Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: editio    15/09/2012    2 recensioni
FF a quattro mani scritta in collaborazione con GiallodiMarte.
Abbiamo immaginato Maya e Masumi in un periodo e in una situazione diametralmente opposte a quelle della storia ufficiale... ma alcune cose non cambiano mai. O sì?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maya Kitajima
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22

Senza far rumore,
nella pianta di risso
s'insinua il bruco

(Hattori Ransetsu)

 

 

Jaydon Brodribb.

Non posso fare a meno di ripeterne il nome nella mente mentre rilasso le spalle contro lo schienale della poltrona, socchiudendo appena gli occhi come reazione istintiva alla sensazione di dover tenere alta la guardia di fronte a quell'uomo che nemmeno conosco. Devo ringraziare Talbot per questo, la sua imperscrutabilità e le sue parole sibilline sedute alla mia destra. Gli lancio uno sguardo di soppiatto, a sondare le sue emozioni. Pare non averne. È immobile, gli occhi fissi sulla sala, una mano alzata ad accarezzarsi distrattamente il mento coperto da una barba che un occhio disattento scambierebbe per poco amor proprio e scarsa cura di sé. Nessun giudizio potrebbe essere più sbagliato, tuttavia, poiché Talbot dimostra di riservare un'attenzione quasi maniacale allo stato della propria barba: ogni mattina della stessa lunghezza, ogni giorno così sfacciatamente indisponente nel proporsi con quel suo disordine apparente. Aspetta il calo del brusio in sala, e il momento magico in cui verrà sollevato il sipario sulla scena, esattamente come me. O quasi.

Jaydon Brodribb. Un attore rivelazione, istrionico e geniale, talmente perfetto nella costruzione di sé da sfiorare il manierismo. Così lo ha definito Talbot il giorno in cui mi ha invitato ad assistere allo spettacolo che lo vede protagonista, senza che io capissi esattamente quale parte dovesse rivestire per me tutta la vicenda. Doveva assolutamente assistere a una sua rappresentazione, e io avrei dovuto, altrettanto assolutamente, accompagnarlo. Nessuna spiegazione, nessuna delucidazione del perché io, e non altri. La cosa di per sé non mi avrebbe creato alcun problema, e non mi sarei posto alcuna domanda se non avessi assistito all'improvvisa allucinazione del suo sguardo, all'euforia a stento trattenuta che gli alterava i lineamenti e i gesti. Lo stesso effetto aveva avuto su di lui il balletto al quale avevamo assistito a Vienna, Coppelia: era stato velocissimo a passare da un momento di esaltazione a una cupa riflessione, causata, da quello che ero riuscito a intuire, dall'effetto che aveva avuto su di lui l'idea di una bambola meccanica. Mi aveva detto di prestare attenzione, e di ricordare bene quei movimenti e quelle sensazioni, perché mi sarebbero tornate utili, molto utili, un giorno. Ha dei progetti su di me, questo mi è chiaro. Di quali siano però non mi ha ancora reso partecipe, non del tutto almeno, e non chiaramente. E ora questo attore catapultato all'improvviso sotto le luci della ribalta, del quale Talbot parla con la stessa curiosa esaltazione e aspettativa, e a causa del quale intuisco la presenza di un qualche pericolo, che nulla ha a che vedere con il fatto che Jaydon Brodribb lavori nella compagnia teatrale di Mr. Morris, il cui mecenate è nientedimeno che quel bastardo di Hendrick.

Non posso evitare ai miei occhi di alzarsi verso la balconata alla mia sinistra, dove una donna bionda e altera si è chinata leggermente verso l'uomo seduto al suo fianco, per sussurrargli qualcosa schermata da un ventaglio. Ma non è lei che cerco; sebbene possa intuire chi sia, e la cosa mi faccia male, non m'interessa. È l'altra donna seduta a quel balcone che mi ha fatto voltare lo sguardo, la ragazza dal volto inconfondibile che ho cercato tra la folla nel momento stesso in cui ho messo piede al Soho Theatre questa sera. Lady Kitajima è splendida nel suo vestito di un porpora scuro, i capelli raccolti in un'acconciatura elaborata, lo sguardo serio sotto le ciglia che ricordo lunghissime intento a scorrere il programma dello spettacolo. Immagino come debba sentirsi in questo momento: il gesto folle di Ash, un matrimonio al quale è impossibile sottrarsi, l'ipocrisia che la costringe a mostrarsi in pubblico accompagnata probabilmente dalle ultime persone che vorrebbe avere al fianco in questo momento. Mi sento impotente, e frustrato. Vorrei averla accanto, e allo stesso tempo desidero che si allontani dalla mia vista, vorrei che svanisse con un battito di quelle sue ciglia lunghe e folte, portandosi via possibilmente il ricordo di ogni parola, ogni incontro, ogni gesto che mi hanno fatto inconsapevolmente e irreparabilmente innamorare di lei. Sento il brusio in sala affievolirsi, vedo il volto di lei confondersi nella penombra. Incrocio velocemente lo sguardo di Talbot e riporto l'attenzione sul palcoscenico. Il mio incontro con Jaydon Brodribb è imminente. Le porte di Casa di Bambola stanno per aprirsi a Londra.

 

Non so da quanto tempo sia iniziato il primo atto, ho perso completamente ogni cognizione temporale. Sono ammaliato, coinvolto, incredulo, partecipe. Jaydon/Helmer è straordinario. Ti cattura all'istante, è impossibile restare indifferenti di fronte alla sua personalità dirompente che travalica la scena e gli spazi, è impossibile non ammirarlo, non invidiarlo. La scena è tutta sua, ruba gli spazi, s'impone semplicemente con la sua presenza. Potrebbe restare muto, e gli occhi di tutti resterebbero comunque incatenati alla sua persona. Piccoli brividi mi corrono lungo la spina dorsale, e inizio a sentire freddo. Il tempo scorre, gli atti si susseguono, le battute si alternano. Io sono sempre immobile, e una nuova consapevolezza s'affaccia lentamente in me. Nora... Maya...

 

«NORA: Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. E io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli...Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!

TORVALD: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme...

NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.

TORVALD: Ma io ho la forza di diventare un altro.

NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola.»

 

Dio... alzo nuovamente lo sguardo a cercare Lady Kitajima, Maya, la mia Maya che non sarà mai mia e questa volta trovo i suoi occhi. Nessuno dei due sembra sorpreso di incontrare lo sguardo dell'altro, e nemmeno imbarazzato. Rimaniamo semplicemente così, a guardarci per un attimo che mi sembra eterno, durante il quale mi passano davanti le immagini di Lord Ash, di Edmund, di lei, dei miei sogni. La vedo muovere le labbra, sembra mormorare qualcosa. Mi piace illudermi, e credere che stia sussurrando il mio nome. Maya...

Distoglie lo sguardo, e mi accorgo che ora è la donna accanto a lei, la contessa, la madre di Edmund, a fissarmi. Chino il capo e riporto l'attenzione sulla scena, del tutto frastornato. Mai come in questo momento, e per più di un motivo, vorrei che lo spettacolo giungesse alla sua conclusione.

«Sì... È perfetto... È lui...»

Le parole di Talbot sono appena un sussurro tra gli scrosci del plauso del pubblico in sala, ma alle mie orecchie giungono nitide, forti e allarmanti. Di nuovo quello sguardo allucinato, inchiodato al palcoscenico, di nuovo quel serrare della mascella e dei pugni intorno alle dita nude.

«Talbot!»

«Hai trovato pane per i tuoi denti Masumi, ora dovrai impegnarti come non mai... Sì... è così che deve andare... la mia opera... il mio sogno... sì...»

«Talbot?» ma lui sembra non sentirmi, così gli poso una mano sul braccio, per attirare la sua attenzione. «Talbot guardatemi! Di cosa state parlando? Cos'è che deve andare in questo modo?»

«Andiamo Masumi. Devo conoscere di persona Helmer, e lo devi fare anche tu.»

Si è ripreso in un attimo, si alza di scatto e senza alcuna spiegazione inizia a farsi largo tra la folla, bloccata dai convenevoli e dallo scambio delle prime impressioni della serata, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere, o di reagire. Mi affretto a seguirlo lungo la sala e attraverso i corridoi, sembra conoscere il teatro molto bene; continua a parlare ma mi arrivano solo poche parole delle farneticazioni di cui sembra essere preda. Raggiungiamo i camerini e lo vedo scegliere a colpo sicuro una porta sulla quale batte due nocche forti e sicure.

«Mary sei tu? È aperto, entra pure.»

Talbot non si preoccupa di manifestare la propria identità. Mette mano senza esitazione alla maniglia e apre l'uscio. Brodribb è seduto alla toeletta, si sta togliendo il trucco di scena passandosi un fazzoletto inumidito sulla pelle del viso. Socchiude appena gli occhi per lanciarci un'occhiata distratta attraverso lo specchio, e quando si accorge che nessuno di noi è Mary si blocca con il fazzoletto ancora premuto sul collo e ci punta addosso due occhi intelligenti, freddi e calcolatori.

«E voi chi siete?»

«Perdonate l'intrusione e il disturbo, Mr. Brodribb. Mi chiamo Lawrence Talbot e...»

Nel sentir pronunciare quel nome Brodribb cambia immediatamente espressione. Il suo sguardo si fa curioso, sorpreso e interessato.

«So chi siete, Mr. Talbot. Ora vi ho riconosciuto. È un onore per me fare la vostra conoscenza.»

Si sporge un poco, cercando il mio viso. Vedo la sua espressione mutare per la terza volta in pochi minuti.

«Ed è un onore conoscere anche voi, Mr. Hayami.»

Spalanco gli occhi, colto di sorpresa. Quest'uomo mi conosce? Vedo Talbot accennare un sorriso, ma lo nasconde in fretta, e troppo bene.

«Mi conoscete?»

«Non potrei non farlo. Sono un attore anch'io, e so riconoscere il talento. Senza contare il fatto che non è cosa di tutti i giorni incontrare un giapponese a Londra.»

Il mio volto deve aver assunto un'espressione alquanto sospettosa, perché Brodribb si alza dalla poltroncina, affrettandosi a giustificare le proprie parole.

«Vi chiedo scusa Mr. Hayami, non intendevo essere sgarbato.» Lo dice con tono dimesso, prima di rivolgere l'attenzione a Talbot e riprendere il discorso. «La verità è che sono un vostro ammiratore, Mr. Talbot, e mi sarebbe davvero piaciuto entrare a far parte della vostra compagnia. Ne sarei stato orgoglioso, e onorato. Ho assistito con vero piacere ai vostri spettacoli, ogni qualvolta mi è stato possibile farlo. Ho studiato anch'io il teatro shakespeariano, ma non mi bastava più. Volevo qualcosa di diverso, e Mr. Morris me ne ha data l'occasione. Ed è stato durante il corso di uno di questi spettacoli che ho notato voi, Mr. Hayami» accompagna le parole con un gesto teatrale e garbato della mano, indicandomi appena, e capisco cosa Talbot intendesse con “manierismo”. «Mi avete sorpreso, confuso. Al punto da chiedere informazioni su di voi, così da rimanere ulteriormente colpito dal vostro talento.»

«Curioso, Mr. Brodribb, siamo venuti a cercarvi in camerino per complimentarci con voi, e finora gli unici complimenti sono usciti dalle vostre labbra.» Penso che per quanto mi riguarda “cercarvi” non è esattamente il termine più adatto. Se fossi stato io a parlare, al posto di Talbot, avrei omesso volentieri quel particolare.

Brodribb accenna un sorriso, ma non c'è traccia di modestia sul suo volto. Al contrario, mostra sicurezza e una dose generosa di compiacimento mentre Talbot continua.

«Siete straordinario, sul serio. Mi avete colpito, profondamente. È difficile che un attore riesca a coinvolgermi a tal punto nella sua recitazione. Di norma colgo all'istante solo i difetti, non che in voi non ve ne siano, per certi versi siete ancora piuttosto acerbo, ma siete un soggetto interessante e molto, molto promettente. Ma credo che di questo siate perfettamente cosciente anche voi.»

Brodribb china il capo, mostrando di accettare complimenti e critiche in egual misura. Jaydon attore mi affascina incommensurabilmente, suscitando in me uno spirito di competizione che raramente mi ero accorto di provare. Sul Jaydon uomo invece mi rendo conto di avere ancora parecchie riserve. Non riesco a definirlo, non riesco ad afferrarlo. Mi limito ad osservare.

«Le vostre parole mi fanno onore, Mr. Talbot. Sarei oltremodo onorato di discutere più approfonditamente con voi riguardo ai miei difetti, e su come migliorarli.»

«Questo compito non spetta a me, non più.» Talbot volta repentinamente il capo, sondando incuriosito il camerino. «Volevo chiedervi di entrare a far parte della mia compagnia, ma avete già risposto alla mia domanda prima ancora che ve la porgessi. Ad ogni modo, è meglio così, continuate per la vostra strada. Se ho visto giusto, come mi auguro che sia, vi porterà lontano. E quando sarete pronto, tornerete da me. Oh sì, eccome se tornerete!»

Non so cosa rispondere all'alzata di sopracciglia con la quale mi interroga Brodribb, mi limito a ricambiarne lo sguardo, incuriosito quanto lui.

«Conosco le storie che si raccontano su una misteriosa opera fantasma, un’opera fantastica, all'avanguardia. Vi riferite a questo, Mr. Talbot? È la vostra opera misteriosa ciò di cui stiamo parlando?»

Talbot sorride, e io provo apprensione.

«È così dunque. Non è un caso che abbiate accettato nella vostra compagnia un attore senza alcuna preparazione specifica come Mr. Hayami, non è vero? Avete visto il suo talento, libero da ogni preconcetto e impostazione.» Brodribb si prende una breve pausa, durante la quale socchiude appena gli occhi, come a valutare un qualche pensiero. «Ci rivedremo Mr. Talbot, ci potete giurare.» Poi si rivolge a me, e allunga una mano, con determinazione e rispetto. «Aspetterò a anche voi, Mr. Hayami, le nostre strade si incroceranno di nuovo, e presto.»

Sento tutti i miei timori materializzarsi all'istante nella stretta ferrea che unisce la mia mano a quella di Brodribb. Non so dire se i miei occhi contengano la stessa luce di malcelata sfida presente nei suoi, ma non abbasso lo sguardo, non l'ho mai fatto. Assistere al suo spettacolo, questa sera, è stata la migliore opportunità che mai mi sia stata offerta. Lancio uno sguardo a Talbot, e ormai non nutro più alcun dubbio. Tutto si è svolto esattamente come il mio maestro aveva previsto nelle sue geniali e folli farneticazioni.

«Vi chiedo solo di coinvolgermi ancora come avete fatto durante lo spettacolo di questa sera, Mr. Brodribb.»

«Ma che diavolo sta succedendo là fuori?»

Talbot aggrotta un poco le sopracciglia interrompendo bruscamente il discorso, e oltrepassa la porta, incuriosito e attento. Lo seguo, e noto il movimento affrettato di alcuni operai, in tutta probabilità macchinisti. Due di loro corrono nella nostra direzione, e alle loro urla, mi gelo.

«Presto, allontanatevi. Via di qui. È scoppiato un incendio in sala, veloci!»

Maya! Mi affretto lungo il corridoio per raggiungere le scale che portano alle balconate, ma Brodribb mi afferra per un braccio, costringendomi a fermare la corsa.

«Non di là, prendiamo l'uscita posteriore. È più vicina e più sicura.»

Mi strattona con forza, impedendomi di liberarmi dalla sua morsa.

«Lasciatemi andare, devo raggiungere una persona.»

Talbot mi afferra una spalla, e mi costringe a voltarmi per fissarlo bene in volto.

«Ha ragione lui Masumi, la gente starà già sfollando, non ha senso rischiare per qualcuno che molto probabilmente è già in salvo. Andiamo, non essere sciocco.»

Stringo i denti, e mi accingo a cedere, quando un'ombra color porpora scuro passa velocemente nell'angolo della mia visuale. Un lampo e non la vedo più. C'è molta gente, i movimenti sono frenetici, scomposti.

«Dov'è l'uscita, Brodribb?»

«Andiamo Mr. Hayami, non possiamo restare qui ancora a lungo.»

Ha alzato la voce, ma la alzo anch'io. Sto urlando, in preda all'ansia.

«Dov'è l'uscita? Ditemi che direzione devo prendere per raggiungere l'uscita!»

Rassegnato mi dà le indicazioni necessarie, e io prendo velocemente la direzione opposta a quella del mio rivale, e del mio maestro. Devo raggiungere la sala, devo raggiungere Maya. Era lei l'ombra che ho visto passare, ne sono sicuro e devo trovarla. Percorro i corridoi, uno dopo l'altro. Ricordo perfettamente il percorso fatto al seguito di Talbot per raggiungere i camerini dalla sala. Ma di Maya nemmeno l'ombra. Devo stare attento, alcuni uomini stanno lavorando alacremente per porre al riparo macchinari e limitare il più possibile i danni, altri fuggono, altri ancora danno ordini incomprensibili nel panico generale. Non la vedo da nessuna parte. Devo cercare una macchia di colore, era lei, sono sicuro. Raggiungo una saletta di collegamento, e la vedo. Accostata al muro, gli occhi grandi e impauriti, cerca di farsi largo nella direzione opposta a quella presa dalla folla. Non capisco cosa stia cercando di fare, ma sono molto più alto di lei, più forte, e riesco a muovermi meglio e a farmi largo tra le persone in preda al panico, fino a raggiungerla.

«Lady Kitajima!»

Urlo il suo nome e lei si volta, mi vede. Cerca di venirmi incontro, è spaventata. Non le danno possibilità di movimento e lei viene schiacciata nuovamente contro il muro, una volta, poi un'altra. L'afferro e la stringo forte al mio petto, proteggendola.

«Mr. Hayami! Dobbiamo uscire da qui, è scoppiato un incendio, in sala non si respira, io non riesco a muovermi...»

« Lo so, lo so. State bene? Siete ferita?»

Stringe i pugni sul mio petto, afferrandomi con forza il bavero della marsina.

«Sto bene, ma mi hanno imprigionata in questo punto, non riesco ad avanzare. Voi state bene, vero? Non siete ferito?»

C'è apprensione nella sua voce e ha gli occhi lucidi. La stringo più forte.

«Sto bene, adesso dobbiamo pensare solo a come uscire di qui.» Mi chino verso il suo orecchio, sussurrandole le parole un po' per calmarla, un po' per sentirla ancora più vicina, un po' perché capisca bene ciò che sto per dirle. «Sopportate il mio abbraccio ancora un poco, voglio solo proteggervi. Se doveste cadere a terra, cadrei con voi, e sarebbe la fine. Verremmo calpestati, e in quel caso difficilmente riusciremmo ad uscire da questo teatro. Fra poco vi prenderò per mano, e inizieremo a muoverci lungo il muro, verso una porta che si trova esattamente di fronte a voi. Da lì prenderemo la strada verso l'uscita posteriore, c'è meno movimento da quella parte, e saremo fuori. Avete capito bene cosa vi ho detto?»

Accenna un sì contro il mio petto, e io la stringo ancora più forte. Si aggrappa a me.

«Ora Milady, andiamo!»

Le afferro la mano e lei me la tiene stretta, appoggiandosi a me. Ci muoviamo lentamente, lungo il muro, stretti l'uno all'altra. Riusciamo a raggiungere il corridoio laterale, e l'aria si fa meno densa, meno opprimente.

«Seguitemi Milady, da questa parte.»

Corriamo lungo il corridoio, la precedo, senza mai abbandonare la sua piccola mano serrata con forza nella mia. Raggiunta l'uscita liberiamo entrambi un sospiro di sollievo, e iniziamo a respirare a pieni polmoni, allentando la tensione, sollevati.

Ci scambiamo un sorriso imbarazzato, e le lascio andare la mano. Non riesco a comprendere se si senta dispiaciuta o sollevata dal mio gesto. In silenzio ci incamminiamo per aggirare il teatro e raggiungere l'entrata principale, il punto di ritrovo, le carrozze.

«ありがとう,はやみ先生。もし あなたが私を急いで助けてくれなかったら,どうなっていたことか»

Mi fermo e fisso il suo bel volto con stupore e riconoscenza. Tiene gli occhi bassi, e mi rivolge un breve sorriso imbarazzato.

«以前は,決して,こんなことしなかった。どうか何か言って»

«日本語を最後に使ったのは,とても昔の事なの。だから,間違えるのが怖いのよ»1

Sento una tenerezza infinita allargare il mio petto, e senza nemmeno pensare, le afferro la mano, e la stringo nuovamente a me. Respiro l'odore del fumo imprigionato fra i suoi capelli, la pelle e l'abito strapazzato, le ciocche scomposte della sua elaborata acconciatura ormai distrutta mi solleticano la pelle, ma non ho mai sentito niente di così piacevole. Lei non si ribella, non dice nulla. Poi, inaspettatamente, ricambia il mio abbraccio.

«Mi sento così perduta signor Hayami, così vulnerabile... non sono una signora, non è vero? Una signora non si comporterebbe come me...»

La scosto un poco, e le asciugo con delicatezza una lacrima che aveva iniziato a fare capolino tra le ciglia.

«Non ho mai conosciuto una donna come voi, Lady Kitajima. Mai, in tutta la mia vita.»

«Nora... Io...»

L'abbraccio nuovamente, forte, per trasmetterle tutta la mia ammirazione, la mia comprensione, il mio amore. Questo pensiero improvviso mi fa tornare alla realtà, e faccio forza su me stesso per sciogliermi dal suo abbraccio, e riprendere le distanze.

«Dobbiamo trovare i conti, Milady. Dovete tornare a casa.»

Mi fissa con occhi sgranati, come se anche lei avesse subito improvvisamente un brusco risveglio nella realtà.

«Sì...»

Riprendiamo a muoverci, imbarazzati entrambi. Camminiamo lentamente, e il silenzio inizia a farsi pesante. Mi schiarisco un poco la voce.

«Se posso chiedervelo, cosa ci facevate dietro le quinte del teatro? Perché non siete scappata come tutti gli altri verso l'uscita principale?»

Anche al buio la vedo arrossire. Ci pensa un poco, indecisa se rispondere o no.

«Cercavo... Lawrence. Lo avevo visto dirigersi verso il retro del teatro ed ero preoccupata per lui.»

La fisso sbalordito.

«Però per favore Mr. Hayami, non parliamone più. Vi prego...»

Alza su di me due occhi imploranti, e io mi sento improvvisamente svuotato. Non sono sicuro se per l'ammirazione, la gelosia, il senso di struggimento che la sua presenza mi provoca, o semplicemente perché all'improvviso mi sento stanchissimo.

«Lawrence!»

Seguo il suo sguardo e vedo il mio amico palesemente in apprensione correre veloce nella nostra direzione. Abbraccia Lady Kitajima, visibilmente sollevato.

«Maya, siete salva. Dio sia lodato. Nessuno sapeva darmi vostre notizie, mi sono sentito morire.»

«Sto bene Lawrence, Mr. Hayami mi ha protetta e mi ha portata qui fuori. Se non mi avesse notata, non so cosa ne sarebbe di me adesso.»

Lord Ash mi lancia uno sguardo colmo di riconoscenza, e lascia andare un sospiro di sollievo e, stranamente, direi quasi di rassegnazione.

«Non so davvero come ringraziarvi, Hayami. Vi sono debitore, un'altra volta.»

Gli poso una mano sulla spalla, non servono parole fra noi. Non in questo momento.

«Andiamo Maya, vi accompagno a casa.»

Stringo più forte la mano sulla sua spalla, con fermezza.

«No Ash. Lady Kitajima deve trovare i suoi futuri suoceri, e tornare con loro.»

«Mr. Hayami ha ragione, Lawrence. Non incrinate ancora di più la vostra posizione, e la mia. So che vi costa fatica, so che vorreste proteggermi ad ogni costo, ma non è questo il modo migliore, lo sapete anche voi.»

Ash scuote la testa e serra forte la mascella, fissando un punto lontano, perso nel buio.

«Accompagnatela voi Hayami. Per favore.»

Porgo il braccio a Lady Kitajima, e con apprensione, imbarazzo e una leggera malinconia, ci avviamo a cercare una carrozza che nessuno di noi vorrebbe trovare.

 

 

1 «Grazie Mr. Hayami. Non so cosa ne sarebbe stato di me se non foste accorso in mio aiuto.»

«Non l'avevate mai fatto prima. Dite ancora qualcos'altro, vi prego.»

«È trascorso tanto tempo dall'ultima volta che ho usato questa lingua. Ho paura di sbagliare.»

 

  
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