Anime & Manga > Pandora Hearts
Segui la storia  |       
Autore: moni93    06/10/2012    0 recensioni
Sophie Barma è la figlia dell'omonimo duca Rufus e alcuni di voi hanno avuto il piacere di conoscerla nella mia fanfiction "Black Raven & White Swan". Ma chi è lei, in realtà? Come è cresciuta? Com'era sua madre Mary? Che rapporto aveva col padre?
In ogni capitolo narrerò episodi autoconclusivi, ambientati in diversi anni di vita della piccola Barma, in cui cercherò di spiegare i legami che la uniscono ai vari personaggi di Pandora Hearts e non (dato che alcuni, come la madre, sono frutto della mia immaginazione). Insomma, il mio intento è quello di farvi divertire e di farvi esclamare: “Oooh! Ma allora è andata così?”
Spero con tutto il cuore che la cosa sia di vostro gradimento!
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Barma's Chronicles'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ELEVENTH MEMORY: YOUR STUPID CHICKEN IS NOT COMPARABLE TO MY DUCK!

 

Il collo gli doleva da impazzire. Per non parlare del polso, che oramai non se lo sentiva più. Anzi, mi correggo, sentiva anche fin troppo bene delle fitte lancinanti ogniqualvolta poggiava la penna sul foglio. Ne aveva riempiti con l’inchiostro nero pece tanti, troppi. Sapeva solo che aveva smesso di contarli, una volta arrivato al cinquantottesimo.

Non poteva fermarsi, non poteva stiracchiarsi, figurarsi riposarsi.

Il suo era un lavoro ingrato, ma se lo teneva ben stretto e non si lamentava quasi mai. Il motivo per cui non si lasciava prendere dallo sconforto era una ragazzina pestifera e adorabile al tempo stesso. Per questo, doveva unicamente ringraziare Cheryl Rainsworth che, senza volerlo, aveva fatto sì che lui avesse una sorellina.

Reim sospirò.

“Beh, magari, se mi rilasso cinque secondi, il duca non se ne accorgerà...” pensò con cautela.

Non appena ebbe abbandonato la penna sul tavolo, una voce lo fece tremare a tal punto, da fargli rischiare di cadere dalla seggiola.

“REIM LUNNETS, È QUESTO IL MODO DI LAVORARE?! SCANSAFATICHE!!”

“CRAAA!!”

Ci fu persino un tetro gracchio, che rese quelle parole ancora più inquietanti.

“AAAAHH!!! Chiedo perdono, duca!”

Istintivamente, il giovane si mise sull’attenti e chiuse gli occhi, in attesa dell’ennesima sgridata seguita a rotta di collo da una bella punizione. Invece, con suo sommo sollievo (e ira) udì una risatina che conosceva fin troppo bene.

“Ahaha, ci sei cascato di nuovo, Reim-niisan!”

Gli occhi di Reim si aprirono, ma mostrarono solo due fessure.

“Sophie...”

Quella continuò a ridersela nella grossa.

“Ahaha, dovresti vedere la tua faccia! È buffissima! Beh, più buffa del solito, almeno.”

La tentazione di prendere a sculacciate quella monella era grande, ma il buon cuore di Reim lo era ancora di più. Sospirò, si lasciò cadere sulla seggiola con un tonfo e biascicò qualcosa.

“La prego, ojou-sama, la smetta con questi scherzi...”

La mora smise di ridere e fissò con apprensione il suo amico.

“Suvvia, Reim-niisan, non te la prendere.”

Odiava vederlo ridotto in quello stato e ancor di più mal sopportava di essere chiamata “ojou-sama”. Sapeva bene che quell’appellativo Reim lo utilizzava solo quando era estremamente provato e ciò non fece altro che aumentare il malumore della giovane Barma.

Il ragazzo sembrò accorgersi di ciò, infatti, non appena voltò la testa per osservarla, chiuse gli occhi e le sorrise stancamente.

“Scusa io per essere sempre di cattivo umore, Sophie.”

Lei scosse la testa e fece spallucce.

“No, tranquillo, non importa. Papà ti ha riempito ancora di scartoffie di cui non vuole occuparsi, vero?”

A Reim faceva sempre uno strano effetto sentir chiamare il duca Barma “papà”, specie da una ragazzina solare e vivace come Sophie. Era certo che non si sarebbe mai abituato a ciò.

“Al solito.” fu la sommessa risposta.

Sophie si fece pensierosa.

Primo brutto segno.

Se c’era una cosa che aveva imparato nel corso di quei sette anni in compagnia della figlia del duca, era che quando si metteva a pensare stava a significare che stava tramando qualche marachella. Il che, tradotto nel linguaggio di Reim, significava guai seri. Doveva sbrigarsi a distrarla, o sarebbe subito passata al passo successivo...

Proprio in quel mentre, gli zaffiri di Sophie brillarono e una mezzaluna si disegnò sul suo bel visino.

Troppo tardi.

“Ehi, Reim... mi è venuta un’idea.” disse infatti.

Il ragazzo prese in mano un foglio e l’osservò con finta attenzione.

“Una pessima idea.” mormorò.

“No, no: una fantastica idea!”

Reim afferrò la penna e si rimise al lavoro. Forse, vedendolo ancora impegnato, la ragazza avrebbe desistito dal suo scopo. Invece, per sciagura del moro, la giovane si fece ancora più determinata.

“Ti va di fare una pausa, Reim-niisan?”

Un brivido freddo percorse il ragazzo da capo a piedi.

“Io ho una voglia matta di fare un giretto...” continuò lei con aria innocente.

Male, male, si stava mettendo davvero male per il povero servo. Egli, tuttavia, tentò il tutto per tutto.

“Ehm... dove? In giardino?”

“Noooo.”

Reim tossì nervoso.

“Ehm... nella radura qui vicino?”

Lei scosse il capo.

Infine, sorrise, raggiante e vittoriosa.

“Andiamo a Leveille!”

Reim osservò basito la giovane, poi, con tono calmo e pacato, diede il suo parere.

“No.”

La ragazza strabuzzò gli occhietti azzurri. Non si aspettava una risposta del genere, o almeno, non con quel tono.

“Perchè? E come mai sei così tranquillo?”

Reim inspirò profondamente. D’accordo che aveva deciso di essere risoluto e maturo, ma la sua naturale vergogna lo faceva spesso tentennare. Dovette sforzarsi al massimo per apparire forte e deciso.

“Perchè vostro padre ci ucciderebbe, e perchè ho compreso che con voi bisogna essere seri e fermi nel declinare un invito.”

Sophie sorrise maligna.

“Oooh, e tu sei convinto che questo sia un invito?”

Reim tremò. Ecco, lo sapeva che non sarebbe durato tanto...

“E se ti dicessi che è un ordine?”

“Le... le risponderei che prima di lei sono obbligato a rispondere al duca, suo padre!”

“E se ti minacciassi?”

“Non... non oserebbe...”

“E se mi mettessi a piangere?”

“Non ose... oh, per l’amor del cielo, Sophie!”

La brillante tattica di Reim venne distrutta dai lacrimoni che resero liquidi gli occhi da cerbiatta indifesa di Sophie.

Quando voleva, quella ragazzina sapeva essere una vera Barma.

“Ti prego, Reim-niisan...”

“No.”

Il ragazzo fissò con insistenza un foglio completamente bianco.

“Ti prego, niisan...”

La mora lo abbracciò da dietro.

“No!”

“Ti preeeegoooo!!”

“Craaaa!!” aggiunse il suo corvetto di peluche.

“Ho detto di no! E quel corvaccio non farà altro che intensificare la mia risolutezza!”

Nell’urlare ciò, il servo del duca fece il gravissimo errore di sbattere il foglio sul tavolo e di rimanere così scoperto e vulnerabile. Non appena vide per l’ennesima volta gli occhioni supplichevoli di Sophie, sospirò, sconfitto definitivamente.

“D’accordo, mi hai convinto.” disse in tono sconsolato, abbandonando la testa sulla scrivania.

“Sìììì!!” squittì felice Sophie.

“Ma solo per poco! E tu devi restarmi incollata, hai capito?”

“Sì, sì, sì, come vuoi tu, Reim-niisan!” fece lei sognante “Adesso vai a cambiarti, però! Ti aiuto io a scegliere un bel completo!”

La ragazza iniziò a strattonare Reim, il quale, pur lasciandosi fare, diede sfogo ai suoi pensieri.

“Quindi... ehi, un momento! Adesso ho capito perchè sei vestita così bene: avevi già pianificato tutto!”

Lei lo fissò con aria innocente e, facendogli la linguaccia, ridacchiò.

“Eddai, Reim, non comportarti come se la cosa ti stupisse.”

In effetti, il ragazzo era abituato a molto peggio.

Sospirò per la cinquantesima volta in pochi minuti e poi si dedicò silenziosamente alla sua preghiera. Invocò tutti i santi protettori di cui era a conoscenza, purché lo facessero tornare sano e salvo dalle grinfie di Sophie. Ah, naturalmente, in seguito si sarebbe preoccupato anche del duca, ma per il momento quella quattordicenne iperattiva era il peggiore dei suoi incubi.

 

“Oooh, guarda che belle fragole mature! Oooh! E lì c’è persino una bancarella di dolciumi... Oooh! Un cagnolino, che bello!!”

“Oooh, il duca mi ammazzerà!”

Reim e Sophie stavano girovagando per la città da parecchio, e mentre il moro era sempre più deciso a tornarsene a casa ogni minuto che passava, la ragazza supplicava per poter restare altri cinque minuti. Che per lei equivalevano ad un’ora, minimo.

“Niisan, niisan! Guarda che belli questi orecchini!”

Sentendosi invocare, il moro non poté far altro che raggiungere la sua sorellina. La giovane si era fiondata sull’ennesima bancarella e, nonostante il freddo di Febbraio, sorrideva allegra e sfoggiava un vestito piuttosto leggero. Se non fosse stato per le prediche di Reim, Sophie non si sarebbe nemmeno messa sciarpa e guanti. Nel pensare ciò, il servo del duca poté constatare che quella era l’ennesima differenza che divideva lui e la giovane Barma.

Lei era solare e allegra, intelligente e ben educata certo, ma era anche coraggiosa e non temeva nessuno, quando si trattava di fare qualche scherzetto o di far valere le proprie ragioni. Quest’ultima qualità la ragazza l’aveva acquisita dalla costante compagnia di Cassidy, ovviamente. Inoltre, era sicura di sé, decisa, intraprendente, sapeva sempre cosa dire... tutte qualità che Reim non possedeva.

Il ragazzo si ritrovò così sconsolato e demoralizzato.

“Niisan? Reim? Ehilà, c’è qualcuno?!”

“Eh? Cosa?” domandò confuso.

Quando si fu riscosso dai propri pensieri, il moro si ritrovò il volto di Sophie a pochi centimetri dal suo. Gli occhietti indagatori della giovane osservarono con attenzione quelli di Reim.

“Uhm... ti comporti in modo strano oggi...” fece pensosa.

In pochi attimi, la mora pose la propria fronte a contatto con quella dell’amico.

“Non è che hai la febbre?”

Il giovane sobbalzò e fece tre passi indietro.

“So.. Sophie! Ma che modi sono?!”

Lei inclinò la testa.

“Perchè, scusa? Che ho fatto? Piuttosto, sicuro di stare bene? Sei tutto rosso.”

“Sì, sì, sto bene.”

“Mmmhhh...”

Sophie non ne fu per niente convinta, ma decise di sorvolare. Aveva ben altre cose più urgenti da chiedere al suo fratellone.

“In tal caso, vedi di prestare maggiore attenzione. Non è educato ignorare quanto detto da una signorina.”

Se non fosse stato per il suo sorriso birichino, Reim avrebbe giurato di aver udito la stessa intonazione perentoria che il duca utilizzava con i suoi servi. Certe volte, la somiglianza tra Sophie e suo padre era davvero sottile. Da brividi.

“Quale ti piace di più?”

Il moro si ritrovò ad osservare una sfilza di orecchini, messi l’uno vicino all’altro. Ce n’erano di parecchi tipi: grandi, piccoli, vistosi, appariscenti, discreti, colorati e di tutte le forme possibili e immaginabili. Il ragazzo capì però subito che l’oggetto che la sua sorellina cercava non era per sé: Sophie non aveva i buchi alle orecchie; diceva che gli aghi le facevano troppa paura, e poi c’era anche di mezzo una promessa, se il ragazzo non ricordava male...

“Sono per Cassidy.” lo informò la mora, capendo al volo i suoi pensieri.

Reim si fece serio.

Se c’era qualcosa a cui dava la massima importanza, oltre al lavoro, erano i regali. Per il giovane era una pratica rara quanto emozionante. Un dono non lo si fa tutti i giorni e tantomeno lo si regala al primo che capita. Va studiato con cura, ponderato e infine comprato o, ancor meglio, confezionato con le proprie mani. Proprio così, Reim Lunettes amava fare regali, quasi quanto riceverne, poiché era per lui un evento più unico che raro. Solo dopo un’attenta meditazione rispose alla sua padroncina.

“Direi che, visto che Cassidy hai capelli corti, ci vorrebbe un modello lungo. Inoltre, avendo i capelli chiari, dovrebbero avere un colore scuro, per fare contrasto.”

Mentre parlava, i suoi occhi vagarono sulla bancarella in cerca dell’oggetto che si stava piano piano dipingendo nella sua mente. A un tratto afferrò in mano un paio di orecchini e, sorridente e soddisfatto, lo mostrò a Sophie.

“Credo che questi siano perfetti.” disse convinto, come se avesse appena risolto una difficile equazione matematica.

Sophie li osservò con attenzione.

“Li trovi belli?” chiese all’amico.

Lui annuì.

“Sì, li trovo eleganti, ma non esagerati. Inoltre, hanno una foggia leggermente maschile... sì, credo che a Cassidy piaceranno.”

“Fantastico, in tal caso, li compro senza indugi!”

Detto fatto, in pochi minuti Sophie si ritrovò con entrambe le mani occupate; l’una reggeva il pacchettino contenente il regalo, mentre l’altra stringeva con affetto quella del giovane amico, per poterlo trascinare verso nuove e inesplorate bancarelle.

Tutto a un tratto, la mora fece uno strano verso, una specie di gridolino sommesso misto a gioia e imbarazzo, e con uno spintone fece finire Reim in un vicolo. Anche la ragazza si buttò dentro (nel vero senso della parola) e finì a terra sopra il suo fratellone.

“Ahio... Sophie, ma che diavolo t’è preso?!” domandò confuso il moro, mentre si massaggiava il fondoschiena dolorante.

La giovane Barma, più svelta e agile di una lepre, si sporse guardinga dal muro di una casa, e si mise a osservare di sottecchi qualcosa o, più probabilmente, qualcuno, vista la reazione che aveva avuto poc’anzi.

Reim, lentamente, imitò l’amica e si ritrovò a fissare il solito via vai di gente. Non gli sembrava di vedere nulla di strano, quando all’improvviso notò un capello a lui noto. Un cilindro viola scuro, con un nastro rosa.

C’era solo una persona al mondo che poteva indossare un copricapo simile con tanta nonchalance... Xerxes Break. Ed eccolo lì, per l’appunto, il suo “amico” che lo costringeva a sbrigare tutti i lavori d’ufficio più stancanti e noiosi. L’esatto opposto di Sophie, che invece intimava Reim di stancarsi per motivi più divertenti, come una bella passeggiata o un combattimento a palle di neve.

Tuttavia, l’attenzione di Sophie era concentrata su di un punto poco distante da Break. Proprio in quel mentre, alla destra dell’uomo, si fece largo tra la calca un ragazzo della stessa età di Reim, con una chioma corvina e scompigliata. Gilbert Nightray stava porgendo un pacchetto all’albino, il quale, con un sorriso da gatto del Cheshire*, ricambiò il favore donando al moretto una caramella. [*NdA: modo di dire molto popolare ai tempi di Lewis Carroll.]

A quel punto gli occhi di Reim si posarono sulla figura di Sophie che, accucciata al suolo e semi nascosta dal muro, sbirciava la scena con un’espressione che non le aveva mai visto. Sembrava felice e al tempo stesso triste.

“Non... non vai a salutarlo?”

Conosceva già da sé la risposta a quella sciocca domanda, ma il moro volle comunque porgliela. Sophie aveva confidato da tempo a Reim del suo incontro con Gilbert. Principalmente perchè si fidava ciecamente di lui, e perchè odiava nascondergli fatti così importanti e rilevanti della sua vita. L’altro motivo, quello più egoistico, come lei stessa lo definiva, consisteva nel fatto che Reim passava molto tempo a casa Rainsworth, dimora di Break, servo di quella casata e bizzarro migliore amico del moro. E si dava il caso che Gilbert visitasse spesso quel luogo o, comunque, vedesse praticamente ogni fine settimana il cappellaio e la sua personale assistente, Emily. Conscia di ciò, Sophie si faceva raccontare dal suo fratellone i particolari riguardanti la vita di Gilbert. Le interessava ogni cosa, da come procedevano gli studi del ragazzo, ai suoi progressi ad ambientarsi a villa Nightray, per non parlare poi dell’evoluzione della sua fobia per i gatti (Sophie rideva sempre come una matta quando Reim le descriveva le reazioni spropositate del giovane Gilbert). Insomma, da brava Barma, si teneva informata.

Mai, però, la giovane volle vederlo di persona.

“Ho promesso di incontrarlo tra dieci anni, e così sarà.”

Continuava a ripetere quella frase e, ogni volta, Reim si rattristava per quel legame così fragile e al tempo stesso così indissolubile che Sophie tentava di mantenere con le sue sole forze.

Quel giorno di Febbraio, tuttavia, Sophie sorrise.

“No, non ce n’è bisogno. Sono soddisfatta così.”

 

Per il rientro a casa utilizzarono una carrozza. Erano troppo stanchi per camminare, ma, ciononostante, non furono sciocchi. Sapevano entrambi che se il duca gli avesse sorpresi a bighellonare senza permesso avrebbero subito orrende torture, perciò decisero che sarebbero scesi molto prima di raggiungere la villa.

Mentre erano sulla carrozza, Sophie decise di sorprendere per l’ennesima volta il suo carissimo fratello.

“Niisan, ho una cosa per te!” disse allegra e spensierata, come la prima volta che si erano incontrati.

“Per me?”

Reim non capiva cosa volesse fare quella monella. Lei, fulminea, gli mise in grembo il pacchettino che conteneva gli orecchini per Cassidy.

“Tanti auguri a te, tanti auguri a te! Tanti auguri, caro Reim-niisan, tanti auguri a te!!”   

Dopo aver intonato quella canzoncina, Sophie batté le mani con foga, mentre il ragazzo la fissò incredulo.

Aveva sentito bene?

Quegli orecchini erano per lui?

“E non fare quella faccia da pesce lesso! Non dirmi che ti eri scordato che oggi è il tuo compleanno!” lo riprese Sophie.

Reim abbassò lo sguardo, colpevole.

“Non mi ero reso conto che oggi fosse il 3 di Febbraio...” mormorò a mo’ di scusa.

Sophie fissò per aria rassegnata e divertita al tempo stesso. Le capitava spesso di rimanere basita dinnanzi all’innocenza di Reim, ma tuttavia non riusciva a nascondere il fatto che proprio per questa sua caratteristica lo trovava oltremodo adorabile.

“Ah, aspetta ad aprire, però!” pigolò preoccupata la mora.

Svelta, estrasse da una tasca un fogliettino ripiegato. Dopo essersi assicurata che non fosse troppo sgualcito, lo consegnò a Reim.

Era un bigliettino d’auguri. Nonostante avesse da qualche ora compiuto vent’un anni, Reim non ne aveva mai visto uno così. Non era stato comprato già pronto con una frase fatta all’interno, né tantomeno era stato scritto elegantemente.

Si trattava di un comunissimo foglio bianco, di quelli che anche Reim utilizzava per il suo lavoro giornaliero. Le parole erano scritte con caratteri enormi, per far sì che anche una talpa come lui riuscisse a leggere chiaramente e senza problemi. In alcuni tratti le scritte erano storte, in altri vi erano delle correzioni mal celate. Infine, per concludere il tutto, c’era disegnata una torta di compleanno completa di candelina accesa.

Il biglietto recava inciso:

 

Al mio carissimo Reim,

TANTI AGURI!!!

Spero che il regalo ti piaccia, volevo farti qualcosa di originale e così mi sono detta “Cosa c’è di più originale di un paio di orecchini?”. Comunque, per andare sul sicuro, li farò scegliere a te, ma in modo che tu non te ne accorga... ora che ci penso, a quest’ora mi avrai scoperta, ops!

Mi auguro che tutti i tuoi desideri si esaudiscano, perchè sei il mio fratellone e perchè te lo meriti. Sei la persona più dolce e gentile che conosca, ma visto che non te lo dico spesso, aprofitto approfitto di queste righe per farlo:

TI VOGLIO TANTO BENE, REIM!

 

La tua Sophie

 

PS: Scusa gli errari errori, ma è tardi e sono stanca...

 

Reim ebbe la reazione che Sophie si era aspettata: il ragazzo sgranò gli occhi, fissò perplesso il biglietto e il pacchettino, si puntò un indice al petto, mormorando un “Per me?” commosso, arrossì e infine poco mancò che scoppiasse a piangere.

“Allora, ti piace Reim? Sei contento?” chiese per conferma Sophie.

Il ragazzo annuì e si asciugò velocemente una lacrima.

“Grazie infinite, Sophie.”

 

Una volta rientrati nella villa di soppiatto, i due amici tirarono un sospiro di sollievo.

“Meno male, a quanto pare il duca non si è accorto di niente...” mormorò Reim.

Sophie rise divertita e si permise di alzare la voce.

“Visto? Che ti dicevo? Mio padre fa tanto il cattivo, ma in realtà non è altro che...”

“Che cos’è che sarei?”

Le parole furono pronunciate da un giovane che all’apparenza sembrava avere la stessa età di Reim. In verità, era più vecchio dell’anziana signora Cheryl, ma per stavolta Sophie evitò di farglielo notare. In fondo, provocare un già incollerito Rufus Barma, non era una tra le più brillanti idee.

“Ciao papà.”

Sophie mise in mostra un sorriso tirato, che fu ricambiato da uno sarcastico del padre.

“Di nuovo a zonzo, vedo. Spero per te che tu abbia un’ottima giustificazione per essere mancata alla cerimonia di iniziazione, o eri di nuovo impossibilitata per problemi femminili?”

Reim fu percorso da un brivido  non riuscì a trattenersi.

“Non mi avevi detto che oggi c’era la cerimonia!” le mormorò arrabbiato.

“Davvero? Dev’essermi passato di mente, che sbadata!” gli rispose con un risolino Sophie.

“Ebbene?”

Il duca sembrava incollerito, ma meno del solito. Pareva quasi sollevato dal fatto che Sophie non si fosse presentata.

“Ma sì, ma sì, quanti problemi! Che vuoi che siano qualche minuto di ritardo.” si giustificò lei.

“È due ore che ti aspettiamo.”

“Però! Come vola il tempo quando ti diverti!”

Reim sospirò.

Ecco che ricominciavano. Da quando Sophie aveva compiuto i fatidici quattordici anni, aveva preso il vizio di rispondere a tono al padre. E senza la benché minima paura, anzi! Tanto quello che ci finiva in mezzo, per un motivo o per l’altro, era sempre lui...

“E tu, Reim? Nulla da dire a tua discolpa?”

Ecco, appunto.

Stava per rispondere con una serie di scuse, quando la voce sicura di Sophie lo interruppe.

“Papà, non mi pare il caso di far attendere oltre i nostri ospiti, no? Direi che è tempo di andare.”

Il duca parve gelare sul posto.

Per anni aveva temuto quel giorno, da quando suo padre, Ludwig Barma, aveva in qualche modo costretto sua figlia a seguire un addestramento speciale. Lo stesso che anche lui aveva dovuto intraprendere e superare. Ora era giunto il momento in cui Sophie diventasse ufficialmente un membro del casato Barma. Certo, Rufus era riuscito ad impedire al padre di mettere in mostra davanti a tutti i nobili l’esistenza di sua figlia, ma tuttavia su di un fatto era stato irremovibile il vecchio Barma. Sua nipote aveva l’età e le potenzialità per possedere un Chain. Era tempo che si tenesse la cerimonia di iniziazione.

“Ne sei sicura? Sappi che non sei obbligata, se non vuoi, Sophie.”

La ragazzina si perse nello sguardo del padre per qualche lungo istante.

Scosse il capo.

“No, sono pronta.”

 

“E così adesso hai anche tu uno di quei cosi spaventosi? Forte!”

La voce acuta di Cassidy le rimbombò nella testa, ma nonostante ciò, Sophie le sorrise.

Erano trascorsi tre giorni da quando la giovane Barma aveva partecipato alla sua cerimonia. Il primo incontro con il suo Chain non era stato dei più piacevoli, ma pregò che con il tempo le cose migliorassero.

La buona notizia era stata che la cerimonia non aveva avuto ripercussioni sul suo corpo. A Sophie non sarebbe piaciuto rimanere sempre una mocciosa di quattordici anni, anche se oramai l’aveva accettato in quanto possibile imprevisto del mestiere. Il sapere di aver scongiurato tale minaccia la sollevò non poco.

La cattiva notizia, però, era che suo padre ce l’aveva a morte con il nonno. Anzi, per quanto tentasse di mascherarlo, Sophie aveva compreso che il duca incolpava se stesso per la sua debolezza.

Ancora una volta non aveva potuto nulla contro suo padre, contro il destino.

Ancora una volta, si era mostrato troppo debole per difendere il suo tesoro.

Cassidy continuò a parlare, ma Sophie era concentrata su quei pensieri che da giorni la tormentavano. Dovendo stare a letto per riprendersi da quell’esperienza tutt’altro che dilettevole, la ragazza aveva avuto modo di riflettere.

Fu così che Sophie balzò in piedi dal letto, stupendo l’amica.

Basta, si era stancata! Non avrebbe mai più permesso a suo padre di preoccuparsi a quel modo per lei. Mai più suo padre avrebbe avuto quei pensieri, altrimenti anche lei...

“Sophie, ma dove vai?”

La domanda di Cassidy rimase senza risposta, tuttavia a Sophie parve di udire qualcosa come “E rispondimi, maledetta!” prima di chiudere la porta dietro di sé.

Per tre giorni aveva atteso di riprendere le forze, per tre giorni aveva rimandato un discorso impellente. Non avrebbe sprecato un solo altro minuto.

Entrò nello studio del padre senza nemmeno bussare.

Lui era seduto nella sua poltrona, come sempre, e sembrava impegnatissimo. Per un attimo Sophie temporeggiò, vedendo davanti ai propri occhi fantasmi di un passato che non sarebbe mai più tornato. Sua madre che porgeva una tazza di thè al padre, ad esempio, oppure che leggeva poco distante da lui, alzando ogni tanto gli occhi dal libro per sorridere al marito.

Scosse la testa.

Decisamente, aveva dormito troppo.

Quando si fu ripresa, si piazzò di fronte a suo padre per affrontarlo. Lui, con aria svogliata, alzò gli occhi nella sua direzione.

Conosceva fin troppo bene sua figlia, tale e quale a Mary. Sapeva che si sarebbe presentata da lui impettita e furiosa, decisa a dirgli chissà che cosa. Ancora non immaginava cosa, però.

“Che vuoi Sophie? Sono molto...”

Sua figlia non lo lasciò terminare. Prese il ventaglio che se ne stava placidamente accomodato sulla scrivania e lo sbatté sulla testa del padre.

La reazione fu immediata.

“MA TI SEI BEVUTA IL CERVELLO?!”

“Smettila di preoccuparti per me.”

Il duca si zittì e sgranò gli occhi.

“Se non la smetti, giuro che scappo di casa!”

“Che diavolo di minaccia è?”

Sophie inspirò profondamente. Desiderava da tanto dirgli quelle parole, se le era ripetute nella mente talmente tante di quelle volte, che ora le conosceva a memoria.

“Sto crescendo, papà, e non è più necessario che tu ti frapponga tra me e il mondo. Dammi la possibilità di dimostrarti che ce la posso fare con le mie forze. Io non me ne andrò, te lo giuro. Inoltre... se ti preoccupi, lo faccio anch’io e che diavolo! Non è carino far preoccupare senza motivo tua figlia!!”

Il duca Barma si sedette, osservò il ventaglio che Sophie reggeva ancora in mano e poi si concentrò sulla figlia. Lo specchio di sua madre.

“Vedo con gioia che non hai preso nulla da me...” mormorò con un sorriso triste.

“No, non è vero.”

L’uomo inclinò la testa curioso. Se c’era qualcosa che non sapeva, voleva assolutamente venirne a conoscenza, specie se riguardava sua figlia.

“Tanto per cominciare sono testarda, non ascolto mai quello mi dici, adoro curiosare nelle questioni che non mi riguardano e sono un’insopportabile Barma. Perciò sì, direi che ho preso parecchio da te.” concluse con orgoglio.

E, per la prima volta dopo anni, Rufus Barma rise di gusto.

Fu uno spettacolo a cui solo a Sophie fu concesso di assistere.

“Santo cielo, ti sentisse tua madre, vedresti come sarebbe felice!”

Vedere suo padre felice e finalmente libero dalla sua maschera d’impassibilità che si era creato, fece sentire la ragazza leggera e felice. Si sentiva come se un grossissimo peso che le opprimeva il cuore, si fosse finalmente deciso a levare le tende.

Sophie, per tale motivo, decise di approfittarne.

“Beh, comunque una bella differenza c’è tra noi due.”

“Quale?” domandò il padre, ormai di ottimo umore.

“Io, per lo meno, non ho un tacchino come Chain!”

Il sorriso del padre si ribaltò bruscamente.

“Prego?”

“Mi hai sentita: io non ho un tacchino, ma un bellissimo cigno.” si vantò lei.

Barma scattò in piedi, battendo la mano sul tavolo.

“Come ti permetti?! Si dà il caso che il mio Chain sia un Dodo, non un tacchino!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola l’uomo.

Sophie non si scompose.

“Per me rimane un tacchino.”

“Ha parlato quella che va in giro con una papera!”

A quel punto anche il sangue di Sophie le andò alla testa, un po’ per la rabbia un po’ per la vergogna.

“No, non è vero! È un cigno, ti dico! Un cigno!”

“Quack, quack!”

“Papà, smettila, non sei divertente!”

“Da oggi in poi ti chiamerò paperetta!” minacciò il rosso.

“Non t’azzardare!”

“E sia, hai ragione, troppo banale: allora sarai la mia ochetta!”

“Papà! Ti odio! Non ti parlerò più assieme!”

“Starnazzerai, forse, ochetta?”

Le urla dei due Barma si udirono per tutta la magione. Reim, che lavora poco distante, si tappò le orecchie.

“Uff, la smetteranno mai di bisticciare per ogni cavolata, quei due?”

La signora Cheryl, passata per un saluto all’amico e al caro servo, rise divertita.

“Oh, Reim, si vede che non capisci: è il loro modo per dirsi che si vogliono bene.”

Gli occhi terra del ragazzo la fissarono perplessi.

“Ma non potrebbero semplicemente dirselo?”

La duchessa poggiò una mano sulla testa del giovane e la fece scivolare fino all’orecchino che qualche giorno adornava il suo orecchio. La duchessa l’osservò con tenerezza e sorrise.

“Ma non tutti si esprimono allo stesso modo... ognuno ha il proprio modo per dire “Ti voglio bene” ai propri cari. Altrimenti, dove sarebbe il divertimento?”

 

 

 ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Tadaaan, eccomi qua!! ^^

Ce l’ho fatta anche stavolta: un altro capitolo è andato, yeee!! Quindi, per festeggiare, vi dò una splendida notizia: a partire da oggi parte il mio programma! Sissignori, controllate sulla mia pagina, se non ci credete: ogni sabato aggiornerò con un nuovo capitolo, happy? Io sì! Finalmente si torna all’ordine, basta pubblicare a caso!

A questo punto, ringrazio tutti coloro che mi seguono con passione e vi saluto: ciaooo!!

Ci vediamo sabato 13!

 

Moni =)

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: moni93