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Autore: verichan    06/10/2012    1 recensioni
Fu una cosa piuttosto veloce: il giorno prima completava il suo Tormento, il giorno dopo lasciava il Circolo.
Ma partiamo dal principio.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lanciò una palla di fuoco gigantesca che uccise sul colpo un hurlock e scaraventò a terra tre suoi parenti prossimi che ebbero la sfiga di stargli vicino; i nani li finirono senza tante cerimonie. Era carino combattere con il vantaggio numerico, tanto per cambiare: profumava di vittoria fin dal principio, una bella spinta positiva per il morale. Non si era nemmeno sporcato, avendo attaccato dalla distanza mentre i guerrieri lavoravano in prima linea.

«Questi erano gli ultimi.» annunciò Duncan sondando la zona con i suoi sensi di Custode.

La branca dell'esercito di Endrin che li aveva scortati per il pezzo concordato si congedò con parole di augurio e andò a ricompattarsi con le forze reali impegnate ad esplorare il thaig. Che peccato che re Endrin non fosse interessato a partecipare alla battaglia a Ostagar, aveva il sospetto che i numeri e l'esperienza nanica sarebbero stati molto apprezzati.

«Allora, Elmer, che impressione ti sei fatto dei prole oscura?»

Avevano iniziato a camminare seguendo la loro mappa, Elmer illuminava la via alimentando una piccola sfera di luce sopra le loro teste, non troppo splendente per non attirare l'attenzione delle bestie delle Vie Profonde (che, tra parentesi, erano schifosamente antigeniche, grazie Creatore per questa graziosa scorciatoia).

«Puzzano.» commentò storcendo il naso quando passarono accanto ai cadaveri, e Duncan rise.

«I mostri di sottoterra non hanno la fortuna di un fresco ricambio d'aria, quelli di superficie hanno un odore meno pungente.»

«Mi aspettavo uno scenario maggiormente spaventoso, comunque.»

«Sì?»

«Sì. Ho avuto incubi peggiori.»

«Demoni?»

«Noi maghi abbiamo questa fortuna.» disse sarcastico. «Sono decisamente più creativi, sia nella forma che nei contenuti.»

Quelli che in seguito all'Unione sarebbero diventati i suoi nemici naturali erano molto brutti e affatto cordiali, ma tollerabili; altrove, nei suoi sogni, aveva visto aspetti più disgustosi e abilità e poteri più temibili di forza bruta e arrugginiti arnesi appuntiti tenuti insieme da filamenti di dubbia origine. Erano certamente un pericolo concreto, vuoi per la malattia mortale che portavano con sé, vuoi perché un essere dai denti aguzzi armato di clava faceva sempre la sua sporca figura e il suo sporco ammontare di danni, tuttavia il mago non era stato impressionato in spavento: anche i ragni giganti vagavano nell'oscurità in cerca di prede, ed emettevano molto meno rumore del ronzio fastidioso dei prole oscura che ti avvertiva per tempo della loro presenza, insieme al puzzo di cadavere marcio e corruzione.

«Fermo.»

Si bloccarono al comando sussurrato di Duncan che si guardò attentamente attorno, le orecchie ben tese. Ora che ci faceva caso, c'era un suono metallico dietro di loro, cadenzato, come dei passi. Con uno scatto il Custode puntò gli occhi alle loro spalle sguainando la spada.

«Fai luce, Elmer.»

Il mago lo accontentò, scagliando una serie di globi lucenti verso la strada da cui erano arrivati e per cui i soldati erano ripartiti. Un nano in armatura, uno dei guerrieri del re, avanzò senza timore di mostrarsi. La presa di Duncan sull'elsa non si addolcì.

«I tuoi compagni sono andati nella direzione opposta, soldato.» disse con voce severa il Comandante dei Grigi. «Cosa fai ancora qui?»

Invece di rispondere lo sconosciuto si tolse l'elmo rivelando una nota testa pelata.

«Faren!» esclamò sbalordito il mago.

«Il nano che hai aiutato nei bassifondi?»

«Sì! Cosa ci fai qui, Faren? Perché ti sei travestito?» chiese troppo sorpreso per collegare i punti.

«Mia sorella ha detto che saresti uscito in superficie per le Vie Profonde. Avevo bisogno di un modo per andarmene dalla città.»

Ecco spiegata la strana espressione di Rica durante il loro addio, stava meditando su ciò che Elmer le aveva appena riferito. Certo era sorprendente rivedere Faren dopo neanche due giorni da che si erano separati, dava per scontato fosse destinato a rimanere un lontano ricordo. Non sapeva se esserne contento o scontento, d'altronde non lo conosceva benissimo, la sua simpatia andava per lo più alla sorella.

«Chiedo il permesso di unirmi a voi. Una volta fuori me ne andrò per la mia strada.»

Duncan lo studiava cautamente. Il moro spostò lo sguardo dall'uno all'altro; non toccava a lui prendere una decisione, e se il Comandante avesse rifiutato la richiesta, lui non avrebbe obiettato.

L'interessato era indeciso; un estraneo era un estraneo. Cosa impediva allo sconosciuto di tradirli, ucciderli e derubarli dei loro averi alla prima buona occasione e iniziare bene la nuova vita lontano da Orzammar? Beh, quel nano era lì, e poteva seguirli anche se diceva no. In qualche modo però sapeva che non avrebbero avuto questo tipo di problemi. Duncan si fidò del suo istinto e del resoconto di Elmer della sera precedente.

«È pericoloso percorrere questi tetri corridoi in solitudine. Viaggerai con noi, e finché saremo compagni mi aspetto cooperazione.»

Il nano annuì e il Custode rinfoderò la spada. Elmer salutò la zucca calva con un cenno che il nano ricambiò imperturbato e il viaggio riprese, in un misto di cavernose pareti e strade lastricate costruite anticamente secondo l'architettura nanica.

«Come hai rimediato l'armatura?» domandò curioso, alla prima fermata per riposare.

«Leske.»

“Il solito taciturno.”

«Hai già un piano per la superficie?»

Il nano scosse la testa e continuò a mangiare carne essiccata sul masso scomodo su cui era seduto. Non sapendo di che parlare con un tizio monosillabico, gli disse con ottimismo che eventualmente avrebbe trovato un lavoro e lo lasciò in pace. Nelle successive soste Duncan gli illustrò la vegetazione e la fauna del posto, e anche Faren si unì alle spiegazioni con gli occasionali grugniti e cenni, mentre le fasi di marcia furono caratterizzate da cauti silenzi.

Non incrociarono altri prole oscura, in compenso varie specie animali li accolsero non con le migliori intenzioni. Non ebbero eccessive grane, i ragni giganti (i suoi preferiti), i bronto e i cacciatori oscuri furono un eccellente allenamento per le sue percezioni magiche, almeno finché, circa due giorni dopo, non si imbatterono in un mini esercito. Fu nel bel mezzo di un attacco dei minuti rettili dalle bocche rotonde e tempestate di denti aguzzi, che la seconda sorpresa della traversata arrivò.

«Dietro di te!» avvertì il mago, e Faren si abbassò per permettergli di scagliare un pugno di pietra sul cacciatore che stava per aggredirlo alle spalle.

«Elmer, crea una barriera, non dobbiamo permettergli di separarci.» ordinò il Comandante.

I mostriciattoli infatti avevano la passione del “dividi et impera” e si erano intrufolati tra loro costringendoli a distanziarsi.

«Mi serve qualche secondo per l'incantesimo!» rispose cercando di avvicinarsi a Faren affinché lo coprisse mentre pronunciava la formula.

Purtroppo quegli animaletti bastardi non erano stupidi e col loro numero riuscirono a bloccare i movimenti del trio. Infastidito dai colli a proboscide che si allungavano per morderlo in continuazione, spese un secondo netto per accumulare energia telecinetica e la espulse di botto; era una scommessa, poiché sui ragni il trucco non funzionava. Il Creatore volle che le bestie non ne fossero immuni e girarono su se stesse in completa confusione mentale dandogli l'occasione per imbastire un glifo di repulsione in cui i due compagni si rifugiarono.

«Per quanto lo puoi mantenere?» domandò il Custode.

«Finché ho mana in corpo, se sto fermo qui. Posso ancora lanciare incantesimi, ma non di frequente.» replicò Elmer con il bastone piantato sul pavimento.

«Ne conto dodici.» disse Faren.

«Quindici. Ne percepisco tre tra le ombre. No, sedici.» si corresse. «Ne sta arrivando uno da quella parte.»

«I cacciatori oscuri si spostano in branco, dietro di lui ce ne saranno altri. Dobbiamo sbarazzarcene in fretta e proseguire.» disse Duncan.

Il Comandante avanzò impetuoso e tranciò due colli lunghi con spada e pugnale; ne rimanevano quattordici. Il moro lanciò una scia di ghiaccio circolare che ne cristallizzò tre, distrutti da Faren col martello; undici. Stava per richiamare il potere della roccia per pietrificarne, quando un urlo di battaglia riecheggiò per le Vie. Ed ecco lady Aeducan tramortire con lo scudo un cacciatore oscuro e infilzarlo con la spada.

«Principessa Sereda!»

Sgranò gli occhi e la osservò ucciderne due di seguito. Capiva l'apparizione di Faren, ma Sereda?! Il pelato gli diede un colpetto alla gamba riportandolo alla realtà e il mago si disse che la nana avrebbe avuto modo di chiarire la faccenda a tempo debito. Con un paio di braccia aggiunte, si disfecero velocemente della minaccia e finalmente poterono parlare.

«Lady Aeducan. Questo è... un incontro alquanto singolare.» trovò da dire il Custode anziano.

Prima un senzacasta e ora una principessa? Duncan non riusciva a cogliere l'umorismo del Creatore.

«Comandante, ser Elmer.» salutò Sereda, dando un cenno educato anche al calvo sconosciuto.

Era vestita di abiti comuni e armata di scudo e spada dozzinali; non era affatto divertita mentre spiegava che non era una più una lady a causa dell'esilio, di cui però non volle scendere nei particolari.

«L'esilio significa morire combattendo nelle Vie Profonde. Vi propongo di unire le forze e raggiungere la superficie: sono certo che un guerriero del vostro calibro potrà rendersi più utile da vivo che da morto.» disse enigmatico Duncan.

Sereda, come gli altri, non colse il significato nascosto ma, dopo un attimo di riflessione, annuì. Ripresero la marcia ed Elmer la studiò. Sembrava spenta, un fiore appassito. C'era dolore sul suo volto e la donna trascorse la camminata assorta e muta. Dov'era finita la principessa sicura di sé che aveva conosciuto a Orzammar? Alla prossima sosta tentò di dialogare, ricorrendo al suo lato lecchino che aveva funzionato tanto bene in precedenza.

«Lady Aeducan, non posso immaginare cosa vi sia accaduto, ma vi prego, ritrovate un po' della vostra vitalità. Mi rammarica profondamente vedervi così triste dopo esser stato testimone della bellezza dei vostri sorrisi.»

«Ser Elmer...» fece lei con l'ombra di uno dei sopracitati sorrisi. «Vi ringrazio per le belle parole; purtroppo il dolore che provo è troppo recente e temo che non sarò di grande compagnia per... qualche tempo. E vi chiedo il personale favore di non rivolgervi a me con l'appellativo di lady, d'ora in avanti.»

Con tatto le domandò cos'era successo, tuttavia fu gentilmente pregato di non premere sull'argomento per poi essere ignorato, cosa che, a lungo andare, lo spazientì. Quel simpaticone di Faren non era da meno; se a Sereda piaceva immergersi nei meandri oscuri della sua amarezza, il vincitore illegale dell'Arena si impegnava anima e corpo a mimetizzarsi con le pareti.

“Che diamine.”

Stranito dall'atmosfera oppressiva, Duncan si rivelò la sempre affidabile ancora di salvezza con cui discorrere a cuor leggero. Senza di lui Elmer sarebbe esploso.

Grazie ad Andraste, il terzo giorno, azionando gli ingranaggi di un solido portale, abbandonarono quei maledetti tunnel: il cielo scuro era costellato di stelle, l'aria fredda trasportava l'umidità della pioggia caduta di recente, una gioia per i sensi.

«C'è una locanda non lontano da qui, ci fermeremo lì per la notte. Cosa hanno intenzione di fare i nostri amici?» volle sapere il Comandante.

«Vi seguirò, per ora.» replicò Faren, piuttosto burbero, ritrovando per magia l'uso delle corde vocali.

«Io... non ho soldi per una stanza.» confessò con evidente vergogna la donna.

«Permettetemi di offrirvela, Vostra- Sereda.» si offrì il mago.

Era ormai costretto a darle pressapoco del tu, chiamarla vostra altezza, principessa o lady Aeducan aveva prodotto una malcelata smorfia sofferente, perfino mia signora non era apprezzato, tsk. Oltretutto, il fatto che accettasse la gentilezza con estremo sacrificio non gli garbava affatto. Checcavolo, lui si affannava ad essere magnanimo e lei neanche lo ringraziava come si doveva, anzi, pareva un gran dolore essere aiutata, poverina!

Si incamminarono con la luce di una normale lanterna ad aprire la strada. Non incontrarono anima viva e giunti alla locanda scoprirono che le parole di Duncan non erano esattamente... esatte. Di norma una locanda era un edificio abbastanza ampio accompagnato da una stalla e un piccolo laboratorio con fabbro, un perfetto esempio era quella che avevano passato sul cammino per Orzammar. Questa era alquanto spoglia, sullo stile “madre di Faren”.

«Sul serio, Duncan?»

«Non fatevi ingannare dalle apparenze.» rassicurò divertito.

“Apparenze? È un miracolo non sia crollata con le piogge.”

Fu piacevolmente sorpreso di sbagliarsi. Una volta dentro il mago constatò sollevato che non era per nulla malaccio; era piccola e sicuramente poco frequentata, eppure un fuocherello scoppiettava allegramente nel rozzo camino riscaldando l'ambiente e il proprietario fu molto cordiale. Pagarono per quattro stanze e si infilarono a letto.

Steso sul materasso riempito di foglie, paglia e fieno, Elmer fissava assorto la candela accesa sul comodino, giocando con la fiamma muovendo le dita impregnate di magia. I vestiti erano appesi alla sedia, gli stivali sostavano sul pavimento; la folta coperta di pelliccia rivaleggiava con le lenzuola di morbido tessuto dei nani. Lasciò stare il fuoco e rigirò il ciondolo regalatogli dall'ex principessa tra le dita. Cosa le era capitato? Voleva saperlo. Non perché gli interessasse lei come persona, semplicemente lo riteneva un caso eccezionale.

“Una persona non perde tutto così all'improvviso, e un padre non esilia così facilmente la propria figlia dopo una promozione festeggiata con tanto fervore. Che cosa ha fatto? Sicuramente una cosa terribile, ma cosa?”

Mistero.

Incrociò le braccia dietro la testa sul cuscino, guardando un po' annoiato il soffitto. Non voleva addormentarsi subito, perciò compì degli esercizi respiratori imparati nelle lunghe lezioni di magia e sgomberò la mente, indirizzandola sugli eventi degli ultimi giorni. Che avventura aveva vissuto nel Distretto della Polvere, e quante conoscenze aveva fatto nella immensa Orzammar, vicende talmente opposte alla staticità della Torre dei maghi che gli pareva di aver rubato la vita di un'altra persona.

Jowan sembrava così lontano e poco importante adesso, un granello di sabbia nella grande clessidra della vita (frase poetica tratta da Lei che fu il di lui amor). A quella prima notte nella tenda erano seguiti sogni incolori e il riposo era gradualmente migliorato. Era come se non ci fosse spazio per il passato, l'idea di arrivare a Ostagar e le esperienze che lo attendevano lo emozionavano e non vedeva l'ora di proseguire.

I suoi pensieri indugiarono anche sui due nani: entrambi erano di poco conto nel grande schema delle cose (ancora in costruzione), e in men che non si dica sarebbero spariti dalla sua esistenza. Era un peccato non accontentare la sua curiosità sul segreto di Sereda, nei libri, al contrario della realtà, prima o poi i misteri venivano sempre svelati e il non avere informazioni sui retroscena non gli piaceva. Sbadigliò. La stanchezza trangugiò il desiderio di sapere; con un movimento della mano controllò la trappola magica apposta alla porta e spense la candela.

La mattina seguente si stiracchiò bene, svolse i consueti esercizi di stretching, si vestì e raggiunse Duncan al piano sottostante per colazione.

«Dormito bene?»

Il Comandante gli allungò un piatto con delle uova sode, strisce di carne affumicata e un tozzo di pane. Il mago spostò lo sguardo semi adorante dal cibo al Custode anziano. Poteva forse amarlo di più?

I punti simpatia di Duncan erano saliti di giorno in giorno: chiacchierava volentieri proponendo argomenti variegati, si interessava di ciò che gli passava per la testa, e, dote fondamentale, intuiva cosa lo infastidiva e tentava di porvi rimedio (per esempio aveva riempito l'avvilente vuoto delle Vie). Magari esagerava, tuttavia credeva di essersi seriamente affezionato all'uomo barbuto in quel breve lasso di tempo.

«Come negli alloggi di casa Aeducan, in verità.» disse addentando la carne.

«Te l'avevo detto che le apparenze ingannano.» sorrise. «Cosa ne pensi di Faren e Sereda?» domandò di punto in bianco pulendo il proprio piatto con il pane.

«Non molto. Tanto ci lasceranno stamattina, no?» replicò versandosi dell'acqua.

«Avevo intenzione di chiedere loro di unirsi all'ordine.»

«Davvero?»

Chissà perché, la prospettiva non lo allettava.

«Faren è un ottimo combattente, l'ho visto nelle Vie Profonde, mentre Sereda è un guerriero senza scopo e senza origini, potrei darle un futuro e le sue capacità non andrebbero sprecate.»

«Allora non vedo perché non fare un tentativo. Se rifiutano pazienza, almeno ci avrai provato.» recitò saggiamente (Io, te e loro, pagina quarantuno).

Duncan annuì, perso tra le sue considerazioni.

“Che persona matura che sono.” si prese in giro.

Elmer aveva abbozzato un calcolo: Faren era una persona indipendente, scommetteva che preferisse trovare la sua strada da solo; era Sereda l'oscura incognita che rischiava di rovinargli l'esperienza positiva. C'era da sperare che la sua depressione le impedisse di sopportare la presenza di persone non depresse.

«Che strada prendiamo?»

«Andremo a Redcliffe, poi a Lothering, infine raggiungeremo Ostagar. Ci vorranno circa una ventina di giorni a piedi.»

«Una bella camminata.» si lamentò.

«Lo so che in realtà adori camminare.»

«È tutto da dimostrare.»

«Sii gentile, Elmer, chiama i nostri amici. Vorrei una risposta prima di partire, e non voglio trascorrere l'intera mattinata ad attenderli.»

Il mago finì il pasto e si alzò diretto verso la stanza di Sereda. Si immaginava di trovarla immersa in una densa nuvola di angoscia con sottofondo musicale fornito da pensieri suicidi sussurrati a fior di labbra, in perfetto stile possessione demoniaca. Bussò.

«Chi è?» giunse una vocina.

Era la voce di lady Aeducan quella?

“Le donne possono essere castrate?”

«Sono Elmer, Sereda. Posso entrare?»

«Sì.»

Aprì, notando che la porta non era stata chiusa a chiave. Sereda era vestita e seduta sulla sponda del letto non sfatto; gli occhi erano arrossati e il volto stanco impegnato in un falso sorriso.

«Sereda... non avete dormito.»

«Lo so. Mi dispiace.» rispose lei abbassando lo sguardo sul pavimento.

«Non dovete chiedermi scusa, sono solo... preoccupato.» disse sedendole accanto.

Preoccupato un bel paio di palle: era l'occasione giusta per sapere dell'esilio, occorreva soltanto una buona dose di empatia e comprensione; se interpretava la dolce Sorella Mikae il successo era garantito.

«Mi spiace darvi preoccupazioni. Mi spiace che-»

La voce le tremò e non fu in grado di continuare. Le poggiò una mano sulla schiena e strofinò delicatamente, come a suo tempo aveva consolato Rica. La nana deglutì un paio di volte, immobile, successivamente prese dei respiri profondi e annuì con forza per comunicare che era a posto.

«Se volete parlarne, Sereda...»

«No, ser Elmer, vi ringrazio sentitamente ma non è il caso.»

«Come desiderate.» acconsentì bestemmiando mentalmente. «Vi va di fare colazione? Duncan è di sotto e vorrebbe parlarvi.»

«Sì, certamente.»

Gli lanciò un piccolo sorriso e lui sorrise di rimando. Neanche questa volta aveva avuto successo.

“Maledizione, avevo tutto il dialogo pronto!”

E l'espressione, e il movimento! Il suo illustre genio calpestato nel nome della riservatezza! Porca trota, quanto le era difficile lasciarsi andare a pianti isterici e spiattellare l'intera sua triste vita dal fasciatoio a oggi ricca di pettegolezzi aristocratici e intrighi politici?! Inutile donna.

Uscirono e sul pianerottolo notarono la locandiera battere colpi alla stanza di Faren con evidente impazienza. Si udì una voce irata imprecare e intimare all'umana di sparire. Elmer rimase di sasso: il pelato taciturno aveva alzato il tono? Si sbarazzò di Sereda dicendole che li avrebbe raggiunti e parlò alla donna imbronciata.

«Qualcosa non va?»

«È quello scavamontagne! Come posso cambiare le lenzuola e le candele se non mi fa entrare?!»

«Date pure a me.» replicò affabile sfoderando il suo sorriso da conquista. «Lo conosco, ci penso io.»

La locandiera, sebbene sposata fedelmente con il locandiere, perse un po' del cattivo umore di fronte al bel giovane, com'era giusto che fosse. Mantenne però il suo contegno e, senza perdere il broncio, gli rifilò candele e lenzuola e passò alla camera successiva. Missione compiuta.

«Faren?» chiamò bussando. «Sono io, Elmer. Che stai combinando?»

«Vattene!»

«Faren, stai causando problemi alla locanda: o mi fai entrare o mi invito da solo. Tu sai che una porta è poco per me.»

“Che figata minacciare la gente.” gongolò.

Il nano brontolò rumorosamente, la serratura scattò e il pezzo di legno rettangolare venne spalancato con violenza. I due si fissarono, Elmer con un cipiglio interrogativo, il calvo dagli occhi marroni con un brutto muso. Senza proferire verbo il mago entrò e la porta venne sbattuta dietro di lui. La camera era un caos: cuscino e coperta erano sotto il letto, la sedia e il resto del magro mobilio erano stati ribaltati a terra e posizionati contro di esso. Un piccolo impenetrabile fortino.

“Un altro mistero?”

Che avevano di sbagliato i nani nel cervello?

«Hai dormito sotto il letto.» dedusse perplesso.

«Niente domande.» dichiarò secco il pelato.

«Ma perch-»

«Niente domande!»

«Okay, niente domande, niente domande.» disse svelto. «Coraggio, mettiamo a posto. Non possiamo lasciare tutto così, penseranno che sei posseduto.»

Faren bofonchiò frasi incomprensibili ma eventualmente gli diede una mano. Quando finirono, il nano sembrava meno nervoso.

«Tutto a posto?» gli chiese casuale.

«Nh.»

Elmer lo interpretò come un “ni”.

«Allora andiamo giù, gli altri ci aspettano.»

Si sedettero al tavolo. Sereda aveva rifiutato la proposta e Faren la imitò, tuttavia la felicità del moro fu breve poiché decisero di seguirli fino a Redcliffe e lì avrebbero visto il da farsi.

“Ma porca di quella...”

Il sempre intuitivo Duncan intuì i suoi sentimenti rivoltosi e propose immediatamente di ripartire. Con rassegnazione l'anziano Custode si disse che sarebbe stato un lungo viaggio.





Note dell'autore:
Come consigliato da Mikoru, ho indossato i guanti nelle piccole parti dove abbiamo l'Elmer-lecchino ^^
Le poche cose che posso commentare sono tre: Duncan è ormai rassegnato, sì, non c'è speranza; Sereda, cioè l'origine nano nobile del gioco, fa davvero questa fine, cioè viene esiliata (per motivi precisi che non sto qui a dire, tanto li dirà lei prima o poi) e sbattuta nelle Vie Profonde per morire combattendo e lì incontra Duncan con un gruppetto di Custodi che chiede al nano di unirsi ai Custodi Grigi, e poi da lì ci si sposta a Ostagar; Faren, l'origine nano popolano, usciva in un altro modo che mi pare averlo detto da qualche parte, comunque, veniva beccato dalle guardie a Orzammar e Duncan lo coscriveva.
Altro? Beh, tra Elmer e Sereda non scorre e non scorrerà buon sangue, segnatevi queste parole u_u
  
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