Traditore! Prendetelo!
Dobbiamo ucciderlo! DOBBIAMO DIFENDERE IL NOSTRO ORGOGLIO!
Non abbiamo bisogno della
giustizia Cragmita!
Il nostro odio è il miglior
giudice.
Voci rabbiose si inseguivano
nella sua mente.
A parte quello, non vi era nulla
che riuscisse a disturbare la sua quiete: il suo corpo era scomparso, non
percepiva più alcun dolore, né stimolo, assolutamente nulla.
Gli sembrava quasi di essere in
uno stato di animazione sospesa, privo di alcuna coscienza, privo di
sensazioni, privo di memoria.
L’unica cosa che continuava a
disturbarlo erano quelle voci…
DOBBIAMO DIFENDERE IL NOSTRO
ORGOGLIO!
Echi nel silenzio, anziché
disperdersi si rafforzavano, rimbalzavano da una parte all’altra di pareti
invisibili acquistando una forza sempre maggiore e una direzione precisa e,
come un’onda inarrestabile, travolgevano tutto.
Il nostro odio è il miglior
giudice.
Sapeva a chi erano rivolte quelle
grida.
- Hey,
pendaglio da forca! - seguì in colpo metallico.
Sussultò: fu qualcosa di
fastidiosamente immediato, come venire trascinati in superficie a respirare.
Come in risposta a un segnale, la
sensazione di incorporeità scomparve, gli arti presero sensibilità, il corpo
assunse peso, il respiro apparve e divenne affannoso, i sensi lo travolsero,
l’irreale divenne reale.
Come ultima cosa, la prova del
ritorno alla realtà, sentì il corpo riempirsi di sferzate. Percepì il dolore.
Ecco, era tornato in superficie.
Il colpo metallico si ripeté.
Stavolta gli parve alquanto secco, come se si trattasse di legno contro ferro.
Il formicolio che gli percorreva il corpo diradò, concentrandosi sul lato
sinistro del collo e sulle spalle, tuttavia, la sensazione di essere ricoperto
di strisce di dolore simili a frustate anziché scomparire si rafforzò.
In particolare, si concentrò sul
ginocchio destro, come se quest’ultimo fosse trafitto da un palo.
Aprì gli occhi, misurando ogni
respiro, quasi temesse di inalare veleno da un istante all’altro. La vista,
dapprima offuscata, divenne molto nitida.
La prima cosa che vide fu però il
nulla.
Il buio completo.
Poi, come tante lampadine, vaghi
chiarori rossastri illuminarono la sua vista, che divenne nitida.
Si guardò intorno senza muoversi:
capì che si trovava in posizione distesa da un lato, su un pavimento di pietra
ricoperto di qualcosa che sembrava paglia, freddo e sudicio. Ai due lati
sorgevano due pareti in pietra alquanto basse, grigie e sudicie non meno del
pavimento, ed intaccate, in molti punti, di quelli che sembravano essere
graffi, scritte e simboli. Di fronte non sorgeva alcuna parete ma solo una
serie di sbarre tozze, sporche e arrugginite, presso le quali si percepiva un
vago ronzio. Oltre le sbarre non si vedeva molto a parte una persona seduta su
uno sgabello di ferro arrugginito, oltre la quale si scorgeva una lunga parete
di pietra umida a sinistra, alla quale erano fissati, a intervalli regolari,
una serie di piccole lampade rugginose che emanavano un inquietante chiarore
rossastro, mentre a sinistra si intravedeva una lunga serie di sbarre, non meno
arrugginite delle lampade. L’aria umida aveva un odore stantio e polveroso,
impregnato dell’odore di sudore e di escrementi.
Lo sguardo del prigioniero si
fissò sulla persona seduta sullo sgabello: aveva spalle possenti, taurine, il
volto girato dalla parte opposta, con la testa priva di capelli e ricoperta di
un folto pelo marrone striato di nero, le orecchie triangolari erano grandi,
piatte e appuntite. Dal retro dei pantaloni spuntava una coda lunga e sottile,
terminante con un vezzoso ciuffo di peli, riportante le stesse striature.
Somigliava terribilmente a un
lombax.
Un lombax?
Indossava un completo nero di
stoffa privo di protezioni, con un collo alto sul quale brillavano due
targhette metalliche. I pantaloni erano della stessa tinta, portava anfibi, di
pelle, alti al ginocchio sui quali brillavano delle fibbiette lucide.
Allacciati alla cintura vi era una numerosa quantità di piccole borse
portaoggetti, e portava un bracciale sull’avambraccio destro: era grosso,
ingombrante e sembrava d’ottone, e nella parte interna, quella corrispondente
al polso, spuntava un ingombrante macchinario a due canne pieno di tubicini e
molle, e aveva il singolare aspetto di una pistola.
Perché probabilmente è una pistola concluse il prigioniero, che ancora non si
era mosso dalla sua scomoda posizione. Non si era guardato molto intorno, ma
aveva notato l’indolenzimento delle braccia e delle mani e capito
immediatamente che era legato, disteso sul fianco sinistro, chiuso
probabilmente in una cella con quella che aveva tutta l’aria di essere una
guardia oltre le sbarre. Il dolore, invece, non se lo sapeva spiegare. Cercò di
ragionare con freddezza, rievocando ogni ricordo utile che riaffiorava. Ma
erano tutti confusi, offuscati dall’angoscia e dall’agitazione: lampi di luce
azzurrina, le grida concitate di una battaglia, il dolore delle ferite e un
amaro sapore in bocca che non riusciva a spiegarsi.
Dove sono finito?
Non seppe rispondersi, in quel
momento, poteva solamente limitarsi a confrontare le poche immagini rievocate
che continuavano a vorticare nella sua mente e osservare ciò che lo circondava,
oppresso da una sensazione confusa.
Un lontano brusìo ringhioso,
sovrastato da grida autoritarie e altri rumori metallici lo sottrasse ai suoi
ragionamenti. Tese le orecchie, aguzzò la vista verso il corridoio semibuio
oltre le sbarre, e attese.
- Porci leccaculo, state certi
che la pagherete! - una serie di pesanti imprecazioni si alzò poco lontano, dai
lati delle sbarre a sinistra, diretti verso qualcuno in avvicinamento di cui a
malapena si udivano i passi.
- Chiudi il becco! - altro suono
di legno contro metallo, forse un bastone. Il rumore di passi si avvicinò e si
moltiplicò.
Un gruppo uscì da un corridoio
nascosto dalla fila di sbarre, e si diresse verso la cella del prigioniero:
erano quattro, tutti lombax, tutti con un espressione tetra nei musi scuri e
avevano tutti la stessa divisa nera indosso. La guardia seduta sullo sgabello
scattò in piedi, sull’attenti. I quattro si fermarono, e il primo a sinistra
del gruppo, il più minuto, volse uno sguardo inquisitore verso la fila di celle
ed i suoi inquilini. - Alister Azimuth! - gridò, scrutando uno ad uno i
detenuti. Il prigioniero legato, sentendo pronunciare il suo nome, suo malgrado
sobbalzò. Alla guardia non sfuggì quel piccolo movimento, e quando il suo
sguardo si fissò sul lombax, quest’ultimo, ancora incerto della sua situazione,
cercò di mettersi in posizione seduta, ricambiando l’espressione dura. -
Prendetelo. - disse la guardia rivolta ai tre dietro di lui, i quali si fecero
avanti ed entrarono nella cella aperta dal guardiano seduto sullo sgabello. Il
ronzio proveniente dalle sbarre cessò.
Due dei tre lo afferrarono per le
braccia, tirandolo su di peso e lo trascinarono fuori, senza dargli il tempo di
mettersi in equilibrio sui piedi.
Alister non ebbe che il tempo di
percepire una fitta di dolore che gli fulminò la gamba destra, togliendogli il
respiro ed offuscandogli completamente la vista.
- Hey!
- trattenne a stento un grido, stringendo i denti. Le guardie attesero un
istante, prima di mettersi in marcia. Abbassò lo sguardo nella semioscurità
solo per notare che dalle ginocchia in giù gli abiti, dei lerci pantaloni in
tela ruvida, erano completamente bagnati di un liquido caldo, nerastro nella
penombra del luogo.
Cos…
Poteva a malapena zoppicare, con
quel dolore.
Lo condussero giù per una serie
di scale mal illuminate e fredde, invase da un’aria carica di umidità, fino a
sbucare in un’enorme sala, lunga e rettangolare, umida, piena di porte, e
trascinato oltre una di esse.
Si trovava ora in uno stanzino
relativamente piccolo e umido, circa quattro metri per tre, di pietra, il cui
unico arredamento era una logora sedia di ferro al centro, alla quale erano
fissate delle cinghie di cuoio, una serie di ganci e catene appese al soffitto,
una catinella fumante contenente una strana sostanza luminescente posata in un
angolo accanto a un caminetto acceso e tre pesanti macchinari metallici
dislocati lungo le pareti, vagamente simili a tavoli operatori. Alister aveva
già una vaga idea di ciò che volevano fare di lui, ma aveva tentato di cacciare
via i suoi timori. Cosa ho fatto? Che volete da me? Aveva protestato
lungo le scale senza ottenere alcuna risposta, domandandosi cosa fosse
realmente successo e in quale posizione si trovasse ora, tentando di far
collimare in modo logico gli avvenimenti dell’immediato presente con quelle
voci, quei ricordi confusi antecedenti il suo risveglio. Eppure, per quanto ci
provasse, nulla quadrava.
Fu la vista dei macchinari a far
crollare le sue speranze. Tentò di divincolarsi, ma la presa delle guardie
sembrava di ferro. - Sta’ buono. - Una di esse gli inferse una ginocchiata allo
stomaco, smorzando ogni altro tentativo di ribellione.
Si sentiva già debole di suo, e
quel colpo, oltre a attenuare ulteriormente le sue forze, lo fece quasi rimettere.
Stronzo. Insultò mentalmente il suo aguzzino. Era
piegato in due dal dolore, ma nella mente turbinavano migliaia di ipotesi.
E’ reale. Reale. E’ tutto
reale. Ogni cosa che vedo, ogni singola sensazione. Cos’è successo?…
Aveva la gola serrata. Sentiva
che tutto quello che gli accadeva intorno fosse in un certo senso causa sua,
come se si fosse trovato di fronte a una lunga fila di tasselli del domino e
avesse accidentalmente fatto cadere il primo.
I due aguzzini lo legarono con
cinghie di cuoio alla sedia e gli restarono accanto, mentre gli altri due
uscirono. Nel giro di due minuti rientrarono accompagnate da due creature
simili a lucertole a sei zampe, con una pelle grigiastra e glabra, spruzzata di
macchioline scure, dalle cui bocche spuntavano dei piccoli aguzzi denti gialli.
Ad entrambi i lati della testa spuntavano rigide antenne simili a corna.
Erano Cragmiti. Indossavano le
stesse divise nere dei lombax.
- Desiderate farci compagnia,
quindi? - sogghignò uno dei nuovi arrivati con una nota divertita nella voce,
rivolto ad un settimo, del quale il prigioniero, anche allungando il collo, non
riusciva a vedere il volto.
- Abbiamo tutto il necessario,
qui, per farlo cantare. Non comprendo il vostro desiderio di assistere
all’interrogatorio del ribelle. – continuò il cragmita, lanciando una veloce
occhiata ad Alister. Il lombax notò un dettaglio che al momento non riuscì a
trovare inquietante: il cragmita cha aveva parlato aveva gli occhi di un
insolito color ceruleo, completamente diverso dal giallo acceso caratteristico
della sua specie.
- Non assistere Heanp,
partecipare. - fu la risposta. Alister sgranò gli occhi, sentendo quel nodo
alla gola serrarsi ulteriormente.
Quella voce….
- Comunque, continuo a sostenere
che tu abbia fatto fare ai tuoi uomini fatica inutile. Se è ancora il generale
che avete conosciuto durante la guerra, allora credo che sporcherai gli
attrezzi per nulla. -
La scarica di adrenalina rese il
lombax improvvisamente lucido. In un primo istante quella voce fece nascere in lui un vago lume di speranza.
Ma il suo tono, e la presenza dei
cragmiti lo soffocò immediatamente.
Il settimo elemento del gruppo
aveva indosso una divisa color avorio e rosso scuro con una coppia di strisce
rosse sulle maniche e sui lati dei pantaloni, che terminavano con delle ghette.
Colori della guardia pretoriana lombax. Aveva un bastone di legno consunto e un
cappotto color rosso scuro orlato di pelliccia bianca, infilato per un braccio
solo.
Era un lombax dall’aspetto
giovane, dalla pelliccia oro, le strisce marrone chiaro, e grandi occhi verdi.
Sul lato sinistro della faccia erano visibili una profonda escoriazione che
attraversava la parte finale del sopracciglio, il cui sangue ancora fresco
brillava alla luce delle lanterne, e una benda macchiata di sangue gli copriva
parte della guancia, sul lato destro era presente un unico, lungo taglio
orizzontale.
Non è possibile…
Non osservava quel volto, sapeva
che non avrebbe creduto ai suoi occhi. Ma quelle ferite… le conosceva.
Le aveva create lui stesso.
- Ratchet…? - soffiò Alister in
un filo di voce, incredulo. Il giovane lombax avanzò senza distogliere lo
sguardo dall’altro, facendo oscillare il bastone e passandolo da una mano
all’altra.
Nel suo portamento si leggevano
chiaramente la minaccia, ma nei suoi occhi si rifletteva un altro sentimento,
qualcosa che Alister, nel momento, non riuscì a scorgere.
Sei un’incosciente! Ti rendi
conto da che razza di avversari sei circondato?!
Si domandò il vecchio lombax, non
del tutto certo della situazione in cui si trovava, ma convinto di trovarsi di
fronte un alleato venuto ad aiutarlo.
Non credeva di sbagliarsi.
Che accidenti fai vestito
così?
- …“Maggiore Ratchet”
volevi dire? - lo corresse questi, gelido. Alister scrutò gli occhi verdi del
lombax con un’espressione dura, cercando un’ombra di falsità nel minaccioso
tono della sua voce.
Che diavolo ti è passato per
la testa? Non perdere tempo in sceneggiate, vattene! Te ne devi andare,
stupido! E’ pericoloso!
- Perché hai quell‘espressione
così sbalordita? - continuò il giovane, quasi sorridendo.
- ’Che diavolo stai facendo’
volevo aggiunge... - Il vecchio lombax non ebbe il tempo di finire la frase che
un colpo di bastone gli arrivò alla mascella, con forza tale da fargli sentire
in bocca il sapore del sangue.
D’accordo, illuminami. Cosa
diamine stai facendo? Pensò
in quell’istante.
- Io? Nulla. Eseguo gli ordini,
evidentemente. -
Ordini? Di chi?
Nella mente di Alister, suggerita
dalla presenza dei due cragmiti stava cominciando a delinearsi un ipotesi, ma
si rifiutava di accettarla. Non sarà che…
- Ordini di chi? -
- Qualcuno che che ora certamente
non potrai più ammazzare, visto che ti hanno finalmente sbattuto al fresco. -
- …’non potrai più ammazzare’?
non ricordo di aver ammazzato nessuno. - Quella frase lo fece ritrovare faccia
a faccia con l’altro, i volti a pochi centimetri di distanza fra loro.
- Ah, già. Per te quello era un
atto di giustizia, perché i lombax sono sottomessi a degli animali senza
cervello, è questo quello che pensi? - Alister faticava a seguirlo, il filo dei
suoi pensieri si era fissato su cinque parole:
Ordini. Omicidio. Cragmiti. Sottomissione.
Lombax.
Cos’è questa storia?…
Che stai facendo, Ratchet?
Ho ucciso qualcuno? Ma chi?
Quando?
E perché?
- Sottomessi ad animali senza
cervello? Non dire sciocchezze ragazzo, i lombax non sono sottomessi a nessuno.
- rispose. La frase venne accompagnata da fragorose risate provenienti dai due
cragmiti che osservavano, divertiti dalla confusione a malapena celata sul
volto del lombax. - Sentito? Adesso siamo Nessuno!
- sogghignò il cragmita dagli occhi cerulei, Heanp, suscitando altra ilarità. I
soldati sorrisero stupidamente. Ratchet sembrò irrigidirsi.
- Già… certo. - gli rispose. Si
voltò verso Alister.
- Quella che hai fatto è
probabilmente una sciocchezza dettata dalla rabbia, altrimenti ora non saresti
nelle nostre mani. - continuò - Mi complimento comunque, è stata una sciocchezza
fatta con gran stile. Ammazzare il nuovo governatore coloniale mandato
dall’impero al suo primo discorso deve aver fatto guadagnare parecchi punti a
voi ribelli. -
I lombax sono sottomessi a un
impero?
Era un indizio. Fissò i due
cragmiti: l’ipotesi assunse forma definita, e nella sua mente riaffiorarono
nuovamente quei vaghi ricordi, i ricordi della sua ultima battaglia, avvenuta
nella camera di Orvus, nel Grande Orologio, prima che si risvegliasse in quella
situazione.
La sua era una battaglia per
cambiare il corso degli eventi.
Una battaglia per cancellare la
più grande delle ingiustizie subite nella storia del suo popolo.
D’un tratto capì.
Oh per Orvus…
- Ora …- continuò l’altro -
…visto che sei qui, abbiamo un paio di domandine da farti. -