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Autore: Kimmy_90    16/04/2007    8 recensioni
Philosophi, Custodes: guerrieri e sapienti, condottieri cresciuti ed istruiti, usati, stressati, tirati oltre ogni limite. Bambini sottratti ai genitori per divenire macchine da guerra: Utopia o Distopia?
E se il tutto, che a stento si regge in piedi, crollasse a dispetto dell'uno?
E se l'uno fosse dalla parte del tutto?
Dove trovi la ragione, dal sempre fu o dal nuovo che porta terrore come solo questo sa fare?
E se la routine della guerra divenisse l'isto di una catastrofe?
Siamo in un altro mondo, signori, e qui non v'è magia alcuna: soltanto geni...
Geni e Demoni.
[Storia in revisione] [Revisionata sino al capitolo 10]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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[Prima pubblicazione: 16 04 2007]

[Ultima revisione: 26 09 2010]

- 3 -

Konohamaru batteva i denti.

Batteva i denti e piangeva.

Seduto nel terrazzo della propria camera, le braccia da bambino ad avvolgersi sul corpo.

Piangeva e tremava.

Si lasciava invadere dal freddo.

Konohamaru tremava.

Batteva i denti.

Soffirva.

Pensava.

Pensava a Naruto.

Piangeva.

A suo nonno.

Soffriva e piangeva.

Konohamaru.

Konohamaru.

Lui, Konohamaru.

Lui.

Chi era?




Chi di noi si mimetizza, chi di noi domanda attenzione.

Nessuno ottiene ciò che vuole, se lo vuole.

Guardiamo i piccoli dall'alto, i grandi dal basso.

E siamo sempre diversi.

E siamo ogni giorno più uguali.

E' facile perdersi, nel nulla...

- Patriae Frates. Fati Frates. Paure. -

Naruto vagava per il bosco che circondava il Ludus ormai da qualche giorno. Non era una novità che non tornasse al proprio alloggio per la notte, preferendo accamparsi fra la boscaglia: la sopravvivenza era d'altronde una delle materie base.

Fin dal primo anno ti insegnavano ad andare a dormire sui rami, più sicuri: ecco perché dovevi saperti arrampicare bene.

Naruto passava in rassegna ogni piccolo cespuglio, andando a curiosare di qua e di là, dilettandosi nello scoprire luoghi nuovi. Ogni tanto incideva sugli alberi qualche segno, con una pietra che trovava in terra: il suo obbiettivo era visitare tutto il bosco. Ma, man mano che passavano gli anni, si rendeva sempre più conto che quel bosco era come infinito.

Il busto del ragazzino, sotto strati di magliette da allenamento grigiastre sormontate da un secondo strato di maglioni, era bendato – per far guarire la schiena dall'infiammazione: e a dire il vero, dopo la "punizione della spia", era stato frustato solo altre due volte.

Era migliorato, pensava, mentre faceva la posta ad un coniglio.

E ne era decisamente soddisfatto.

Con un gesto secco si avventò sul mammifero, che gli finì dritto fra le mani, tentando un disperato balzo di fuga. Naruto lo teneva sollevato, osservandone il manto candido.

Lo prese per le orecchie, lasciandolo penzolare a guardarsi attorno sconcertato. Il piccolo cuoricino pompava adrenalina a non finire: Naruto sentiva il rapidissimo battito dalle vene nelle orecchie della bestiola.

Il sole era alto nel cielo, e non una nuvola si frapponeva fra di lui e la terra: picchiava come solo il sole di gennaio sa picchiare, vigliacco.

Il bocciato decise che era ora di rientrare, e così si incamminò in direzione della Sphaera, che nemmeno ad una decina di chilometri di distanza accennava a scomparire. Sembrava quasi più grande di prima.

«Su, su – Op!»

Naruto era abituato a parlare da solo: i suoi interlocutori preferiti erano se stesso e Iruka. Sasuke, invece, ascoltava. O meglio, taceva mentre Naruto parlava a raffica, senza dare nessun segno di vita.

Sakura si defilava alla terza frase pronunciata dal biondo.

Shikamaru e Kiba lo scrutavano qualche istante e poi finivano a far conversazione con qualcun altro; come gli altri del gruppetto e della classe scambiavano qualche parola con lui, ogni tanto, senza spendersi mai troppo: ma per Naruto quelle poche parole erano più che sufficienti.

E poi c'era Hinata.

L'unica ragazzina che considerava quasi apertamente – non fosse per la sua incapacità di formular frasi troppo lunghe – Naruto come lo considerava Iruka: non fallito perché bocciato, ma forte perché insistente.

Metà della strada era stata fatta, e lo stomaco iniziava a dir la sua. Il coniglio era ancora nelle sue mani, paralizzato dalla paura da un'oretta buona. Naruto sapeva che quello era il modo migliore di logorare i nervi a una creatura: bastava farla attendere, come gli avevano bene insegnato. E visto che non aveva un'arma con sé, l'unica era di fargli perdere la vita con un violento colpo.

Ma spesso non funzionava.

Così, di solito, lasciava che l'adrenalina uccidesse la sua preda: ma questa qui pareva più resistente delle altre.

«Quasi quasi ti lascio vivere.»

Fece il ragazzino, ammirando la resistenza della bestiola. Ne scrutò gli occhi attentamente, finché, vinto dal suo stomaco, iniziò a guardarsi attorno alla ricerca di una roccia.

Deambulava di qua e di là, tastando tronchi, osservando sassi, voltandosi e saggiando il terreno.

«Na.. Naruto?»

Il ragazzino venne richiamato da una voce femminile e conosciuta: si girò, sballottolando il coniglio nel rapido gesto, ed andò a incontrare un paio di occhi velati. Una ragazzina dalla striscia rossa lo osservava, seminascosta dietro un albero.

«Hinata! Cosa ci fai qua?»

Sorrise per salutarla, lasciandola sconcertata da quel gesto.

Lui era contento. Contento come ogni volta in qualcuno gli rivolgeva la parola. Attese la risposta tornando alla ricerca di qualcosa di rigido: Hinata, però, ci mise un po' a rispondere, terrorizzata com'era sempre nel parlare a chiunque.

Ma Naruto non lo sapeva.

Era troppo ingenuo per capire una cosa del genere.

«Andavo... in giro... cosa fai?»

Alla fine Hinata riuscì a estrarre le parole dalla gola. Guardava Naruto in ogni suo movimento, sempre un po' ritratta.

«Mangio.»

Lui rispose esattamente quando trovò quello che gli serviva: un vecchio, grande e grosso abete che prometteva enorme resistenza. Incuriosito, torse il busto ed andò a scagliare un pugno sul tronco: sì, era forte.

Le nocche sanguinavano.

«Mangi? Ma c'è la mensa.»

Lei era abbastanza sconcertata dalla cosa.

Lo aveva odiato, il corso di sopravvivenza. A momenti mollava tutto.

Naruto si ricordò vagamente di una cosa del genere. Prese il coniglio per il collo, indice sulla nuca e lo osservò un'ultima volta.

«La mensa penso sia chiusa – e poi non mangio da giorni. Faccio in un attimo, Hinata.»

La ragazzina chiuse gli occhi impaurita. Naruto caricò il braccio e con un violentissimo colpo pose fine alla vita dell'animale.

«Hai.. hai finito?»

«Ancora un secondo.»

La risposta era quasi dolce, mentre il ragazzino scuoiava alla meno peggio la bestia, e ne lasciava defluire il sangue.

«E' morto?»

Hinata insisteva.

«Morto, è morto.»

La ragazzina riaprì lentamente gli occhi, a vedere la macabra scena. Si sforzò di non distogliere lo sguardo: era una questione di principio. Non poteva essere così debole.

«Non guardare, se ti fa impressione.»

Fece lui, mentre spremeva la carcassa come una spugna.

«N.. no.» deglutì «Non mi fa impressione.» Hinata si costrinse a guardare quello che aveva dovuto fare per due anni, e per due anni aveva odiato, e per due anni aveva fatto piangendo e a volte fermandosi, incapace di andare avanti.

Hinata non voleva essere debole.

Lei doveva guardare.

«Come vuoi.»

Naruto prese a pulire la bestia, come gli avevano insegnato, e come ogni bambino del Ludus faceva durante i suoi primi due anni di studio, una volta alla settimana.

A lavoro compiuto, il ragazzino mangiò.

Hinata guardava.

Saggiamente, lui si trattenne dall'offrirgliene un po'. - anche se trovava la carne cruda decisamente buona. Come facesse a non piacere a certe persone, non lo capiva.

«Allora, andiamo?»

Il ragazzino si pulì dal sangue con le maniche.

Lei annuì, avviandosi al fianco del biondo, ed insieme iniziarono a percorrere la srtada del ritorno.

Naruto si sentiva sempre strano quando si trovava solo con qualcuno che non fosse Iruka con una frusta in mano. Hinata poi era nota per essere taciturna, ma di tutt'altro stampo di quello di Shikamaru o Sakura.

«Hinata, tu hai paura per domani?» azzardò lui.

«Eh?»

«Domani!»

«Ah... bhe, sì – un po'.»

E il silenzio.

Naruto odiava il silenzio.

Quindi continuò.

«Ti ho mai detto che al mio vecchio anno c'è un ragazzino con i tuoi stessi occhi?»

«No.»

«Si chiama Neji»

«Ah...»

E ancora il silenzio.

«Io ho paura, per domani.» Tutto, pur di riempire il silenzio.«Molta paura.»

Hinata guardò stupita Naruto.

Naruto era sempre entusiasta di tutto, delle lezioni, della ginnastica, degli esami.

Naruto era il più entusiasta – nonostante fosse stato bocciato.

Forse Naruto sapeva qualcosa in più di lei, riguardo al sesto anno, pensò.

Oppure, ogni mattina in cui Naruto si alzava, Naruto aveva paura.

Molta paura.

***

I ragazzini del sesto anno se ne stavano in riga, ritti in piedi, su di un attenti che veniva loro naturale.

Divisi in una decina di file osservavano, avvolti dal silenzio, una schiera di adulti di fronte a loro: erano più di quanti avessero mai osato immaginare. Abituati com'erano ad essere in qualche centinaio con un Magister solo, ora si trovavano ad avere a che fare con una schiera di persone adulte veramente invidiabile, e sconcertati la osservavano.

Se non ce n'era uno a testa, ce n'era almeno uno ogni dieci.

Naruto era fra Sasuke e Shikamaru, in seconda fila, dietro a Sakura e davanti ad Hinata: come fosse riuscito a giungere in una posizione così favorevole e strategica, non lo sapeva nemmeno lui. Ma fatto stava che ora si trovava là.

Le due parti, insegnanti e studenti, lasciavano decantare il tempo mentre questo passava, fluttuava, migrava, li attraversava nel corpo e nella mente. Si lasciavano annegare nel silenzio, come attendendo gli uni che gli altri facessero qualcosa: ma gli allievi del Ludus non avrebbero certo fatto nulla, perché non sapevano cosa fare, e non avevano nulla da fare ne' nessuno a dirgli di farlo.

Alla fine un uomo dai capelli argentati e il volto relativamente giovane portò il pugno destro al petto, tamburellandolo una volta, e la seconda assestandosi un potente colpo a palmo teso che fece tramare la cassa toracica tanto da esser sentito in tutta l'aula. E con una voce potente, iniziò.

«Ignis Regionibus!»

«Patriae Frates! Fati Frates!»

I ragazzini risposero all'unisono, portando prima il pugno al petto, poi battendo una seconda volta a palmo aperto.

Concluso il saluto, che fece tremare i vetri della Sphaera, ebbero tutti la tentazione di sgonfiarsi, finalmente finita quell'estenuante attesa.

Era iniziato.

Gli studenti rinunciarono immediatamente al desiderio di rilassare i muscoli e rimasero sull'attenti, le mani lungo i fianchi: fra i tanti colletti di camicia rossi, quello di Naruto spiccava, arancione. Per sua sfortuna, non c'era nessuno che facesse gli anni in gennaio: e così, se i polsini grigi potevano esser poco notati in mezzo a tutti quei suoi simili, il colletto rimaneva segno distintivo.

L'uomo che aveva avviato quella cosa – che gli studenti non capivano se fosse una cerimonia, una conferenza od una lezione – , prese a passi lenti ad avvicinarsi a loro, e passandogli vicino li osservò, uno per uno. Ogni tanto si fermava su qualcuno, mettendosi a parlare: Naruto non riusciva a sentire niente, perché il tono di conversazione era basso e, comunque, erano lontani.

Guardava fisso un punto indeterminato fronte sé, mentre tentava invano di tirar le orecchie a catturar la minima sillaba. Ma nulla.

D'altro canto, parlare a voce elevata o addirittura gridare, se non era per il saluto o non era necessario, era fuori discussione.

Lentamente ma inesorabilmente, l'uomo si avvicinava a Naruto, che lo teneva sotto controllo con la coda dell'occhio: e dopo svariate soste giunse anche da lui.

Quello che per il biondino era un Magister si mise ad osservare interessato lui e Sasuke, senza degnarli però di troppa attenzione – osservando ogni tanto anche chi stava loro attorno.

Senza nulla che lo lasciasse presagire, esordì con tono autoritariamente pacato.

«Come ti chiami.»

Domandò, senza specificare con chi dei due stesse parlando ne' far valere il punto interrogativo nella sua frase, quasi atona. Sasuke e Naruto tacquero, presi un po' alla sprovvista. L'uomo li osservava: guardava gli occhi, le mani, il collo – come se sapesse già cosa stava cercando.

Alla fine decise di approfondire.

«Tu – biondino – come ti chiami?»

«Naruto.»

Il ragazzino rispose volgendo lo sguardo all'adulto, ed incontrò un paio di occhi ben diversi l'uno dall'altro: tentò in ogni modo di non farsi notare a contemplare quella assurda eppur magnifica asimmetria.

Un occhio era calmo e quasi sonnacchioso. L'altro, profondo e contemplatore.

Neri. Ma diversi.

«Bene, Naruto. Quanti anni hai?»

«Dodici.»

«Sei stato bocciato?»

«Sì.»

Il del ragazzino suonò all'uomo stranamente naturale ed imponderato. Guardò Sasuke.

«Tu. Come ti chiami?»

«Sasuke.»

«Quanti anni hai?»

«Undici.»

«Cos'hai in più di Naruto, Sasuke?»

Sasuke perse per un momento il posato controllo che lo avvolgeva, e rimase quasi sconcertato dalla domanda dell'uomo. Per un impercettibile istante si sentì cadere, e il suo sguardo pareva perso, come se fosse stato catturato. Nonostante le mille perplessità che lo avvolgevano, Sasuke fece in un attimo a riprendersi: così che solo il suo interlocutore, saggio ed abile osservatore, si rese conto di ciò che era accaduto all'undicenne. Per gli altri, Sasuke era rimasto sempre immobile e serio.

«Niente.»

L'animo di Sasuke aveva traballato: e dopo un isto d'instabilità, aveva riacquistato l'equilibrio.

«Bene.»

L'uomo fece tornare nuovamente lo sguardo su Naruto.

«Chi era tua madre, Naruto?»

«Io non ho madre.»

«Chi è tuo fratello, Sasuke?»

«Loro sono i miei fratelli.»

«Bene.»

Riprese a camminare fra gli allievi, fermandosi ogni tanto a parlare con qualcun altro di loro.

I due ragazzini osservavano il vuoto, mentre ognuno pensava ad una cosa diversa. Ambedue si domandavano come quell'uomo fosse riuscito a domandare cose così ben mirate: quasi li conosce a fondo.

I cuori dei due ragazzini tremavano.

Avevano paura di quell'uomo.

Avevano paura degli uomini.

Avevano paura di loro stessi.

Ed era ciò che lui, Kakashi, voleva.

Dopo un paio d'ore di ispezione, trascorse a visionare quei trecento scarsi che erano sopravvissuti fino al sesto anno, l'uomo tornò di fronte alla schiera di studenti, soffermandosi qualche altro istante ad osservarne l'insieme.

Gli altri adulti tacevano mentre aspettavano che lui, come un direttore d'orchestra, desse qualche segnale. Sembrava il capo – questo in fondo lo avevano intuito tutti – , ma non era realmente contraddistinto da nulla: nessun simbolo o vestiario.

Solo quell'atteggiamento aveva infine fatto loro intendere che fosse lui a dirigere le danze.

«Il mio Nomen è Kakashi.»

Iniziò, la voce che si spandeva ad un volume alto e lontanamente solenne.

La mandria di ragazzini ascoltava.

«Del mio Cognomen e della mia Gens non vi dirò, perché al Ludus Cognomen e Gens non contano. Conta ciò che siamo: io, come molti altri qui, sono un Rector Magister.»

Loro lo guardavano, il fiato in gola, mantenendo l'attenti come stavano facendo da ore. Non avevano mai saputo che esistessero, i Rectores Magistri.

Messi di fronte a più novità di quante non ne avessero mai gestite negli ultimi cinque o sei anni della loro breve esistenza, venivano come sgozzati da quelle parole. In parte ripetitive di concetti antichi, in parte – e soprattutto – scontate. Il tono era importante: sensazioni di caldo e di freddo li avvolgevano: ascoltavano, come ipnotizzati, qualcosa che intuivano li conduceva verso un ignoto mai ante tastato. E, assetati quanto spaventati, attendevano la frase successiva.

«Ci sono molte cose che non sapete.»

Stava succedendo qualcosa.

«E di queste ne imparerete pochissime.»

Sentivano il buio.

«Ma anzitutto, imparerete a mantenere i segreti. A preferire la morte.»

Erano in già in viaggio, e non se ne erano resi conto.

Kakashi fece un vago sorriso.

«Vedrete, verrete su bene.»

Il tono voleva quasi essere confidenziale, e per il Rector lo era. Gradiva quell'annata: i ragazzini gli ispiravano qualcosa – anche se sapeva che sarebbe stata una delle più difficili, perché uguale a nessuna delle precedenti.

Gli studenti erano terrorizzati.

Solo ora si rendevano pienamente conto di quanto oscuro e sconosciuto fosse il mondo: lo capivano dalle sue parole, lo intuivano dai suoi gesti nuovi e che sapevano di vissuto.

Erano abituati alla Routine come nessun altro.

La loro Routine era stata seccamente rotta quel giorno.

E' una scuola di traumi, il Ludus.

Naruto osservava quella nuova figura alquanto sconcertato. Ripensava mille volte alle domande che gli aveva posto. Kakashi sapeva che lui non aveva veramente madre? Sapeva che non aveva mai avuto nessuno?

Naruto credeva a quelle due domande, che erano domande di registro, domande che servivano a forgiare la psiche.

Lui non aveva madre, ne era certo. Non ne ricordava il volto.

Ma non sapeva se era perché l'aveva dimenticata o perché, realmente, non l'aveva mai vista.

Si ricordava d'esser stato solo anche prima del Ludus.

E per quanto fosse difficile, lui ci credeva: ci credeva che i ragazzini del Ludus erano i suoi fratelli.

Anche se era bocciato. Anche se era disprezzato. Anche se era schivato.

Pensieri simili vagavano per la mente di Sasuke.

«Chi siete?»

«Nessuno.»

«Dove andate?»

«Non lo sappiamo.»

«Chi è vostro padre?»

«Non abbiamo padre.»

«Chi è vostra madre?»

«Non abbiamo madre.»

«Per chi combatterete?»

«Per l'Ignis Regio.»

«Per CHI combatterete?»

«Per i nostri fratelli!»

«Chi sono i vostri fratelli?»

«Loro sono i nostri fratelli!»

Quella, come una poesia, era una sequenza di frasi che ripetevano da anni.

Era l'unico momento in cui si poteva urlare.

Erano parole da ruggire, espellere con tutto il fiato.

Era per scaricare. E formare.

«Ignis Regionibus!»

«Patriae Frates! Fati Frates!»

Era per credere.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Chi sono

dove sono

cosa faccio

dove vado.

Un giorno avrò il tempo di chiedermelo.

   
 
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