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Autore: Agapanto Blu    27/09/2012    3 recensioni
Anno Domini 1234.
Chatel-Argent, feudo dei Montmayeur, Francia.
Quando Daniel Freeland decide, come ultimo tentativo di aiutare la figlia diciottenne, di portare la sua Alexandra nel passato, non si aspetta certo l'immensità di sciagure che, con più foga e sadismo del solito, Hyperversum gli scatenerà contro...
Tra un rapimento, segreti che tornano alla luce e giovani amori, sembra che tutto si stia rivoltando contro il gioco di maschere dei Ponthieu e perfino la morte potrebbe non essere così certa...
Ma chi si cela dietro tutto ciò?
**********
Quando i battenti furono aperti di nuovo, il Falco d’Argento non esisteva più e Ian Maayrkas veniva portato fuori dalla sala con i polsi incatenati dietro la schiena e due guardie ai fianchi.
Lo sgomento della corte francese fu totale.
*****
Daniel non voleva crederci, non riusciva a crederci.
Eppure davanti a lui, terribili nelle loro armature, l'una con un leone d'oro rampante in campo rosso e l'altra bianca con una croce nera centrale, stavano gli incubi più tremendi che Hyperversum gli avesse mai fatto incontrare.
Jerome Derangale sorrise.
"Chi abbiamo qui?"
Al suo fianco, il barone Gant rise.
"Una spia senza signore!".

Alcuni personaggi leggermente OOC.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Etienne/Donna, Geoffrey/Brianna, Ian/Isabeau
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutti...
Allora, questo è il secondo capitolo...
Mi scuso per gli errori del precedente e ringrazio di cuore le persone che me li hanno fatti notare: ho corretto e spero che vada tutto bene...
Questo secondo capitolo è ambientato nel presente...
Vi lascio ad esso!
A sotto!
Agapanto Blu






2. Una difficile prova

 
Daniel Freeland si prese la testa tra le mani con disperazione.
Era seduto su una sedia di plastica blu dell’ospedale di Phoenix e aspettava fuori dallo studio medico dello specialista in ottica.
Nello studio stava sua figlia.
La sua unica figlia, la sua adorata Alexandra.
Jodie, sua moglie, aspettava appoggiata alla finestra e si sforzava di non piangere.
Pregava.
Daniel la guardò: una volta era stata una donna fragile, poi il primo viaggio nel Medioevo li aveva segnati tutti, insegnando loro ad andare avanti anche nei momenti più bui.
Tornò a guardare a terra.
Non so più cosa fare!, pensò supplicando il Cielo di aiutarlo.
La porta si aprì lentamente e Alexandra ne uscì con calma seguita dal medico che le teneva una mano sulla spalla per guidarla.
Daniel saltò in piedi e si mise davanti alla ragazza, fissandola negli occhi ma quelli ricambiarono solo con uno sguardo vitreo.
Alexandra, diciotto anni appena compiuti, studentessa al conservatorio, miglior pianista della sua scuola, capelli biondi lunghi fino alle spalle, un po’ di lentiggini sul viso dalla pelle color porcellana e dagli occhi verdi, era cieca.
Daniel strinse la figlia al petto senza dirle nulla e le posò un bacio sul capo prima di voltarsi verso Jodie e di farle cenno di stare accanto alla ragazza.
Alexandra stava immobile e non reagiva, il suo volto era un maschera di gelo e pareva che niente la potesse scalfire.
La madre l’abbracciò piangendo in silenzio.
“Andrà tutto bene…” sussurrò alla figlia ma la giovane non reagì nemmeno a questo.
Intanto, Daniel e il dottore si allontanarono dalle due.
“Non ha funzionato.” mormorò a bassa voce Freeland con un dolore che gli opprimeva il petto.
Il medico annuì.
“Mi spiace… Gliel’avevo detto che c’era il rischio che non bastasse: le condizioni di sua figlia quando è arrivata qui erano…”
“Gravi!” sibilò Daniel con rabbia, “Lo so! Me l’ha già detto! Voglio che mi dica qualcosa che non so! Resterà cieca per tutta la vita?”
“Non è detto… Potrebbe sottoporsi ad un altro trapianto di cornea e…”
“Mia figlia non può sopportare un’altra speranza vana! Lei aveva detto che con questo trapianto avrebbe potuto ricominciare a vedere!”
“Se la parte danneggiata fosse stata solo la cornea, con buone probabilità avrebbe ripreso la vista ma a quanto pare le lesioni sono state troppo profonde perciò…”
“Con buone probabilità?!” sibilò Daniel poi sospirò, “E allora un altro trapianto a cosa servirebbe?”
“Forse a nulla…” ammise il medico, “Però a volte gli organi sono incompatibili e non legano anche se i danni sarebbero riparabili…”
Daniel sospirò.
“Lei pensa che sia uno di quei casi?” chiese.
“Non saprei…”
“Allora non ha senso continuare...”
Daniel diede le spalle al medico e si avviò verso la sua famiglia.
“Aspetti…” tentò il dottore.
“No! Mi ascolti, non sarò un luminare come lei ma so che ne ammazza di più una falsa speranza che un incidente! Alexandra non ha bisogno di salti mortali sotto i ferri di un ospedale! Ha bisogno di normalità e di trovare una ragione per andare avanti!” rispose brusco lui prima di voltarsi e andarsene.
Mise un braccio intorno alle spalle della figlia e prese per mano Jodie, poi tirò entrambe via da quel posto che li aveva illusi e poi distrutti.
 
***
 
Daniel guidava con calma nel traffico cittadino diretto a casa sua.
Alexandra, sul sedile davanti, teneva la testa voltata verso il finestrino come se potesse vedere.
Jodie stava seduta dietro con ancora le lacrime agli occhi e alternava sguardi alla ragazza e al marito ma nessuno dei due la considerava.
“Voglio andarmene…” annunciò all’improvviso la ragazza.
Daniel si voltò di scatto verso di lei.
“Come?!” chiese scioccato.
“Non posso stare qui. Non posso continuare a pesarvi addosso.” ripeté la ragazza con decisione poi si voltò, furiosa, e gridò, “Voglio andare via!”
Daniel accostò sul ciglio della strada, troppo agitato per continuare a guidare.
“Alexandra…” tentò di dire ma le parole gli vennero meno.
Fu Jodie a parlare.
“Cara, tu non sei un peso…” iniziò ma la ragazza la interruppe bruscamente.
“Ah, no?!” chiese, acida, “Hai lasciato il lavoro per stare a casa con me! Papà ha fatto i salti mortali per guadagnare i soldi per mantenerci e per questa maledetta operazione che non è servita a niente! Questo non lo chiami ‘pesare’?!”
“No!” le rispose secco Daniel prima di prendere un respiro profondo, “Tua madre ha ragione. Non è stato un problema fare tutto questo e poco importa se non ha funzionato. Sono due anni che andiamo avanti in questo modo e tu ormai hai imparato a muoverti e fare tutto da sola…”
L’uomo piantò i suoi occhi verdi in quelli ciechi della figlia che rabbrividì come se avesse potuto sentire lo sguardo su di lei.
“Tu vivi come se ci vedessi, il vero problema è che non vuoi farlo! Preferiresti continuare nel rancore ma non è così che si va avanti. Ascoltami, io lo so…”
“Come puoi dire di saperlo, papà?!” scoppiò la ragazza, “Cosa credi di saperne, tu, che hai passato la tua vita in questa città del cavolo a fare il topo da laboratorio dietro una scrivania?! Con che coraggio vieni a dirmi che sai cosa sto provando?! Tu non sai cosa sia la rabbia e il desiderio di uccidere qualcuno che ti ha tolto tutto! Non c’eri tu su quella strada, non puoi capire quanto lo odio!” gridò.
L’ultima frase ferì Daniel come una coltellata e l’uomo sgrano gli occhi.
Nella testa iniziò a risuonare una frase simile.
Non c’eri tu sotto la frusta, non puoi capire quanto lo odio!
Era stata una frase che l’aveva annientato e ferito al cuore per ciò che significava, per i sensi di colpa che l’accompagnavano e perché a dirgliela era stato il suo migliore amico.
Ian Maayrkas, suo fratello adottivo.
Jodie sobbalzò, forse colpita dallo stesso pensiero di Daniel: la rabbia di Alexandra era quella di Ian.
E se lui l’aveva superata, forse avrebbe potuto aiutare la loro figlia a superare ciò che la stava distruggendo dentro.
Daniel guardò la moglie che ricambiò mentre le loro menti correvano al computer di casa e al gioco sopra installatovi.
Alexandra ansimò un po’ per lo sfogo poi si accorse del silenzio e capì che qualcosa non andava.
“Che succede?” chiese angosciata spostando automaticamente gli occhi davanti a sé, verso il parabrezza.
“C’è che dobbiamo fare un viaggio…” rispose il padre rimettendo in moto e ripartendo.
“Daniel!” esclamò Jodie sgomenta, “Non puoi pensare davvero di portarla da Ian! È pericoloso per chiunque! Figurati per lei!”
“Io sono una persona normalissima!” strillò Alexandra prima di voltarsi verso il padre, “Ian è l’archeologo, il tuo amico che viene qui raramente perché è sempre in giro per il mondo, vero?” chiese.
Daniel disse di sì.
“Ian è sempre lontanissimo e non è raggiungibile con il cellulare, mi spieghi come potremmo andare da lui?” chiese la ragazza imbronciata.
“Tutte balle!” replicò Daniel con uno sbuffo.
Alexandra sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
“Come, scusa?!”
“Hai capito benissimo!” disse suo padre parcheggiando davanti a casa.
“Che vuol dire?” insistette la giovane, “E le storie sui ritrovamenti e tutto il resto?”
Suo padre si voltò verso di lei.
“Balle!” ripeté prima di scendere dalla macchina e andare spedito verso casa.
Alexandra non attese la madre ma rincorse l’uomo verso la porta senza incertezze: conosceva a memoria ogni filo d’erba di casa sua.
“Come sarebbe?! I nonni sono convinti che…” disse ancora entrando in casa ma, non appena Jodie fu dentro, Daniel chiuse la porta e la interruppe.
“Balle, Alexandra! Balle! Sono tutte fandonie! Bugie inventate perché i tuoi nonni non ficchino il naso in cose che non devono conoscere!” esclamò prima di correre al telefono e comporre il numero che gli serviva.
Alexandra ascoltò i suoni dei tasti.
“Perché chiami lo zio Martin?” chiese stupita.
Lei non aveva solo imparato a compensare la vista con gli altri sensi, come tutti i ciechi, ma li aveva allenati al punto da fare cose incredibili.
L’aveva fatto suonando e praticando la scrima, l’unica cosa che le piaceva davvero: la vista non serviva ma, anzi, traeva in inganno, i suoni erano ciò che contava davvero.
Una volta faceva scherma ed era brava ma poi, su consiglio di Daniel e Ian quando era venuto al ringraziamento di sette anni prima, aveva provato anche la scrima medioevale… E ne era rimasta affascinata.
Ora le sue armi preferite erano i pugnali.
“Perché ho bisogno di un sorvegliante!” le rispose il padre, “Jodie, chiama il laboratorio con il cellulare e di’ che sono malato e non andrò per qualche giorno.” ordinò.
Incredibilmente per la giovane, abituata a sentire sua madre infuriarsi se le veniva imposto qualcosa, la donna eseguì senza fiatare.
Intanto Martin rispose.
“Daniel, sto andando agli allenamenti,” rispose la voce del minore dei fratelli Freeland dall’altro capo del telefono, “non puoi chiamarmi dopo?”
Martin era un giocatore di baseball professionista ed era Pitcher negli Arizona Diamonbacks.
“No, vado da Ian.” rispose laconico il maggiore.
Martin non rispose per un po’.
“Ora?” chiese.
“Sì!”
“Jodie?”
“Lei e Alexandra vengono con me.”
“Faccio manovra: dieci minuti al massimo e sono lì…” rispose Martin prima di riattaccare.
Alexandra era scioccata.
Suo zio non aveva mai perso un allenamento in vita sua e invece mandava all’aria quello prima di un’importante partita per una telefonata su Ian sapendo certamente che tutto quello che lei sapeva su quell’uomo era una bugia.
“Alexandra… Vai in camera tua mentre noi sistemiamo qui…” le sussurrò sua madre all’orecchio con gentilezza, “Io e tuo padre dobbiamo parlare…”
La ragazza salì le scale che portavano al piano di sopra a passo di marcia ed entrò nella sua stanza sbattendo la porta.
Attese un attimo poi la riaprì con delicatezza.
“Ma che credi di fare, eh?” stava strillando sua madre, “Di portarla con te nel Medioevo?! A far cosa?!”
Nel Medioevo?, pensò Alexandra sbigottita.
“A parlare con Ian! Jodie, lui ci è passato! Anche lui ha dovuto imparare a convivere con i segni che qualcuno gli aveva inflitto!”
“NON È LA STESSA COSA!” gridò la donna, “IAN NON È CIECO! Lui vede benissimo! Lui le vede le spade che gli puntano contro o le frecce che gli tirano! ALEXANDRA POTREBBE MORIRE!”
“È PER QUESTO CHE ANDIAMO CON LEI! PENSI CHE NON SAPPIA DIFENDERLA?!” gridò Daniel.
Calò un silenzio glaciale per un po’.
Daniel non aveva mai gridato contro Jodie.
“Cara…” iniziò l’uomo con voce più bassa, “Ti capisco e anch’io ho paura… Ma Alexandra deve andare nel passato! Deve vedere che può farcela, deve capire che ci sono ancora centinaia di cose che deve scoprire e che può farlo anche senza vedere!”
La ragazza sentì la madre singhiozzare.
“Non voglio che succeda di nuovo qualcosa come a Cairs!” pianse Jodie.
“Nemmeno io…” sussurrò Daniel.
Alexandra chiuse la porta.
Spade?! Frecce?! E cosa diavolo è Cairs?!, pensò aggrottando le sopracciglia con confusione.
Un motore si fermò davanti a casa loro e la ragazza capì che Martin era arrivato.
La porta si aprì e si richiuse senza che nessuno parlasse.
Il silenzio durò un minuto buono.
“Alexandra… Per favore scendi…” la chiamò la voce di suo padre.
La ragazza uscì dalla stanza, scese le scale senza indecisione e rimase in silenzio nel salotto.
Daniel la prese con delicatezza per mano e la fece sedere sul divano.
“Alexandra…” iniziò ma poi gli mancò il coraggio.
Si voltò verso Jodie che lo guardava con la decisione negli occhi, e Martin che se ne stava a braccia incrociate lasciando che fosse il fratello a fare ciò che riteneva più opportuno.
“C’è qualcosa che dobbiamo dirti… Qualcosa di molto importante…” disse alla fine.
Seduti sul divano di una piccola casa di Phoenix, Sir Daniel Freeland, Lady Jodie Freeland e Martin Freeland raccontarono all’erede del cavaliere delle terre libere le vicissitudini del Conte cadetto Jean Marc de Ponthieu e del suo compagno d’armi, il Cavaliere del Tempo.




Forse mi sono lasciata prendere un po' la mano con i vari titoli nell'ultima frase ;)
Be', che dire... Spero che vi sia piaciuto...
Nel prossimo capitolo, si riparte alla volta dell'anno 1234...
Titolo: Un nuovo viaggio
Sì, lo so, ditelo pure: che fantasia, eh?
Grazie mille a tutti!
A presto!
Ciao ciao!
Agapanto Blu
  
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