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Autore: lalla    11/06/2004    5 recensioni
[Via col Vento]
Potrebbe sembrare strano che lo abbia scelto come fonte di ispirazione, perchè, amando da morire la cultura afroamericana, non si può amare questo film spudoratamente razzista. Eppure, ho voluto provarci. Un'ultima cosa: Russell Crowe non c'entra niente, questa volta. Crow sta per Cornacchia ed era il nomignolo con cui i bianchi razzisti del Sud dileggiavano i neri.(Via col vento)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA CAMELIA BIANCA

DOCTOR CROW

Premessa: se “Il Gladiatore” è un film che amo moltissimo, “Via col vento” rappresenta invece un’opera per la quale nutro un’avversione viscerale. Del resto, chi come me ama la cultura afroamericana non può pensarla diversamente, a proposito di un film (e di un libro) grondante nostalgia per un mondo dove i neri erano considerati “cose” , in cui gli stessi sono rappresentati come dei poveri deficienti e l’eroina è una borghesuccia viziata per la quale mi è difficile provare simpatia .Un paio di appunti: non sembri strano che il protagonista, giovanissimo, sia già medico. Nel secolo scorso, le cose andavano diversamente da adesso, anche perché la formazione superiore intesa com’è attualmente non esisteva. Crow non c’entra niente con il mio grande amore cinematografico. In realtà, sta per cornacchia ed era il nomignolo insolente che la “ brava gente” del Sud appioppava ai neri, specie a quelli che “non volevano stare al loro posto” vale a dire erano ambiziosi e desideravano elevarsi anche grazie alla cultura.

Dai tempo al tempo Rossella. Quante volte se l'era detto da sé sola, quando lui partiva per quei viaggi di cui si sapeva la data della partenza e quella del rientro era incerta?L'aveva aspettato senza perdere la pazienza, quando se n'era andato sbattendo la porta, stanco, lui, un uomo fatto, dei suoi capricci da ragazzina viziata.Ma il tempo era rotolato come un sasso lungo una discesa, da quel giorno: era stato amore, ma anche parole che non si sarebbero mai volute dire, di quelle che scolpiscono un segno profondo, dentro il cuore, e lui non era uomo capace di dimenticare il male ricevuto.

"Sono cambiata, non sono più la stessa di vent'anni fa. "E come metterlo in dubbio?Era passata attraverso due matrimoni, altrettante vedovanze, una guerra, la miseria, l'abbandono, il dolore.Non fosse morta in quel modo, la piccola Diletta sarebbe stata ormai una bella signorina e avrebbe avuto il mondo ai piedi. Il ricordo di Diletta le lacerava ancora il cuore, nonostante gli anni trascorsi, nonostante, in qualche modo, Dio gliel'avesse restituita nella piccola Kitty, figlia dell'amore anche lei, figlia di quello stesso uomo che era stato capace di adorarla e di odiarla, d'innalzarla e di calpestarla, di dedicarle la vita e di umiliarla, quasi avesse avuto a che fare non con una signora ma con qualcuna delle sgualdrine che non aveva mai smesso di frequentare.

Avevano cambiato città, e forse la gente non sapeva di loro. O, anche se sapeva, faceva finta di niente: New Orleans non era Atlanta, la pettegola, provinciale, bigotta Atlanta, e poi si sarebbero sposati, occorreva solo avere un pochino di pazienza, aspettare che gli affari si mettessero in sesto, e quando mai non lo erano stati, aspettare che la nuova fabbrica producesse a pieno regime, che le commissioni fioccassero, che i viaggi, quegli interminabili viaggi in giro per il mondo, quei viaggi misteriosi a proposito dei quali non le raccontava mai abbastanza, quelle lunghe assenze punteggiate da telegrammi e lettere che sarebbero dovute essere rassicuranti e non lo erano, avessero finalmente avuto termine. Aspettare, aspettare.Intanto i sorrisi dei vicini cominciavano,anche a New Orleans,a farsi ironici :era una mantenuta,niente di diverso dalle belle mulatte di Rampart Street nei loro abiti chiassosi e nei loro gioielli pacchiani,oggetto d'ironia e di commiserazione,e la piccola Kitty era…Non osava nemmeno pensarle, quella parola volgare: una bastarda. Gliel’avrebbero gridato dietro tutti, sibilato alle spalle le compagne di scuola, fatto pesare con uno sguardo di pietà ipocrita perfino le sue istitutrici. Niente era in grado di difenderla da una simile maledizione. E presto avrebbe iniziato con le domande imbarazzanti, a sei anni era molto più matura e precoce delle sue coetanee.

Eh già,corre,il tempo,veloce come un grosso sasso che rotoli giù per una discesa.Io trentasette,lui più di cinquanta,sei la bambina...Le carezzò la testa,e lei strillò,quando uno dei suoi corti riccioli scuri rimase impigliato nel castone dell'anello.Erano ricresciuti ricci e ribelli,dopo che la malattia glieli aveva fatti cadere, cresciuti in fretta e più belli di prima, grossi, folti e accesi da riflessi rossicci,come il mantello dei cavalli bai. Era la madre, ma avrebbe potuto affermarlo anche un estraneo: Kitty era proprio una bella bambina anche se la malattia le aveva lasciato quei riccioli corti da maschietto e occhiaie livide sopra la pelle bianca della faccia.Il peggio è passato,l'aveva rassicurata il dottor Wharton,ma Rossella faceva fatica a crederlo.La bambina era troppo pallida e magra,per essere davvero guarita:sguazzava dentro i vestiti,ti guardava con quegli occhi tristi da vecchietta,aveva perso l'appetito e la vivacità che l'avevano sempre contraddistinta,per diventare abulica e sonnacchiosa come un vecchio cane.Forse neppure il medico di famiglia ne capiva nulla o forse,peggio,aveva capito benissimo quale fosse la situazione,e preferiva tacere.E Rossella trasaliva, paventando l'irrimediabile,ad ogni minimo colpo di tosse,quale che ne fosse la causa.Se anche Kitty,Dio non avesse voluto...Aveva trentasette anni,e per mettere al mondo la sua ultima creatura s'era quasi ammazzata.Nel caso fosse accaduto l'irrimediabile,cercare la magra consolazione di un altro figlio sarebbe stato impossibile,i medici le avevano parlato con estrema franchezza. Allora il filo che l'univa a Rhett si sarebbe definitivamente spezzato e,di tutte quelle che credeva certezze,una sola sarebbe rimasta in piedi:era stata una pessima madre,frivola e distratta,una donna incapace di amare chicchessia,neppure i figli che aveva messo al mondo: Wade e Annabelle,frutto il primo di un matrimonio per dispetto con un ragazzino e la seconda di un matrimonio d'interesse con un vecchio,si facevano vivi con lei solo a Natale per inviarle,dai collegi che frequentavano,brevi e formali messaggi di augurio.Diletta non c'era più, e Kitty...La strinse a sé ,forte.Non avrebbe permesso che le accadesse nulla di male,avrebbe lottato con le unghie e coi denti per...Rifiutò il pensiero di quell'evenienza,col suo amore disperato di madre capace di ricusare ogni logica.Ma stringendosi contro la piccola,sentiva le ossa sporgere troppo sotto la vestina da casa,il fremito leggero della pelle e il tepore maligno di quella febbriciattola maledetta che non voleva saperne d'andarsene. Lotterò,si ripromise,lotterò con tutte le mie forze,non chiuderò occhio e pregherò tutta la notte,smuoverò anche le montagne,se sarà necessario.Un paio di giorni prima,Prissy le aveva parlato di un giovane medico,arrivato fresco fresco dal Nord."E' bravo,dicono".C'era da credere alle stupide chiacchiere di un serva pettegola?Forse che il vecchio dottor Wharton,il medico di famiglia,non era bravo abbastanza?"E'bravo,dicono".Già. E viene dal Nord:sarebbe mai venuta qualcosa di buono,dal Nord?Qualcosa di diverso da ladri,profittatori,soldati blu ubriachi,con la Reminghton stretta in pugno e un ghigno osceno a storcergli la bocca?

*

-Il dottor Butler, Miz Rossella.

Non voleva credere ai suoi occhi,né le fu facile reprimere la tentazione di prendere a schiaffi la faccia nera e impudente di Prissy. Dunque,quello sarebbe stato il luminare calato dal Nord per ridare la salute alla piccola Kitty?Dove non era riuscito un professionista di nome,un gentiluomo come il dottor Wharton,sarebbe riuscito quel...quell'individuo vestito come un vaccaro texano,che ostentava amuleti pellerossa al collo e ai polsi e che...Dio mio,ma dove l'aveva pescato,quella stupida di Prissy?In qualche santeria del Vieux Carrè?

-Dottor Butler.Wade Gabriel Butler,per servirvi,Madame.

La voce era bassa e rauca,l'accento quello duro del Nord. Wade,come suo figlio.Non doveva essere molto più vecchio di lui. Butler,come l'uomo che non aveva mai smesso di considerare,aldilà del fatto che legalmente non lo fosse,suo marito.Forse era uno dei tanti bastardi che Rhett doveva aver seminato in giro,anche se era impossibile individuare qualsiasi somiglianza fra i due.Eppoi Butler era un cognome abbastanza comune,si disse da sé sola, e sapeva che era per consolarsi.

-Harvard,1878.Sono un dottore vero, madame, non uno stregone.

Wade come suo figlio.Gabriel,come il più bello degli arcangeli.I capelli corti,a ricci serrati,erano del nero più nero che le fosse mai capitato di vedere.Gli occhi,grandi e nerissimi anch'essi,facevano pensare a quelli di un giovane cervo.Aveva le guance magre,il mento ben modellato,segnato da una leggera fossetta.La bocca era forse un tantino troppo larga,la punta del naso appena schiacciata,ma era inevitabile,in lui,che tali fossero.Doveva essere stato un bambino bellissimo,non c'era da stupirsi che sua madre l'avesse battezzato col nome di un angelo.

-La paziente?Miss Prissy mi ha parlato di una bambina.

"Miss Prissy...Una stupida negra.Miss Prissy,ma guarda un po’...e un medico color del cacao.Che razza di mondo mi tocca vedere..."pensava Rossella,evitando di guardarlo in faccia. Gliel'avrebbe pagata,e cara,quella stupida.Miss Prissy, ma guarda un po'.

-Ha avuto il tifo,questa bambina?

Mentre parlava,i denti gli balenavano,candidi fra il roseo livido e screpolato delle labbra spesse,grandi,ferini quasi,in singolare contrasto con la dolcezza dello sguardo.

-I capelli,già..Una signorina della sua età dovrebbe portarli lunghi. Ricresceranno,comunque,e più belli di prima.Quanti anni ha,questa bambina?Otto?

-Sei e mezzo.E'... altina,per la sua età.

Avrebbe voluto gridare a Prissy di farsi gli affari suoi,di non immischiarsi in faccende che non li riguardavano,lei e quel ciarlatano nero,ma una rabbia impotente le teneva dentro tutto quello che avrebbe voluto urlare.

-E'molto pallida.Miss Prissy mi ha riferito che è stata salassata.Chi è il vostro medico curante,Madame?

-Il dottor Wharton.Un gentiluomo.

Un sorrisetto fugace illuminò per un istante la bella faccia del Dottor Cornacchia.Aveva un profilo nobile, notò Rossella.E un corpo magnifico,sotto gli abiti dimessi:gambe lunghe e snelle,spalle poderose.

-Mi sembra di vederlo:un vecchio signore con i capelli grigi,il pizzo,gli occhiali a stringinaso... Rigorosamente bianco,suppongo.Sarebbe ora che imparaste a guardare aldilà delle apparenze,Mrs O’Hara.

-Io non permetto che...

-I miei consigli sono disinteressati,ci crediate o no.Mi rendo conto che sbandierare una laurea in medicina conseguita ad Harvard a ventitré anni soltanto,con voi sarebbe tempo e fiato sprecato. Beh,il massimo che ci si possa aspettare da un negro è che pulisca le scarpe alla stazione …Eppure sarebbe sufficiente il buonsenso di un lustrascarpe per capire-e abbassò il tono della voce-che quel macellaio non sta facendo niente di buono,alla vostra bambina:da una nanigo bruja di Congo Square avrebbe ricevuto meno danni.

Che cosa stava insinuando,adesso,quel maledetto negro?Che era una cattiva madre,lei che si era consumata gli occhi a piangere e le ginocchia a pregare,per la sua bambina che non voleva guarire?Cosa ne sapeva,della sua pena per le lacrime di Kitty davanti ai piatti di brodo insapore e di riso scondito,davanti ai barattoli di vetro pieni di quelle orribili sanguisughe,davanti ai bisturi del flebotomo che avrebbero aperto per l'ennesima volta le sue piccole vene?Quante volte s'era dovuta far forza per rimproverarla,quando pestava i piedi per non lasciarsi curare,quando voleva andare a giocare in giardino e non poteva,quando si vedeva negare i cibi che le piacevano e propinare quel solito riso scondito e quel solito brodo insapore?

-Miss Prissy mi ha raccontato tutto quanto, Madame.L'inappetenza della bambina,quel pallore,quella febbriciattola...Non ha niente di ciò che temete,stenta solo a riprendersi,perché di aria,sole e cibo buono che ha bisogno,non di assurdi regimi dietetici e men che meno di salassi.Si rimetterà in fretta,allora,e tornerà ad essere quella di prima.Vi costa tanta fatica crederci?Eppure,a quel Wharton che la stava rovinando avete creduto.

Rossella dovette morsicarsi la bocca per non rispondergli male:era difficile credere che potesse aver ragione,uno come lui,uno dal quale al massimo ci si aspetta che lustri gli stivali dei bianchi o svuoti i loro orinatoi o,tutt'al più,che si occupi di qualche animale malato,cercando di curarlo con amuleti,scongiuri e formule magiche,non di una bambina

come la sua Kitty. Già,era terribilmente difficile ammettere che potesse anche aver ragione.

-Guardatemi,Madame,e cercate di non vedere un negro,ma un medico capace al quale sta a cuore la salute dei suoi pazienti e, naturalmente,della vostra bambina.Miss Prissy mi ha portato da voi perché vi vuole bene...

-Prissy è una stupida.

-Avete ragione.E'proprio da stupidi provare amore per chi non merita niente.

Il suo sguardo vellutato,profondo come un pozzo,tagliava come una lama di coltello.La fissò negli occhi,costringendola ad abbassarli a terra,per la prima volta in vita sua.Proprio una bella faccia di bronzo:nemmeno Rhett l'aveva mai umiliata così.

-Non ho più niente da dirvi...Dottore. Andatevene.

Lui si allontanò ,le spalle dritte,la testa alta,la figura elegante da danzatore.Era alto quasi come Rhett,pensava Rossella,e aveva spalle ancora più larghe e fianchi ancora più magri.

-Cercate di farle prendere qualche cucchiaio d' olio di fegato di merluzzo:ha un sapore terribile,ma è un ottimo ricostituente.E...-si voltò ,allungò una mano e le afferrò il mento con le dita,costringendola ad alzare la testa,a guardarlo dentro quei suoi occhi neri come il fondo di un pozzo.-Avete le pupille più piccole della punta di un ago, Madame:smettetela di prendere laudano.Vi fa male.Il laudano non è un succedaneo della felicità.

"Succedaneo...Che vorrà dire? Ne conosceva parecchie,di parole,quello strano nero.Aveva imparato a leggere e a scrivere,era entrato ad Harvard e ne era uscito medico,a ventitré anni solamente,a dispetto della sua condizione,a dispetto del suo colore, a dispetto di come il mondo doveva andare. Chissà chi era.Il sangue scuro delle sue origini si era imbastardito al contatto con quello bianco; del resto,ormai da parecchi anni,era diventato quasi impossibile incontrare un negro puro,un africano autentico."Succedaneo..."Beh,forse significava sostituto.Ma come aveva fatto ad accorgersi che,aveva perso il conto dei giorni,senza laudano non riusciva più ad addormentarsi?Forse quei suoi occhioni da cerbiatto,quelle iridi nere nelle quali era impossibile distinguere il foro della pupilla,potevano leggere dentro.Non aveva mai creduto, anche se ne favoleggiavano in tanti,che la conoscenza del soprannaturale,nei neri, potesse essere qualcosa di connaturato alla loro stessa essenza, non aveva mai creduto alle loro stupide superstizioni,eppure...Ma si poteva parlare di superstizione,di soprannaturale,di lettura del pensiero,nei riguardi del dottor Butler?Di un medico laureato ad Harvard,non uno stregone,malgrado quella pelle,quell'abbigliamento da mandriano,quegli amuleti indiani che portava al collo e ai polsi?Lo sguardo le scivolò sulle sue mani :erano bellissime.Si trovò a desiderare le loro carezze,per poi vergognarsi dei suoi pensieri segreti. Quell'uomo era un nero,la colpa della rovina del suo mondo ricadeva anche su di lui,era anche per causa sua se si era scatenata una guerra che le aveva sconvolto la vita,che l'aveva fatta piangere per la disperazione e la paura,che le aveva fatto provare cosa significhi miseria,cosa significhi fame e quanto sia brutta la morte.E poi,se si era laureto quattro anni prima,a ventitré anni,adesso doveva averne ventisette, dieci in meno di lei.Anche se non fosse stato nero,quello che le passava per la testa era peggio che indecente,doveva dimenticare perfino d'averlo pensato.

-Accompagnalo,Prissy.

-Non datevi disturbo,Madame,posso fare da solo.La porta di servizio sta da quella parte?

Un sorriso ironico gli aveva scoperto quei suoi poderosi denti da animale,bianchissimi tra le labbra livide.Che cosa avrebbe provato,a baciarlo,si domandava Rossella.Il suo cuore batteva talmente forte...Che cosa le stava succedendo,era forse impazzita?

-Il vostro fazzoletto,Madame.

Nel chinarsi a raccogliere il fazzoletto caduto,la camicia gli si era scostata dal petto,scoprendo una piccola striscia di pelle bruna,levigata:come sarebbe stato,senza vestiti addosso?Bello come una statua di bronzo,pensò la donna,le guance in fiamme che lui sicuramente aveva notato, compiacendosene per giunta, animale di un negro.

-Avete un buon profumo.-le disse annusando il fazzoletto e guardandola come se volesse sedurla,la grande bocca carnosa socchiusa,le palpebre frangiate da ciglia incredibilmente lunghe abbassate a metà sul candore delle cornee,sul nero assoluto delle iridi.

-Andatevene.

Lo fissò negli occhi,la testa alta,le labbra serrate,lo sguardo duro.Che cosa ci faceva ancora lì?Possibile che non avesse capito che quello non era il suo posto?Possibile che non si rendesse conto che quella del Sud era una realtà diversa e che non sarebbe bastata una laurea a cambiargli il colore della pelle?

*

Rossella si accasciò sulla poltrona,la testa pesante della spossatezza consueta.Se n'era appena andato alla malora,il Dottor Cornacchia,accompagnato alla porta da Prissy.Era stata generosa con l'onorario,era giusto pagargli il tempo perso e non fornirgli il pretesto per chiamarla spilorcia,lei,una gentildonna del Sud.

Ma esisteva ancora,si domandò,afferrando la boccetta del laudano,il Sud delle grandi dimore e dei viali alberati,delle scampagnate e delle feste da ballo,dell'ospitalità della cortesia e dell'onore,delle belle dagli occhi languidi e degli audaci cavalieri,della luna grande come una lanterna che inargentava i campi e il muschio delle querce,quel mondo di cui sentiva una nostalgia feroce e che la guerra aveva distrutto?Un mondo perfetto,all'interno del quale ognuno recitava il suo ruolo e perfino gli schiavi avevano accettato la loro parte?Lui,forse,le avrebbe detto di schiene scorticate dalla frusta,di

famiglie divise,di uomini marchiati a fuoco come bestiame da macello. Favole,invenzioni di comodo,fantasie di gentaglia come quell'odiosa Mrs Stowe con i suoi romanzacci che lassù al Nord qualcuno aveva perfino scambiato per la realtà. A casa sua,lei non aveva mai visto niente di tutto questo,solo facce serene,espressioni sorridenti.Una come la sua vecchia Mammy non avrebbe saputo che farsene,della libertà.

Versò il laudano nel cucchiaino d'argento,lo ingoiò .Aveva un sapore terribile,ma l'avrebbe aiutata a star meglio."Vi fa male"le aveva detto lui.Che poteva saperne,dei suoi problemi e delle sue esigenze,quello stregone di Congo Square,con i polsi fasciati da amuleti barbarici e la lana crespa sulla testa,al quale soltanto la dabbenaggine di quelli

del Nord aveva potuto permettere di studiare?Fosse vissuto al Sud,sarebbe rimasto al suo posto e per lui sarebbe stato sicuramente meglio.Un nero intelligente e istruito è sempre un guaio,per se stesso e per gli altri.Quante volte lo aveva sentito ripetere da suo padre,da Rhett,dagli amici di famiglia,da tutti quanti?

Il Sud che aveva nel cuore era morto,pensò ,probabilmente non era mai neppure esistito nella realtà,quel mondo ovattato e artificiale in cui era cresciuta,fatto di grandi dimore neoclassiche,di lune d'argento e feste da ballo.Gli intrepidi cavalieri erano in realtà fiacchi damerini infrolliti da quattro generazioni di matrimoni fra consanguinei,le belle dagli occhi languidi insipide pupattole allevate in collegio,destinate a matrimoni precoci e a esistenze tediose.Dolci reginette del loro mondo fatto d'ozio,di noia e dei figli che questi generano,i vizi.Tutte belle e profumate fuori,ma fradice dentro,tanto marce da andare perfino con i loro schiavi.Le era capitato d'origliare discorsi sussurrati a mezza bocca,storie alle quali aveva sempre rifiutato di credere,troppo squallide per essere vere:non riusciva proprio ad immaginarsela,una gentildonna,una come lei,impastata d'orgoglio dalla testa ai piedi,allevata nel culto per il lusso e per le cose belle,con qualcuno dei braccianti di suo padre,esseri che era difficile credere uomini,neri come il carbone,puzzolenti come capre e brutti come diavoli dell'inferno.Sarebbe bastato solo il pensiero a farla vergognare di se stessa,ma pensieri del genere non le erano mai passati neppure per l'anticamera del cervello.

E Wade,allora?La sua pelle aveva la tonalità calda di un biscotto appena sfornato e i lineamenti della sua faccia non davano certo l'impressione di essere stati sgrossati con l'accetta da un ragazzino maldestro in vena di giocare allo scultore, non tanfava di sudore rancido ed era impastato d'orgoglio,esattamente come lei.

L'orgoglio.Il solo pensare a quell'uomo come lo stava pensando era dimenticare d'averne.Per una come lei doveva riuscire inammissibile perfino riconoscere che quell'individuo era un bravo medico e che aveva salvato sua figlia,altro che sorprendersi a pensarlo in quel modo,a chiamarlo dentro di sé per nome,lo stesso nome di suo figlio (non doveva essere molto più vecchio di lui),a richiamare il ricordo dei suoi occhi bui quanto la notte,del bronzo fuso della pelle,delle spalle poderose sotto la giacca di camoscio,delle mani,di quelle bellissime mani dalle dita affusolate e dalle unghie bianche.

Quanto tempo era passato?Dieci giorni,non di più;.Kitty era rifiorita,divorava i pasti col sano appetito di un lupacchiotto e le sue guance avevano ripreso colore.Non tossiva più e quella maledetta febbriciattola se n'era andata.Per sempre.Di lì a qualche mese,i capelli le sarebbero ricresciuti,bruni e ricci,e sarebbe stato bello acconciarglieli con

nastri di raso.Ecco, Wade era un estraneo, uno sconosciuto capitato per caso nella sua vita ma aveva il merito di averle restituito un tesoro rubato che aveva quasi perduto la speranza di ritrovare. Il suo dovere l’aveva fatto, e che scomparisse, adesso, lasciandole solo il ricordo di un sogno angoscioso, di quelli che fanno svegliare nel cuore della notte col cuore in gola ma che si dimenticano in fretta . Rhett, ne era sicura,stava per tornare.E questa volta sarebbe stato per sempre.

*

-La bambina sta bene...Adesso?

Rossella dubitava che non avesse più avuto modo di saperne.Da Prissy,per esempio,quella pettegola impicciona. Chissà perché era tornato,tutto nero dalla testa ai piedi.E bello,bello da spaccare il cuore.

-Benissimo.Mangia con appetito,gioca,non ha più la febbre e neppure quella brutta tosse.Non so davvero come ringraziarvi,dottor…Butler.Sapete,sentendola tossire in quel modo ho temuto che...

-Potesse ammalarsi di tisi? E’ il terrore di tutte le mamme, quando sentono tossire i loro bambini. Certo,la tisi colpisce di preferenza gli organismi già debilitati per altre cause e la piccola era debole...Ma ho visto che si ripresa perfettamente,deve avere una fibra d'acciaio.

"Vi somiglia poco.Probabilmente ha preso da suo padre".L'aveva pensato sicuramente, era quel che pensavano tutti. Da lei, Kitty aveva preso solo i capelli scuri, del resto era bruno anche Rhett. Le guance piene e colorite, l’ossatura robusta le erano venute da lui.

Il padre dev’essere un pezzo d’uomo, magari uno di quei mezzi irlandesi, sicuramente lo aveva pensato, il dottor Butler, lo aveva pensato davvero. La madre, invece, era tutta diversa.Di una bellezza fragile,fanée come direbbe un francese,eufemismo gentile per non definirla sciupata.Aveva una piccola testa altera dal profilo leggermente aquilino,la pelle bianchissima in contrasto con la massa bruna dei capelli,acconciati in una morbida onda che le ombreggiava la fronte.Gli occhi,grandi e molto distanziati fra di loro,le conferivano un'espressione malinconica e un po'corrucciata:erano verdi,spruzzati di pagliuzze d'oro e leggermente strabici.Le labbra,piccole e sottili ma disegnate con finezza,si aprivano su dentini candidi e minuti,diversi da quelli forti della gente di colore,indubbiamente meno belli.Di statura media e di complessione delicata,ostentava un vitino incredibilmente esile,frutto dell'abitudine a quegli infernali marchingegni ai quali nessuna dama del bel mondo avrebbe rinunciato,pur sapendo quanto nuocessero alla salute.Ma ci tenevano poi più di tanto,alla loro salute,le dame del bel mondo?Anzi,sembravano ostentare le loro complessioni gracili,il loro pallore anemico,i loro dentini decalcificati come patenti irrinunciabili della loro nobiltà di sangue.Le contadine sono sane e forti,non le signore.Le contadine e le negre.

Wade ripensò a sua madre.A quarant’ anni,era ancora bella come una ragazza,e non c'era niente di fragile e delicato in lei:spalle grandi,lineamenti forti,corpo flessuoso, la bellezza senza fronzoli e senza orpelli della sua razza;nata schiava in una piantagione della Virginia,prostituta in un bordello di lusso dall'età di tredici anni,madre a sedici e Dio solo sapeva chi l'avesse ingravidata,fuggita al Nord a venti prima che le vendessero il figlio...Poteva dire d'averla vissuta altrettanto intensamente,la sua vita,quell'altra?Forse l'unica sua preoccupazione,da adolescente,era stata quella d'accalappiare un marito purchessia,si fosse trattato d'un vecchiaccio impotente non importava,purché fosse ricco e disposto a mantenerla nel lusso,a farla vivere servita e riverita in una bella casa,a comprarle gioielli e abiti di sartoria.Le voglie le avrebbe represse,come reprimeva abitualmente il desiderio di una passeggiata senza cappello e senza ombrellino,per paura che il sole le facesse fiorire di lentiggini la pelle della faccia.O le avrebbe soddisfatte di nascosto,con un ospite di passaggio,un cugino povero che scriveva poesie o magari con un uomo di colore,un mulatto bello come lui da disprezzare in pubblico e da desiderare fino allo spasimo in privato.Quella donna non ne sapeva un bel niente,della vita.E forse era proprio la consapevolezza della sua nullità ad averla indotta a decidere d’ avvelenarsi lentamente con quel maledetto laudano.

-Perché siete tornato,dottore?I pettegolezzi di quella Prissy sul nostro conto non sono stati esaurienti?O non vi ho pagato abbastanza?

Sembrava seccata d'averlo ancora in mezzo ai piedi,quel negro che non era stato capace di restarsene al suo posto,a lustrare sputacchiere d'ottone dicendo “sì padrone,sissignore..." e condendo il tutto con quel sorriso melenso che tanto piace ai bianchi perché è il segno manifesto della debolezza di cervello che contraddistinguerebbe i negri,la stigmata incancellabile del loro destino di servi.Invece il sorriso del dottor Wade Gabriel Butler balenava candido e sornione tra le labbra sensuali. Chissà se ci aveva mai tentato,con una donna bianca,si ritrovò a pensare Rossella. Chissà se ci tenterebbe…con me.

-Deontologia professionale,Madame.Un codice di leggi non scritte che qualsiasi bravo medico,di qualsivoglia colore è tenuto a osservare.Niente e nessuno mi garantiva che la vostra cameriera dicesse la verità :forse la bambina era finita dinuovo nelle grinfie di quel dottor Wharton,so benissimo che è più facile fidarsi d'un macellaio che d'un negro,da queste parti.Vi ringrazio di non averlo fatto,Madame. E scusatemi se ho dubitato di voi.

Le iridi nere come il carbone scintillavano tra le palpebre abbassate. Rossella notò un piccolo neo proprio sotto l’occhio sinistro di Wade, poi osservò l’arco ampio delle sopracciglia, il profilo regolare, l’angolo volitivo e delicato della mascella, la grande bocca prepotente che, quando rideva, gli scopriva fino ai molari tutti quanti i suoi denti bianchissimi. E si ritrovò costretta ad ammettere di non aver mai incontrato,nel corso della sua vita, un uomo bello come quel mulatto pieno d’arroganza, infettato dal veleno del Nord al punto da non riuscire a ficcarsi in testa che una guerra perduta com’era stata perduta, a New Orleans non bastava a renderlo uguale agli altri e che, laureato o analfabeta che fosse, era sempre soltanto un negro.

-Eppoi…Ero preoccupato per voi, Madame. Per quel maledetto laudano che prendete. E’ una droga, esattamente come l’oppio. Avete mai visto una fumeria? Credo di no. Beh, provate ad immaginate l’inferno, se ci credete, o qualcosa di molto simile. L’oppio riduce peggio dell’alcol e impiega meno tempo a trasformare un essere umano in un rottame. Voi siete ricca, avete un tesoro di bambina, siete giovane…e siete bella. Non esiste al mondo una ragione che giustifichi il desiderio di distruggersi, specialmente quando si ha tutto. I miei ventisette anni non sono tanti, ma ne ho già viste di tutti i colori; eppure sono convinto che le difficoltà vadano prese a calci in faccia, non annegate nell’alcol, nell’oppio o in qualche altra porcheria. Qual è il vostro problema, Madame? L’insonnia? Una tazza di latte caldo, la camomilla e la valeriana sono ottimi rimedi e non fanno male alla salute. Perfino un libro noioso potrebbe tornarvi utile. Conosco molti titoli, potrei suggerirvene qualcuno.

La camomilla. Boh, aveva un sapore orribile. E la valeriana doveva essere qualche altro intruglio del genere. Il latte non lo aveva mai digerito e in quanto ai libri noiosi…Un tipo davvero curioso, il buon Dottor Cornacchia. A meno che i rimedi contro l’insonnia che aveva in testa in quel momento non fossero altri. Non sono come dannati animali sempre in fregola, i neri, pronti a saltare addosso alla prima cosa che vedono muoversi, e se si tratta di una signora bianca tanto meglio? La mano di lui s’era posata, asciutta e forte, sopra la sua, e la stringeva con delicatezza. Rossella avrebbe voluto urlare, sbatterlo a male parole fuori da casa sua, ma aveva ragione, anche se era dura da mandare giù. Ed era terribilmente bello, il che poteva essere anche peggio.

-Chi vi autorizza a credere che io…

-L’anomalo restringimento delle vostre pupille, Madame: dimenticate che non potete nasconderlo, con quegli occhi così chiari, men che meno a un medico. Io lo sono, anche se può riuscirvi difficile accettarlo. Quando vi deciderete a gettare quella porcheria giù dal lavandino, il favore lo farete a voi stessa e non a me.

-Andatevene.

-La verità può fare parecchio male, ma spesso è un male necessario, come cavare un dente guasto o amputare un arto incancrenito. Se la pietà, la creanza, l’ipocrisia o non saprei che diavolo d’altro mi trattenessero dal dirvi quello che devo, vi farei un grave torto, Madame: vostra figlia non ha bisogno di una madre pazza, men che meno di una madre morta. Mi sono stancato di ripetervelo, neanche foste una bambina viziata. Se solo mi faceste il favore di dimenticare che chi vi sta davanti è un negro e invece pensaste che è un medico, un medico capace, scusate l’immodestia, se dimenticaste un attimo soltanto quello che siete, se dimenticaste le idee con cui gente che ha la segatura al posto del cervello vi ha riempito la testa dacchè state al mondo…Dio, che cose terribili riuscite a farmi dire. O forse sto solo perdendo tempo: non ci capiremo mai, voi ed io, alla faccia della guerra, delle leggi e di tutto quanto. Ma…Siete convinta che sia un bene? Sapete, ho dissezionato parecchi cadaveri, quando ero studente. Le prime volte fa schifo, poi ci si abitua, come a tante altre cose. Beh, posso garantirvi che, sotto la pelle, siamo tutti perfettamente identici: il grasso è giallo sporco, i muscoli dello stesso colore dei quarti di bue che si possono vedere appesi in qualsiasi macelleria, gli intestini grigi, i vasi sanguigni bluastri, le ossa bianche e il sangue vivo di un bel rosso ciliegia. Gli occhi, lo specchio dell’anima, chiari come i vostri o neri come i miei, sono due bocce gelatinose piene di liquido come acini d’uva; il cervello di un genio e quello di un idiota non differiscono l’uno dall’altro, sono entrambe una massa disgustosa di materia flaccida e grigiastra, impregnata di sangue come una vecchia spugna. In quanto al cuore, poi, fate conto di vedere un grosso grumo di carne scura e coriacea, pieno di cavità invece che di sentimenti e figuratevi che quasi non c’è differenza tra quello di un essere umano e quello di un maiale. Non siamo proprio niente belli se ci guardiamo dentro, Madame, e sarebbe il caso che ce ne ricordassimo, qualche volta. Scusate, dovevo dirvelo: forse sono stato brutale, ma ne andava della vostra felicità, della vostra salute…forse perfino della vostra vita. Quel vostro dottor Wharton non vi ha detto niente? O è stato proprio lui a prescrivervi il laudano per farvi dormire? Beh, buttate il laudano di quel criminale giù dallo scarico del lavandino e, dopo esservi bevuta una bella tazza di latte caldo, leggetevi un paio di pagine del “Capitale”.Dovreste addormentarvi come un angelo e, anche qualora la cosa non dovesse riuscirvi, potreste trovarlo una lettura interessante: mi è stato detto che vostro…marito è azionista di maggioranza di una delle più grosse fabbriche di armi del Paese.

Fu l’orgoglio, quello soltanto, a impedirle di scoppiare a piangere come una stupida in faccia a quell’uomo insolente.

-Andatevene-gli sibilò come una vipera, i pugni serrati, i lineamenti del viso irrigiditi dalla collera, gli occhi verdi stretti come due fessure.

-…E cercate di non farvi più vedere, sporco negro, altrimenti…

Le sorrideva, mentre si calcava sulla testa il cappellaccio nero a larghe tese, con quella faccia d’angelo ombreggiata da un filo di barba, un turchese d’argento che gli luccicava appena sotto la gola. Wade Gabriel Butler. Forse non aveva sbagliato, era davvero uno dei molti bastardi che Rhett doveva aver seminato in giro.

*

Ho buttato il laudano giù dallo scarico del lavandino. Vi aspetto.

Rossella O’Hara

Il sorriso del dottor Butler doveva indubbiamente costituire, per la donna, una delle prove inconfutabili dell’esistenza di Dio, ma era troppo ordinaria, troppo timorata e, quel che è peggio, troppo vecchia per un uomo del genere. Vecchia? La padrona lo era più di lei e stava giocando a un gioco rischioso: avrebbe voluto dirglielo, cercare di metterla in guardia per il suo stesso bene, ma era cresciuta nella convinzione che non si potesse proibire a un bianco di far quel che si era intestardito di fare, neanche dopo che la guerra si era portata via i vecchi tempi ma non i vecchi pregiudizi.

-Riferitele che mi vedrà presto.

Se il gioco fosse andato avanti, avrebbe finito col diventare pericoloso anche per lui. Soprattutto per lui. Ma quell’uomo aveva tutta l’aria di non aver paura di niente. L’affitto delle tre stanze che occupava, lo pagava a Mexcal, il più temuto stregone vudù del Vieux Carré; né meno terrificante appariva agli occhi di Prissy la creatura che il dottor Butler tratteneva per il collare: un cane nero, gigantesco, tutto zanne acuminate e occhi rossi, che la guardava truce e ringhiava sordo.

-Con chi non è animato da cattive intenzioni è un agnello: buono, Bear…

Difficile crederlo. Era bello anche più del solito, col sole che gli illuminava la faccia, le brache di pelle aderenti alle gambe slanciate, il collo della camicia aperto sugli amuleti indiani, lo sguardo che gli sorrideva. L’arredamento della sua stanza era semplice, perfino sommario. Un paio di quadri appesi al muro scabro, un tendaggio a fiorami scoloriti che nascondeva un letto, alcune vecchie sedie, un armadio a muro, un tavolo con sopra un vaso di fiori: camelie bianche.

*

-Accomodatevi dove meglio credete, dottor Butler.

Lo aveva accolto con il sorriso dei bei giorni, la dama bianca graziosa, serena e distesa come non l’aveva mai vista. E molto ben disposta nei suoi riguardi.

-Credevo di avervi offesa. E che non avreste più voluto che mi presentassi davanti a voi nemmeno per tutto l’oro del mondo.

-In effetti, lì per lì vi ho odiato, dottore. Ma poi ho riflettuto su quel che avete detto: anch’io ero abituata a prenderle a calci in faccia, le difficoltà della vita…

Un grazioso sorriso le aveva sollevato gli angoli delle labbra, disegnato due leggere fossette sulle guance. Quali difficoltà aveva dovuto prendere a calci in faccia, una donna come quella che sicuramente dalla vita aveva già ottenuto tutto quanto? L’amore non ricambiato per un uomo? Guardare, impotente, il suo mondo fatto di sopraffattori e di sopraffatti andare in pezzi senza poter fare nulla per impedirlo? Dover tollerare che un negro le impartisse lezioni di vita? E adesso, poi, perché aveva deciso, inaspettatamente, di riceverlo? Solo perché, utilizzando più buonsenso che medicine, aveva restituito a Kitty il bene della salute? O perché l’aveva convinta a gettare dallo scarico il laudano con cui si stava lentamente avvelenando? O semplicemente per sbattergli sul muso tutte le insolenze che non aveva fatto in tempo a sciorinargli l’altra volta? Eppure, sembrava gentile. Lo sarebbe stata altrettanto, si domandava Wade, se lui fosse stato vecchio e brutto, o forse…Capace che la cortesia di quella donnicciola ricca e viziata fosse motivata da secondi fini sordidi, da curiosità malsane che aveva sempre provato, da voglie che aveva deciso di togliersi e lui era quello giusto, con la sua pelle chiara, i suoi lineamenti regolari, il suo corpo perfetto che non smentiva, nemmeno in quel certo dettaglio anatomico che balenava attraverso i calzoni di pelle, le dicerie messe in giro i bianchi a proposito dei neri?

-Mi piace conoscere persone interessanti e sapere tutto quanto sul loro conto, dottore.

-Mi considerate…interessante?

-Un medico nero laureato ad Harvard, giovane bello e bravo non può non esserlo.

La piccola mano bianca gli si era posata sull’avambraccio, facendogli correre un brivido per la schiena; e gli occhi verdi, freddi e distanti come quelli di un uccello da preda, avevano cercato i suoi per conficcarvisi dentro come chiodi.

-La mia serva mi ha detto che vivete a Congo Square.

-Sto bene in mezzo ai miei simili. E poi mi sono trasferito in questa città per curare la gente che sta male, non per sfidare i pregiudizi dei bianchi.

-E che pagate l’affitto a Mexcal lo stregone.

-E’ un buon diavolo, in fondo. Non credo che possa fulminare con lo sguardo, fare innamorare chi non ama o rubarti l’anima: ma conosce il potere di guarigione delle erbe e questo può tornare utile anche a un medico.

-Ha anche detto che tenete in casa un grosso cane feroce.

-Amo gli animali. Eppoi Bear non è affatto feroce.

-E ha notato delle camelie bianche in un vaso…

-Per me sono semplicemente fiori e nient’altro. Del resto, il mio colore non dovrebbe dare adito a nessun equivoco.

In Louisiana, i membri del Klan avevano scelto quel fiore candido e innocente come simbolo, chissà perché. E solo e nient’altro che quello doveva essere, per uno come Wade.

-Odio la loro vigliaccheria. Chi ha qualcosa contro di me, deve dirmela guardandomi in faccia, senza nascondersi dietro cappucci, lenzuoli e mascherate ridicole. Vengo dal Nord, non sono stato capace di restarmene al mio posto, parlo bene, ho preteso di studiare invece di fare il facchino o il lustrascarpe, non ho peli sulla lingua, mi porto appresso con orgoglio e senza falsa modestia un bel cervello e una faccia che le donne guardano volentieri…Potrei essere un bersaglio con tutte le carte in regola, non trovate? E invece di nascondermi, me ne sto a fare conversazione con una dama di qualità come voi. Basterebbero le chiacchiere di una serva, un’osservazione innocente della vostra bambina, e potrei ritrovarmi in un mare di guai.

Rossella si morse le labbra, ricordando un passato che sembrava lontano secoli. Frank, il suo secondo marito, il buon vecchio Frank Kennedy che l’aveva salvata da un’umiliante indigenza quando aveva accettato di sposarlo fingendo d’ignorare che aveva il doppio del suoi anni e il fiato che gli puzzava, era rimasto ucciso proprio nel corso di una spedizione punitiva organizzata dal Klan per mettere a posto qualche negro che s’era azzardato a tralignare, contando sulla presunzione che i tempi fossero cambiati. Anche Rhett gli aveva dato manforte, e altri con lui.

-State attento.

Le stesse parole che aveva detto a Frank, quella sera di tanti anni fa. Ma Frank era un vecchio, mentre Wade era giovane e spavaldo. Era un buon tiratore, le aveva detto, e se la cavava bene anche semplicemente menando le mani.

-So badare a me stesso. Se dovesse capitare, i Lenzuoli ne uscirebbero malconci.

Non aveva sprecato troppe delle sue lacrime, sul povero Frank, e aveva avuto modo di consolarsi in fretta. Tutto si sarebbe risolto nell’oblio, non fosse stato per quella figlia, Annabelle, tozza, brutta e musona quanto lei era vivace e graziosa. Una figlia che malediva la sorte per averle negato i doni che aveva invece elargito a piene mani a sua madre e che aveva scelto di vivere con gli zii paterni. Erano anni che non la vedeva: doveva averne sedici, ormai, era una ragazza da marito. O, più probabilmente, un’infelice destinata a restare zitella.

-In ogni caso,da me non avete niente da temere, dottore. Io vi devo molto. La mia servitù sa essere discreta. In quanto alla bambina, a quest’ora si reca da Mademoiselle Berthaud per le lezioni…Ho sempre fatto quello che ho voluto, ricevuto chi mi andava e intrattenuto chi desideravo, senza renderne conto a nessuno.

E lui aveva annuito abbassando le palpebre. Non l’aveva mai messo in dubbio, anche se quella non era una donna del Nord, una come Miss Simpson che gli aveva tolto la verginità e insegnato quel che un uomo deve sapere, quando lui aveva sedici anni e lei più del doppio. A Miss Simpson non era mai importato un accidente del colore della sua pelle anzi, sicuramente trovava eccitante l’idea di farsela con quel ragazzo nero che mandava a comprarle l’inchiostro, era bello come un dio e poteva esserle figlio. Aveva i capelli tinti e due grosse tette, Miss Simpson. Non dipendeva da nessuno, si manteneva insegnando calligrafia alla scuola di Belle Arti e faceva tutto quello che voleva, senza renderne conto a chicchessia. “C’era proprio bisogno di una guerra, gli diceva sempre, per stabilire che anche tu sei un uomo, Wade, angelo mio? Perché tu sei mille volte più uomo di chiunque abbia mai conosciuto…”

-Quel quadro, Madame. E’ un Mc Rae.

-Credevo aveste intuito che ho abbastanza denaro da potermi permettere un McRae originale.

-Non è quello che volevo dire, Madame.

-Ve ne intendete anche di arte, a quanto vedo.

-Più di quanto sia lecito aspettarsi da un negro, anche da un tipo strano come me.Forse non distinguo il tabacco dal cotone, ma mi piace dipingere e disegnare, quando il tempo me lo permette. Da ragazzo ho avuto buoni maestri: tutti dicevano che avevo abbastanza talento da farmi un nome, ma io volevo aiutare gli altri e così ho scelto di diventare medico. Un medico che dipinge, appena può. Beh, forse se avessi scelto di fare il pittore e basta sarebbe stato tutto più facile. “Il mondo dell’arte non conosce pregiudizi, nessuno farebbe caso al tuo colore. Con il tuo talento e con la tua bellezza, potresti avere il mondo ai piedi, Wade…” Ma non me ne importava un fico secco di avere il mondo ai piedi, anche se era McRae in persona a dirmelo, un giorno sì e un giorno no.

-Conoscete…Leeland McRae?

-Sono cresciuto in casa sua. Perché, come mai…Ve lo state domandando, lo so. E allora preparatevi ad ascoltare una storia lunga. E ad arrossire, perché non ho intenzione di nascondervi niente.

-Non sono nata ieri dottor…Butler.

-Butler. Come il vostro attuale…marito. Scommetto che vi siete domandata come mai ogni volta che vi sono venuto in mente. Eppure non credo di avere molto a che spartire con lui, se non il nome. E questo Paese è pieno di Butler.

-Potrebbe non essere esattamente come dite. L’avete definito mio marito, e vi ringrazio della vostra creanza. Siamo stati sposati, una bella manciata di anni fa, poi ci siamo lasciati, quindi ritrovati. Forse ci risposeremo. Forse. Chissà quando. In quanto a quello che volevate dirmi, avete ragione, l’America è piena di Butler. Ma è anche vero che il mio uomo non è mai stato uno stinco di santo. Perdonate la mia acredine, io…

-Lo amate ancora, questo spiega tutto quanto. E immagino che, quando mi guardate come mi guardate, è per vedere se in qualcosa gli rassomiglio, anche se non è facile individuare somiglianze tra un bianco e un uomo di colore, mi sbaglio?

-No, come al solito.- Sorrise, scoprendo per un attimo i dentini aguzzi tra le labbra pallide. Rhett e Wade forse fisicamente non si somigliavano proprio, aldilà del fatto che uno fosse nero e l’altro bianco. Ma il primo aveva la stessa diabolica intuizione del secondo, perfino un pizzico del suo sarcasmo, raddolcito appena dal miele dell’eredità materna.-In ogni caso, voi siete del Nord.

-Quanto lo siete voi: Richmond, Virginia. Ma mi sono trasferito al Nord che avevo cinque anni.

-Continuate a stuzzicare la mia curiosità e non mi dite niente di voi.

-Forse arrossireste.Io sono abituato a chiamare le cose col loro nome e la mia vita, beh…non è stata un tappeto di petali di rose, almeno non sempre. Non vorrei offendervi o turbarvi.

-Siete convinto che io abbia vissuto un’esistenza fatata? Ho perso tutto quello che avevo a causa della guerra: il mio mondo, i miei affetti, le mie fortune, e mi sono dovuta rimboccare le maniche per riprendermi quello che era mio di diritto. Ho dovuto lottare per difendere me stessa e chi mi era caro. Ho seppellito due mariti, pianto la morte di una figlia piccola, sopportato, tutta sola, pesi che schiantano. Mi sono trovata sposata senza amore, ho due figli ormai grandi che non vedo da anni. Il maggiore si chiama Wade, come voi, ha vent’anni ed è cadetto a West Point. Annabel ha scelto di vivere con i parenti di suo padre. Avevo sposato il padre di Wade per andarmene da casa, alla vigilia della guerra: era un ragazzetto insignificante, a stento lo conoscevo. E’ stata la guerra a portarselo via. L’altro…Era vecchio e ricco. Io ero povera.

Quel Butler,invece, doveva averlo amato davvero. Al punto da piegare il suo orgoglio e rinunciare alla sua rispettabilità. Chissà se ne era valsa la pena. In ogni caso, niente avrebbe potuto offenderla o turbarla, pensava Wade.

(continua)

   
 
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