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Autore: sehunssi_    05/09/2012    4 recensioni
Kyungsoo l’aveva sempre saputo che Jongin era un tipo strano, uno di quelli che se incontri per strada è bene scansare. Uno di quelli che è capace di risucchiarti nel suo mondo, facendoti perdere completamente la ragione. Uno di quelli di cui ti innamori e che non puoi smettere di amare. Insomma, un casino. Jongin era, infatti, un casino.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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kaisoo; pg13; romantico/slice of life; AU. - note: sono decenni che non scrivo niente, quindi premetto che non è niente di che. ho cercato di dare del mio meglio, anche se la storia è veramemente molto corta, mi spiace. i commenti e le critiche sono ben accette, per il resto, buona lettura!


I just found a friend in one of your lies.


Kyungsoo l’aveva sempre saputo che Jongin era un tipo strano, uno di quelli che se incontri per strada è bene scansare. Uno di quelli che è capace di risucchiarti nel suo mondo, facendoti perdere completamente la ragione. Uno di quelli di cui ti innamori e che non puoi smettere di amare. Insomma, un casino. Jongin era, infatti, un casino. Un ammasso di informazioni che non è possibile catalogare, un garbuglio di fili – di quelli che si formano dietro alla tv, avete presente? Tutti ingarbugliati, i fili della tv, del decoder, del lettore dvd eccetera eccetera – e che non si vogliono proprio sfare. E che non si sfanno nemmeno se ci provi e riprovi, ma niente, perché non riesci a trovare né l’inizio né la fine di quei fili.

Jongin era così, senza una fine, senza un inizio. Era precipitato nella vita di Kyungsoo con forza e non se ne voleva più andare. ‘Sono sempre stato solo’ diceva, appoggiando la testa sulla spalla di Kyungsoo. ‘Non sei più solo, hai me ora.’ Rispondeva il più grande, carezzando dolcemente il più giovane sulla testa. E Jongin faceva le fusa, come un gattino, uno di quelli piccolini che si raggomitolano tutti e diventano una pallina di pelo. Era così Jongin, un gattino, spelacchiato, che aveva vissuto per strada e che finalmente aveva trovato una casa in cui stare. Un orfano, non più orfano perché qualcuno l’aveva trovato, salvato.
E Kyungsoo, in un anno circa, era riuscito a capire un po’ Jongin, giusto un po’, senza trovare mai l’inizio dei fili, ovvio. Aveva capito che Jongin era un adulto bambino, uno che vuole avere ragione e che vuole essere notato. Ma era anche una persona disposta a dare tanto – in tutti i sensi – e senza mai pretendere nulla in cambio, tranne in casi particolari.

Mentre rimetteva in ordine le cose nella sua valigia, Kyungsoo pensava a tutto questo. Alla prima volta che si erano visti, nel giardino dell’università. A quando, un ragazzetto moro, dalla pelle un po’ scura ma tremendamente stupenda, probabilmente uno del primo anno, gli era venuto in contro per chiedergli dove si trovassero i bagni. E quando Kyungsoo aveva alzato il viso dai suoi appunti e aveva incrociato gli occhi con quel ragazzo, ricordava benissimo che l’altro era arrossito, imbarazzato.



“Devi entrare dal portone principale, fai centro metri, giri a sinistra e li trovi.”

“Come faccio a sapere quanti sono centro metri?”

“Conti. Uno, due, tre…” annoiato poi aveva abbassato lo sguardo, per tornare ad immergersi nei suoi scritti alquanto confusi.

“Ma non faccio passi da un metro, io.”

Kyungsoo aveva ri-alzato lo sguardo, e con tutta la calma che poteva avere in corpo gli aveva risposto secco che non era un problema suo e che adesso aveva da fare. L’altro si era arreso e, con la testa bassa, si era incamminato verso l’entrata dell’università.

Kyungsoo sbuffando, era poi tornato ai suoi affari. Ma l’immagine di quel ragazzo che se ne andava via, sconsolato, gli era rimasta in testa per un po’.

Dopo circa un mese si erano rivisti, per caso. Kyungsoo si era scontrato con Jongin, che molto agitato stava uscendo dal portone principale.

“Ehi!” aveva gridato il più grande, mentre cercava di raccogliere i quaderni e i libri. “Potresti almeno scusarti!”

L’altro si era voltato: Kyungsoo notò subito che aveva gli occhi arrossati e gonfi. Tirava su col naso ed era, molto, molto agitato.

“Oh… non volevo essere così brusco, scusami…”

“Non… è… colpa… tua…” aveva risposto l’altro, balbettando un po’.

“Ah. Oh, bene. Ehm, tu stai bene? Gli occhi…” e si era avvicinato, come ammaliato da quel ragazzo.

“No è che… ho dato un esame e.. non è andata bene, insomma, no mi hanno respinto e… ho avuto una brutta giornata, insomma.”

“Ah.” Aveva risposto Kyungsoo, non sapendo cosa altro dire. “Senti… ti va se andiamo in un cafè? Offro io, anche per scusarmi dell’altra volta, sai…
E detto questo, Kyungsoo aveva letteralmente trascinato l’altro ragazzo – che poi aveva scoperto chiamarsi Jongin – al cafè dell’Università. Li avevano iniziato a parlare dei più e del meno, anche per sciogliere un po’ la tensione che si era creata per l’evento improvviso. Parlarono per ore ed ore, finchè non furono cacciati via, perché era ora di chiusura.

Prendere il caffè insieme diventò un abitudine, una cosa di rutine. E ogni volta che si incontravano entrambi sentivano che qualcosa stava accadendo, come se fosse scattato un interruttore dentro ad entrambi. Dal cafè dell’università passarono poi all’appartamento di Kyungsoo, dove Jongin scoprì per la prima volta l’amore ed il calore del contatto umano.

-

Kyungsoo si era, però, sempre chiesto perché Jongin avesse scelto lui. Perché aveva chiesto proprio a lui dove era il bagno? Perché non alle altre mille persone sedute sulle altre mille panchine lì intorno? Perché proprio lui? Ma non aveva mai ottenuto una risposta, perché l’altro si era sempre limitato a sorridere e a baciarlo ogni volta che glielo chiedeva.

Kyungsoo aveva ormai finito di preparare la sua valigia. La chiuse bene, poi si guardò in torno, sicuro di non aver dimenticato niente.

“Hai finito? Il treno parte tra meno di mezzora...”

“Si si, stavo solo controllando che-“ Jongin lo baciò, inaspettatamente.

“Sai che non ci baceremo fino a lunedì vero?”

“Jongin è solo un weekend dai miei, non parto per la guerra.”

“Per me vai sempre in guerra quando sei lontano da casa mia. Nostra.”

“Hai ragione...“

Jongin prese la valigia di Kyungsoo, mentre l’altro gli apriva la porta.

“Allora… ci vediamo… lunedì.”

“Una scusa.”

“Come?”

“Era una scusa. Un anno fa, quando ci siamo conosciuti. Ho scelto di chiedere a te perché… mi piacevi. Ti avevo visto gironzolare nel giardino e nella biblioteca, e così mi ero deciso a conoscerti. E allora per farlo ho usato una scusa. Il destino ha fatto il resto.”

“Ma perché me lo dici ora?”

“Mi andava.”

“Tu sei matto.”

“Per forza, ti amo.” Si avvicinò Kyungsoo e lo baciò di nuovo.

“A lunedì.”

Kyungsoo si voltò, diretto verso il taxi che lo stava aspettando. Un casino, Jongin è un casino, pensò.

  
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