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Autore: Nina Rigby    28/09/2012    2 recensioni
Non ero più Jimmy, il bambino che ha sofferto e che si è gettato nell’autodistruzione.
 
Sono il figlio della rabbia e dell’amore,
sono il Gesù di Periferia.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro Jimmy,
             
dio mi sento un’idiota ad iniziare così. E’ la prima fottuta lettera che scrivo in tutta la mia misera vita, e lo sto facendo anche per un pessimo motivo. E l’unica cosa che so sulle lettere è che si scrive la data in alto a destra (ma preferisco tu non sappia in che giorno l’ho scritta) e che si inizia con caro/a e il nome.
Sto sparando cazzate, lo so, ma non immagini neanche che casino ho in testa. O forse sì, anzi sì, lo sai. Questo mi fa stare ancora peggio.
Credo di aver capito cosa mi ha spinto a scrivere queste parole, o molto più semplicemente cosa ha mandato a puttane la nostra storia.
Parto dal fatto che è colpa mia. In parte.
Parto dal fatto che sono nata, 20 anni fa, in questa casa, in quella che per un po’ abbiamo chiamato nostra. La casa dove abbiamo fatto l’amore la prima volta, la casa dove mi hai chiesto di sposarti e io ti ho risposto con il bacio più allusivo della storia, la casa dove tornavi con la targhetta del supermercato dove ti pagano una miseria ma tu continui a lavorarci solo per gettare sul tavolo quella busta sottile e dire “Amore stasera usciamo”.
La casa dove mi passavo il rossetto sulle labbra e speravo di lasciartelo sulle guance, la casa dove ti ho visto svegliarti nei tuoi capelli in disordine e lo sguardo chissà dove. La casa dove ho sperato, sperato così tanto che non so se riuscirò a sperare ancora per il resto della mia vita.
La delusione non vale mai la speranza Jimmy, fidati.
Ma non è finita.

Il portone d’ingresso è in legno marcio, i cardini cederebbero ad una spinta e il buco della serratura si potrebbe aprire con una forcina di quelle che mi metto in testa io e tu le smuovi con le dita e sembro uno spaventapasseri. E mi incazzo.
Quel portone l’ho aperto tante volte, ma di solito erano gli altri a chiuderlo. Mi correggo, a sbatterlo.
C’è mio padre, che barcollando ha sceso quelle scale e credo sia inciampato e abbia sbattuto la testa. Perché deve essersi dimenticato di me.
C’è mia madre, con i suoi tacchi alti e le calze sgualcite, e il profumo da quattro soldi. C’era lei che voleva ricominciare, “Devo dare una svolta alla mia vita e non è mai troppo tardi”, ma non poteva farlo assieme a me.
C’è chi è restato per una notte, o anche meno. E con la camicia aperta è uscito, per quel portone.
C’è chi ci stava davanti tenendolo socchiuso e mi chiedeva di farmi un giro, girandosi bustine bianche tra le dita.
C’è chi bussava per sbaglio e per dispetto.
C’è che l’ho sempre odiato, quel portone.
E poi ci sei tu.
Tre e quarantacinque di un venerdì notte. Tu che sali le scale, tu che biascichi il mio nome e inizi a strisciare. Tu strisci, le tue parole strisciano. Ti chiedo se hai bevuto mentre le prime lacrime spingono sotto le palpebre.
Mi rispondi che anch’io bevo. E’ diverso. No, è la stessa cosa.
Inizi a sparare cazzate, Saint Jimmy è tornato e via dicendo.
Iniziamo ad urlare.
Inizio a pensare: dov’è che l’ho già vista questa scena?
 
Ed è in quel preciso momento che capisco quanto io sia fottutamente sbagliata. Un aborto delle relazioni sociali, uno scarto tossico di un ospedale asiatico, la merda che hai sotto i piedi. In quel momento mi odio come non ho mai odiato nessun altra cosa. Non posso stare con te, non potrei mai stare con un altro.
Guardami. Guardami veramente. Sono una di quelle che nascono nel fango e aspettano la morte in un ospizio che ti paga lo stato. E non hanno soldi per un funerale, e comunque nessuno ci verrebbe.
Se penso che sono ancora in questa casa dove tu potresti tornare all’improvviso, mi assale l’angoscia. Non devi più vedermi capito?
Oh Jimmy io ti amo ma rovinerei tutto prima o poi. Ti rovinerei.
Sono stata io a farti tornare a casa ubriaco e drogato. Sono il tasso alcolico del tuo liquore e l’acido che infiamma lo stomaco e inibisce la mente. Una catalessi umana, pericolosa. Mi devi lasciar perdere.
Perché sono fuoco e sei un bambino a cui piace giocare. E’ questo è tutto, è davvero tutto.
 
Non cercarmi e non ti cercherò, non pensarmi e ti starò distante.
Ce li hai ancora presente Romeo e Giulietta no? Il balcone e tutta la storia. L’amore uccide, uccide chi come noi non ne ha mai avuto e poi ne ha troppo. Overdose, ce ne intendiamo qualcosa io e te.
E’ finita Jimmy. Per davvero.
 
Ma io ti amo ancora, e voglio che tu questo lo sappia.
 
Addio,
 
 
Whatsername.
  
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