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Autore: Beauty    23/09/2012    9 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bloody Snow-White

 

- E’ già buio?- fece Anya, alzando gli occhi al cielo e dimenticando per un attimo gli occhiali della sorella e il suo improvviso recupero della vista.

- Beh, erano quasi le otto quando siamo arrivate qui…

- Dai, cerchiamo questo dannato muro e torniamocene a casa. Domattina devo andare al lavoro presto…

Senza aggiungere altro, Anya si voltò e riprese a camminare nella direzione indicata da Crawford. Elizabeth rimase un attimo immobile, quindi si affrettò a raggiungerla. Da sempre, il carattere deciso e indipendente di sua sorella aveva il potere di tranquillizzarla e di farla sentire al sicuro, e più di una volta aveva preferito affidarsi ad Anya e al suo senso pratico. Ma quella sera, Elizabeth si sentiva tutt’altro che tranquilla. Sua sorella rimaneva ancorata al suo scetticismo, ma era evidente che c’era qualcosa che non andava: prima quella voragine nel muro, poi quel luogo così irreale, senza contare quello che aveva detto suo padre. Regno delle Favole, mah…Eppure, Elizabeth aveva visto bene cos’era successo a quella ragazzina. Si era come sciolta, e di lei era rimasta solo la sua mantella. Una mantella rossa con il cappuccio.

E infine, lei ci vedeva. Erano più di dieci anni che portava quei maledetti occhiali, e la sua vista non aveva mai dato segni di miglioramento. Quello stesso pomeriggio, quando Jessica e la sua gang glieli avevano strappati dalla faccia, aveva brancolato nella nebbia per ritrovarli. E poi, quand’era arrivata…puff!, ecco che ci vedeva perfettamente.

Elizabeth alzò lo sguardo al cielo. Quando avevano lasciato New York – perché non erano più lì, su questo non c’era dubbio – pioveva a dirotto, e non ricordava di aver mai visto delle stelle nel cielo inquinato dallo smog della metropoli. Invece, ora il cielo era limpido e senza una traccia di nuvola, e colmo di stelle, in mezzo alle quali spiccava una grande e luminosa luna piena.

Continuavano ad avanzare, ma alla ragazza sembrava quasi di girare intorno. Gettò uno sguardo alla sorella: Anya le dava le spalle, ma non procedeva più con la stessa decisione di poco prima, e continuava a guardarsi intorno.

- Anya, dove siamo?- chiese Elizabeth, e la voce le uscì stranamente acuta.

- Noi…Non capisco, Crawford ci aveva detto di andare per di qua…- mormorò Anya. Fece saettare lo sguardo intorno a sé, ma non vedeva altro se non alberi che le parevano tutti uguali. Che doveva fare, ora? Liz stava aspettando che facesse qualcosa, ma lei non aveva idea di che cosa fare. Forse Crawford si era sbagliato. Forse avrebbero dovuto proseguire, ma ormai era completamente buio, e la luce della luna faticava a raggiungerle attraverso le fronde degli alberi.

Anya si voltò a guardare sua sorella.

- Forse è meglio tornare indietr…

- Guarda!- esclamò d’un tratto Elizabeth, indicando un punto alla loro sinistra. Anya seguì lo sguardo della sorella, incontrando ben presto un bagliore molto fioco in lontananza che, però, era abbastanza forte da superare quella foresta intricata.

- C’è una luce…- disse Elizabeth.- Forse c’è qualcuno, magari potremmo chiedere indicazioni…

Anya ci pensò un po’ su: erano nel bel mezzo di un bosco, da sole, al buio e senza niente per difendersi. In quelle condizioni, un aiuto avrebbe fatto comodo, ma restava comunque il fatto che incontrare un estraneo sarebbe stato ben poco sicuro. Elizabeth aveva iniziato a muovere qualche passo in direzione della luce, ma lei la bloccò afferrandola per un braccio.

- Ma che fai?- ringhiò.- Ti pare che sia così semplice? Tu vedi una luce e che fai? Le vai subito incontro?

Elizabeth sbuffò, liberandosi dalla stretta.

- E che proponi di fare? Continuare a brancolare alla cieca?

- Non stiamo…

- Andiamo, Anya, ci siamo perse, ammettilo!

- Non è un buon motivo per rivolgersi a un estraneo…- già, perché, si disse Anya, se c’era una luce allora per forza doveva esserci qualcuno. A meno che non si trattasse di un lampione.

- E allora cosa…

Elizabeth non terminò la frase, interrotta da uno strano rumore. Era come un fruscio di foglie, ma molto forte.

- Shhht…- fece, raddrizzando il capo e ponendosi in ascolto.

Anya si zittì, iniziando ad ascoltare. Il bosco mandava solo qualche rumore, il canto di qualche uccello e il suono di una lieve brezza fra le fronde degli alberi.

Elizabeth si rilassò. Aprì la bocca per parlare, ma subito il suono secco di un ramo spezzato la fece ammutolire. Le ragazze si volsero all’unisono in direzione del rumore. Elizabeth si accorse solo in quel momento di stare trattenendo il fiato. La foresta alle loro spalle pareva molto più buia e intricata di quando l’avevano attraversata. Il fruscio si ripeté, più forte di prima. Elizabeth vide le foglie di un cespuglio scuotersi. Un attimo dopo, udirono un ringhio canino.

Elizabeth si sentì salire il sangue alle tempie, e afferrò sua sorella per un braccio.

- Andiamo via…!- sibilò, cercando di tirarla verso la luce.

- Ma che cos’è?- fece Anya, troppo concentrata sul rumore per potersi divincolare dalla presa di sua sorella.

- Non lo so, ma andiamo via!- implorò Elizabeth, tirandola di nuovo. Anya indietreggiò di qualche passo. Il ringhio si ripeté, seguito da un guaito canino.

- Sembra un cane…- sussurrò Anya.

- O un lupo…- soffiò Elizabeth.

- Non ci sono lupi a New York!

Se non avesse avuto troppa paura, Elizabeth avrebbe lanciato un grido di esasperazione. Aumentò la stretta al braccio di Anya.

- Qui non siamo più a New York, non l’hai ancora capito?!

Anya fece per ribattere, ma un terzo ringhio, più vicino, glielo impedì. Elizabeth sentì che non ce l’avrebbe fatta a rimanere lì un minuto di più. Senza attendere replica, tirò il braccio di sua sorella e la costrinse a seguirla. Anya lanciò un grido di protesta, e si lasciò sfuggire di mano gli occhiali rotti di Elizabeth, che finirono sulla pietra.

- Ma che cosa fai?!- protestò Anya, mentre Elizabeth la trascinava giù per un pendio non troppo ripido, ma invaso da sassi e sterpaglie.

- Cerco di evitare che quel lupo ti faccia lo scalpo!- Elizabeth non poteva dire con certezza se si trattasse di un lupo, probabilmente aveva ragione Anya e quello era soltanto un cane randagio, ma non se la sentiva di metterci la mano sul fuoco. Era certa che non si trovassero più a New York, e non sapeva come, ma in qualche modo sentiva che, quale che fosse la cosa che si nascondeva fra i cespugli, non aveva buone intenzioni.

- Ma qui non ci sono…

Elizabeth l’ignorò, continuando a seguire la luce che aveva visto poco prima. A poco a poco, il bagliore si fece più nitido, e le ragazze videro da dove proveniva. La luce brillava oltre i vetri di una finestra, l’unica illuminata di una casetta al centro di una radura.

Anya dimenticò per un attimo sua sorella che la strattonava, concentrandosi su quella costruzione. Era la casa più strana che avesse mai visto: le pareti erano di legno non verniciato, e il tetto di paglia. Era a due piani, con almeno una decina di finestre di fronte, ma appariva così piccola.

E, quando furono vicine, vide che era veramente piccola. Tutta la casa, pur contando due piani, era alta sì e no un paio di metri, e le finestre erano grandi quanto l’oblò di una nave. La porta, anch’essa di legno, arrivava all’altezza delle loro spalle.

Elizabeth non si era ancora calmata; sua sorella prese a bussare freneticamente alla porta, continuando a lanciare occhiate alle sue spalle.

- Liz…

Un ululato squarciò l’aria.

Elizabeth afferrò la maniglia della porta e l’aprì in un solo colpo.

- Ma che cosa stai facendo?!- fece Anya esterrefatta.

Un altro ululato, più vicino.

- Entra!- strillò Elizabeth, spingendo dentro la sorella.

Anya mancò per un pelo di sbattere la fronte contro lo stipite della porta. Entrambe si dovettero chinare per entrare. Una volta dentro, Elizabeth chiuse in fretta la porta, appoggiandovisi contro con le spalle.

La ragazza chiuse gli occhi, tentando di fra riprendere al cuore un battito regolare. Quello che aveva fatto era assurdo, se ne rendeva perfettamente conto, ma non era semplice paura quella da cui si era fatta prendere. Era autentico terrore. Era la sensazione strana che si ha da bambini quando si è da soli nel proprio letto, al buio, è quel presentimento irrazionale che ti fa credere che sotto le coperte si annidi l’Uomo Nero, che una mummia stia per sbucare dall’armadio, o che un uomo mascherato si nasconda dietro la porta, che ti induce a pensare che qualcosa di orribile stia per accadere da un momento all’altro.

Era la stessa sensazione che aveva provato a quattro anni, quel giorno in cui la mamma aveva spalancato la porta della sua stanza e aveva afferrato Anya per un braccio e…

Scosse il capo con vigore, e aprì gli occhi. Non voleva pensare a quello che era successo, e in ogni caso sarebbe stato inutile. I suoi ricordi erano troppo vaghi e sfocati. E poi, avevano ben altri problemi in quel momento.

Notò con la coda dell’occhio che appeso al muro c’era un catenaccio di ferro. Lo afferrò velocemente e lo agganciò al lucchetto, sentendosi infinitamente più al sicuro. Sembrava essersi completamente dimenticata di essere in una casa sconosciuta.

Si voltò verso sua sorella: Anya sembrava più tranquilla di lei, ma continuava a guardarsi intorno. Elizabeth gettò un’occhiata all’ambiente. Era presumibilmente una cucina, ma sembrava una di quelle cucine medievali: non c’erano gas o fornelli, solo una brace di fortuna sul pavimento con un pentolone nero posto a cuocere. Elizabeth storse il naso al sentire il puzzo che proveniva da esso: qualunque cosa bollisse in pentola, doveva essere bruciata da tempo. Al centro della cucina vi erano un tavolo apparecchiato e sette sedie. Nulla di strano, apparentemente, se non fosse stato che sia il tavolo sia le sedie parevano come quei seggiolini di plastica per bambini che si vedevano nelle lavanderie o nei centri commerciali. La loro misura era notevolmente ridotta, pareva davvero che fossero stati fabbricati apposta per dei bambini.

Il suono della voce di Anya la riportò bruscamente alla realtà.

- Si può sapere che diamine ti è preso?- ringhiò sua sorella, apparentemente incurante di quanto fosse strano quel luogo.

- Hai…hai visto?- Elizabeth ignorò la domanda di Anya, indicando il tavolo e le sedie.

- Sembravi un’isterica! Ma che accidenti avevi? Ti rendi conto che non possiamo stare qui?- insistette Anya. - Non sappiamo di chi è questa casa, se ci beccano ci prendiamo una bella denuncia per violazione di domicilio…

- Hai visto quelle sedie?- incalzò Elizabeth.

Anya sospirò, gettando un’occhiata distratta alle seggiole.

- Sì, e allora?

Elizabeth si trattenne a stento dall’urlarle in faccia. Sembrava quasi che sua sorella lo facesse apposta, a far finta che fosse tutto normale. Ma non era tutto normale. La ragazza ricordò improvvisamente quello che aveva detto suo padre riguardo al mondo delle favole, quindi contò le seggiole: sette!

- Hai visto quante sono?- mormorò.- Sette. Proprio come…

- Liz, se solo provi a dirlo, parola mia che ti…

Si udì un tonfo, quindi un altro. Le due ragazze alzarono gli occhi al cielo. Proveniva dal piano di sopra.

- Che cos’era?- fece Anya, articolando le parole ad una ad una.

- Vado a vedere…

Elizabeth superò la sorella, iniziando ad avviarsi su per le scale. La paura di prima era come svanita, anzi, ora si sentiva tranquilla e quasi di buon umore. Se davvero si trovavano nel mondo delle favole – per quanto il solo pensiero le suonasse assurdo e degno di ricovero immediato –, allora quella casetta doveva essere per forza abitata da chi pensava. E se era abitata da chi pensava, cosa c’era da temere?

Nessuno avrebbe fatto loro del male, lì dentro.

Salì in fretta i gradini, sorridendo fra sé quando udì il rumore degli stivaletti di Anya seguire quello delle sue scarpe da tennis.

Si ritrovò in una stanza lunga e stretta, e dal soffitto talmente basso da costringerla a piegare le spalle per poter camminare. Era una camera da letto, nessun dubbio: contro una parete erano allineati sette letti apparentemente per bambini.

Il sorriso di Elizabeth si fece ancora più smagliante.

- Sto cominciando a preoccuparmi per la tua salute mentale, sai…?- sbuffò Anya, raggiungendola.

Il tonfo di poco prima si ripeté a breve distanza da loro. Seguì un gemito e un singhiozzo soffocato.

Anya sembrò riscuotersi, e superò a grandi passi la sorella. I singhiozzi si ripeterono. Le due ragazze avanzarono lungo la stanza, sbirciando oltre i letti tentando di capire da dove provenisse quel suono.

Giunsero in fondo alla camera, all’ultimo letto. I singhiozzi si fecero più insistenti.

Anya si sporse a guardare oltre le coperte, e per poco non cacciò un urlo.

In un angolo, raggomitolato su se stesso, se ne stava un fagotto di stracci, da cui spuntavano due piedi nudi e sporchi di terra. Il fagotto gemette di nuovo, scoprendo il volto seminascosto da una folta chioma di capelli neri su cui era sistemato un fiocco rosso un po’ storto.

Elizabeth si avvicinò di corsa alla sorella, sporgendosi a vedere: quella che le stava di fronte era una ragazza di circa quindici o sedici anni, molto somigliante ad Anya, per certi versi, ma molto più bella. I lunghi capelli neri incorniciavano un viso ovale e infantile, pallidissimo ma con le guance spruzzate di un gradevole colorito roseo, gli occhi grandi e scuri e delle labbra rosse come il sangue. La faccia era estremamente sporca, anche se la terra era rigata qua e là dalle lacrime che scendevano dagli occhi della ragazza. Era vestita completamente di stracci, mentre le mani erano imprigionate dietro la schiena e le caviglie legate.

- Biancaneve?- mormorò Elizabeth, istintivamente.

- Santo cielo, Liz!- sbottò Anya, inginocchiandosi accanto alla ragazza e iniziando ad armeggiare con le corde.- Aspetta, ora ti aiuto…- la guardò negli occhi.- Chi sei? Chi ti ha fatto questo?

- Io…io mi chiamo Biancaneve…- cinguettò la ragazza.

Anya la guardò, esterrefatta.

Biancaneve si rialzò dal pavimento, liberandosi delle corde.

- Chi è stato a farti questo?- domandò Elizabeth.

- Loro…i nanetti…- pigolò Biancaneve.- Erano così strani, negli ultimi tempi…e poi, una settimana fa…- Biancaneve singhiozzò, asciugandosi le lacrime. Anya le lanciò un’occhiata in tralice.

Elizabeth le sorrise, posandole una mano sulla spalla. Biancaneve ruotò lentamente il collo, fissando la mano.

- Cos’è successo, dicci…- la incoraggiò Elizabeth, mentre scendevano le scale.

Anya la tirò a sé.

- Ma ti sei impazzita?- sibilò.- Che ti salta in mente?

- Anya, quella è Biancaneve!- esclamò sottovoce la sorella, cercando di trattenere l’eccitazione. Non le pareva possibile: quand’era piccola aveva sempre sognato di incontrare una principessa delle favole, e ora aveva di fronte niente meno che Biancaneve!

- E io sono Cenerentola!- borbottò Anya di rimando, cercando di non far capire che stava vacillando. In cuor suo, sapeva che tutto quello che era successo non poteva avere – se ce l’aveva – una spiegazione razionale, ma la sua mente si rifiutava categoricamente di credere a quello che aveva detto suo padre. Primo, perché da anni ormai aveva imparato a cavarsela da sola senza il suo aiuto, secondo perché tutto questo era assolutamente assurdo!

Qualcosa, dentro di lei, le gridava che quello era veramente il Regno delle Favole, ma la sua parte pratica e razionale la spingeva a ignorarlo.

Certo non l’aiutava Elizabeth, che invece pareva proprio convinta che quella povera ragazza fosse veramente Biancaneve. Non che la povera ragazza in questione si dannasse troppo per dimostrare il contrario, comunque.

- Beh, non lo so con esattezza…- cinguettò Biancaneve – no, non Biancaneve, dannazione, quella sconosciuta che avevano liberato!.- Sono sempre stati così gentili, con me…Sapete, io sono fuggita dalla Regina Cattiva, e mi sono rifugiata nella foresta, e poi ho trovato questa casetta…- Biancaneve si bloccò, quindi fece un breve scatto di lato con il collo. Lo ripeté altre due o tre volte: aveva tutta l’aria di essere un tic nervoso.

Biancaneve ridacchiò.

- Con queste seggioline…e quei lettini…- ridacchiò nuovamente. Di nuovo, riecco quella specie di tic nervoso.

- Ehm…- esordì cautamente Anya.- Ascolta, c’è un telefono da qualche parte?

- Un…che?- un altro scatto. A Elizabeth parve che Biancaneve avesse una strana luce negli occhi, che prima non c’era, o non aveva notato.

- Lasciamo perdere…- sbuffò Anya. La sua ipotesi che quella ragazza potesse avere delle turbe mentali veniva avvalorata sempre di più, complice anche quell’ossessivo tic nervoso.- Senti, c’è un posto dove ti possiamo accompagnare? Hai famiglia, un amico, un ragazzo, qualcuno?- fosse dipeso da lei, avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe uscita immediatamente da lì ma, squilibrata o no, quella ragazza doveva avere dei problemi di altro tipo, se l’avevano trovata legata.

Biancaneve non sembrò badarle; senza che quel tic nervoso cessasse, iniziò a guardarsi intorno, come se stesse vedendo quella casa per la prima volta. Mosse qualche passo verso il pentolone, con una lentezza esagerata, quasi innaturale.

Anya ammutolì, lanciando un’occhiata a sua sorella. Elizabeth sembrava aver perso tutta l’euforia di poco prima, ma la ragazza non avrebbe saputo dire se questo fosse un bene o un male: sua sorella teneva lo sguardo fisso su Biancaneve, ed era un po’ impallidita. Anya guardò istintivamente fuori dalla finestra. Era notte, fuori, e la luna piena faceva in modo che le ombre degli alberi si allungassero fino ad entrare dai vetri e, miste a quelle gettate dalle braci, rendevano la piccola cucina più cupa e sinistra.

- Sapete, io cucinavo sempre per loro…- disse, esaminando i piatti e le posate posti sulla tavola.- Io cucinavo, lavavo, stiravo, pulivo…e loro erano così contenti, mi volevano bene…e io volevo bene a loro…- sorrise, ma di un sorriso strano, quasi un ghigno.- E’ così bello avere qualcuno che ti vuole bene…è come…come quando ti lavi le mani e le vedi pulite…poi sei così felice!- Biancaneve rise, quindi abbassò lo sguardo sul tavolo.

Le pupille di Elizabeth si dilatarono, alla vista di un oggetto che poco prima non aveva notato: una grossa mannaia, la cui lama scintillava alla flebile luce delle fiamme. Di nuovo, si sentì invadere da quello strano senso di terrore irrazionale, ma stavolta, forse, non era del tutto ingiustificato.

Biancaneve si fece seria, quindi afferrò la mannaia, sollevandola lentamente di fronte agli occhi.

Elizabeth sentì le unghie della mano di sua sorella conficcarsi nel proprio braccio.

- Io sono felice…sono felice quando tutto è pulito…- cinguettò Biancaneve, e quella vocina melliflua stonò terribilmente con quello che le due ragazze stavano vedendo in quel momento.- Non si può stare sporchi…mi rende tanto triste vedere lo sporco…- Biancaneve puntò i grandi occhi scuri contro le due ragazze. Mosse qualche passo verso di loro, molto lentamente. Elizabeth indietreggiò; Anya provò il fortissimo impulso di prendere sua sorella e scappare fuori da lì.

- Fammi vedere le mani…- sorrise Biancaneve, rivolta ad Anya. La ragazza la ricambiò con uno sguardo incredulo.

- Fammi. Vedere. Le. Mani!- strillò Biancaneve, con voce stridula.- Sono sporche, vero? Sono sporche, è per questo che non me le vuoi far vedere!

- Ma che stai dicendo, sei fuori di testa?- ringhiò Anya, ma l’espressione di Biancaneve si fece ancora più feroce.

- Sono sporche, hai le mani sporche!- urlò, mentre il tic nervoso continuava ossessivamente.- Ti avevo detto di lavarle! Se non ti lavi le mani, allora niente cena!

- Ma che…

- Mi dispiace tanto, cara…- squittì nuovamente.- Ma temo che sarò costretta a metterti in castigo!

Le due ragazze ebbero appena il tempo di rendersi conto di ciò che stava succedendo che Biancaneve ringhiò, e scaraventò la mannaia dritta nella loro direzione.

- Spostati!- gridò Anya, dando uno spintone a sua sorella. Elizabeth cadde di peso sul pavimento; Anya sentì un bruciore acuto a una spalla: guardò, e la vide sporca di sangue.

Biancaneve gettò il capo all’indietro e rise, di una risata malsana, folle. In una frazione di secondo, raccolse un altro coltello dal tavolo. Elizabeth si rialzò da terra appena in tempo prima che Biancaneve le fosse addosso. Rotolò di lato sul pavimento, mentre la sentiva ghignare.

Biancaneve l’afferrò per i jeans, mettendosi in ginocchio. Sollevò il coltello all’altezza del suo viso; Elizabeth alzò un braccio per difendersi, ma subito vide Anya lanciarsi alle sue spalle. La ragazza afferrò Biancaneve per i capelli con un ringhio, liberando la sorella dal peso del suo corpo, ma l’avversaria pareva avere una forza straordinaria.

Con uno spintone, Biancaneve mandò Anya a cozzare contro il tavolo, quindi le fu subito addosso. La ragazza portò le mani avanti per bloccarla, ma il peso di entrambe gravò sulla tavola fino a farla ribaltare. Le due caddero a terra con un gran tonfo accompagnato dal rumore di piatti e bicchieri che si rompevano. Biancaneve lanciò un urlo animalesco, quindi le fu subito addosso, affondando il colpo. Anya le bloccò velocemente il polso, ritrovandosi con la lama del coltello a pochi centimetri dal viso. Con un colpo di reni, la ragazza ribaltò le posizioni, mandando Biancaneve con la schiena a terra.

- Liz, aprì la porta!- strillò, cercando di disarmare l’avversaria.

Elizabeth scattò in piedi, iniziando ad armeggiare con il catenaccio.

Biancaneve tentò di ribaltare nuovamente le posizioni, ma Anya le sferrò un calcio nello sterno, accompagnato da un ringhio. L’avversaria venne spinta contro la parete della cucina, mentre la ragazza si rimetteva in piedi.

Elizabeth l’afferrò per un braccio.

- Corri!

Anya non se lo fece ripetere due volte, ma la ferita alla spalla continuava a sanguinare e a bruciare, e i postumi della caduta si facevano sentire. Elizabeth si costrinse a dimenticare per un attimo gli ululati che aveva sentito, e prese a correre in direzione della foresta. Alle sue spalle, udì la risata sguaiata e folle di Biancaneve.

- Dove siete?- gracchiò.- Venite qui, è ora del bagno!

Elizabeth afferrò più saldamente la mano di sua sorella, addentrandosi di nuovo nel bosco. Sentì i passi di Biancaneve alle loro spalle.

- Corri!- incitò, ma Anya sembrava veramente distrutta. Elizabeth la scosse:- Su, forza!

- Dove andiamo?- ansimò Anya, senza smettere di correre, incespicando negli arbusti.

- Io…io non…- Elizabeth rallentò insensatamente il passo, guardandosi intorno con aria spaesata. Era tutto buio, e gli alberi sembravano tutti uguali…

Anya si raddrizzò; sentiva i passi alle sue spalle farsi sempre più vicini, e la risata acuta di Biancaneve sempre più nitida. Si guardò freneticamente intorno, ma di tempo per pensare ne aveva poco.

I passi si avvicinavano, sempre di più.

Quasi senza pensarci, afferrò Elizabeth per la manica della felpa e la tirò verso di sé. Con una spinta, la mandò a terra, dietro un cespuglio di rovi abbastanza fitto per poter sperare di non essere viste.

Elizabeth si trovò con la faccia schiacciata contro l’erba della foresta, e sentì sulla sua schiena il peso di sua sorella.

- Che stiamo facendo?- sussurrò, quasi impercettibilmente.

- Hai un’idea migliore?- ansimò Anya.

- E se ci trova?

- Prega che non lo faccia.

I passi ora erano vicinissimi, Elizabeth sentiva il rumore ovattato dei piedi nudi sull’erba. Si portò una mano alla bocca; le sembrava che il suo respiro fosse rumorosissimo. Dalla corsa, l’andatura dei passi si fece più lenta.

- Dove siete?- stridette la voce di Biancaneve.

Elizabeth ne intravide i piedi nudi attraverso il rovo.

- Andiamo, non vi mangio mica!- rise della sua stessa battuta, di nuovo quella risata folle.

Elizabeth chiuse gli occhi per non vedere. Aveva il terrore di ritrovarsi di fronte agli occhi lo sguardo minato dalla follia di Biancaneve e il suo ghigno malefico.

Biancaneve iniziò a mugolare, quindi lanciò un’altra risata sguaiata.

Elizabeth la udì allontanarsi canticchiando una melodia in modo incomprensibile, e solo quando la sua voce e i suoi passi non furono più udibili trovò il coraggio di riprendere a respirare. Sentì sua sorella sollevarsi e liberarla dal suo peso.

- Pazza squilibrata…!- borbottò Anya, mettendosi a sedere. Lo chignon si era completamente sfatto, e ora i capelli neri le ricadevano sugli occhi.

Elizabeth si rialzò da terra, ripensando a quello che aveva detto suo padre.

Se davvero quello era il Regno delle Favole, allora doveva esserci qualcosa che non andava.

 

***

 

La Regina teneva lo sguardo fisso sullo specchio di fronte a sé. Il riflesso mostrato non era il suo, bensì quello di due ragazze vestite in modo molto strano, accovacciate sull’erba dietro un cespuglio di rovi. Ne studiò attentamente i volti, l’uno serio e maturo, l’altro ovale e infantile, e i suoi occhi verdi si ridussero a due fessure.

Si sporse in avanti sul trono, avvicinando il viso allo specchio. Il riflesso mostrava che la luna piena era ancora alta in cielo.

- Trovale!- sibilò, e i suoi occhi scintillarono.- Prendile. Uccidile.

Dallo specchio le rispose un ululato sommesso.

La Regina sorrise, vedendo spuntare poco più in là due occhi gialli.

 

***

 

- Ma dove siamo finite?- borbottò Anya, rivolta a se stessa.

Elizabeth fu sul punto di risponderle che erano nel Regno delle Favole, ma subito scacciò quell’idea. Più che il Regno delle Favole, quello sembrava il Regno degli Incubi.

Ansimò nel tentativo di riprendere fiato e di normalizzare nuovamente il battito cardiaco, ma la borsa che portava a tracolla le pesava più di un macigno. Se ne liberò con uno sbuffo, gettandola di lato.

Il libro di favole che vi era contenuto fuoriuscì, finendo abbandonato sull’erba.

- Quello cos’è?- domandò Anya, vedendolo.

Elizabeth gli gettò un’occhiata, quindi fece per risponderle, ma si bloccò.

Dalle pagine stava colando uno strano liquido nero.

 

Angolo Autrice: So che molti di voi staranno storcendo il naso all’idea di una Biancaneve pazza e assassina, ma questo era il modo migliore per renderla diversa da come lo è nella favola o nel film Disney (a proposito, la citazione sulle mani e la pulizia viene da lì), e per far capire che nel Regno delle Favole le cose non stanno andando esattamente come dovrebbero…

Anyway, nel prossimo capitolo avremo l’entrata in scena di alcuni personaggi che nel seguito della vicenda avranno un ruolo fondamentale. Spero avrete la pazienza di seguirmi. Come sempre, consigli e critiche sono ben accetti.

Ringrazio Ignis Ferroque per aver aggiunto questa ff alle seguite, little_drawing per averla aggiunta alle seguite e per aver recensito, LadyAndromeda per averla aggiunta alle ricordate e Nymphna, Daniawen, Imalonewolf e Sylphs per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Dora93

  
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