erano
infuocate e non smettevano di bruciare, neanche di fronte allo sguardo indifeso
e spaventato della povera chimera.
“Qui siamo tutti dei rifiuti. Chiamarci mostri o scherzi della natura non fa differenza: siamo tutti uguali, è
questa l’unica cosa certa.”
Le sue parole rimbombarono
nelle orecchie della lucertola, illuminandole la mente come non era mai
accaduto prima d’allora.
“Qui dentro ognuno cerca
di essere orgoglioso di se stesso, quando non avrebbe alcun motivo di esserlo,
è questo che ci fa essere un gruppo. Essere tutti uguali è un privilegio,
perciò vedi di non renderti diverso con le tue stesse mani!”
In quel momento, quando il
signor Greed disse quelle parole, Bido
si rese conto di una cosa a cui non aveva mai fatto caso: nessuno in quel posto
lo aveva mai trattato come un essere inferiore. Quella che aveva avuto sino a
quel momento non era altro che una sua convinzione. Perché Bido
era sì insicuro, ma anche cocciuto: credeva quello che voleva credere e si
rassegnava a quell’unica verità senza lottare o pensare che, qualche volta, la
sua opinione potesse rivelarsi sbagliata.
“Tu hai la possibilità di
far parte di qualcosa senza sentirti inferiore o frustrato perché gli altri ti
ritengono una nullità, ti sembra cosa da poco?! Apri gli occhi e guardati
intorno:”
Greed protrasse la mano verso il resto dei presenti,
invitando il subordinato a osservarli senza timore.
“Guarda le facce di chi
come te cerca una ragione per cui vivere. Ti senti davvero così diverso da
tutti loro?!”
No. Non
c’era differenza fra lui e quelle altre creature. Tutti erano stati vittime
dello stesso esperimento e della crudeltà umana. Nessuno in quel posto poteva
dire di essere stato più fortunato dell’altro, perché se lui si considerava uno
scherzo della natura, allora significava che anche tutti gli altri lo erano.
E invece no. Perché
nonostante il loro mostruoso aspetto, Bido li aveva
sempre visti come degli esseri superiori, quasi da invidiare per le loro doti e
per lo spirito che li univa in quanto uguali e perfettamente in sintonia fra
loro. Ed era così che doveva essere: se Bido aveva
quell’opinione di loro e se era vero che poteva considerarsi sul loro stesso
livello a tutti gli effetti, questo voleva dire che anche lui era, in un certo
senso, una creatura munita di doti uniche e che, nonostante le difficoltà della
vita, poteva affermare di far parte di un gruppo.
“Chi viene rifiutato non
rifiuta. Casomai si rifiuta, ma di
essere qualcosa che non vuole!”
Quando il signor Greed pronunciò quella frase, Bido
non poté fare a meno di notare come la mano con cui lo teneva stesse tremando.
Tremava. E non era rabbia.
Perché nei suoi occhi era visibile qualcosa di diverso, qualcosa che Bido conosceva
bene, ma che non aveva mai visto nello sguardo del capo.
“Se davvero pensi che
questo non sia il posto giusto per te, allora vai! Cerca la tua libertà altrove
e lascia indietro tutto quello che non serve a soddisfare la tua sete, di
qualunque natura essa sia. Abbi il coraggio di fare la tua scelta e se serve
levati dai piedi! L’importante è che non dimentichi una cosa: o accetti te
stesso, o muori. Perché vivere senza accettarsi equivale a morire!”
A quel punto, le lacrime
che solcarono nuovamente il volto della lucertola furono inevitabili.
Quelle parole, pronunciate
sì con rabbia, ma anche con una profonda consapevolezza, gli colpirono il cuore,
facendogli realizzare, frase dopo frase, quanto sciocco era stato ad assumere
un simile atteggiamento, non prestando la dovuta attenzione a tutto quello che
effettivamente aveva e che i suoi occhi avevano occultato a causa della sua
cocciutaggine.
“L…
lei… ha ragione… sono un
completo idiota!”
Bido urlò fra le lacrime, profondamente risentito con se
stesso, e speranzoso di essere perdonato per quella sua sciocca distrazione.
“Mi dispiace…
l’ho delusa. Ho deluso lei! Lei aveva fiducia in me, lei contava su di me, e
questo è stato il mio ringraziamento! L’ho fatta arrabbiare al punto di tremare
senza avere alcun rispetto della sua persona…”
Greed spalancò gli occhi. Stava veramente tremando? Lasciò
lentamente la presa dal mantello di Bido e osservò le
sue mani. Era vero: tremavano. Tutti quei discorsi avevano rievocato nella sua
mente i ricordi che aveva sempre voluto dimenticare. Nel parlare così al suo sottoposto,
Greed aveva ripercorso la stessa strada che lo aveva
spinto a lasciare la sua casa, quella originaria; quella dove gli homunculus
erano nati e cresciuti.
Non voleva tornarci. Per
nessuna ragione. Qualunque altra scelta sarebbe stata migliore, persino quella
della morte eterna.
Già. Forse, l’unico caso
in cui avrebbe scelto di morire veramente era quello che lo vedeva altrimenti
costretto a tornare alle sue origini. E lui non voleva, perché temeva quel
posto quanto la solitudine. Quel luogo era l’unico pensiero in grado di urtare
la sua tenacia; in grado di ricattare il suo spirito ribelle desideroso di
libertà.
Greed sospirò, e abbassò lo sguardo.
Tutti coloro che avevano
preso parte a quel discorso avevano abbandonato la stanza uno dopo l’altro,
lasciando da soli il Diavolo e la lucertola.
Dopo un po’, quando il
pianto di Bido si fece più calmo, Greed
pose una mano sulla sua nuca e vi appoggiò la testa, parlando con tono
tranquillo.
“Nessuno è così forte da
non temere niente. C’è sempre qualcosa che ci fa paura.”
Sia per il gesto, che per
le parole del capo, la chimera rimase di stucco, ascoltandolo in silenzio.
“Ma…
se veramente sei determinato a sopravvivere, allora devi andare avanti e
scoprire di cosa hai bisogno per non sentirti mai debole.”
Detto ciò, Greed si alzò in piedi e si diresse verso la porta. Giunto qui,
si mise di nuovo gli occhiali e aggiunse dell’altro.
“Non dovresti mai farti
vedere mentre piangi.”
Dal divano, Bido lo guardava, prestando attenzione alle sue parole.
“Questo è il primo segreto per farsi rispettare.” Il capo fece una
pausa, poi, voltandogli di nuovo le spalle, concluse il discorso “Se nessuno ti
vedrà mai versare una lacrima, allora, nessuno penserà che tu sia capace di
farlo.”
In quel momento, proprio
nell’istante in cui Greed disse così, Bido sentì le lacrime premere ancora nei suoi occhi. Ma si
trattenne, perché quella che aveva imparato era una lezione che intendeva
custodire fino alla fine dei suoi giorni.
Si sforzò con tutto se
stesso di non piangere, ma poi, si accorse di qualcosa: la porta della stanza
era stata aperta e poi chiusa di nuovo.
Bido era solo. Ora, poteva dare libero sfogo alle lacrime.
“Grazie…
signor Greed.”
***
Angolo dell’autrice
Ciao a tutti. Finalmente sono riuscita a
completare una delle tante one-shot che avevo in
programma, evvai! Sono molto contenta del risultato,
e spero che il racconto sia piaciuto anche a voi.
Trovo molto interessante il legame che unisce
tutta la combriccola del Devil’s Nest,
e mi piacerebbe tanto scrivere ancora su di loro (per esempio su Martel e Dolcetto, ce li vedo così bene insieme <3).
Ma ora bando alle ciance e veniamo alla
storia!
Nel manga, sono stata profondamente colpita
dalla scena in cui il secondo Greed, ancora ignaro
dei suoi ricordi, uccide Bido a sangue freddo,
capendo solo dopo di aver eliminato un suo amico. È una scena proprio toccante
e piena di dolore. E visto che, se non s’era capito, scrivere cose struggenti
mi piace parecchio, ho voluto scrivere un racconto proprio su questi due
personaggi, dando un po’ di spazio anche a questa lucertolina
un po’ bistrattata.
Tornando al manga, mi piace immaginare che nel
momento in cui Greed urla in preda al dolore
stringendo il corpo di Bido fra le braccia,
quest’ultimo non sia ancora definitivamente morto, e che fosse in grado di
sentire il pianto del suo amico, morendo con la consapevolezza che egli è
pentito del gesto che ha compiuto.
AWFH! Ora basta, sennò piango pure io.
A presto, e grazie per essere passati di qui!
Strato.