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Autore: mina_s    06/04/2007    3 recensioni
[GazettE]"Sono un tipo strano, vero? Cerco di sembrare linguacciuto, di fare il cretino, di far credere che io non conosca la vergogna... E poi ho paura di rivelare quello che nessuno, mai, dovrebbe tenere nascosto. Se io non fossi così, quella notte io e Kouyou non avremmo litigato. E se noi non avessimo litigato, quella notte al mio amore non sarebbe successo niente..."(FANFICTION CONCLUSA)
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VIII

“Kou-chan?”

“Hmm?”

Oddio, non ce la faccio.

Non quando mi guarda con quegli occhi.

Non quando, dopo tanto tempo, lo vedo così sereno.

Sarebbe troppo egoista, troppo ingiusto.

Come uccidere un minuscolo ragno che non da’ fastidio a nessuno.

Le dita bianche e affusolate di Kouyou smettono di danzare sulle tese corde della chitarra nel momento in cui lui alza il viso per guardarmi, interrompendo bruscamente il disconnesso, disorganico, eppure fluido e continuo insieme di note che stava creando.

Strofino convulsamente i palmi delle mani.

Devo sapere. Ho aspettato fin troppo.

Eppure non voglio rovinare tutto proprio ora, quando la maggior parte delle cose sembra essere tornata alla normalità.

“Niente.”

Kouyou non allontana gli occhi dai miei.

Ha capito che c’è qualcosa che non va‘, qualcosa che non ho coraggio di dire. Come sempre.

“Cosa c’è, Yuu?”

E quindi è troppo tardi per tirarsi indietro o per inventare scuse cretine.

Vada come vada.

Ho le mie buone ragioni per sapere.

“Kouyou… Ti devo chiedere una cosa.”

“Dimmi.” Il suo tono di voce è pacato e leggero, impone tranquillità.

Accidenti, però è più difficile di quanto pensassi.

“Perché quel giorno non mi hai chiamato?”

Lui corruga la fronte.

“Quando?”

Non mi sta certo rendendo le cose facili.

Quel giorno, Kouyou. Quando ti hanno portato in ospedale. Hai chiamato Yutaka e gli altri ma non me. Perché?”

Kouyou mi guarda per qualche istante senza pronunciare sillaba, la bocca semiaperta, il petto che si alza e riabbassa regolarmente.

Ho paura.

Temo che esploderà sul serio, che mi accuserà ti mettere sempre il dito nella piaga, che mi dirà che non lo merito…

Invece si limita a togliersi la chitarra dal grembo, ad appoggiarla al divano, accanto alla sua gamba, sospirando; abbassa lo sguardo, rimane in silenzio.

Proprio quando mi pento amaramente di avergli posto la domanda, lui parla.

“Non lo so, Yuu. Io…” sospira di nuovo, mentre io mi avvicino a lui, senza smettere di scrutare fra le ciocche che gli nascondono gli occhi.

“Mi sentivo ancora troppo lontano da te.”

Tratteniamo entrambi il sospiro.

Le sue ultime parole echeggiano nella mia testa.

Cosa vogliono dire? ‘Lontano’ in che senso? E quanto ‘lontano’? Talmente lontano da non volermi vedere neanche dopo che aveva subito una tale violenza?

“Credevo che mi odiassi ancora per quello che era successo dopo il concerto. Non sapevo come avresti reagito…”

Io lo guardo ancora senza pronunciare parola.

Lui non si muove di un centimetro.

Dio mio, ho sentito davvero bene?

“Io… Non lo so, Yuu. Forse non volevo crearti altri problemi, forse mi sarei vergognato a vederti… Davvero, non so come spiegare…”

Lo vedo perfettamente che non sa come spiegarmi. Lo sento dal suo tono di voce, così incerto, come i suoi ricordi.

Gli prendo una mano, stringendola forte.

“Kou-chan…” Con le dita libere gli scosto qualche ciocca dal viso, per poterlo guardare meglio, ma lui evita i miei occhi.

“Come hai potuto pensare che ti odiassi? Come ti è venuto in mente che non mi sarei curato di te?”

Il mio tono è dolce, ma le parole dure, tanto che il mio ragazzo sembra venire investito da un vento primaverile.

“Yuu, io…”

Un attimo dopo crolla di nuovo fra le mie braccia e nasconde il viso nell’incavo del mio collo.

“Scusami, Yuu-chan…”

“Shhh.”Io gli accarezzo la testa per tranquillizzarlo. “Non ti devi scusare di nulla, quante volte te lo devo ripetere? Volevo solo sapere…”

“Ma questa volte te le devo davvero le scuse.” Alza la testa e mi guarda con occhi da cucciolo, quasi imploranti.

Non resisto, devo baciarlo.

Dopo un po’ Kouyou stacca le sue labbra dalle mie.

“Yuu…”

Gli prendo il viso tra le mani appena sento quanto suona disperata la sua voce, ma lui non osa guardarmi negli occhi.

“Che faremo se io dovessi… Se dovessi essere sieropositivo?”

Senza aspettare un attimo, lo stringo più forte che posso, e parlo ancora prima di pensare.

“Tu non hai nessuna malattia, tesoro. Non esiste.”

Ma come faccio ad esserne così sicuro?

Soltanto perché lui è l’uomo che amo allora vuol dire che non gli può accadere niente?

Sì. E’ quello che pensi tu, almeno.

“Non puoi dire così, Yuu.”

Ha ragione.

“Senti.”Gli prendo di nuovo il viso tra le mani.

Questa volta lui mi guarda.

I suoi occhi sembrano due pozzanghere d’acqua. E sembra che l’acqua stia diventando troppa, che rischi di straripare.

“Non creiamo problemi per niente. Se vuoi, fra tre mesi andremo a fare il check-up, come ha detto il dottore. Ma vedrai che non ce ne sarà bisogno.”

“Come fai a saperlo?” La bocca di Kouyou si contorce in una smorfia.

Tu non lo sai. Ammettilo. Smettila di dargli false speranze. In ogni caso, non funziona.

“Lo so e basta.”

Così dicendo, lo abbraccio di nuovo, tenendolo stretto a me, come a voler mostrare che lui è mio, sotto la mia protezione, e che niente gli può succedere.

Forse però ho pronunciato queste ultime parole a voce così alta solo per far zittire quella voce dentro di me, la quale stava cercando di farmi accettare la realtà.

Ma io ora non la voglio ascoltare.

Non ora.

* * *

Le cifre nere che contrastano con la luce verde segnano le due passate.

Ma non è la mia sveglia a dirmi che ore sono. Né quella di Kouyou.

Come non è né mio né di Kouyou il cuscino dove appoggio la testa.

Come non è né mio né del mio ragazzo il letto dove sono disteso.

Ma che diavolo ho fatto?

Di tutti i torti che potevo fare a Kouyou, questo è sicuramente quello più sporco, più odiabile, il più egoista…

L’altro si muove nel sonno per un istante, avvicinandosi di più alla mia spalla.

Poi è di nuovo silenzio.

Cosa diavolo ci faccio io qui?

Cosa mi è saltato in mente? Cosa pensavo di ottenere?

Soddisfazione? Una qualsiasi forma di gioia?

Un momento di sfogo?

Qualcun altro da amare?

Mostro che non sono altro.

Mi alzo facendo il più piano possibile, e mi vesto senza fare rumore.

La mia mente sta diventando più lucida, il mio cervello meno appannato, la mia consapevolezza più amara.

Con mani tremanti, prendo il cellulare dalla tasca della giacca.

Me lo dovevo aspettare.

Diversi messaggi, innumerevoli chiamate perse.

‘Dove sei?’

‘Chiamami appena puoi.’

‘Tutto bene? Dove sei?’

‘Quando torni?’

‘Ti prego rispondi’.

Un solo nome della rubrica…

“Yuu?”

Mi volto di scatto.

Il ragazzo è seduto sul letto, le lenzuola gli coprono il corpo nudo fino alla vita.

Faccio fatica a vederlo in viso. Per fortuna. Perché l’unica cosa che voglio è dimenticarlo.

Come voglio cancellare tutto questo disastro che ho combinato.

“Me ne torno a casa.” Gli rispondo, dirigendomi verso la porta.

“Ma…”

“Perdonami.” Mi volto di nuovo verso di lui, per trovare solo una sagoma scura fra lievi forme chiare. “Non dovevamo. Io non dovevo. E’ stato un errore.”

Passano diversi istanti, istanti di silenzio e di buio, di rancore e vergogna.

Sento una breve sbuffo, una specie di risata amara provenire dalla sagoma scura, che sembra muoversi un poco.

“Dovevo immaginarmelo che sarebbe finita così.”

La sagoma scompare sotto le morbide curve bianche delle lenzuola, come un fantasma.

“Ho sbagliato io.” sospiro. “Se non riesci a perdonare, l’unica cosa che ti chiedo è dimenticarmi, fare finta che niente sia mai successo. Addio.”

Chiudo la porta dietro di me, pregando di non riaprirla mai più.

Esco dall’appartamento, scendo le scale, mi trovo in strada.

Corro, sudo, piango.

Penso, mi preoccupo, prego.

E’ come se fossi una presenza estranea a queste strade, come se non appartenessi alle loro luci, alle loro feste, alle loro distrazioni.

Ti prego, fa’ che non sia troppo tardi…

Le poche persone che trovo mi guardano curiosamente, come se fossi un pipistrello che osa esporsi alla luce.

Lo so che sono un dannato bastardo, lo so che non avrei dovuto, ma ti prego, non voglio che sia troppo tardi per riparare…

E corro, corro, corro.

Non smetto di correre.

Devo raggiungere il mio Kouyou, e scusarmi in ginocchio, implorare di perdonarmi per l’ennesima volta, chiedergli di scusarmi per averlo lasciato solo di nuovo.

Chissà in che condizioni sarà adesso.

Chissà cosa sarà successo mentre io ero a letto con quel ragazzo dieci anni più giovane di me e di cui sicuramente fra dieci minuti non ricorderò più il nome. Meglio così.

Sto arrivando, amore.

Corro, corro, corro.

Finalmente arrivo.

Salgo le scale senza nemmeno pensare all’ascensore, correndo, perché ormai è come se le mia gambe fossero in grado solo di fare quello.

La chiave non si vuole infilare nella serratura, le mie mani sono troppo malferme.

Quando finalmente la porta si apre, sento due braccia che mi avvolgono il collo e una coperta che cade sul pavimento.

“Ma dove sei stato?”

Una voce disperata mi parla all’orecchio.

Una testa bionda è appoggiata alla mia spalla.

“Stavo per chiamare la polizia…”

Kouyou ha solo una maglietta e i boxer addosso ora che la coperta gli è scivolata dalle spalle. Trema.

Faccio cadere le chiavi per terra.

Un attimo dopo stringo convulsamente la vita sottile della persona che amo, nascondendo il viso dell’incavo del suo collo perché non veda la vergogna nei miei occhi.

Forse lo sto stringendo troppo, forse gli sto facendo male.

Ma non importa.

Perché niente gli potrebbe fare più male di quello che gli ho fatto stanotte.

“Dove sei stato, Yuu? Ho avuto paura…”

Gli bacio il collo, una due, venti volte.

“Gomenasai, Kou-chan… Gomen…”

Ma perché gli sto chiedendo perdono in realtà?

Per averlo lasciato solo per diverse ore? Di notte? Senza dare mie notizie?

Per avergli detto una bugia? Perché di andare semplicemente a bere qualcosa, come gli avevo detto, sono finito a letto con il primo che ha iniziato a flirtare con me?

Per essere sempre il solito, maledetto idiota, schifoso egoista?

Cielo, i motivi sono veramente troppi, e mi fa male pensarlo.

“Rispondimi Yuu, che hai fatto fino a ora?”

Meglio che tu non lo sappia mai, tesoro. Lo dico per il tuo bene.

Ed è meglio che io dimentichi, che la memoria cancelli questa notte.

“Mi sono ubriacato, ho vomitato l’anima… Mi sono addormentato sul bancone, ma per fortuna non mi hanno buttato fuori…”

Spero che io sia stato abbastanza credibile. Più che altro mi fa impressione la facilità con cui riesco a raccontare balle.

Non è molto consolante sapere che ho questa dote.

Kouyou esita per un attimo, quasi come se non sapesse se credermi o meno.

Almeno, così sembra a me.

“E poi dici che sono io l’alcolizzato.”

Sorrido contro la sua pelle.

La vita è davvero troppo buona con me a volte, anche se non me lo merito.

 

To be continued…

 

Whoa! Ecco servito alla velocità della luce anche il capitolo ottavo!

Ringrazio chi mi ha lasciato delle recensioni, in particolare modo Sori e HikaRin (arigatou, siete troppo gentili!^^). Continuate così, perché più commenti lasciate prima aggiorno…XD

Kisu

Junemy

  
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